Piovene Porto Godi e il suo Sauvignon


di Lorenzo Colombo

Una famiglia radicata sul territorio dei Colli Berici da tempo immemorabile, e già d’allora dedita alla coltivazione della vite, quella di Alessandro Piovene Porto Godi, colui che ha dato il nome all’azienda. Una mappa catastale del 1584 mostra infatti un embrione dell’attuale azienda agricola, allora proprietà di Flavio Barbarano, che per discendenza diretta è arrivata agli attuali proprietari.

vecchia foto

Una proprietà famigliare in tutti i sensi dunque, che vede coinvolti nell’attività produttiva, spesso figli e nipoti di precedenti dipendenti.
La cantina è situata in una grande e complessa struttura, che comprende anche la villa padronale, tutto qui porta il segno del tempo che passa.
Il cambio di passo nella produzione si colloca all’inizio degli anni novanta, e vede impegnate le nuove generazioni. Rinnovamento dei vigneti e dei sesti d’impianto con grande attenzione all’ambiente e netto interesse per il vitigno locale, il Tai Rosso, prodotto in diverse versioni, tra cui quelle concepite per un lungo affinamento.


L’azienda ora dispone di oltre 220 ettari, ventotto dei quali vitati, diverse le varietà coltivate, dal già citato Tai Rosso (attuale nome dato al Tocai Rosso), sino agli internazionali Cabernet Franc e Sauvignon e Merlot.
Questo per quanto riguarda i vitigni a bacca rossa, tra quelli a bacca bianco troviamo Garganega, Pinot bianco e Sauvignon, quest’ultimo frutto della nostra degustazione.
In realtà di Sauvignon se ne producono due: il Fostine (Colli Berici Doc) ed il Campigie (Igt Veneto).


Il primo viene ottenuto da un singolo vigneto policlonale, sitato in pianura (30 metri slm l’altitudine), esposto a sud-est su suolo calcareo, con densità di 4.000 ceppi/ettaro, i vigneti sono stati impiantati parte nel 1986 e parte nel 2002. Fermentazione ed affinamento avvengono in acciaio. Circa 11.000 le bottiglie prodotte annualmente.

Assai diverso il Campigie, che viene affinato in barrique ed è ottenuto dalla raccolta di uve sovramature in un vigneto policlonale situato a Toare di Villaga, sede dell’azienda, esposto a sud, su suoli calcarei ad altitudini variabili tra i 30 ed i 70 metri slm, densità d’impianto di 5.000 ceppi/ha e vigneti impiantati nel 1986 e nel 2003. La fermentazione avviene in acciaio mentre l’affinamento in barriques di diverse essenze (acacia e rovere) per sei-otto mesi e per almeno altri sei in bottiglia. La produzione è di circa 4.000 bottiglie/anno.


Di quest’ultimo vino abbiamo assaggiato tre diverse annate ed a colpirci particolarmente sono state la 2015 (strepitosa) e la 2003, dalla quale non ci aspettavamo certamente tanta freschezza.


Due vini con espressioni aromatiche assai diverse, come potete leggere nelle sintetiche note di degustazione.

Vigneto Fostine 2017
Il colore è paglierino-verdolino. Intenso al naso, vegetale, con sentori di pompelmo e sedano. Fresco alla bocca, con bella vena acida, vegetale, tornano i sentori di pompelmo, buona la persistenza.


Campigie 2016
Color paglierino luminoso. Di buona intensità olfattiva, sentori di melone, pompelmo maturo, frutto tropicale, accenni vegetali e leggere note tostate che rimandano al caffè.


Campigie 2015
Color paglierino-verdolino luminoso. Intenso al naso, presenta note boisée, sentori di melone maturo e frutta tropicale. Strutturato, elegante, tornano i sentori di melone maturo, buona la persistenza.

Campigie 2003
Paglierino, con riflessi oro verde, luminoso. Intenso al naso, accenni di verdura, sedano, leggere note di legno. Buona la struttura, il vino è ancora fresco, verticale, con lunghissima persistenza. In ottima forma, considerando l’età, anche se ci pare si sia espresso meglio alla bocca che non al naso.


La Sala - Chianti Classico Gran Selezione Il Torrino 2015

di Stefano Tesi

Assaggiato in chiaro tempo fa e riassaggiato alla cieca alla Collection 2019, con giudizio identico: una sorta di normotipo della categoria, quindi bene per chi la ama e meno per chi la odia: naso intensamente vellutato, bocca importante e solenne, senza spigoli. 


Un vinone ma, nel suo genere, assai godibile

Al Palio delle frittelle c'è un solo vincitore - Garantito IGP

Vorrei preliminarmente rassicurare tutti quelli che, e immagino saranno parecchi, troveranno da ridire su questo articolo, trovandolo parziale e partigiano. Perché, sì: hanno ragione.


Ma per me parlare delle frittelle di San Giuseppe che si fanno a Siena è come parlare delle madeleine proustiane: un tuffo irresistibile nel gusto e nel profumo del passato. Di quelli che, trascorsa l’Epifania, ti fanno contare i giorni nell’attesa che a fine mese le bancarelle cittadine riaprano per le solite, sole sei settimane all’anno. Poi, altri dieci mesi e mezzo di astinenza.


Il loro arrivo – fatte le debite proporzioni - mi ricorda quella stessa, sottile eccitazione che, e i senesi sanno di cosa parlo, immediatamente precede e poi coincide con la “terra in piazza”:  il segno finalmente tangibile che si sta per correre il Palio.
Ecco: il tempo delle frittelle di San Giuseppe è l’ennesima e compiaciuta riscoperta di un imprinting incancellabile. Non solo per me, sia chiaro, ma per chiunque abbia la fortuna di assaggiarle almeno una volta.


Esse non sono però, come la gente ignara potrebbe pensare, delle comuni frittelle di riso. No: le spappolose, aromatizzate con i più bassi sentori e perfino liquori, unte, appiccicose, stucchevoli frittelle di riso cosparse di zucchero a velo le fanno altrove. Quelle sono una specie di dessert da mangiare freddo, col piattino e il cucchiaino altrimenti ci si sbrodola.
Insomma, un altro mondo. Le nostre sono invece dorate e croccanti fuori, cremose e candide dentro. Non colano, non si sbriciolano, non cadono, non si disfano. Anzi, una volta estratte dalla grande padella dove vengono fritte rimangono strettamente legate tra loro, così gli avidi polpastrelli devono brancolare nel cartoccio per afferrarle. E, per mangiarle, nella foga spesso le si prende a brani, con lo zucchero semolato che resta attaccato alle dita per farsi leccare e dopo scricchiola sotto i denti, mentre l’inconfondibile profumo di riso cotto e di scorza di agrumi sale verso le narici, sospinto dal calore della frittella appena estratta dall’olio bollente. Hanno un gusto gentile ma penetrante, una dolcezza prolungata ma non stucchevole, che induce a infiniti bocconi.


Non mi perdo in ricette, che non sono il mio settore (ma chi volesse cimentarsi può trovare istruzioni qui). Dico solo che si fanno con latte, riso, acqua, scorza di limone o arancia e zucchero. E che, salvo preparazioni domestiche, in città le cucinano in diretta e le vendono solo tre baracchini: uno in Piazza del Campo (ai tempi belli, ahimè, erano di più), uno nella zona dell’Acqua Calda, periferia nord-ovest della città, e un’altra in via Massetana Romana, periferia sud. Si tratta di tre gestori diversi, ma producono frittelle comunque e puramente tradizionali, tra le quali non trovo grandi differenze. Tranne il fatto che a comprare le prime ci devi andare a piedi, godendoti però l’incomparabile scenario della Torre del Mangia e il Palazzo Pubblico, mentre a comprare le altre ci vai in macchina e parcheggiando davanti, ma tra i palazzoni grigi di cemento.


Sottolineo quest’aspetto architettonico e ambientale per una ragione precisa: la frittella di san Giuseppe senese va infatti mangiata calda, anzi caldissima, lì per lì, all’aperto, per strada, tirata fuori a mano dal cartoccio, col freddo che morde ed esalta per contrasto le sensazioni. Sporcandosi le dita di zucchero e ustionandosi la lingua. Cosa inevitabile, perché il profumo e l’acquolina in bocca non consentono alternative.


Esperienza tanto notevole da essere consigliabile non solo a chi è di passaggio a Siena: vale il viaggio!

Viticoltori De Conciliis - Bacioilcielo 2017

di Luciano Pignataro

Possibile baciare il cielo con l’Aglianico? Ma soprattutto possibile farlo subito, magari in una bicchierata tra amici che ha il gusto di ridere e innaffiare il cielo. 


Ecco a cosa serve Bacioilcielo 2017, fresco e piacevole, succoso e fraterno.

Frecciarossa - Pinot Nero dell’Oltrepò Pavese DOC Giorgio Odero 2011

di Carlo Macchi

La battuta è stata “Nasce nell’OltreVosne Pavese?” perché una complessità aromatica  ed una setosità tannica di così alto profilo ti fanno pensare alla Borgogna: invece lo fanno in Oltrepò. 


Dovrebbero nominare questo vino Ambasciatore dell’Oltrepò nel mondo, così si capirebbe cosa può nascere in zona.

Oltrepò Pavese: e pur si muove!

di Carlo Macchi

Tranquilli, la riunione annuale di Winesurf che si è svolta in Oltrepò Pavese non è stata così piena di assaggi da farmi credere di vedere un mare dove invece è tutto un susseguirsi di colline.
Il mare a cui mi riferisco non è d’acqua ma di vino e viene prodotto appunto sulle belle colline di questo territorio. Tanto per darvi un ‘idea In Oltrepò ci sono ben 3300 ettari di pinot nero ( Borgogna a parte, praticamente quello di mezza Europa messo assieme) e se ci mettiamo tutte le altre uve, a partire dalla croatina e dalla barbera per arrivare a riesling e moscato gli ettari salgono a più di 11.000. Un vero mare di vigneti che si trasforma ogni anno in una marea di vino.


Qui nascono i problemi, relativi a come controllare questa marea. Per anni semplicemente non è stata controllata e quindi la stragrande maggioranza del vino prodotto era venduto sfuso o se si imbottigliava, spuntava (e purtroppo spunta anche adesso) prezzi bassissimi.

Ma ogni mare che si rispetti, specie quello verde dei vigneti dell’Oltrepò, per essere “solcato” ha bisogno di indicazioni, di esempi: per questo sono fondamentali i fari e oramai in Oltrepò ce ne sono diversi, alcuni anche da molto tempo anche se ben pochi lo sanno.
Un faro che esiste da quasi un secolo è Frecciarossa, cantina “Con un grande avvenire dietro le spalle” mutuando il titolo della famosa autobiografia di Vittorio Gassman. Infatti quando Valeria Radici, titolare dell’azienda, ci ha mostrato i passaggi storici di questa cantina (esportava negli Stati Uniti negli anni Trenta del secolo scorso!) siamo rimasti stupiti del coraggio e della lungimiranza. Poi siamo rimasti stupiti dei vini, che riescono a declinare il riesling, la croatina e soprattutto il pinot nero con affinata maestria.


Il pinot nero dell’Oltrepò Pavese merita un discorso a parte perché è veramente “croce e delizia” di questo territorio. Si parte da vini di basso profilo, anche con importanti residui zuccherini, magari lo si vinifica frizzante, vendendolo a prezzi da realizzo. Così chi vuole fare le cose seriamente, sia spumantizzandolo in validi metodo classico, sia vinificandolo per ottenere le vellutate profondità del vitigno si ritrova a dover scalare montagne di diffidenza: dal mare di vino alle montagne da superare il passo non è breve né facile, però quando assaggi il Giorgio Odero 2011 di Frecciarossa, pinot nero di ampia caratura borgognona, capisci quanto possono dare queste terre al blasone del vitigno.

Non ha grande blasone invece “il demone-angelo Bonarda”, vino che rappresenta tutto il peggio di quello che l’immaginario collettivo del vino di qualità immedesima con l’Oltrepò (frizzante, con zucchero residuo e da bere giovanissimo) ma nello stesso tempo incarna , quando ben fatto, un vino angelico, dove le sensazioni di frutta arrivano a ondate e la bocca è corteggiata in maniera elegante da bollicine fini e da una freschezza che il residuo zuccherino riesce a rendere armonica. Per esempio nella Moranda di Travaglino, cantina che pur puntando moltissimo sul pinot nero non tralascia i i vini base del territorio.
Un territorio che, anche e soprattutto attorno al Distretto del vino di Qualità dell’Oltrepò Pavese (che ringraziamo!), sta cercando di crescere. E un modo per crescere è “La Mossa perfetta”, cioè un marchio che raccoglie una serie di piccoli produttori sul concetto di “Bonarda angelica” e cerca di fare massa per presentare quella che dovrebbe essere la vera immagine di questo vino.


Ne abbiamo degustate diverse è siamo convinti che un vino del genere non possa rimanere nel dimenticatoio, perché unisce piacevolezza a grande adattabilità gastronomica, senza considerare il prezzo incredibilmente interessante.
Se il pinot nero dell’Oltrepò può dare grandi soddisfazioni vinificato in rosso forse è nel metodo classico che può riuscire veramente a sfondare sul mercato. Oramai tutte le cantine di livello hanno bollicine da proporre e molte di tale livello che non sfigurano (anzi!) in confronti con il meglio della produzione nazionale: sto pensando al Notte d’Agosto di Alessio Brandolini, un metodo classico rosé da pinot nero in purezza di grande finezza e complessità, perfettamente a suo agio dall’antipasto al secondo.


A proposito di bollicine, quelle prodotte da Cristian Calatroni ci sono sembrate avere un grande futuro. Probabilmente perché rappresentano una ricerca certosina che parte dai vigneti, privilegiando quote attorno ai 500 metri e terreni particolarmente adatti. Cristian in realtà, come altri produttori di qualità, non va a cercare di piantare dove non c’era vigna ma semplicemente sfrutta vecchi vigneti esistenti. L’azienda è piccola ma ha le idee chiarissime: le sue bollicine tra qualche anno saranno contese tra gli appassionati, ricordatevelo.

Cristian Calatroni

L’azienda della famiglia Calatroni e tante altre piccole cantine, molte riunite attorno al grande faro del Distretto del vino di Qualità, dimostrano che l’Oltrepò Pavese ha al suo interno tutto quello che serve per affermarsi come territorio di alta qualità riconosciuta e finalmente far calmare le pericolose maree al suo interno.

Andrea Occhipinti - Alea Viva Rosso 2016

di Roberto Giuliani

Alea come Aleatico: 15 giorni sulle bucce e fermentazione con lieviti indigeni in piccole botti di cemento. 


Nessun additivo o coadiuvante enologico, poca solforosa. Naso che richiama il bosco, humus, rosa, ciliegia, fragola macerata. Bocca fresca, asciutta, fruttata ma anche pepata. Puro godimento.


www.occhipintiandrea.it

Veggy Garden Bistrot ovvero come mangiare felici mangiando vegano

Premetto subito che né io né i miei familiari con cui ho pranzato domenica scorsa al Veggy Garden Bistrot di via Tuscolana a Roma, siamo vegani. Eppure sia mia moglie che i miei due adorati nipoti hanno apprezzato la cucina di questo accogliente locale in zona Numidio Quadrato.


Doveva esserci anche mia figlia, ma è rimasta vittima di questa maledetta influenza che ti prende allo stomaco, con febbre alta e dolori alle ossa.
Il locale ha aperto nel 2015, una trentina di posti in un ambiente essenziale come ci si aspetta da un bistrot, ma abbellito da festoni colorati a forma di fiore (non a caso si chiama Garden).


Mi sembra giusto sottolineare che non è solo vegan, ma propone piatti quasi totalmente a km zero, che oggi più che mai è una scelta condivisibile.
Una delle caratteristiche del Veggy è di essere aperto a colazione, pranzo e cena, e di offrire menu diversificati durante la settimana, dal martedì al venerdì il pranzo è a buffet (10 euro), mentre la sera, il sabato e la domenica è disponibile il menu completo.
Un menu che ci ha incuriosito non poco, se avessi una capienza superiore avrei provato molte cose, ma sono stato costretto a fare una cernita fra antipasti, primi e secondi.
Nel complesso mi sono sembrati piatti ben preparati e gustosi, le porzioni più che soddisfacenti, i condimenti equilibrati, tutte pietanze rigorosamente a base di alimenti vegetali, ma incredibilmente gustose e aromaticamente persistenti.


Tra gli antipasti abbiamo scelto le verdure pastellate (i nipoti non hanno resistito a chiedere anche le patate fritte), polpettine di verdure miste con curcuma e altre spezie, bruschette “arcobaleno”, ovvero di quattro colori diversi (determinati dalle salse di verdure utilizzate). Tutto molto buono, tanto che non è rimasto nulla di nulla sulla tavola.
La curiosità mi ha spinto inizialmente a provare come primo il Riso del Bosco Magico (integrale con funghi, radicchio e noci), ma purtroppo era terminato (siamo arrivati alle 13.40), pertanto ho ripiegato, si fa per dire, su fettuccine all’amatriciana, consapevole con non poteva esserci il condimento previsto dalla ricetta classica (che fra l’altro vuole i bucatini). Con sorpresa le ho trovate eccellenti, erano preparate con un sugo molto saporito e al posto del guanciale c’era il tofu croccante.


Altro primo perfettamente riuscito il Cuscus di verdure, ceci e olive nere. Lo so, penserete “ma tutte queste verdure non stancano”? Lo credevo anch’io, ma le preparazioni e gli accostamenti sono sempre diversi, a tutto vantaggio di una cucina che non stanca mai.
Fra i secondi quello più particolare e, a mio avviso, non per tutti i palati è il Tofu al Curry di verdure e cocco, una preparazione equilibrata ma dal sapore quasi balsamico dovuto proprio alla presenza del frutto tropicale.


Gli ho preferito gli Straccetti di Lupino saltati alle verdure e balsamico, davvero convincente, una miscellanea stimolante che non stanca neanche dopo numerosi assaggi.
Fra i dolci c’era una vasta scelta e, essendo in 5, abbiamo provato diverse cose, come la Crostata di visciole (impasto friabile al punto giusto e marmellata saporita e poco dolce), la Torta di ricotta vegana al cioccolato e polvere di caffè (questa davvero superba), Tortino al cioccolato, pere e zenzero (abbinamento azzeccatissimo) e Torta Sacher (gli ingredienti sono più o meno gli stessi ma la preparazione è un po’ diversa, anche se altrettanto riuscita).


Modesta ma adeguata la scelta dei vini, per lo più vegan free e zero solfiti.
La Passerina Enoé 2018 di Ciù Ciù si è comportata molto bene con tutti i piatti di verdure, tanto da non esserne rimasta neanche una goccia (bevuta solo io e mia moglie!).
Si poteva chiudere senza il caffè? Certamente no, ma non potevamo non provare almeno un caffè di cicoria, che con sorpresa abbiamo trovato molto simile all’originale, davvero piacevole e con il vantaggio di essere privo di caffeina.


Conto onestissimo, sotto i 30 euro a persona vino escluso (l’acqua è compresa). Vale la pena tornarci, anche per provare i numerosi burger, magari con una buona birra…

Veggy Garden Bistrot
Via Tuscolana 924, Roma (fermata Metro Numidio Quadrato)
Tel. 06 76904531
Chiuso il lunedì

La Visciola - Cesanese del Piglio Priore "Vignali" 2009


Il Vignali, assieme al Ju Quartu e al Mozzatta è uno dei primi Cru di cesanese gestiti in biodinamica da Piero Macciocca e sua moglie. La bottiglia l’ho presa nel 2009 con la promessa di aprirla dopo 10. 


Risultato? Questo vino, posso dirlo pur non essendo un esperto della zona, rappresenta quanto più vicino possa esserci con la Borgogna per sensazioni olfattive e gustative. Un vino elegantissimo e vivo che esprime tutte le potenzialità del territorio e del lavoro di Piero. Strepitoso!


Il Nizza DOCG è sinonimo di grande Barbera - Garantito IGP


I produttori del Nizza li conosco da molto tempo, assieme a Daniele Chiappone, Gianluca Morino e Gianni Bertolino, oggi attivo Presidente dell'Associazione Produttori del Nizza, ho degustato in tempi assolutamente non sospetti i loro vini che, lontani dal riconoscimento della DOCG, già svelavano un carattere unico ed indissolubile tra territorio di elezione, ovvero le colline attorno a Nizza Monferrato, e il vitigno principe di questi luoghi: il barbera. In tale ambito mi ricordo che, anni fa, uno dei principali problemi dei vignaioli era quello di far capire che quando si parlava di Nizza non si faceva riferimento alla bella città francese ma al comune, forse meno noto al grande pubblico, di Nizza Monferrato, delizioso paese dell’Astigiano al centro delle colline tra Asti, Alba, Alessandria e Acqui Terme il cui areale è talmente unico, sia per clima che per suolo, che l’Unesco non ha potuto non proclamarlo Patrimonio Mondiale dell’Umanità. 


In questo luogo unico al mondo vengono coltivate uve dolcetto, moscato, brachetto, cortese, freisa e grignolino ma è il barbera, più di tutti, ha rappresentare al meglio questo territorio esprimendo, come detto in precedenza, un vino dai caratteri inimitabili tanto che già dalla vendemmia 2000 venne riconosciuta Nizza come sottozona della Barbera d’Asti Superiore (D.M. 13/10/2000).


Sono dovuti passare 15 anni, periodo in cui i produttori hanno avuto modo di “autotestarsi” col nuovo disciplinare di produzione, per arrivare, finalmente, all’ottenimento della DOCG elevando così la sottozona della Barbera a denominazione vera e propria la cui zona di produzione è composta da 18 comuni intorno al comune di Nizza Monferrato per una superficie complessiva di oltre 160 ettari (sono 720 quelli potenziali, cioè vigneti di barbera iscrivibili alla nuova denominazione). 


Per capire davvero il Nizza DOCG bisogna conoscerne il disciplinare, studiato per essere molto più severo e restrittivo rispetto a quello del suo più prossimo parente: il Barbera d’Asti. La più grande differenza sta nell’uvaggio: se per ottenere il vino Barbera d'Asti è consentito utilizzare fino ad un 10% di altre uve rosse coltivate in Piemonte (come nebbiolo, cabernet sauvignon, freisa, dolcetto…), il Nizza prevede una vinificazione in purezza, ovvero 100% Barbera. Non è consentito, inoltre, l’arricchimento del grado alcolico nelle annate dichiarate sfavorevoli. Il nuovo disciplinare ha previsto la possibilità di dar vita fino a 4 diverse tipologie:

Nizza e Nizza Vigna (invecchiamento minimo 18 mesi di cui 6 mesi in legno)

Nizza Riserva e Nizza Vigna Riserva (invecchiamento minimo 30 mesi di cui 12 mesi in legno)

Da un punto di vista pedoclimatico, l’area di produzione del “Nizza DOCG” può considerarsi totalmente collinare, con pendenze delle colline che, in questa zona della provincia di Asti, risultano spesso molto rilevanti. La coltivazione è concentrata prevalentemente su una fascia altimetrica compresa tra i 150 e i 350 m s.l.m., anche se non sono da escludere alcuni vigneti posti ad altimetrie maggiori, nella fascia che va dai 350 ai 500 m s.l.m.
Il clima si può definire di tipologia temperato-continentale: caratterizzato prevalentemente da inverni freddi e poco piovosi (mentre non sono rare le precipitazioni nevose); da primavere e autunni ricchi di precipitazioni; estati calde e secche, con scarse piogge di breve durata (principalmente a carattere temporalesco). Queste caratteristiche sono però parzialmente mitigate dalle numerose colline presenti nell’area di produzione dove, salendo di quota, le minime invernali risultano essere meno rigide rispetto ai fondovalle, mentre l’afa e le temperature estive, grazie alla maggiore 6 ventilazione, sono sicuramente più miti


barbera

Interessantissime, anche per l’influenza sul vino di provenienza, sono le caratteristiche dei terreni dell’area di produzione del “Nizza” che, in generale, hanno tutti elevato contenuto in carbonato di calcio, sostanza organica generalmente ridotta e sono tutti di origine marina anche se al loro interno, a seconda della zona, sono caratterizzati da forte eterogeneità tanto che si sono distinti in 4 diverse tipologie di terreno così come individuate da Alessandro Masnaghetti di Enogea 

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Suoli sabbiosi (settore centrale)
Suoli poco evoluti (Entisuoli) a tessitura sabbioso-franca o franco-sabbiosa (sabbie), da depositi marini molto grossolani debolmente consolidati o sciolti. Comprendono parte dei comuni di Vinchio, Cortiglione, Incisa, parte di Mombercelli, Mombaruzzo. Il terreno è costituito da sabbie sia fini che grossolane a permeabilità elevata; è una zona poco fertile, povera di sostanza organica.

Suoli limoso-marnosi (settore centrale e settore nord)
Suoli poco evoluti (Entisuoli) a tessitura franco-limosa o franco-sabbiosa, da depositi marini da fini a grossolani debolmente consolidati. Comprendono i comuni di Castelnuovo Calcea, parte di Agliano, Mombercelli, Belveglio, parte di Nizza M.to, Castelnuovo Belbo e parte di Mombaruzzo. Il terreno è costituito da sabbie e marne a permeabilità moderata che tendono al colore rosso man mano che ci si sposta ai margini orientali della denominazione.

Arenarie (settore sud)
Suoli Franco-Sabbiosi o Franco-Limosi da depositi marini grossolani consolidati.
Comprendono i comuni di Calamandrana, Castel Boglione e Rocchetta Palafea. Qui troviamo marne e arenarie a permeabilità moderatamente elevata.

Limo e Sabbie fini (settore est)
Suoli evoluti (Alfisuoli), a tessitura franco-argillosa o franco-limoso-argillosa da depositi alluvionali antichi fini non consolidati.
Nel corso di un evento romano sul Nizza tenutosi alla FIS ho avuto il piacere non solo di rincontrare vecchi e nuovi amici vignaioli ma, soprattutto, ho avuto modo di degustare una orizzontale di Barbera d’Asti Superiore DOCG “Nizza dell’annata 2011 che, come riportano le cronache, è stata un’annata calda, appena sotto la 2003, e ricca di precipitazioni soprattutto nei mesi di giugno e settembre.

Nove i vini in degustazione:

Bava – Barbera d’Asti Superiore DOCG Nizza “Piano Alto” 2011: naso regolare, didattico, giocato su sensazioni di ciliegia e fragoline macerate, per via di uno sbuffo alcolico sopra la media, assumono le sensazioni di frutta sotto spirito. Al sorso è rustico, la nota alcolica è ben equilibrata dall’acidità del barbera tende a impadronirsi della bocca lasciando il palato pulito e desideroso di un altro sorso.


Bersano - Barbera d’Asti Superiore DOCG Nizza “La Generala” 2011: rispetto al precedente il vino risulta decisamente più equilibrato, non ritrovo sbuffi alcoli ma, al contrario, tanta suadenza e rotondità soprattutto nella carica fruttata del barbera che, col passare del tempo, si arricchisce di richiami olfattivi di timo e rosmarino. Al sorso è coerente, di esemplare equilibrio, i vari elementi del vino sono così ben integrati chei 15° di alcol della barbera sono mascherati benissimo. Finale lungo e sapido.


Cascina Garitina - Barbera d’Asti Superiore DOCG Nizza “900” 2011: naso decisamente complesso, prepotente di ciliegia nera, mirtillo, ribes, a seguire, con l’ossigenazione del vino, si susseguono toni terziari di grande eleganza che prendono la forma del mallo di noce, della grafite, della terra bagnata. Il richiamo al territorio di Castel Boglione, dove le viti sono piantate su arenaria, si fa deciso soprattutto al gusto dove l’acidità sferzante della barbera solleva e dà slancio ad un sorso dal grande estratto secco ma da contorni precisi ed avvolgenti. Finale lunghissimo e ciliegioso.


Cantina Sociale di Vinchio Vaglio - Barbera d’Asti Superiore DOCG Nizza “Laudana” 2011: probabilmente, durante la degustazione, ha pagato il confronto con il vino precedente ma, sinceramente, è un Nizza che non mi ha fatto impazzire per via di una personalità che riassume in tono minore, senza picchi qualitativi, i caratteri e le specificità dei Nizza finora degustati.

Dacapo - Barbera d’Asti Superiore DOCG Nizza “Vigna Dacapo” 2011: naso compatto, concentrato, c’è tanta ricchezza di frutta nera a cui seguono spunti di cacao, grafite ed eucalipto. Bocca di grande morbidezza, precisa, ottima nello sviluppo, con corpo importante ma non invadente. Finale fruttato, ricco, che termina con una lunga scia sapida.


Erede di Chiappone Armando - Barbera d’Asti Superiore DOCG Nizza “Ru” 2011: la possanza e l’esuberanza di questo vino è desumibile fin dalla prima olfazione che in maniera prepotente richiama un ventaglio di profumi di grande complessità articolati su toni di frutta nera, spezie indiane, terra, china ed erbe medicinali. Al palato è vigoroso, entra come un TIR che travolge ogni nostro senso senza però diventare sfacciato ed invadente. Vino di grandissimo equilibrio, grazie ad una dotazione acido-sapida imponente, tanto che gli oltre 16° alcolici della barbera risultano perfettamente oscurati.


La Gironda - Barbera d’Asti Superiore DOCG Nizza “Le Nicchie” 2011: naso davvero coinvolgente, ridondante di sensazioni balsamiche che sembrano intrecciate con importanti richiami di erbe aromatiche dove timo e maggiorana la fanno da padrone. Poi, col tempo, escono delicate note terziare di humus e caffè. Al gusto è decisamente asciutto, inquadrato, austero, con tannino ben fuso e chiusura sapida e lunghissima senza eccessi.


Michele Chiarlo - Barbera d’Asti Superiore DOCG Nizza “La Court” 2011: nato da uno dei Cru più importanti del Monferrato, questo Nizza, per la prima volta durante la degustazione, gioca una partita tutta sua dove l’eleganza e la sobrietà giocano un ruolo fondamentale. Naso subito etereo, prosegue poi con una decisa nota di viola, rosa, frutta rossa croccante, anice e pepe rosa. Al gusto è assolutamente coerente, insiste con classe sulla freschezza, sulla leggerezza e sulla perfetta integrazione tra tutte le componenti del vino che donano una beva assolutamente da urlo.


Tenuta Olim Bauda - Barbera d’Asti Superiore DOCG Nizza 2011: il vino di Gianni Bertolino, attuale Presidente dell’Associazione dei produttori del Nizza, chiude egregiamente la batteria di degustazione grazie ad un barbera di grande personalità aromatica dove crescono lentamente, ricchi ed articolati, eleganti profumi di rosa, violetta, lampone, pepe, grafite. Bocca che non molla: decisa, dinamica, dove alla grande potenza gustativa fa da contraltare l’inesauribile freschezza del barbera e la setosa tannicità. Ampio e persistente il finale dove le iniziali percezioni di dolcezza sono subito smussate da ritorni sapidi di grande eleganza ed integrità che invitano nuovamente alla beva che, in questi termini, diventa irrefrenabile.


Pfitscher - Alto Adige Lagrein DOC “Rivus” 2014 è il vino della settimana di Garantito IGP


Si cerca un vino buono buono ma non stressante per accompagnare un tubetto al ragù di moscardini, tipico piatto marinaro da barca. Scava e riscava e mi tocca questo Lagrein piovuto non so come nel mio cassetto dei sogni domenicali. 


Cercavo freschezza, frutto di sottobosco croccante ma non dolce, finale corroborante, amaro al punto giusto. Un piccolo grande vino di una piccola grande cantina attenta all'ambiente come poche altre. Un sorso, un boccone: piatto e vino finiscono e anche domenica è andata.

www.pfitscher.it