Angelo Gaja dixit:"Nessuno ha la verità in tasca"

Mi è arrivato pochi giorni fa questo comunicato di Angelo Gaja che ripropone un tema caldo in viticoltura ovvero l'uso della chimica in vigna. Onestamente quanto scritto dal grande produttore piemontese non aggiunge molto al dibattito che in questi ultimi tempi è molto acceso su Facebook che sempre più si sta trasformando in un campo di battaglia tra fazioni dove la parola BIOQUALCOSA passa dalla pura mitizzazione alla più accesa denigrazione.

Io, in questo tema, non ho ancora la verità in tasca e, leggendo il comunicato, forse nemmeno il grande Gaja.

Foto: Luciano Pignataro
Tra il 1850 ed il 1890 si abbatterono sulla viticoltura europea l’oidio e la peronospora, fitopatologie nuove ed aggressive come non si erano mai viste nei secoli precedenti. I viticoltori dovettero imparare a combatterle sistematicamente con l’impiego di antiparassitari, zolfo e rame, se volevano salvare la produzione d’uva. Come non bastasse, qualche tempo dopo arrivò la fillossera ad innescare la moria delle viti, a seguito della quale si fu costretti ad estirpare la totalità dei vigneti per reimpiantarli successivamente su portainnesto di vite americana, quest’ultima resistente alla malattia. Sembrò a quel tempo che la viticoltura europea ricevesse un colpo mortale. Non fu possibile allora attribuire il disastro al supposto cattivo stato di salute della viticoltura causato da un impiego eccessivo della chimica, perché non se n’era mai fatto uso prima; alla monocoltura, perché si era sempre praticata la policoltura; alla perdita di biodiversità, perché non ce n’era mai stata così tanta. 


Ci fu un ampio abbandono della viticoltura in favore di altre coltivazioni. Poi, gradualmente, si trovarono le contromisure e nel secolo scorso si individuò nella chimica il mezzo più efficace per contrastare le fitopatologie attraverso l’impiego di antiparassitari, definiti via via anche come fitofarmaci, pesticidi, veleni chimici. E la chimica, a farla da padrona, continuò a fornire altri prodotti ancora da impiegare in qualità di fertilizzanti e diserbanti. E’ nel secolo corrente che prende forza la domanda di una agricoltura che faccia meno ricorso alla chimica e si affermano per il cibo l’esigenza della sanità, a protezione della salute del consumatore, e della pulizia, affinché la coltivazione non divenga inquinante per l’ambiente. 

L’obiettivo primario di ridurre l’impatto della chimica in viticoltura viene oggi perseguito con la lotta integrata, che riduce l’uso di antiparassitari integrandoli con prodotti che non sono di origine chimica; la conduzione biologica, che limita l’uso di prodotti chimici ai soli rame e zolfo; la conduzione biodinamica che esclude l’uso della chimica. Ma non ci si può fermare soltanto qui. Vanno utilizzati anche quei sistemi che consentono di arrivare a produrre viti che offrano una buona resistenza alle malattie, inseguendo così l’obiettivo di contenere/abbattere il ricorso alla chimica per combatterle. 

Foto: agronotizie.imagelinenetwork.com
La recente scoperta del sequenzionamento del genoma della vite offre oggi alla ricerca nuove importanti opportunità: di individuare le viti che ospitano il gene della resistenza (al patogeno) e trasferirlo nel genoma di viti che non lo posseggono. Pratica da avviare attraverso l’impiego di biotecnologie che non sono equiparabili agli OGM transgenici. Andrà chiesto ai vivaisti di dedicare maggiore attenzione al materiale derivante da selezione massale, per non affidarsi totalmente alla selezione clonale che produce viti più fragili. 

Al fine poi di recuperare salute al vigneto, andranno estese le pratiche che consentono di rafforzare la vitalità del suolo. La strada per abbattere l’uso della chimica nel vigneto è lunga, se la si vuole condurre con successo va percorsa senza paraocchi, utilizzando tutti gli strumenti disponibili. 

Angelo Gaja 

Albino Piona - Spumante Metodo Classico Gran Cuvée Pas Dosé - Il VINerdì di Garantito IGP

di Carlo Macchi

Corvina=amarone, corvina=valpolicella, corvina=bardolino, corvina=grande spumante metodo classico.



Se l’ultima parte non vi quadra basta andare da Albino Piona e assaggiarlo: sapido, austero, concreto, ancora irsuto ma con bollicina finissima e stuzzicante.

Un vino da non perdere, anzi da vincere, pregiudizi in primis.



Il Sangiovese che mi ha fatto ricredere sul Sangiovese (a San Gimignano) - Garantito IGP

Di Carlo Macchi

Nemo propheta in patria, recita il detto, che declinato su me stesso si adatta perfettamente al rapporto che ho con i vini rossi prodotti a San Gimignano. Infatti in tanti anni (forse troppi, oramai sono vecchio) di frequentazione della patria della Vernaccia, praticamente mai mi sono scontrato, anche per caso, con un rosso di buon livello. In passato perché spesso erano imprecisi e duri, in tempi moderni perché purtroppo la modernità è stata spesso traslata in vini ancor più duri, difficili, molto marcati dal legno e senza grandi guizzi dopo un pur lungo periodo di permanenza in bottiglia.
Quindi per me la abbastanza recente San Gimignano DOC è sempre stata vista come, se mi si passa il termine, “la polvere (di barrique) negli occhi”: non per niente i nostri assaggi annuali puntano esclusivamente sulla Vernaccia, anche se il territorio ha molti ettari con uve a bacca rossa.

San Gimignano Rosso DOC 2011 Fantesco

Poi accade che raccogli una voce che gira e in un pomeriggio nebbioso e piovoso vai a verificarla. Preciso che se non avessi avuto già buona conoscenza e stima del produttore in questione, mai mi sarei mosso da casa per assaggiare un San Gimignano Rosso e inoltre il motivo “ufficiale” della visita era l’assaggio comparato della sua Vernaccia 2013, tappata in parte con sughero tradizionale e in parte con DIAM (di questo vi parlerò in un altro articolo).


Dopo questo confronto più lungo del previsto, chiedo ad Alessandro Tofanari, vignaiolo semplice e schietto, persona fuori da ogni voglia di riflettori, di farmi assaggiare il suo San Gimignano Rosso 2011 e lui subito “Ma che succede con questo vino! Per due anni nessuno me l’ha filato e ora me lo chiedono tutti!”, poi si alza e va in cantina a prendere una bottiglia. Torna che il vino è naturalmente a temperatura di cantina e cioè attorno agli 8-10 gradi.
Oramai però era tardi, dovevo rientrare e quindi lo lascio giusto 2 minuti due sul tavolo, mentre Alessandro mi spiega come è nato, poi lo stappo e lo metto nel bicchiere.
E mentre “lo metto nel bicchiere” lo spiego anche a voi: intanto stiamo parlando di sangiovese in purezza che viene da una vigna di 15 anni in una zona piuttosto bassa, una specie di piccolo altipiano vicino al fiume.
Quindi non siamo certo sulla cima di un colle e questo, con il caldo di agosto e settembre 2011 forse e servito a rendere meno difficile la situazione. Ma questo sangiovese, dopo aver superato anche il caldo di settembre è rimasto ancora un mesetto in vigna, perché è stato vendemmiato attorno alla metà di ottobre.

Alessandro Tofanari
Infatti Alessandro cerca di portare le uve alla massima maturità possibile tanto da arrivare in alcuni casi alla lignificazione dei tralci. Dopo la vendemmia il vino è stato semplicemente vinificato in acciaio, dove ha fatto la malolattica e dove è rimasto fino all’imbottigliamento. Stop! Niente legno, niente di niente, solo uve ben mature e la mano di Alessandro.
Il risultato è un vino, Il Fantesco 2011, dal color rubino scarico che ti fa innamorare, come ti fanno innamorare i potenti profumi: all’inizio note quasi terrose di sottobosco che piano piano si sono trasformate in frutta rossa e fiori, come rosa e giaggiolo. In effetti pare proprio un sangiovese di Lamole, anzi, se mi permettete l’assurdità, un nebbiolo di Lamole. Ricorda infatti al naso questo vitigno ma tutto quadra, perché quando il sangiovese è di altissimo livello e magari è fatto in maniera “gambelliana”, sembra un nebbiolo.
Le somiglianze col nebbiolo si fermano al palato, dove il tannino non è certo “serralunghiano”, ma comunque vivo, ancora leggermente ruvido e dolcissimo alla fine. E’, vista l’annata, anche molto fresco e poi si appoggia senza timore ad una sapidità incredibile.


Non è certamente quello che si definisce un vinone, anzi. Entra in bocca senza eccedere e poi si allunga in un bellissimo gioco tra tannicità e sapidità: è elegante e moooooolto piacevole, inoltre ha una lunghezza al palato che sorprende.
E’ un vino che mi ha fatto ricredere sulle potenzialità dei sangiovese della zona di San Gimignano, è un vino assolutamente sorprendente.
E la sorpresa più grande è il prezzo: siamo molto sotto i dieci euro in cantina. A quel punto, sgranando gli occhi, ho detto ad Alessandro che ne volevo dodici bottiglie e lui “Va bene, però devi tornare a prenderle perché devo etichettarle!”

In quanto a marketing Alessandro non lo frega nessuno, ma va bene così, l’importante è che continui a fare vini come questi.

San Gimignano Rosso DOC 2011 Fantesco
Alessandro Tofanari
Podere La Castellaccia
Via di Montauto, 18/A
53037 San Gimignano (Si)
Tel. e fax 0577 940426
Mobile: 348 9041344
Mobile: 392 9815752


Il Brunello di Montalcino Riserva 2010 tra le luci e le ombre dell'Anteprima di Benvenuto Brunello 2016

Nel precedente post sul Brunello di Montalcino 2011, che potete leggere cliccando qui, scrivevo come l'annata in generale si caratterizzi per vini pronti da bere, piacevoli, diretti, spesso di buona sapidità, freschezza e dotati da un tannino abbastanza maturo. 


Per le Riserve 2010 il discorso è un po’ più complesso ed è opportuno fare un paio di premesse: molti vini erano ancora completamente chiusi o, in molti casi, talmente giovani ed indecifrabili da sospendere il giudizio in attesa di un futuro migliore. L’altra puntualizzazione che mi sento di rimarcare riguarda invece la necessità dei produttori di dar vita ad una Riserva sempre e comunque. Mi spiego meglio: dai tanti assaggi mi è parso che, tranne le solite eccezioni, molte aziende siano spinte dalla smania di avere il top di gamma da sbandierare sui mercati anche quando il valore qualitativo del vino, spesso imbalsamato ancora dal legno, non è tale da giustificare un esborso di denaro significativo per noi consumatori. Declassare tutto e fare un'ottimo Brunello annata spesso non guasterebbe.

Detto ciò, per il sottoscritto, le migliori Riserve 2010 sono state queste:

Fattoi – Brunello di Montalcino Riserva 2010: prendendo in prestito le parole di Vasco posso tranquillamente scrivere che questo sangiovese è tutto un equilibrio sopra la follia. Splendido.


Caprili – Brunello di Montalcino Riserva 2010: naso appariscente e deciso che esplode in profumi di frutta rossa, viola mammola, tamarindo, timo e pietra focaia. Sorso pieno, succoso, vibrante. Ottimo compagno per una tavola imbandita.


Cupano - Brunello di Montalcino Riserva 2010: se il buon Lionel Cousin prendesse le misure sempre in questo modo probabilmente sarebbe uno dei dieci migliori produttori di Montalcino. Questa Riserva è calibrata e precisa come un orologio svizzero e davvero regale.


Poggio di Sotto – Brunello di Montalcino Riserva 2010: un sangiovese fatto di luce ed aria di primavera. Un degno omaggio a “bicchierino” Gambelli.


Tiezzi – Brunello di Montalcino Riserva 2010 "Vigna Soccorso": classe e severità, dinamismo e purezza. Bastano questi termini per descrivere questo Brunello? Forse no, forse ce ne sono di meglio perchè merita il podio assoluto.



Lisini - Brunello di Montalcino Riserva 2010 “Ugolaia”: ferro e seta al naso e dotato di bellissima sapidità al sorso. Piacevolissimo.




Brunello di Montalcino Riserva 2004 Caparzo - Il VINerdì di Garantito IGP

Di Roberto Giuliani

Cena con un'amica a Firenze, cerchi una buona bottiglia toscana, annata giusta.
Tappo ok.

Chiusa, seriosa, aspetti.


Intanto si chiacchiera, si osserva il locale, carino, bella gente.

Riprovi.

Un’altra cosa, profumi vivi, complessi, sapore intenso, generoso, infinito, perfetto per una cena da ricordare.

La sorpresa: Alto Adige Cabernet Riserva Mumelterhof ‘97 Santa Maddalena - Garantito IGP


Se c’è un’annata che ha segnato in modo chiaro e inequivocabile un cambiamento epocale nel mondo del vino quella è sicuramente la 1997. Le ragioni sono molteplici, ma a mio avviso le due più caratterizzanti sono rappresentate dal forte boom mediatico che ebbe quel millesimo come “annata del secolo” – che dette l’avvio ai cosiddetti acquisti “en primeur”, sulla fiducia, ovvero prenotazioni con pagamento anticipato delle annate che usciranno – e da un mutamento climatico che avrebbe condizionato sempre di più la viticoltura del nostro Paese.


Fu un’annata molto calda, in modo prolungato, che portò a vini già pronti, maturi, apprezzabili sin dalla messa in commercio, ma che proprio per questo non era così grande come l’avevano fatta apparire. Questo anche perché ben pochi erano preparati ad affrontarla, era il periodo in cui si lavorava per fare vini concentrati, spinti, opulenti, in molte cantine c’erano concentratori e altri macchinari atti allo scopo, ma quel millesimo non ne aveva bisogno, anzi. Così, con il passare degli anni, assaggi dopo assaggi, si è capito che molti vini non avevano nel dna quella longevità e complessità che ci si aspetta da una grande, anzi grandissima, annata. Fu l’anno in cui le gradazioni alcoliche dei vini salirono in modo evidente, in alcuni casi anche di 1,5 gradi, e da allora, salvo rare eccezioni dovute ad annate particolarmente piovose e difficili come la 2002 o la recente 2014, trovare vini con un’alcolicità più moderata è sempre più difficile.


Ma come sempre è bene fare dei distinguo, ci sono ancora oggi dei 1997 assolutamente vivi, equilibrati, con una struttura non esagerata ma dinamica, ancora in movimento. Uno di questi è sicuramente l’Alto Adige Cabernet Riserva Mumelterhof (ora Mumelter) della Cantina Santa Maddalena (ora Cantina Bolzano). Ogni tanto mi ricordo di avere una cantina, modesta, poche centinaia di bottiglie, ma che a volte può riservare piacevoli sorprese. Debbo dire che sono rimasto impressionato da questo vino, si è conservato benissimo, grazie anche ad un tappo di 5 cm che ha tenuto perfettamente. Premetto che non è uno dei miei vini altoatesini preferiti, amo espressioni meno concentrate e più di territorio, ma devo riconoscere che ha una sua forza e vitalità; il colore è tutt’ora molto fitto, un granato impenetrabile con unghia che accenna al mattonato, ma è veramente un segnale minimo. 

La cosa che mi ha più impressionato è stato il primo impatto olfattivo, mi aspettavo un po’ di riduzione, un profumo chiuso e monolitico, invece sono bastati pochi secondi perché iniziasse già a comunicare in modo limpido, senza remore, note di prugna essiccata, ribes nero e mirtillo in confettura, grafite, cacao, menta, poi ginepro, tabacco, cuoio, pepe nero e liquirizia. Il sorso rivela una freschezza ancora vivissima e una materia per nulla appesantita, nessun cedimento, una fitta balsamicità accompagna le sensazioni senza mollare mai e, cosa non da poco, l’alcol non va oltre i 13 gradi, perfettamente in armonia con tutte le componenti del vino e misura perfetta per sorseggiarlo senza sentirsi invasi da ondate di calore. Peccato che era l’ultima bottiglia rimasta…

Cantina Bolzano
Piazza Gries, 2 / I-39100 Bolzano
Tel. 0471 270909
info@cantinabolzano.com


Benvenuto Brunello 2016: l'annata 2011 tra conferme e qualche sorpresa

Insomma, come è questo Brunello di Montalcino 2011?

Iniziamo dal comunicato ufficiale del 2012 del Consorzio con il quale si attribuiscono all’annata quattro stelle. Tante, infatti, ne sono state assegnate dalla giuria di esperti e produttori che hanno annunciato pubblicamente il loro responso sulla qualità della vendemmia. La decisione di raccogliere le uve 15 giorni prima del previsto ha bilanciato gli effetti dell’ondata di caldo che questa estate aveva colpito il territorio toscano, restituendo anche per il 2011 una vendemmi di alto livello qualitativo. Perciò, stando all’ufficialità, la 2011 è una bella annata anche se non eccellente come la 2010 a cinque stelle.


A volte, si sa, l’eccesso di amore verso una denominazione può determinare anche giudizi un po' affrettati perciò, volendo farmi una reale idea sulla 2011, sono andato preliminarmente a leggere alcuni appunti sparsi di vecchi volponi del giornalismo enoico italiano. 

Tra questi, uno dei miei preferiti, essendo un IGP toscano, è sicuramente Carlo Macchi che su Wine Surf ha così scritto:”Mi ricordo ancora le giornate passate nelle vigne di Montalcino ai primi di settembre del 2011. Nelle migliori delle ipotesi le uve (magari preventivamente sfogliate perché la stagione era stata fino ad allora fresca) erano in molti casi appassite in pianta. Durante la vendemmia, molto anticipata, addirittura alcuni produttori non riuscivano a spingere bene il mosto nelle vasche di fermentazione perché le pompe non avevano liquido (alias mosto) da spingere ma solo bucce e vinaccioli: una tragedia!

E’ chiaro, quindi, che una volta varcata la fatidica entrata della sala stampa del Chiostro Museo di Montalcino, la curiosità di testare con mano (meglio dire papille gustative?) questi sangiovese in purezza era davvero forte visto che, oltre al Rosso di Montalcino 2014, c’era anche la possibilità di testare l’attesissimo Brunello di Montalcino Riserva 2010.


Come al solito, non essendo il sottoscritto un degustatore seriale (dopo 80 campioni di vino la mia bocca arde….), ho scelto di “testare” solo i vignaioli che a me interessavano di più tralasciando, con molto rammarico, qualche new entry e qualche azienda che in passato non mi ha fatto mai impazzire.

Tralasciando per ora le considerazioni relative alla Riserva 2010, devo dire che, in linea generale, la 2011 risulta essere un’annata abbastanza pronta da bere con vini, come scrive sempre il mio amico Macchi, piacevoli, diretti, spesso di buona sapidità, freschezza e caratterizzati da un tannino abbastanza maturo. Ovviamente, non tutti i giornalisti presenti sono sulla stessa lunghezza d’onda: qualche “maligno” infatti ha descritto i Brunello 2011 come dei grandissimi Rossi di Montalcino mentre altri giornalisti, tra cui Speller, hanno insinuato di un “abuso” di acido tartarico che sarebbe stato aggiunto in fase di vinificazione per dare una maggiore spina dorsale ad un prodotto che, visto il caldo, ne sarebbe stato quasi privo.


Tra gli oltre quaranta campioni di Brunello di Montalcino 2011 le mie preferenze sono andate ai seguenti vini:

Tenuta Le Potazzine - Brunello di Montalcino 2011: in attesa della attesissima Riserva 2011 (attenzione, potrebbe dare dipendenza), Gigliola Giannetti ha fatto capire a tutti che anche il suo “base” ha una marcia in più grazie ad un olfatto complesso e vibrante e ad sorso fresco, teso, e di invidiabile progressione.

Fattoi – Brunello di Montalcino 2011: per complessità, piacevolezza ed equilibrio lo reputo senza dubbio il vino dal miglior rapporto q/p della manifestazione. Un’azienda ancora sottovalutata che spero con questa annata abbia il giusto riconoscimento a livello mediatico.

Le Ragnaie – Brunello di Montalcino 2011 Vecchie Vigne: Riccardo Campinoti gioca sempre le sue carte creando grandi sangiovese in sottrazione e dotati di rara eleganza. Notevole il suo Brunello base, superlativa la selezione Fornace ma questo VV per me  ha sempre qualcosa in più in prospettiva.


Podere San Lorenzo – Brunello di Montalcino 2011: intenso, dirompente ma al tempo stesso equilbrato, schietto e diretto come tutti i vini di Luciano Ciolfi.

Il Marroneto - Brunello di Montalcino 2011: ho preferito la “base” al Madonna delle Grazie per via di una maggiore piacevolezza di questa sangiovese davvero succoso ed amico della tavola.

Barbi - Brunello di Montalcino 2011 “Vigna del Fiore”: centralità di aromi fiori rossi, erbe aromatiche e bacche selvatiche. Solida struttura e freschezza da sangiovese al sorso. Chiude sapido e molto coerente.

Le Macioche - Brunello di Montalcino 2011: nuova linfa in azienda anche se la mano di Castelli rimane ben ferma da quasi 20 anni. Deciso e dal tipico olfatto ilcinese dove la ciliegia e la violetta la fanno da padroni. Dinamico ed appagante al sorso. Promette bene.

Corte dei Venti – Brunello di Montalcino 2011: mi era già piaciuto alla cieca durante una degustazione a cui ho presenziato a Roma (link) per cui non posso che confermare la scelta rispetto a questo sangiovese in purezza di eleganza un po’ d’antan.


Salvioni – Brunello di Montalcino 2011: ad oggi sembra un clone caratteriale di Giulio Salvioni ovvero è un sangiovese deciso, irriverente ed esuberante ma, al tempo stesso, profondo e di grande pulizia. Il futuro è dalla sua parte.

Per sapere tutto sulle Riserve 2010 dovete aspettare la prossima settimana. So che non ci dormirete stanotte.....

Le giustificazioni del vino

Tempo fa sul gruppo Facebook EnoRoma è nato un piccolo dibattito circa le delusioni che riceviamo dai vini rispetto ai quali nutriamo grandi aspettative. Spesso ci facciamo "traviare" dal loro blasone e alla fine, soprattutto tra appassionati, si inizia sempre una gara a ricercare mille scuse per alleviare la delusione anche, se non prevalentemente, di tipo economico.


Ma quali sono le principali scuse che vengono utilizzate per giustificare una bevuta da libro horror?

JELLA 

"mah, sarai incappato in una bottiglia "sfigata!!"

NON SARA' COLPA TUA? 

"probabilmente la bottiglia era mal conservata!"

MAGARI NON SARA' COLPA TUA MA....
  
"strano, me lo ricordavo molto diverso...."

CONGIUNTURA TEMPORALE

"probabilmente il vino è in fase di chiusura..."

NON JE STAI SIMPATICO 

"sicuramente non hai trovato il giusto feeling con la bottiglia..."

GIUSTIFICAZIONE BIODINAMICA
 
"quando l'hai stappata che luna c'era?"

 IL TARLO DELL'ESPERTO

 "che esperienza hai con quel tipo di vino?" 

 MA LO SANNO TUTTI!

"questo sono vini che vanno abbinati a tavola e non bevuti da soli..."

 TEMPO AL TEMPO

"sono vini che si devono aspettare nel bicchiere..."

 QUALCUNO C'E' MORTO 

"l'hai bevuto troppo giovane, queste sono bottiglie che vanno aperte almeno dopo 10 anni"
Mi sono dimenticato qualcosa o avete altre "chicche" in aggiunta?

Ottouve 2015, il Gragnano di Salvatore Martusciello - Il VINerdì di Garantito IGP


Prodotto a partire da uve piedirosso, aglianico, sciascinoso, suppezza, castagnara, surbegna, olivella e sauca, è un vino rosso frizzante sincero e diretto il cui DNA fa rima con amicizia e tavole imbandite. Grazie a Pasquale Torrente che me lo ha fatto degustare.


Le Ali di Mercurio abbracciano il progetto Comuni del Vino - Garantito IGP

Poco tempo fa presso l’Hotel Columbus di Roma è stato presentato dall’enologo Vincenzo Mercurio, coadiuvato da Monica Coluccia, il progetto Comuni nel Vino il cui gioco di parole sta ad indicare la volontà di unire piccoli produttori che condividono le stesse passioni ovvero fare il vino e farlo bene nel proprio territorio d’origine.


Concretamente, Comuni nel Vino si pone come ambizioso obiettivo quello di proporre un’idea di zonazione sull’aglianico di Taurasi attraverso il coinvolgimento iniziale di tre aziende appartenenti a tre diversi comuni irpini, fondamentali per la zona dell'Alta Valle del Calore:

Stefania Barbot a Paternopoli
De' Gaeta a Castelvetere sul Calore
RaRo a Montemarano

i produttori assieme

"I vini che ne vengono fuori costituiscono una piacevole fotografia del territorio e del vitigno, e raccontano storie di uomini molto diversi tra loro, accomunati dalla passione per la propria terra. Una passione così forte che li ha coinvolti con il cuore, lo spirito e l’animo, facendoli così sentire a pieno diritto dei veri vignaioli", ha affermato Vincenzo Mercurio durante la presentazione alla stampa del progetto che, da un punto di vista produttivo, mira a dar vita a vini che rientrano nella DOC Irpinia Campi Taurasini e non nella DOCG Taurasi al fine sia di valorizzare una denominazione troppo spesso maltrattata sia di iniziare il percorso con i piedi per terra onde evitare salti in avanti che, almeno in questa fase iniziale, potrebbero essere troppo temerari.

Aglianico

Come scritto in precedenza,  le tre aziende irpine coinvolte, pur facendo parte dello stesso areale di produzione, sono state scelte da Mercurio perché rappresentative di tre terroir diversi pur avendo stessa filosofia sia in vigna, seguendo i dettami del biologico, sia in cantina.

Con Stefania Barbot, ad esempio, siamo a Paternopoli in provincia di Avellino, in uno dei comuni più importanti per la produzione di aglianico di Taurasi. Le vigne sono allocate in uno dei piccoli altopiani di questa parte dell'Alta Valle del fiume Calore, tra i 420 e i 465 metri di altitudine s.l.m., su terreni di tessitura argilloso- calcarea con presenza di sedimenti di origine vulcanica. Punto di appoggio per l'impresa una vecchia struttura di campagna, che si ha in animo di ristrutturare, attorno alla quale si sviluppano i vigneti di aglianico: prima la distesa di ceppi cinquantenni allevati ancora a starsete, sistema di allevamento tipico irpino, poi i nuovi impianti che vedono protagonista il cordone speronato. Tutt'attorno una biodiversità da salvaguardare: olivi, alberi da frutto, orto, piante aromatiche spontanee. Poco distante si trova la nuova cantina, semplice e funzionale, per le operazioni di vinificazione, maturazione e stoccaggio.


De’ Gaeta come azienda è invece partita nel 2009 impiantando circa due ettari di aglianico di Taurasi in una contrada incontaminata a 490 metri di altitudine nel comune di Castelvetere sul Calore, su un terreno abbandonato, ricoperto di sterpaglia e vecchie viti allevate a starsete, in parte recuperate e lasciate a vegliare sul nuovo vigneto. Nel 2012 un secondo impianto: siamo oggi ad un totale di cinque ettari di vigna. Presto saranno conclusi i lavori per una piccola cantina, adeguatamente dimensionata, adiacente al casale che si affaccia sui vigneti e su un panorama che abbraccia il monte Chiusano, incombente alle spalle, e l'intera Alta Valle del fiume Calore.


RaRo, infine, è l'avventura vitivinicola di Raffaele Fabbrocini e Roberto Sanseverino, che in zona Montemarano, in uno dei comuni più vitati della zona di produzione del Taurasi, gestiscono un vigneto di circa tre ettari, impiantato nel 2009, collocato ad una altezza di circa 645 metri di altitudine sul livello del mare, con una esposizione nord- nord est su un terreno argilloso-calcareo. Siamo in località Pastanella in una delle zone più difficili da raggiungere a Montemarano: l'impianto è circondato interamente da bosco e da un piccolo oliveto con cultivar Leccino e Ravece. Difficile fu anche l'opera di acquisizione di tutti gli appezzamenti che costituiscono l'attuale estensione della proprietà.


Durante la degustazione romana, condotta magistralmente da Monica Coluccia, ogni azienda ha presentato due annate (2013 e 2014 in anteprima) di Irpinia Campi Taurasini DOC in modo tale che tutti i presenti avessero modo di valutare differenze ed unicità dei vari aglianico prodotti nei Comuni del Vino.

Stefania Barbot - Irpinia Campi Taurasini “ION” 2013: “ION”, dal greco antico ἴον che significa viola, è un vino che si presenta austero, coeso, con cenni di pepe rosa, amarena ed erbe officinali. Sorso dirompente e dotato di grandi estratti adeguatamente bilanciati da freschezza e sapidità. Pecca leggermente nel finale dove chiude troppo presto. Vinificazione ed affinamento in acciaio.
Stefania Barbot - Irpinia Campi Taurasini “ION” 2014: ancora giovane, ha un olfatto dove iniziano ad emergere sensazioni floreali e di frutta rossa sotto spirito. Al palato è di impatto ma deve ancora trovare la giusta definizione. Uscirà nel mercato tra qualche mese. Sicuramente l’affinamento in bottiglia non gli potrà che fare bene. Vinificazione ed affinamento in acciaio.


De' Gaeta - Irpinia Campi Taurasini 2013: rispetto all’Aglianico pari annata precedente si presenta con un impianto olfattivo decisamente meno irruento dove la componente floreale fa da cornice a sensazioni di mora selvatica, creta, salvia, timo e tabacco. Anche il sorso è più rotondo, compiuto, con tannicità vellutata ed adeguata freschezza a stemperare la struttura comunque imponente del vino. Buona la persistenza sapida nel finale leggermente amaro. Vinificazione con macerazione lunga di 21 giorni in serbatoi di acciaio e tonneau. Maturazione di 12 mesi in acciaio
De' Gaeta - Irpinia Campi Taurasini 2014: anche in questo caso il vino è lungi dall’essere messo in commercio e si presenta con un naso fragrante dove spiccano sensazioni balsamiche e di erbe amare. Assaggio scattante, dinamico e dotato già di buon carattere. Buone previsioni. Vinificazione con macerazione lunga di 21 giorni in serbatoi di acciaio. Maturazione di 12 mesi in acciaio


Raro - Irpinia Campi Taurasini 2013: rispetto ai suoi “colleghi” precedenti è il vino più franco che ho degustato visto che ha una definizione aromatica non troppo complessa che gioca le sue carte su toni di frutti neri di bosco e humus. Sorso ancora ruspante, freschissimo e sfizioso. Come dicono gli stessi vignaioli è il vino dell’amicizia da cui nasce e che genera. Vinificazione ed affinamento in acciaio.
Raro - Irpinia Campi Taurasini 2014: densità fruttata in evidenza e, soprattutto, tanta gioventù che ritroviamo anche all’assaggio dominato da rinvigorente acidità e da un tannino già abbastanza definito e vellutato. Vista l’annata non facile pecca un po’ nella persistenza finale. Da aspettare.


Bodegas Irache, il Cammino di Santiago e quella fontana dove sgorga vino...GRATIS

Una storica canzone dei Castelli Romani, il cui titolo è Nannì ('Na gita a li Castelli), fa così:
Lo vedi, ecco Marino, 
la sagra c'è dell'uva 
fontane che danno vino 
quant'abbondanza c'è
In effetti in queste strofe qualcosa di vero c'è perchè ogni prima domenica di ottobre a Marino, cittadina a pochi passi da Roma, si tiene la storica Sagra dell'Uva di Marino, ideata nel 1925 dal poeta e drammaturgo di origine marinese Leone Ciprelli, dove è tradizione che la seicentesca fontana dei Quattro Mori faccia zampillare il vino bianco dei Castelli Romani al posto dell'acqua.

La fontana dei Quattro Mori - Foto:www.vitalowcost.it
Una sorta di "miracolo" pagano che, purtroppo, avviene solo una volta l'anno. Girovagando per il web, tuttavia, ho scoperto che questa di Marino non è l'unica fontana in giro per il mondo che fornisce il dono di Bacco agli uomini.

Infatti, se vi apprestate ad intraprendere il Cammino di Santiago non potete non passare ad Ayegui, in Navarra, dove la Bodegas Irache ha messo a disposizione una "speciale" fontana, aperta dalle 8.00 alle 20.00, dove i pellegrini posso bere dell'ottimo vino locale che in questa zona pare sia rinomato fin dal 12° secolo. Per dissetarsi e non pensare alle future fatiche del pellegrinaggio basta avere a portata di mano un bicchiere o una borraccia.

Foto:www.elhuevodechocolate.com
Fonte: http://www.irache.com/

Sul sito internet dell'azienda è possibile anche controllare l'andamento delle presenze presso la fontana tramite webcam. Io vado a controllare, non si sa mia scovassi a bere qualche amico di Percorsi di Vino!!

Fonte:http://www.irache.com/

Ah, ovviamente la fontana fornisce anche acqua ma penso che non sia il caso..vero?

Foto:http://diezcontrauno.blogspot.it/

Premio Giulio Gambelli: Sebastian Nasello è l'enologo più "gambelliano" di Italia

Va a SEBASTIAN NASELLO, enologo del Podere Le Ripi di Montalcino (SI), il PREMIO GIULIO GAMBELLI 2016, riconoscimento creato nel 2012 da ASET (Associazione Stampa Enogastroagroalimentare Toscana – www.asettoscana.it) ed IGP (blog network “I Giovani Promettenti”) che premia l’enologo under 35 il cui lavoro abbia saputo incarnare l'idea di vino del grande maestro del Sangiovese: rispetto ed esaltazione delle tipicità di ogni singolo vitigno, delle caratteristiche del territorio e delle peculiarità dell'annata.


La cerimonia di premiazione si è svolta martedì 16 febbraio all'Hotel Villa San Paolo di San Gimignano (SI), nell'ambito dell'Anteprima della Vernaccia di San Gimignano. Nasello, risultato primo dopo la degustazione alla cieca dei vini dei 19 finalisti, ha interrotto un “dominio” che nelle prime tre edizioni aveva visto trionfare sempre enologi piemontesi.

Classe 1987, dopo la laurea in enologia a Pisa, Sebastian arriva nel 2009 a Montalcino, con cui stabilisce da subito un legame forte che dura tuttora. Dopo una breve esperienza a Castelgiocondo, seguita da due anni e mezzo come enologo interno a San Filippo, del 2012 è lo sbarco aPodere Le Ripi di Francesco Illy (dove oggi è anche amministratore delegato): è qui che si afferma, dando vita ad un rapporto umano e professionale giovane ma già ricco di riconoscimenti. “Sono molto felice, anche se non amo troppo la mediaticità. Preferisco che siano i miei vini a parlare. Sono contento di poter restituire qualcosa ad un territorio che mi ha dato tutto”, ha dichiarato il vincitore. “Ci tengo però a sottolineare che questo premio non sarebbe stato possibile se non avessi avuto la fortuna di lavorare in un’azienda speciale, dove un grande proprietario, un bel team e vigneti al posto giusto mi permettono di lavorare ad alto livello: voglio condividere questo momento con loro”.

“La mia idea di vino? Dopo un approccio orientato su altri aspetti, ho scoperto il piacere della semplicità proprio quando sono arrivato a Podere Le Ripi. Credo che un vino debba essere essenziale, diretto, territoriale e con meno artefizi possibili. Purtroppo, per ragioni anagrafiche, non ho avuto la fortuna di assaggiare i vini di Gambelli se non a distanza di diversi anni dalla vendemmia: di essi mi ha colpito proprio la semplicità e la capacità di raccontare il territorio, di esserne l’espressione, e questa è stata una grande ispirazione professionale”.


Oltre alla targa, grazie al contributo di alcune delle aziende di cui Giulio Gambelli è stato amico e consulente (Fattoria di Rodano, Il Colle, Montevertine, Poggio di Sotto, San Donatino, Tenuta di Bibbiano e Tenuta Ormanni) a Nasello è andato anche un assegno da 1500 euro.

“Siamo soddisfatti di quest’edizione – dice il presidente di Aset e membro IGP, Stefano Tesi – che ha riscosso grande interesse sia mediatico che di partecipazione, dopo l’innovazione che ha aperto ai giovani enologi la possibilità di autocandidarsi. Ora la sfida continua: il nostro scopo resta di tenere viva la memoria di Gambelli e del suo lascito professionale. Con il 2016 si è chiuso il “ciclo” dei quattro consorzi-partner (Chianti Classico, Nobile, Brunello e Vernaccia) che hanno ospitato le diverse edizioni, quindi per la prossima si torna nella terra del Gallo Nero. Stiamo infatti già lavorando al premio del 2107, che come sempre verrà presentato al prossimo Vinitaly”.

Cascina 'Tavijn - Ruché di Castagnole Monferrato 2013 - Il VINerdì di Garantito IGP

Di Angelo Peretti


Confesso d’avere un debole per il Ruché “naturale” di Nadia Verrua. Rustico e un po’ selvatico, eppure d’avvincente indole fruttata. Sorrido pesando che somiglia alle siepi di rovi, che sono spinose e paiono inavvicinabili, e invece vi raccogli succose more rosso bluastre che regalano memorie d’estate.