Era il 1668 quando ad un fraticello astemio di nome Dom Perignon, economo dell’abbazia di Hautviller, venne attribuito il più arduo dei compiti: togliere dai vini della Champagne le bollicine, apparente difetto che li rendeva fuori moda e scarsamente apprezzati dall’alta aristocrazia francese che preferiva molto di più i vini fermi della Borgogna.
Sembra strano ma è così, ai francesi non piaceva lo Champagne così come lo conosciamo noi, ci volle un po’ di tempo e la volontà di Luigi XIV di copiare i “vini frizzanti” dell’alta società inglese ai tempi di Carlo II, per far cambiare rotta al lavoro del frate permettendogli finalmente di dar vita a quel vino che gli fece esclamare davanti a tutti gli altri monaci: «Venite presto, fratelli, sto bevendo le stelle!».
Colmo di gioia, il cellérier dell’abbazia cominciò a fare esperimenti di vinificazione fino a che, da gran conoscitore di uve e terroir qual’era, non si inventò la prima cuvèe andando a mescolare più vini base derivati da diversi vitigni, vigneti e annate al fine di creare un nuovo vino che sia superiore a ognuno dei suoi componenti.
Chissà se, a quel tempo, poteva immaginarsi il futuro successo dello Champagne, chissà se ride o piange a vedere quaggiù schiere di sommelier decantare quella strana bottiglia che porta il suo nome, chissà se, trecento anni dopo, il Dom Perignon 1964 che ho nel bicchiere è minimamente simile a quello da lui “inventato”. Chissà.
Di certo il nostro fraticello non conosceva il biscotto Plasmon, il torroncino alle mandorle o la caramella mou, non poteva sapere che il suo vino invecchia bene, benissimo, fornendo emozioni a distanza di anni.
on poteva sapere che mettendo il naso riesco a sentire il caffè, gli agrumi canditi, la frutta secca, il caramello e la pesca, sì la pesca, quello stesso frutto che, insieme alla cannella e all’acquavite “bruciata”, rappresentava la ricetta segreta, confidata in punto di morte al suo successore, per ottenere un grande Champagne.
Bere questo 1964 non vuol dire solo appropriarsi di un tocco di storia del vino ma, soprattutto, far propri i sogni e le speranze di quel fraticello francese perché davvero, ancora dopo 300 anni, quelle bollicine mi hanno permesso, anche solo per un secondo, di poter vedere le stelle.