Bellissimo articolo tratta da
Affari Italiani che vorrei condividere con voi. Il vino può essere anche speranza di pace.
Nell'area tra Betlemme e Gerusalemme, s'incontra Cremisan: qui da 125 anni anni c'è chi unisce passione e competenza per dare un sapore di pace a una terra in cui da decenni non scorre latte e miele, ma violenza e divisione.
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Vigneti terrazzati e la Cantina Cremisan |
Immerso nella collina, all'ombra di ulivi secolari e di una grande pineta, Cremisan ha una storia più antica del conflitto israelo-palestinese. Nel 1863 don Antonio Belloni, sacerdote ligure missionario in Terra santa, inizia la sua opera di cura e aiuto di ragazzi orfani a Beit Jala, nell'area di Betlemme. Don Antonio riesce ad acquistare quattro grandi terreni a Betlemme, Beit Jemal, Cremisan e Nazareth.
Sono gli anni in cui cresce nel mondo la presenza della famiglia religiosa fondata da don Bosco e dedicata ai giovani. Don Belloni ne approfondisce il carisma e decide di diventare salesiano, donando alla congregazione anche le terre in cui aveva cominciato la sua opera.
A fine Ottocento a Cremisan viene aperto un centro di formazione che nel 1957 diverrà istituto teologico internazionale, attivo fino al 2004. Ma oltre alla cultura, don Belloni ha distillato anche vino, creando una cantina e iniziando la produzione vinicola.
Una scommessa che potrebbe sembrare azzardata in una terra a larga componente islamica. Il progetto, invece, ha richiamato in questo secolo esperti e coltivatori locali e internazionali, permettendo di dare lavoro a numerose famiglie.
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La Cantina Cremisan |
Lo spiega don Luciano Nordera, sacerdote veneto che da 24 anni vive e lavora a Cremisan: “Perché in un centro di spiritualità c’è una cantina? Don Belloni stesso l'ha fondata nel 1885, nelle grotte naturali della zona, e dopo quattro anni la trasferì dov’è oggi. Essa doveva finanziare la costruzione della casa di Cremisan e dar lavoro ai palestinesi, aspetto sociale sempre mantenuto. A Betlemme il sacerdote costruì anche un forno che ancora oggi garantisce ogni giorno il pane a famiglie in difficoltà”. “All'interno della cantina - continua don Luciano - lavorano in modo stabile circa 25 operai cristiani e musulmani. Altre 25 famiglie collaborano nelle fasi di realizzazione di grandi progetti, come il terrazzamento di nuovi vigneti, la raccolta della nostra uva, delle olive e la rivendita del vino”.
Lavoratori qualificati, ottimi vitigni, selezione accurata dell'uva sono i tre segreti con cui don Luciano spiega la qualità dei vini Cremisan, che alla base hanno la scelta di una “coltivazione biologica, non chimica”.
La selezione dei vitigni Hamdàni-Jàndali, Daboùki e Bàladi e il lavoro dell'enologo Andrea Bonini e dell'agronomo Roberto Paglierini, insiema ai coltivatori locali, hanno prodotto ottime annate di vini e creato una rete di distribuzione internazionale.
Attraverso il sostegno del VIS, della provincia di Trento e di vari sponsor, alcuni giovani palestinesi hanno studiato nuove tecniche di coltivazione nelle cantine di san Michele all'Adige. I vini bianchi e rossi, da tavola e da dessert (David’s Tower, Cabernet Sauvignon, Merlot, Chardonnay, Malvasia), insieme al brandy e al succo d'uva – a Cremisan si producono anche olio d'oliva, aceto, noci e mandorle – sono stati presentati con successo all'ultima edizione di Vinitaly nel mese di aprile.
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Etichetta |
Grazie alla cooperazione italiana e all’associazione tedesca per la Terra Santa sono stati fatti grandi lavori di terrazzamento, che devono ancora essere completati.
Tra i progetti in cantiere, la sostituzione delle attrezzature ormai obsolete. Cremisan non è però un'oasi nel deserto: il monastero è collocato all'interno della Green Line, i confini dei Territori palestinesi stabiliti dopo la guerra dei Sei giorni nel 1967. L'area è però stata annessa giuridicamente alla municipalità israeliana di Gerusalemme.
Nel mese di marzo l'esercito ha avviato la costruzione del Muro nella zona di Beit Jala, lambendo i vigneti di Cremisan e centinaia di ettari dell'area. Un comitato popolare che riunisce centinaia di palestinesi, israeliani e attivisti internazionali organizza ogni settimana manifestazioni nel vicino villaggio di al-Walaja, di fronte ai bulldozer al lavoro. Le proteste internazionali potrebbero spingere Israele a modificare il tracciato del Muro nell'area. Affinché la prossima vendemmia non sia l'ultima.