Di Luciano
Pignataro
Ci sono alcune frasi entrate nel senso comune che spesso diventano
un rovesciamento della realtà anche se confermano come spesso ciascuno di noi
ha il vizio, direi il limite, di far iniziare la storia con noi stessi. Quando
sento un produttore dire, “seguo il metodo tradizionale e vinifico solo in
acciaio”, posso sicuramente fargli i complimenti ma non mi pare che i romani,
nel Medioevo e nell’800, ma anche nella prima metà del ‘900 si usasse questo
materiale quanto piuttosto il legno e le anfore.
Già il legno, un altro mantra italiano, dove la cultura dei vini
bianchi invecchiati può vantare solo piccoli episodi isolati e non uno sforzo
di ricerca collettivo e territoriale in qualche regione, è l’uso quasi
esclusivo dell’acciaio nella lavorazione in bianco. E questo nonostante il
fatto che il nostro paese è, secondo i dati diffusi la settimana scorsa, il
primo esportatore mondiale per volume e per valore, di vino bianco. La Campania
da questo punto di vista non teme confronti, è davvero raro trovare produttori
che usino il legno con i vitigni autoctoni.
Noi pensiamo che questo sia uno sbaglio, non vogliamo certo sostituirci a chi il vino lo fa, ma è indubbio che quando l’uso del legno è centrato i risultati sono più che soddisfacenti e soprattutto aiutano sui tempi lunghi. La differenza con lo chardonnay e le altre uve internazionali è che non ci sono protocolli prefissati e dunque si deve partire da zero e andare per tentativi quasi applicando il principio di falsificabilità di Karl KPopper. Ecco allora che questo post un po’ anomalo rispetto ai soliti propone questa piccola guida e che evidenzia come il Fiano sia particolarmente vocato a queste lavorazioni. Il motivo è che si tratta di un vitigno che con il tempo evolve e non resiste come è stato dimostrato scientificamente dal team di studi del Dipartimento di Agraria diretto dal professore Moio.
Fiano di Avellino Stilema - Mastroberardino
L’unico in cui mettiamo il millesimo perché si tratta della prima annata in commercio a cui, speriamo, ne seguano altre. In questo caso solo un 20-25% della massa viene elevato in legno e il risultato, a nostro modesto avviso, è stato davvero eccezionale.
Fiano di Avellino More Maiorum - Mastroberardino
L’azienda di Atripalda ha anche questa etichetta, la prima per la verità prodotta con il Fiano interamente passato in legno a partire dalla metà degli anni ’90. Secondo l’usanza degli antichi, botti grandi. Un vino che regge davvero tempi lunghissimi.
Noi pensiamo che questo sia uno sbaglio, non vogliamo certo sostituirci a chi il vino lo fa, ma è indubbio che quando l’uso del legno è centrato i risultati sono più che soddisfacenti e soprattutto aiutano sui tempi lunghi. La differenza con lo chardonnay e le altre uve internazionali è che non ci sono protocolli prefissati e dunque si deve partire da zero e andare per tentativi quasi applicando il principio di falsificabilità di Karl KPopper. Ecco allora che questo post un po’ anomalo rispetto ai soliti propone questa piccola guida e che evidenzia come il Fiano sia particolarmente vocato a queste lavorazioni. Il motivo è che si tratta di un vitigno che con il tempo evolve e non resiste come è stato dimostrato scientificamente dal team di studi del Dipartimento di Agraria diretto dal professore Moio.
Fiano di Avellino Stilema - Mastroberardino
L’unico in cui mettiamo il millesimo perché si tratta della prima annata in commercio a cui, speriamo, ne seguano altre. In questo caso solo un 20-25% della massa viene elevato in legno e il risultato, a nostro modesto avviso, è stato davvero eccezionale.
Fiano di Avellino More Maiorum - Mastroberardino
L’azienda di Atripalda ha anche questa etichetta, la prima per la verità prodotta con il Fiano interamente passato in legno a partire dalla metà degli anni ’90. Secondo l’usanza degli antichi, botti grandi. Un vino che regge davvero tempi lunghissimi.
Fiano di Avellino Exultet, Greco di
Tufo Giallo d’Arles e Falanghina Via del Campo - Quintodecimo
I tre bianchi di Luigi Moio hanno subito conosciuto il legno per l’affinamento, pur mantenendo la vinificazione in acciaio, con alterni risultati di critica ma con assoluto successo di pubblica. Nel corso degli anni l’uso del legno è stato più parsimonioso, centrato. Sicuramente fra i tre quello che ne guadagna di più è, a nostro giudizio, l’Exultet. In ogni caso si tratta di vini che conservano una freschezza impressionante a distanza di molti anni.
Le Serole - Terre del Principe
Da sempre rappresenta il bianco di punta dell'azienda Terre del Principe di Peppe Mancini e Manuela Piancastelli. L'unico bianco passato in legno ottenuto dal Pallagrello Bianco. Anche in questo caso una insospettabile e piacevole longevità
Fiano di Avellino Bechar e Greco di Tufo Devon - Antonio Caggiano
Anche il Bechar è partito con il legno, progressivamente aggiustato a favore del frutto. Il risultato, a distanza di anni, è davvero straordinario. Abbiamo appena bevuto un 2008 freco, integro, complesso, in grado di reggere qualsiasi confronto. Essendo Caggiano famoso soprattutto per i rossi (Taurasi Macchia dei Goti e Salae Domini) confessiamo di aver trascurato parecchio le sue etichette bianche.
Fiano Campania Case Fatte - Boccella
Una piccolissima produzione di Fiano a Castelfranci prodotto fuori dal disciplinare docg. Un bianco “naturale” che mantiene una buona polpa e bei sentori, in buon equilibrio con il legno. Pensato dall’enologo irpino Fortunato Sebastiano.
Fiano di Avellino Brancato - Tenuta del Cavalier Pepe
Per una produttrice di scuola francese il passaggio in legno sarebbe quasi obbligatorio, ma per il momento Milena Pepe si limita solo a questa etichetta facendola uscire con un anno di ritardo rispetto alla vendemmia. Un bel prodotto che però deve ancora trovare il punto di equilibrio.
Fiano Cilento Pietraincatenata - Maffini
Anche Luigi Maffini ha progressivamente alleggerito la presenza del legno uscendo con un anno di ritardo rispetto alla versione in acciaio, il Kratos. A nostro giudizio uno dei migliori bianchi italiani in grado di esprimere il meglio dopo una decina danni.
I tre bianchi di Luigi Moio hanno subito conosciuto il legno per l’affinamento, pur mantenendo la vinificazione in acciaio, con alterni risultati di critica ma con assoluto successo di pubblica. Nel corso degli anni l’uso del legno è stato più parsimonioso, centrato. Sicuramente fra i tre quello che ne guadagna di più è, a nostro giudizio, l’Exultet. In ogni caso si tratta di vini che conservano una freschezza impressionante a distanza di molti anni.
Le Serole - Terre del Principe
Da sempre rappresenta il bianco di punta dell'azienda Terre del Principe di Peppe Mancini e Manuela Piancastelli. L'unico bianco passato in legno ottenuto dal Pallagrello Bianco. Anche in questo caso una insospettabile e piacevole longevità
Fiano di Avellino Bechar e Greco di Tufo Devon - Antonio Caggiano
Anche il Bechar è partito con il legno, progressivamente aggiustato a favore del frutto. Il risultato, a distanza di anni, è davvero straordinario. Abbiamo appena bevuto un 2008 freco, integro, complesso, in grado di reggere qualsiasi confronto. Essendo Caggiano famoso soprattutto per i rossi (Taurasi Macchia dei Goti e Salae Domini) confessiamo di aver trascurato parecchio le sue etichette bianche.
Fiano Campania Case Fatte - Boccella
Una piccolissima produzione di Fiano a Castelfranci prodotto fuori dal disciplinare docg. Un bianco “naturale” che mantiene una buona polpa e bei sentori, in buon equilibrio con il legno. Pensato dall’enologo irpino Fortunato Sebastiano.
Fiano di Avellino Brancato - Tenuta del Cavalier Pepe
Per una produttrice di scuola francese il passaggio in legno sarebbe quasi obbligatorio, ma per il momento Milena Pepe si limita solo a questa etichetta facendola uscire con un anno di ritardo rispetto alla vendemmia. Un bel prodotto che però deve ancora trovare il punto di equilibrio.
Fiano Cilento Pietraincatenata - Maffini
Anche Luigi Maffini ha progressivamente alleggerito la presenza del legno uscendo con un anno di ritardo rispetto alla versione in acciaio, il Kratos. A nostro giudizio uno dei migliori bianchi italiani in grado di esprimere il meglio dopo una decina danni.
Greco Paestum Elea - San
Salvatore 1988
L’unico bianco passato in legno da Peppino Pagano. Non tutto, circa il 20% in barrique mentre il resto della massa fa acciaio. Buona frutta agrumata, speziature dolci al naso ma al palato grande verve acida e finale gratificante, sapido e amaro
Costa d’Amalfi Fiorduva Furore - Marisa Cuomo
Forse uno dei bianchi più conosciuti a livello nazionale, una grande successo commerciale. Qui, come nei vini di Caggiano e Maffini, abbiamo comunque la mano di Moio e anche qui abbiamo visto un progressivo diminuire del peso del legno. In ogni caso sicuramente una grande bianco, subito in equilibrio ma anche capace di reggere bene nel corso degli anni.
Falanghina dei Campi Flegrei Vigna del Pino - Agnanum
E la Falanghina? La sua freschezza e la sua immediatezza tengono quasi tutti lontani dal legno, ma qualche esempio c’è, come questa piccola produzione di Raffaele Moccia ad Agnano nel comune di Napoli. Buona longevità e ottimo equilibrio grazie all’uso delle botti grandi.
Falanghina Strione - Cantine Astroni
Un tentativo di misurare le capacità della Falanghina, ingrassata sui lieviti e in parte sul legno dopo la fermentazione in acciaio. Siamo sempre nel Comune di Napoli e questa è una delle tre versioni, le altre due in acciaio, pensate da Gerardo Vernazzaro.
L’unico bianco passato in legno da Peppino Pagano. Non tutto, circa il 20% in barrique mentre il resto della massa fa acciaio. Buona frutta agrumata, speziature dolci al naso ma al palato grande verve acida e finale gratificante, sapido e amaro
Costa d’Amalfi Fiorduva Furore - Marisa Cuomo
Forse uno dei bianchi più conosciuti a livello nazionale, una grande successo commerciale. Qui, come nei vini di Caggiano e Maffini, abbiamo comunque la mano di Moio e anche qui abbiamo visto un progressivo diminuire del peso del legno. In ogni caso sicuramente una grande bianco, subito in equilibrio ma anche capace di reggere bene nel corso degli anni.
Falanghina dei Campi Flegrei Vigna del Pino - Agnanum
E la Falanghina? La sua freschezza e la sua immediatezza tengono quasi tutti lontani dal legno, ma qualche esempio c’è, come questa piccola produzione di Raffaele Moccia ad Agnano nel comune di Napoli. Buona longevità e ottimo equilibrio grazie all’uso delle botti grandi.
Falanghina Strione - Cantine Astroni
Un tentativo di misurare le capacità della Falanghina, ingrassata sui lieviti e in parte sul legno dopo la fermentazione in acciaio. Siamo sempre nel Comune di Napoli e questa è una delle tre versioni, le altre due in acciaio, pensate da Gerardo Vernazzaro.
Falanghina Facetus - Fontanavecchia
Chi invece usa senza le barrique dopo la vinificazione in acciaio è l’azienda Fontanavecchia di Libero Rillo a Torrecuso nel Sannio. Anche in questo caso il vino entra in commercio un anno dopo la vendemmia e i risultati sono decisamente molto interessanti.
Beneventano Sogno di Rivolta - Fattoria La Rivolta
Chi invece usa senza le barrique dopo la vinificazione in acciaio è l’azienda Fontanavecchia di Libero Rillo a Torrecuso nel Sannio. Anche in questo caso il vino entra in commercio un anno dopo la vendemmia e i risultati sono decisamente molto interessanti.
Beneventano Sogno di Rivolta - Fattoria La Rivolta
Un
bel progetto di bianco è proprio costituito da questo vino composto per metà da
falanghina e per metà da fiano e greco in parti uguali. Un vino, lavorato da
Vincenzo Mercurio in barrique, che regala una straordinaria evoluzione dopo
qualche anno. Tra i nostri preferiti.
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