Quando lo Champagne è sinonimo di Terroir

Armand de Brignac fa veramente Champagne per tamarri! L'azienda francese, purtroppo, fa parlare di sè più per il packaging delle sue bottiglie che per la qualità del liquido che c'è dentro. Prova ne la foto di sotto dove vediamo Don Johnson che tracanna champagne dalla bottiglia "Mida" da 30 litri che gli è costata, durante una cena a Londra, la cifra di 120.000 sterline, praticamente il prezzo di un monolocale in città.

Fonte: My Luxury
 
Con l'avvicinarsi dell'estate Armand de Brignac ha voluto di nuovo stupire il mercato (quale poi?) creando la Nabucodonosor of Armand de Brignac Rosé, la bottiglia più grande al mondo ed è l’equivalente di 20 bottiglie da 75 cl.
Realizzata in metallo opaco in nuance rosa, è stata presentata ufficialmente il 1° giugno al Private Members Club del Nikki Beach a St. Tropez.
 
Fonte: http://style.blogville.it
 
“Era il momento perfetto per noi per presentare il Nabucodonosor rosé come sinonimo d’estate“, ha spiegato il direttore commerciale di Armand de Brignac Philippe Bienvenu.
 
Scommetto che il mio amico Stefano di Remigio avrà corrotto i vari bodyguard per essere in prima fila per l'evento. Ora gli chiedo se si è fatto anche la doccia con questo champagne di territorio...

Addio ad Aldo Conterno

Fonte: La Stampa

Il vino, non mi stancherò mai di ripeterlo, va bevuto, non degustato. Ben vengano i giornalisti e i loro giudizi, ma io lavoro per il consumatore. Non mi piace neppure mascherare le annate, se il buon Dio ci avesse fatto tutti belli sarebbe stata una disgrazia...

Il vino dell'azienda Costa Archi per i terremotati

Gabriele Succi oltre ad essere un amico e un ottimo vignaiolo è anche una persona con un cuore grande come una casa, la stessa casa, la sua, che da qualche giorno sta "ballando" un pò troppo causa terremoto.
Per aiutare la sua gente, la gente dell'Emilia, Gabriele ha deciso di cedere tutto l'incasso derivante dalla vendita delle sue bottiglie alla popolazione terremotata.

Gabriele Succi

Ecco cosa scrive sul suo sito internet:

Chi acquisterà delle bottiglie dal sottoscritto, pagherà il prezzo che trovate qui meno un euro; di conseguenza:
Assiolo 2010 € 8,00, Monte Brullo 2007 € 14,00; Prima Luce e Beneficio 2008 € 11,50.

Perciò, non dovete fare altro che fare il conto delle bottiglie che desiderate acquistare e contribuire con la cifra che risulta secondo una delle modalità descritte sopra; dopo di che dovrete spedire una mail al sottoscritto al seguente indirizzo: aziendacostaarchi@yahoo.it con la scannerizzazione della ricevuta di pagamento (mi raccomando la causale) oppure la email nel caso di pagamento on line. 
Dovrete aggiungere anche l’elenco delle bottiglie da voi desiderate, il vostro nome e cognome con un recapito e le bottiglie vi saranno spedite a casa.

Il contributo che chiedo è riferito solo alle spese di spedizione che pagherete in contrassegno al momento del ricevimento del pacco; l’intero valore della bottiglia sarà devoluto per solidarietà alle zone disagiate a causa del terremoto.  Non ho ancora deciso fino a quando durerà la mia iniziativa, spero comunque di raggiungere una cifra importante.

Il suo vino, aggiungo io, è veramente buono per cui, aderendo all'iniziativa, farete del bene sia a voi che alle persone colpite dal sisma. 

Marta Valpiani tra tasting panel e Sangiovese di Romagna

Mi piacciono molto i tasting panel, mi piace vedere il vignaiolo che lancia il guanto di sfida ai vari wine blogger italiani non tanto per farsi lodare, anzi, quanto per capire, comprendere dove sta andando il suo amato vino.
L'ultima a capire l'importanza delle Rete per questo genere di cose è stata Marta Valpiani che nel 1999 fonda una cantina a conduzione familiare a Castrocaro Terme, nel cuore della Romagna. 
Marta e sua figlia Elisa sono oggi proprietarie di circa 6 ettari di vigneto ed uliveto che si affacciano sulla valle del Montone, a due tiri di schioppo dal mar Adriatico. I terreni sono prevalentemente argillosi ed in minima parte sabbiosi.

Il vino che mi è stato chiesto di testare è il Castrum Castrocari 2009 (100% sangiovese) la cui filosofia produttiva segue quella di ogni altro prodotto aziendale: vinificazione di ogni appezzamento ed ogni clone separatamente, criomacerazione con uso di ghiaccio secco, lunghe macerazioni sulle bucce (20 giorni per questo vino in particolare), lunghi periodi di affinamento in acciaio e in parte in barrique di 2° e 3° passaggio (in questo caso 30% della massa per 6 mesi) e successivo riposo in bottiglia per almeno 6 mesi.


Ho sottoposto il Castrum Castrocari al mio "classico" stress test: valutare il vino più volte a distanza di giorni per capire evoluzione e tenuta nel tempo.

GIORNO 1: appena stappato, ho trovato questo sangiovese di un bel colore rosso rubino con un naso abbastanza timido e reticente, qualcuno direbbe chiuso. Col tempo lievemente si apre ed escono aromi scuri di minerale e terra, di frutta nemmeno l'ombra e questo mi fa pensare che il vino abbia già subito una prima evoluzione nonostante la vendemmia non sia così lontana. 
Nota di merito: non ho sentito alcol in eccesso cosa che, spesso e volentieri, ritrovo in altri vini della stessa tipologia.
La bocca è molto meglio del naso, il vino è ben equilibrato, sapido e con tannini di ottima fattura che chiudono leggermente amarognoli nel finale.

GIORNO 2: dopo 24 ore il vino sembra aprirsi leggermente su note di frutta scura, percepisco netta la prugna e la mora di rovo. Rimane comunque netta la vena scura e minerale del sangiovese. Bocca coerente col primo giorno, non perde un colpo e nemmeno il finale amarognolo.

GIORNO 3: dopo 48 ore il vino rimane abbastanza integro, forse in bocca comincia a perdere un pò slabbrandosi nell'equilibrio ma accanto ad una costata di manzo ci sta un gran bene. 

GIORNO 4: il naso regge, lal bocca un pò meno ma devo dire che il vino mi ha sorpreso per tenacia. Difficile trovarne di così vitali in giro, anche tra i "blasonati".

Mi fermo qua con l'esperimento.  

Conclusioni: un sangiovese interessante che ancora deve esprimersi al 100% perchè lo vedo ancora troppo chiuso. Sono contento che Marta mi abbia fornito un'altra bottiglia di prova, la proverò a Natale per capire se e come si è evoluto il vino. Ci vediamo tra 6 nesi. Grazie!

Il Chianti Classico verso un riassetto della denominazione. Vi piace la nuova idea?

Giornata storica per il Gallo Nero: l’Assemblea dei soci riunitasi oggi presso la nuova sede del Consorzio a Tavarnelle approva a larga maggioranza le misure proposte dal Consiglio di Amministrazione del Consorzio per un riassetto della Denominazione che prevede la valorizzazione della Riserva attraverso nuove regole di produzione, la nascita di una nuova categoria di Chianti Classico che si posizionerà al vertice della piramide qualitativa ed il Gallo Nero che, dopo uno straordinario restyling, uscirà dalla fascetta di Stato per accresce la propria visibilità. 
Importanti novità anche per la movimentazione del vino sfuso. Il presidente Pallanti: “chiudo la mia Presidenza con un grande risultato. Un riassetto mirato al rilancio di questa prestigiosa denominazione con una virata decisa verso l’innalzamento della qualità”.
 
In un’Assemblea Generale che ha visto la maggiore partecipazione della base sociale degli ultimi 30 anni, i soci del Consorzio Vino Chianti Classico hanno approvato questa mattina una serie di misure che segnano una svolta storica nella Docg del Gallo Nero. Il pacchetto di modifiche del disciplinare è stato proposto all’Assemblea dopo un lavoro di oltre due anni portato avanti dal Cda del Consorzio, avvalendosi anche della collaborazione di esperti del settore esterni, e discusso con la base sociale in una serie di incontri e assemblee preparatorie negli ultimi mesi. 


Le modifiche al disciplinare del Chianti Classico approvate oggi interessano le diverse fasi della filiera produttiva, dalla produzione alla comunicazione del marchio e in particolare:
 
Piramide Qualitativa: è stata approvata la proposta di creare un vertice della piramide qualitativa del Chianti Classico che al momento esce sul mercato in due diverse tipologie: “Annata” e “Riserva”. Questa nuova tipologia di Chianti Classico, il cui nome sarà definito nei prossimi mesi dall’Assemblea, ha la particolarità di comprendere esclusivamente quei Chianti Classico che provengono da uve di esclusiva pertinenza dell’azienda. In questa nuova tipologia rientreranno solo i vini integralmente prodotti in azienda che quindi non si avvarranno in nessuna percentuale di uve o vini prodotti da altre cantine. Anche per quanto riguarda il periodo di invecchiamento le regole previste per questa tipologia mirano all’eccellenza qualitativa del prodotto: questa nuova categoria di Chianti Classico potrà infatti essere immessa sul mercato solo dopo 30 mesi successivi alla vendemmia, di cui tre di affinamento in bottiglia come per la “Riserva” il cui periodo di invecchiamento però rimane di due anni (12 mesi per l’annata).
 
Nuova “Riserva”: anche la Riserva, che rappresenta il 30% della quantità prodotta e il 40% del valore della denominazione, è stata interessata dal nuovo assetto. Se il periodo di invecchiamento rimane invariato la vera novità è rappresentata dal fatto che il produttore dovrà dichiarare la destinazione del prodotto (Annata; Riserva; nuova categoria) al momento della richiesta di idoneità. Il produttore dovrà in questo modo attuare una scelta più consapevole, decidendo già in fase di produzione delle uve quale prodotto dovrà essere destinato per le varie tipologie.
 
Restyling Gallo Nero: il marchio che dal 2005 rappresenta l’intera denominazione e che da allora è presente nella Fascetta di Stato per tutti i produttori di Chianti Classico (soci o non soci del Consorzio), sarà interessato da una rivisitazione grafica tesa a renderlo ancora più protagonista in ogni bottiglia di Chianti Classico. Proprio in questo senso si inserisce anche il nuovo posizionamento del marchio previsto dal riassetto: il Gallo Nero uscirà dalla Fascetta di Stato per essere posto sul collo della bottiglia.

Sono contento di aver portato a termine il mio mandato di presidente con questo importante risultato”, afferma Marco Pallanti, presidente del Consorzio. “Da tempo insieme al cda lavoravamo a questo riassetto per trovare la più alta condivisione in seno al corpo sociale. Un lavoro teso a far percepire al consumatore quell’innalzamento qualitativo conseguito dai nostri vini negli ultimi anni e che ci permetta di affrontare le nuove sfide del futuro con una serie di regole capaci di rendere il Chianti Classico più forte davanti alla crescente concorrenza internazionale. Anche le determinazioni dell’Assemblea relativamente al vino sfuso, che da oggi dovrà essere certificato prima di essere commercializzato, sono da interpretarsi in questo senso. Ringrazio il Cda per avermi aiutato in questi anni nel difficile compito di presidente di uno dei Consorzi di tutela più importanti del mondo. Ringrazio tutti i soci per averci sostenuto e aver compreso il grande sforzo di tutto il cda in questo progetto di riassetto”. 

Il 4 giugno l’Assemblea dei soci eleggerà il nuovo Consiglio di Amministrazione del Consorzio del Chianti Classico. 

La Vernaccia di San Gimignano ha una sua dignità. Sappiatelo!


Iniziamo da questa foto


E' con questo panorama che un piccolo gruppo di "talebani" del vino si sono riuniti pochi giorni fa per capire, scoprire e dare il giusto risalto ad uno dei vini bianchi storici italiani: la Vernaccia di San Gimignano, prima DOC italiana (1966)
Un primato ed un prestigio che oggi sembra non avere più senso visto che, soprattutto in Toscana, patria dei rossi, per la Vernaccia non sembra esserci molto spazio, soprattutto se non viene valorizzata e comunicata da chi di dovere (produttori e Consorzio).
Fortunatamente, qualcuno a tutto questo ha detto NO, sei aziende (Mattia Barzaghi, La Mormoraia, Cappella Sant'Andrea, Podere La Castellaccia, Signano e Il Colombaio di Santa Chiara) stanno reagendo a questa situazione di stallo cercando di gridare al mondo che ci sono, con tutta la bontà del loro vino.

Come raggiungere l'obiettivo prefissato? Semplice, fare organizzare tutto a Davide Bonucci, Simone Morosi e Mattia Barzaghi, scegliere un posto bellissimo come l'agriturismo Mormoraia, chiamare un manipolo di appassionati, giornalisti, wine blogger ed opinion leader e il gioco è fatto. 
Già, il gioco, perchè all'inizio si è davvero bevuto "giocando" con l'ausilio dei bicchieri neri da degustazione. Lo scopo era quello di "trovare", tra i vari vini versati, le Vernacce di San Gimignano, un modo come un altro per capire se il loro profilo aromatico e gustativo poteva essere ben definito all'interno di una batteria con alcuni mostri sacri come il Fiano di Picariello 2010, lo Sterpi 2009 di Walter Massa o il Rossese di Giovanna Maccario (unico grande rosso tra i bianchi).

Il "Black Wine Tasting"
Gente all'opera....

All'interno di questo blind test, due le Vernacce che sono state infilate, una in versione "base" ed una in versione Riserva. La prima era la Vernaccia di San Gimignano 2011 "Zeta" di Mattia Barzaghi, un vino fresco dotato di un'anima fruttata e minerale molto lieve ed elegante. Bocca tesa, agrumata, dotata di buona armonia e coerenza col naso.

Il secondo vino era l'Albereta Riserva 2009 de Il Colombaio di Santachiara, un vino dal potente soffio minerale e terziario che, dopo 8 mesi di barrique, forse risente un pò troppo del legno assorbito che, a mio giudizio, un pò comprime il vino che potrebbe esprimere ben altre potenzialità e complessità. Con qualche orpello in meno sarebbe davvero interessante.

La batteria dei vini della degustazione in nero

L'altra degustazione programmata era più classica, con bicchieri trasparenti anche se rigorosamente alla cieca come quella precedente. Dieci bicchieri per dieci vini di varie tipologie ed un unico quesito: capire anche stavolta se era possibile "isolare" la Vernaccia di San Gimignano che, ad una attenta analisi organolettica, difficilmente sbagliavi ad inviduare visti alcuni denominatori comuni compreso il leggero ammandorlato nel finale di bocca che ben inquadra una tipologia di vini mai strabordandi che giocano molto su un equilibrio ricamato tra frutta, fiori e minerali.

Tra i vari campioni degustati hanno lasciato una traccia in me: Vernaccia di San Gimignano "Ciprea" 2011 di Podere La Castellaccia che presentava un connubio aromatico tra frutta e fiori di bella piacevolezza e una bocca fresca e leggiadra.
Altro vino interessante della batteria era la Vernaccia di San Gimignano 2011 di Signano, azienda che ho anche avuto il piacere di visitare. Il vino è molto lineare, senza effetti speciali, dinamico, diretto e floreale quanto basta per berti una bottiglia anche da solo.
Ottima performance anche per la Vernaccia di San Gimignano "Selvabianca" 2011 de Il Colombaio di Santachiara che con i suoi aromi di fieno, erbe aromatiche e spiccata mineralità aveva un naso davvero emozionante. Bocca ampia, progressiva, persistente. Davvero una sorpresa.
La Vernaccia di San Gimignano 2011 La Mormoraia è più piena, densa, solare delle precedenti, si esalta in questi casi la componente fruttata del vino che alla gustativa non cede il passo e diventa di grande persistenza.

Le 10 bottiglie. Foto di Stefania Pianigiani

Tra aperitivi vari e altre piccoli degustazioni improvvisate durante la cena e il pranzo del giorno dopo, ho potuto apprezzare un'altra Vernaccia di carattere: il Rialto 2009 di Cappella Sant'Andrea, un vino di estrema complessità con note fumè, fiori gialli appassiti e di mandorla amara. In bocca è ampio, deciso, strutturato ma di grande equilibrio.  

Concludendo, visti i vari assaggi di Vernacce con qualche anno sulle spalle, posso tranquillamente affermare che questo è un vitigno che sopporta egregiamente l'invecchiamento. Anzi, direi che se affinate ad hoc, le Vernacce di San Gimignano risultano essere estremamente interessanti e con un bagaglio di complessità e piacevolezza degno dei grandi vini bianchi italiani come, ad esempio, Verdicchio e Soave. L'ho già detto, ancora non mi convincono al 100% le Riserve (la barrique segna troppo il vino nel breve periodo), mentre a mio modo di vedere le Selezioni, rappresentando veri e propri Cru, potrebbero rappresentare la strada maestra per i vignaioli di eccellenza di San Gimignano se, e solo se, si dà a questi vini il giusto tempo di affinamento in bottiglia.

Perchè, allora, non fare come fece Massa col Timorasso e uscire in commercio solo dopo almeno un paio di anni dalla vendemmia lasciando ai "base" il compito di calmare per un pò la richiesta di mercato? 

Domande alle quali, spero, avremo una pronta risposta da chi vuole, deve, valorizzare questo grande vitigno italiano.

Degustazione vintage: il Lancers Rosè

Quanti ricordi. Avevo forse 16 anni e con gli amici si andava ai primi pub di Roma dove accanto alle onnipresenti Guinness o Kilkenny si affacciavano questo simpatiche bottiglie colorate relativi a vini per me, per quel tempo, esotici. 

Per fare bella figura con le ragazze, per cercare di farle diventare un pò brille, le opportunità erano due a quei tempi: ordinare il Greco di Tufo dei Feudi di San Gregorio (scelta banale) oppure farsi portare a tavola una bottiglia del vino portoghese "di punta" per l'epoca, il mitico Lancers disponibile nella versione bianco (bottiglia verde) o rosè (bottiglia a metà strada tra il rosso e l'arancione). Durante quelle sere sembrava di bere il miglior vino del mondo, un lusso!


Proprio ieri, infatti, al supermercato mi è capitata davanti agli occhi una bottiglia di Rosè. Un tuffo al cuore, i ricordi della mia gioventù, le serate con amici che non vedo più da anni. E' stato un attimo acquistarla per capire, comprendere se quel vino che tanto mi aveva affascinato può ancora oggi, dopo tanti bicchieri, essere di mio gusto.

Aprendolo e versandolo nel bicchiere già si nota un colore diverso da tutti gli altri vini rosè che ho bevuto. E' un colore strano, quasi sintetico, mi ricorda quello del Fior di Fragola (per rimanere in tema vintage) dell'Algida, a metà strada tra il viola, l'aranciato e il rosso porpora.


Al naso le cose non migliorano. Inizialmente il vino ha delle strane puzzette non classificabili. Non può essere bret, non è un vino naturale, di che stiamo parlando? Boh! Poi, col tempo, si "apre" e fisso ed abbastanza intenso esce l'odore di fragolina sintetica che, questa volta, mi ricorda quello delle caramelle Charms che si reggevano in piedi solo per i tanti coloranti che avevano al loro interno. Insomma, sto Lancers ha un odore a metà strada tra la puzzetta e il dolciastro stucchevole.

Al sorso è lui, leggermente frizzante, beverino, facile, senza alcun cenno di complessità o persistenza. E' una bevanda che definirei al gusto vino con un alcol massimo di 10°.

Mi rattristo un pochino. Penso al passato, a quanto ho bevuto male. Oggi, l'esperienza e la consapevolezza, mi conducono altrove anche perchè, vista la qualità ed il prezzo di 5 euro, in Italia si beve molto di meglio. 

Tra un pò toccherà al Mateus. Non vorrà deludermi anche lui?!?!?




Il corretto abbinamento del vino in Giappone?!?

 Notizia del giorno

Ha servito i suoi genitali in un banchetto 'esotico' organizzato a Tokyo, sfamando ben sei diversi gastronomi.
Il suo nome è Mao Sugiyama ed è un artista giapponese dalle idee sicuramente bizzarre.
"Offro i miei genitali maschili (pene, testicoli, scroto) come pasto per 100.000 yen. Li preparerò seguendo le preferenze del compratore" sono state le parole con cui lo chef ha presentato la sua offerta su Twitter.
Avrà un non so che di macabro, eppure sono stati in sei a presentarsi per consumare il singolare pasto.
Mao Sugiyama si descrive come "asessuato", visto che non si riconosce né con gli uomini né con le donne. Qualche giorno dopo il suo 22esimo compleanno, il ragazzo si è sottoposto a un'operazione per asportare i genitali. Poco dopo l'intervento, si è presentato al banchetto dove ha servito la sua cena.
Inevitabile è stato lo scoppiare della protesta. Pare che un portavoce della polizia si sia giustificato dicendo che gli agenti non sono potuti intervenire perché "il cannibalismo in Giappone non è illegale". 

DOMANDONA

 Il bravo sommelier che vino dovrebbe abbinarci? Io ho la risposta!!


P.S.: lo so, è il mio peggior post di sempre ma certe cose me le servono su un piatto d'argento...no, non quelle cose...

Francesco Guccione, sono dalla tua parte!

Proprio pochi minuti fa mi sono imbattuto nel post di Francesco Guccione, giovane vignaiolo naturale siciliano che ha raccontato nel suo nuovo blog le periperzie, chiamiamole così, legate alla sua (ex) azienda agricola. 
Al termine della lettura la prima cosa che ho fatto è stata dargli tutta la mia solidarietà con la speranza, ne sono certo, che il futuro gli regalerà grandissime soddisfazioni. Io, intanto, per i pochi lettori di Percorsi di Vino, copio ed incollo le sue parole...

Francesco Guccione - Fonte: Sorgente del Vino

Capita a volte che nella vita si debba ricominciare tutto da capo. E capita di dover ricominciare la stessa cosa che avevi fatto sino al giorno prima. Come in un brutto sogno, un giorno rientri a casa tua e ti trovi la porta della cantina chiusa e qualcuno che ti dice ‘Mi hanno detto di non farti entrare, tu sei fuori dall’azienda’. E’ una cosa a cui non riesci a credere, pensi che non sia vero e inizi a vivere una vicenda surreale che ti lascia l’impressione di essere stato cancellato dal giardino degli uomini, senti messo in discussione il tuo diritto ad esistere. Nonostante i disaccordi nella gestione e nelle finalità pensi sempre che alla fine qualcosa tenga tutto insieme o che ci si possa separare civilmente e ragionevolmente, dando a ciascuno la possibilità di continuare.
 
Ho lavorato sette anni per dare vita e impulso ad una azienda  che portava il nome della mia famiglia e che fino a quel momento aveva venduto le uve. Ho progettato una cantina nel 2000, nel 2005 abbiamo incominciato a vinificare e ho fatto nascere dei vini diversi che nella mia zona non esistevano, che portano in etichetta sin dall’inizio il mio nome, il nome dei miei amici più cari, persino quello di mio figlio. 

Ho accompagnato questi vini in giro per l’Italia, e poi per il mondo, spiegando a tutti quelli che incontravo come lavoravamo, come vinificavamo e cosa poteva nascere da Trebbiano, Catarratto, Perricone e Nerello in Contrada Cerasa. Ho conosciuto Nicolas Joly e nel 2005 ho cominciato a lavorare i vigneti in biodinamica, ho portato l’azienda in Renaissance des Appellations caratterizzandola nella serietà del lavoro naturale in vigna e in cantina. Ho lasciato il lavoro che facevo a Palermo per dedicarmi completamente ai vini di Cerasa, mi sono guadagnato la stima e la fiducia di importatori, rivenditori e clienti. L’azienda, attraverso la mia passione, stava crescendo e all’improvviso tutto questo si è polverizzato lasciandomi tra le mani i soli vigneti, senza nemmeno le attrezzature per lavorarli. Sono rimasto senza i vini, chiusi in cantina e valutati così poco a bilancio da far risultare l’azienda in perdita e togliermi la possibilità di averne una parte in proporzione al lavoro svolto , i vini su cui avevo lavorato sino a novembre 2011 sembravano, nella magia dei numeri, non essere nulla. L’annata 2011 che sono stato obbligato a lasciare non appena svinato, è un vino che non riesco più a riconoscere come mio. 

Sono rimasto senza una cantina, e se si riuscirà a portare a termine l’annata agraria, ancora non c’è un luogo dove vinificare. Sarà difficile ricostruire le cose in fretta, il vino ha tempi lunghi, ma io ho deciso di metterci tutte le mie forze perchè questo lavoro è la mia vita.
Con queste righe, che mi sentivo in dovere di scrivere per chiarire e spiegare la situazione  a chi mi ha seguito tutti questi anni, lo sguardo verso il passato però si chiude e si apre quello verso il futuro. Non c’è più tempo per recriminare, le cose da fare sono troppe.
 
Sono ripartito da capo dalle vigne e dal lavoro di vignaiolo,  e se riparti da una cosa che hai già fatto è più facile muoversi con consapevolezza nelle vicende di ogni giorno, riesci a trovare il modo di concentrare l’attenzione anche su cosa facilita un esperienza, quali sono i passaggi obbligati, quali le scorciatoie. Capisci che se non avessi mai fatto questo mestiere ci metteresti molto di più a districarti dalle difficoltà e allora ti viene voglia di raccontarlo a quelli che questo lavoro lo fanno per la prima volta, che iniziano e si sentono sperduti davanti a tutto ciò che c’è da fare.  Io sono ripartito e mi piace l’idea di poter raccontare a tutti quellli che in qualche modo hanno preso questa strada cosa significa fare vino da artigiani nella vita di ogni giorno, un po’ come sto facendo io. Raccontare le tantissime cose di cui questo lavoro è fatto. 

APPLAUSI

Se il Cile batte Bordeaux e Sassicaia....

Udite, udite, o appassionati di vino che spendete migliaia di euro per comprare grandi Bordeaux o per qualche bottiglia di Sassicaia e Tignanello. Quel vino, il vostro vino, non vale una cicca se confrontato al grande Seña, un cileno tutto pepe che a Londra, durante una verticale dal 1995 al 2010, ha battuto i grandi vini del Vecchio Mondo come Lafite, Margaux, Sassicaia e Tignanello.

In pratica un tavolo di "esperti" degustatori ha messo al primo e secondo posto del podio le annate 2008 e 2012 del Seña staccando di molto Sassicaia 2005 e Margaux 2001 che tutti, su carta, davano per favoriti. Ed invece....tiè!

Seña 2008

Ah, la classifica vede all'ultimo posto il Lafite 1995 che ha preso solo 31 punti, in pratica 50 punti in meno rispetto al Seña 2008. Visti i prezzi delle bottiglie, dove il cileno risulta essere meno cara di oltre 1/5 rispetto al Bordeaux, le cose sono due_ o le degustazioni alla cieca sono davvero rappresentative dell'oggettiva bontà del vino a prescindere dalla fama oppure meglio cambiare giurati per evitare bestemmie...

La classifica completa è comunque la seguente:

Seña 2008 – 81


Seña 2010 – 80

Sassicaia 2005 – 75



Margaux 2001 – 75

Seña 2001 – 73



Tignanello 2008 – 57


Seña 2005 – 52


Seña 1997 – 48


Seña 1995 – 43


Lafite 1995 – 31

Un Timorasso di nome Walter Massa

A Monleale quella domenica tirava tanto vento ma Walter, con la sua polo blu elettrico, ci aspettava lo stesso tra le vigne incurante dei vortici d'aria che tramutavano i Colli Tortonesi in una specie di nuvola di pollini e foglie e rami spazzati via da chissà quale arbusto.
Il vignaiolo Massa è un uomo schietto che bada molto al sode e non sta lì a raccontarti storielle. Un breve saluto e ci parla della storia di questi luoghi, dei problemi dell'agricoltura di oggi, delle sue speranze, della sua vita. Fortunatamente il video rende più di ogni singola parola che potrei scrivere.


"Venite con me, andiamo a vedere i mie Cru da vicino". Non facciamo in tempo a voltarci che ecco comparire Walter Massa con la sua Fiat Punto sgangherata che ci porterà a visitare le sue migliori vigne: "Costa del Vento" e "Sterpi". I due Cru aziendale sono all'interno di una bellissima valle scoscesa, tanto vicino quanto lontani a livello geologico: il primo giace su terreni calcarei argillosi mentre il secondo è poggiato principalmente su sassi.

Vigneti Massa
Ritorniamo e ci precipitiamo dentro casa di Massa che ha preparato una batteria di Timorasso niente male da farci bere prima della partenza per Roma. Iniziamo col Derthona 2010, bianco "base" da uve timorasso proveniente da quattro vigne "non cru" aziendali più da uve non selezionate dei vigneti "Sterpi" e "Costa del Vento". Il vino è puro gesso liquido, è calcare che invade le papille gustative seguito da abbondante e corroborande acidità. Forse manca di complessità ma è una lama verticale da primato. 
Passando al Derthona 2007, a livello olfattivo la frutta a polpa bianca matura inizia ad intrufolarsi tra le maglie della mineralità regalando un profilo complessivo più completo. In bocca, alla cieca, lo scambieresti per un grande riesling della Mosella. Cavolo, alla cieca potrebbe dare tante soddisfazioni!


Gli faccio la domanda del secolo:"Come ti è venuto in mente di credere al Timorasso?". Il video di seguito parla chiaro!


Il "Costa del vento" Colli tortonesi 2010 deriva dai uno dei vigneti CRU di Massa che, storicamente, è allevato a guyot con densità di 5.300 ceppi/H. Il Timorasso che ne esce è diverso dal Derthona sia per complessità che per espressione. Il "Costa del Vento" è meno minerale e più fruttato. Percepisco la frutta bianca leggermente matura, perfettamente fuso nella mineralità che stavolta funge da cornice del quadro olfattivo. In bocca è un'altra storia, è un vino tridimensionale, si allarga e si espande in ogni punto del palato e prosegue dritto inesorabile per la sua strada senza interruzioni.

Il "Costa del vento" Colli tortonesi 2008 è simile al precedente per olfatto e gusto anche se il tempo gli ha donato più incisività e una maggiore definizione. Equilibrio ottimale in struttura sontuosa. 

Il "Costa del vento" Colli tortonesi 2002 è un piccolo capolavoro di precisione in un'annata denominata "piccola". E' sontuoso, ricco, elegante, è la perfezione e l'evoluziona sana e completa dei primi due. La nespola, il cedro, l'acacia, la selce, le erbe di montagna sono qua alla massima espressione e donano al sorso sapidità ed austera eleganza. Un campione da avere in cantina per ora e per sempre.


Lo "Sterpi" Colli tortonesi 2010 rispetto al precedente CRU si apre al naso su toni più minerali, salini, quasi fumè. Accanto la solite cascata di frutta bianca e erbe. E' un vino che alla gustativo risulta di grande struttura, potenza, centrato sulla freschezza e sulla eleganza. L'ho soprannomianto un Derthona 2.0. Analiticamente Massa mi dice di essere più secco del "Costa del Vento".

Lo "Sterpi" Colli tortonesi 2005 ha una lieve nota idrocarburica in evidenza lo rende più teutonico che tortonese. Ad oggi sembra un vino del Nord, austero, concentrato, con un impianto gustativo di grande struttura e una nota lievemente salmastra nel finale che rende la beva armonica e appagante.


Piccola considerazione sui rossi di Walter Massa: tra i vari abbiamo degustato da botte una Freisa 2010 da sballo per un'eleganza floreale di fondo e un Barbera 2011 di grande profondità e persistenza. Altra vino da segnare in agenda: la Croatina Pertichetta 2005, un piccolo grande regalo ad un vitigno storico della Regione troppo spesso bistrattato da vignaiolo senza scrupoli. Ragazzi è veramente buona nei suoi toni di prugna e mirtillo e nei suoi sprazzi vegetali e balsamici.

Che altro dire? Solo due parole: grazie Walter!


Dalla Rete: il prezzo del Bordeaux va giù...

In principio è stato il blasonatissimo Château Lafite Rothschild fissando il prezzo del suo “grand vin” 2011 a 420 euro a bottiglia (-30% sul prezzo del 2010, che era di 600 euro), poi la corsa al ribasso, ad oggi, sembra non trovare più ostacoli, interessando il resto degli Chateaux, in una specie di “effetto domino” dalle proporzioni decisamente ampie. Ecco, in sintesi, quello che sta provocando anche nella zona vitivinicola più importante del mondo, la crisi globale. Una conferma a quello che Winenews aveva pronosticato come il “sussulto più importante della tradizionale campagna di vendita en primeur bordolese, preludio “ad un affaticamento della domanda per i prestigiosi premier cru di Bordeaux” (vedi articolo del 20 aprile 2012).


Fatto sta che oltre 40 chateaux (tra cui Haut Brion, Angelus, Calon Segur e Kirwan), in questi giorni, stanno fissando i prezzi dei loro vini più importanti al ribasso, causando a dir poco lo sconcerto dei negociants e degli operatori commerciali. Haut Brion insieme agli altri Premier Cru Classé Lafite e Margaux ha fissato il prezzo del suo “grand vin” a 360 euro, in calo del 45% rispetto allo scorso anno. In discesa anche l’azienda “sorella” Mission Haut Brion, -64% sul prezzo 2010, a 216 euro.
Un fenomeno che sta colpendo anche i vini che occupano una posizione secondaria nella classificazione del 1855, a riprova che a chiedere un ridimensionamento del prezzo potrebbero non essere soltanto i mercati interessati ai vini di prima fascia. Così, secondo www.decanter.com, Château Calon Segur costa 39,60 euro (-40%), Clinet 50 euro (-41,8%), Angelus 138 euro (-38,7%), Ferriere 19,60 euro (-14,04%), Langoa Barton 31,20 euro (-29,90%), e Château Kirwan 28,50 euro.
Una battuta d’arresto senza appello sui prezzi (stellari) spuntati dalle annate 2010, 2009 e 2005, che ha riportato il loro livello ai valori del 2008, e che potrebbe però rivelarsi una vera e propria inversione di tendenza. Berry Bros & Rudd di Londra, uno dei più antichi Fine wine merchants, ha evidenziato il fatto che etichette come Margaux, Palmer, Lynch Bages e altri valevano 8 milioni di sterline, quest’anno, invece, 1,2 milioni di sterline. Evidentemente, considerare il fatto che la 2010 si tratti di un’annata più economica, non spiega fino in fondo una differenza così importante.


Il problema è che questa tendenza sembra sempre più riflettere la domanda proveniente dall’Asia, che si è raffreddata. E negli Stati Uniti, nonostante che l’economia stia crescendo di nuovo, solo i collezionisti di lunga data dei vini di Bordeaux sembrano essere interessati a fare acquisti importanti.
Dal punto di vista dei futures sui vini dell’annata 2010, poi, le cose, evidentemente, potrebbero cambiare nei prossimi mesi. Gli ordini potrebbero aumentare, ma l’incertezza economica non aiuta. Haut-Brion, infatti, ha reso noto il prezzo del suo vino più importante proprio nel giorno in cui i mercati finanziari hanno segnalato una forte preoccupazione per le sorti della Grecia e delle altre economie europee in difficoltà. E la domanda più semplice è: e se l’euro va giù? Qual è l’incentivo per acquistare ora? 

Articolo tratto da Winenews.it

Quello che...il vino lo fanno bene
















Indovinato il loro nomi? 

Ovviamente alla lista mancano tantissimi altri nomi ma queste erano le foto che avevo all'interno della sim card della mia vecchia macchina fotografica.

 

Le stelle, il Brunello Montalcino, l'Espresso e l'onestà intellettuale

Tempo fa leggevo sul bellissimo blog dell'Espresso quanto segue:"secondo giorno di degustazioni a Montalcino, anche oggi dedicato ai Brunello 2007. Di solito non trascriviamo note di assaggio in questa fase. Prima vogliamo provare, riprovare, ririprovare i campioni: dalla stessa bottiglia a distanza di uno, due e anche tre giorni dalla stappatura; da una seconda bottiglia, nei casi interpretativamente dubbi; da una terza bottiglia fino a una centotrentaduesima bottiglia diversa, nei casi più aggrovigliati.

Le prime impressioni confermano tuttavia la sensazione avuta nel corso degli assaggi di Benvenuto Brunello, che si tratti di un’annata molto pronta. I vini sono in media caldi, percettivamente molto alcolici, a “maglie larghe”, piuttosto lenti nel percorrere l’arco gustativo.
Molto significativa, in questo senso, la riprova delle bottiglie a distanza di un giorno. Non pochi Brunello vivi, armoniosi, equilibrati appena aperti, si rivelano opachi, scomposti, slabbrati dopo ventiquattro ore di contatto con l’aria. La lotta – in certi casi accanita – dei produttori per dare freschezza e spina dorsale ai vini con ringiovanimenti assortiti (del tutto legali e spesso anzi utili, ricordiamolo) sortisce esiti alterni. In certi casi il vino regge la prova, in altri si sfilaccia, si scinde nelle componenti di partenza: da un lato la base 2007, statica e di forte spinta alcolica, dall’altro le voci più giovani, fresche e fruttate.
La generosa terra di Montalcino non tradirà comunque le attese dei suoi appassionati. I migliori vini sanno e sapranno farsi ben valere, come sempre.
E, a giudicare dai nostri risultati parziali, le sorprese in guida non mancheranno".

Rizzari e Gentili. Fonte: Pignataro wine Blog

Se andiamo sul sito del Consorzio all'annata 2007 sono state affibiate ben cinque stelle, la massima valutazione. I motivi che portano i geni del Consorzio ad attribuire certe valutazioni sono facilmente comprensibili

Al fine di evitare che il consumatore appassionato venga preso per il culo per i prossimi anni, volevo chiedere ufficialmente a Rivella se poteva ingaggiare Rizzari o Gentili come consulenti unici per la mappatura stellare del Brunello di Montalcino. Non sono proprio economicissimi però fanno evitare tante figura di merda e, di questi tempi, è una grande virtù.



I territori del Fiano con Luciano Pignataro e Slow Food


Il Fiano di Avellino, uno dei più grandi vini bianchi italiani, è stato al centro di un seminario tenuto da Luciano Pignataro in collaborazione con Slow Food Roma e Slow Food Ciampino. Il tema, impegnativo, era quello di capire le varie anime di questo vitigno che, a seconda del terroir di elezione, offre caratteri ed espressioni diverse, spesso anche in contrasto tra in loro, in un gioco che, alla fine, fa ritornare la mente del degustatore ad un unico grande concetto: il Fiano, quando fatto bene, è pura emozione.

Fonte: winesurf.it

I territori di elezione di questo vitigno sono stati studiati negli anni da molti giornalisti ed appassionati, Pignataro in testa, che in maniera più o meno empirica hanno individuato le seguenti zone: Lapio, Summonte, Cesinali e Montefredane.

Lapio

Questa è una zona storica del Fiano visto che già negli anni ’80 molti contadini hanno impiantato questo vitigno per contrastare la crisi del vino rosso a base Aglianico che in quel periodo stata soffrendo parecchio per via dello scandalo del metanolo.
Questa è una zona collinare, siamo sui 500 metri s.l.m. e i terreni sono prettamente argillosi. I vini che ne escono, pertanto, sono tutti di grande impatto e ben leggibili nelle loro caratteristiche di grande presenza di frutta dolce, succosa, suadente.
Il territorio è stato rappresentato da due produttori: Clelia Romano e Rocca del Principe.

Il Fiano della prima produttrice, annata 2010, esplode all’olfatto con un cesto di frutta gialla e bianca che non conosce confini. C’è rotondità ma, attenzione, non dolcezza perché il tutto viene smussato da una vena minerale semplice ma efficace. In bocca, invece, diventa austero e non concede quello che il naso prometteva. E’ una bella donna che seduce ma non porti a letto. Finale lievemente e tipicamente amarognolo.

Il Fiano 2010 di Rocca del Principe è più verticale di quello precedente, la vena minerale e acida si fa sentire in maniera netta come più intense sono le note di erbe aromatiche. E’ un Fiano meno pacioccone di quello di Cleria Romano, più sapido e meno diretto. Il mio preferito tra i due.


Summonte

Siamo all’interno del versante opposto a Lapio, alle pendici dal monte Partenio, sede del Santuario di Montevergine. I suoli, meno profondi, sono meno argillosi e più calcarei e dotati in superficie di uno strato di cenere vesuviana derivante da antiche eruzioni del vulcano. I vini, in questo territorio, sono dotati di maggiore componente minerale, fumè, e spiccate note vegetali e balsamiche. I produttori rappresentativi del territorio sono Ciro Picariello e Guido Marsella.

Il Fiano di Avellino di Picariello, anch’esso 2010, pur giovanissimo rivela la sua anima minerale ed affumicata che col tempo si amalgama con una vena agrumata e vegetale che completa il profilo olfattivo. In bocca è lui, intenso, equilibrato, ammandorlato e con un finale sapido che non termina mai. Promette benissimo.

Il Fiano di Guido Marsella, unico 2008 della degustazione, ti fa capire quanto evolva bene il vitigno nel tempo. Al naso si apre sapido, salmastro, si percepiscono note di idrocarburo, poi col tempo, aprendosi, il vino diventa più agrumato, muschiato. In bocca, dopo un attacco leggermente amaro, si distende e si “addolcisce” gestendo al meglio la sua anima affumicata mediata da sentori di crosta di pane. Un cavallo di razza da non perdere.

Fiano di Picariello in primo piano 

Cesinali

Questa fascia collinare ad est di Avellino è rappresentata da terreni più sciolti, sabbiosi con una dotazione, se scaviamo in profondità, di ciottoli e minerali. I vini che ne risultano sono di immediato impatto, leggibili e dotati di carattere tostato. Due le aziende scelte come rappresentanti del territorio: I Favati e Cantine del Barone.

Il Fiano Pietramara etichetta Bianca 2010 de I Favati sprigiona aromi agrumati, di gesso, erbe aromatiche, camomilla e frutta a pasta gialla. E’ morbido, casalingo, beverino, di buona freschezza e sapidità. Posso dire che, per certi versi, mi riporta nel territorio di Lapio?

La particella 928 di Cantine del Barone, altro Fiano 2010, è spiazzante, un vino totalmente opposto al precedente che fa traballare un pochino le mie convinzioni sulla perfetta leggibilità del territorio. Il vino di Luigi Sarno è di stampo (quasi) naturale: nel vitigno di quasi mezzo ettaro, infatti, non vengono usati sistemici e diserbanti e la vinificazione viene effettuata senza ausilio di lieviti selezionati. L’impatto olfattivo del vino è verticale, floreale, di fiori di acacia, erba, col tempo escono nel Fiano dei tratti crudi e inestricabili che rendono la componente olfattiva molto personale. Bocca tesa, austera, sapida, unica e dinamica. Bevendolo ho la sensazione di avere di fronte un vino ancora troppo in fasce per capire come sarà da grande. Sarei curioso di bere le vecchie annate.

La platea

Montefredane

La collina di Montefredane vanta un terroir per certi versi estremo come estremi sono i suoi vini. Da queste parti c’è tanta argilla e roccia e i Fiano che escono sono inconfondibilmente minerali, boisè, vulcanici. Due le aziende scelte in rappresentanza: Pietracupa e Vadiaperti.

Il Fiano 2010 di Pietracupa è inesorabilmente, indissolubilmente e visceralmente salato, salmastro, con tratti non troppo accennati di idrocarburo a cui seguono, col tempo, soffi di pera e agrumi.
In bocca è scontroso, dinamico, freschissimo, sapido, controverso e affascinante. Lunghissimo. Il mio preferito.

Il Fiano 2010 di Raffaele Troisi è meno estremo del precedente in tema di mineralità e boisè visto che il corredo olfattivo è in parte mediato e smussato da toni di nocciola ed erba di campo. Anche al gusto è meno sapido e salmastro pur mantenendosi freschissimo e di grande intensità. Chiude, lunghissimo, con un retrogusto autunnale che ricorda la brace spenta.