Mi è arrivato pochi giorni fa questo comunicato di Angelo Gaja che ripropone un tema caldo in viticoltura ovvero l'uso della chimica in vigna. Onestamente quanto scritto dal grande produttore piemontese non aggiunge molto al dibattito che in questi ultimi tempi è molto acceso su Facebook che sempre più si sta trasformando in un campo di battaglia tra fazioni dove la parola BIOQUALCOSA passa dalla pura mitizzazione alla più accesa denigrazione.
Io, in questo tema, non ho ancora la verità in tasca e, leggendo il comunicato, forse nemmeno il grande Gaja.
Foto: Luciano Pignataro |
Tra il 1850 ed il 1890 si abbatterono sulla viticoltura europea l’oidio e la peronospora, fitopatologie nuove ed
aggressive come non si erano mai viste nei secoli precedenti. I viticoltori dovettero imparare a combatterle
sistematicamente con l’impiego di antiparassitari, zolfo e rame, se volevano salvare la produzione d’uva. Come non
bastasse, qualche tempo dopo arrivò la fillossera ad innescare la moria delle viti, a seguito della quale si fu costretti ad
estirpare la totalità dei vigneti per reimpiantarli successivamente su portainnesto di vite americana, quest’ultima
resistente alla malattia. Sembrò a quel tempo che la viticoltura europea ricevesse un colpo mortale. Non fu possibile
allora attribuire il disastro al supposto cattivo stato di salute della viticoltura causato da un impiego eccessivo della
chimica, perché non se n’era mai fatto uso prima; alla monocoltura, perché si era sempre praticata la policoltura; alla
perdita di biodiversità, perché non ce n’era mai stata così tanta.
Ci fu un ampio abbandono della viticoltura in favore di
altre coltivazioni. Poi, gradualmente, si trovarono le contromisure e nel secolo scorso si individuò nella chimica il
mezzo più efficace per contrastare le fitopatologie attraverso l’impiego di antiparassitari, definiti via via anche come
fitofarmaci, pesticidi, veleni chimici. E la chimica, a farla da padrona, continuò a fornire altri prodotti ancora da
impiegare in qualità di fertilizzanti e diserbanti. E’ nel secolo corrente che prende forza la domanda di una agricoltura
che faccia meno ricorso alla chimica e si affermano per il cibo l’esigenza della sanità, a protezione della salute del
consumatore, e della pulizia, affinché la coltivazione non divenga inquinante per l’ambiente.
L’obiettivo primario di ridurre l’impatto della chimica in viticoltura viene oggi perseguito con la lotta integrata, che
riduce l’uso di antiparassitari integrandoli con prodotti che non sono di origine chimica; la conduzione biologica, che
limita l’uso di prodotti chimici ai soli rame e zolfo; la conduzione biodinamica che esclude l’uso della chimica. Ma non
ci si può fermare soltanto qui. Vanno utilizzati anche quei sistemi che consentono di arrivare a produrre viti che offrano
una buona resistenza alle malattie, inseguendo così l’obiettivo di contenere/abbattere il ricorso alla chimica per
combatterle.
Foto: |
La recente scoperta del sequenzionamento del genoma della vite offre oggi alla ricerca nuove importanti
opportunità: di individuare le viti che ospitano il gene della resistenza (al patogeno) e trasferirlo nel genoma di viti che
non lo posseggono. Pratica da avviare attraverso l’impiego di biotecnologie che non sono equiparabili agli OGM
transgenici. Andrà chiesto ai vivaisti di dedicare maggiore attenzione al materiale derivante da selezione massale, per
non affidarsi totalmente alla selezione clonale che produce viti più fragili.
Al fine poi di recuperare salute al vigneto,
andranno estese le pratiche che consentono di rafforzare la vitalità del suolo. La strada per abbattere l’uso della chimica
nel vigneto è lunga, se la si vuole condurre con successo va percorsa senza paraocchi, utilizzando tutti gli strumenti
disponibili.
Angelo Gaja
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