Strana la vita, oggi davanti a me ci sono invece solo vini rossi, sei per l’esattezza, che l’azienda chiama “I Patriarchi” perché provenienti da vigne ultracentenarie sia di Sirica che di Aglianico.
Il Sirica 2007, in anteprima assoluta, nasce dall’omonimo vitigno le cui prime testimonianze si fanno risalire a Plinio che cita il vitigno “Siriana” o “Syricus” tra le uve coltivate nella Campania romana e ne attribuisce il nome da syricum, un colorante rosso allora molto diffuso.
Descritta come un’aminea nera, uva tra le più pregiate dell’epoca, per Catone la Sirica era stata introdotta sei secoli prima della fondazione di Roma da una regione abitata dai Seri.
Più recentemente è stata formulata l’ipotesi che il suo nome derivi dall’antica città ionica di Siri, vicina a Metaponto, divenuta Eraclea dopo la seconda guerra punica.
La storia contemporanea vede gli agronomi di Feudi di San Gregorio ritrovare tre viti prefillosseriche di Sirica che, con l’aiuto dell’Università di Napoli e Milano, sono state studiate e propagate fino a raggiungere l’estensione di circa 10 ettari.
Il vino che ho nel bicchiere si presenta di grande concentrazione cromatica, quasi impenetrabile, che si apre su toni aromatici di sciroppo di mirtillo, mora di rovo, amarena, spezie dolce ed un leggero balsamico finale. Naso apparentemente semplice che si scontra, invece, con una bocca più complessa che si caratterizza per un ingresso morbido, fruttato, a cui si contrappone da subito una sferzante acidità ed un tannino vellutato di grande eleganza. Buona la progressione finale del vino.. Il Sirica è affinato in barrique di secondo passaggio anche se si sta sperimentando l’evoluzione in acciaio.
Gli altri due patriarchi hanno il nome di Taurasi, presentato nel millesimo 2007 (ancora in affinamento in bottiglia) e 2008 (ancora in affinamento in botte).
Il 2008 è un campione da botte per cui va valutato così come e cioè con un naso ancora troppo dolce per il legno non assorbito e dove, scavando scavando, si possono notare sentori floreali e fruttati. Non c’è (ancora) la spezia del 2007. In bocca è inaspettatamente equilibrato, appetitoso, di grande polpa e persistenza. Da aspettare sicuramente anche se, in prospettiva, lo metto sotto alla precedente annata.
Passiamo ora all’Aglianico del Vulture, proposto anch’esso sia nel millesimo 2007 (in commercio) che 2008 (da botte).
Nel Vulture, Feudi di San Gregorio è approdata ormai da circa dieci anni per attuare uno specifico progetto: approfondire la conoscenza dell'Aglianico - che sembrerebbe aver visto la luce proprio in questa splendida terra - e diffonderla nel mondo. I vigneti ubicati nel comune di Barile - cuore della recentissima DOCG Aglianico del Vulture - sorgono su una pendice lavica, baciati dal sole dall'alba al tramonto. Un vecchio impianto a "piede franco", tra ulivi secolari, conserva ancora la tradizionale forma di allevamento, ormai scomparsa, del capanno.
Il 2007 è puro terroir vulcanico, grafite, pietra lavica inizialmente picchiano forte, poi la gentilezza della viola, dell’eucalipto e della visciola esce fuori e dona al vino un carattere meno prepotente. Al sorso cattura il palato con un’esplosione di sapori che ben richiama il naso, soprattutto il finale è da ricordare per la sua sapida persistenza finale.
Nel 2008, campione di botte, le sensazioni minerali passano in secondo piano, dominanti in questo bicchiere sono i caratteri floreali e balsamici del vino che rimangono comunque in formazione.
In bocca si palesa tutta la gioventù dell’Aglianico che, nonostante i nostri sforzi di vederlo in futuro, rimane abbastanza interlocutorio. Si farà. Spero.