Josko Gravner e la sua posta....del cuore

Tra i vari vignaioli capaci di dare un’anima al vino sicuramente annovero quel grande uomo che ha questo nome e cognome: Josko Gravner.
Ebbene, cercando notizie per porre redigere un piccolo articolo su di lui, ho scoperto che fino a
poco tempo fa il nostro amato produttore teneva un’interessante rubrica o, meglio, un fermo posta dove, quando poteva o voleva, rispondeva ad una variegata schiera di appassionati di vino che gli ponevano le più disparate domande o che facevano lui i meritati complimenti.
Peccato che la sua rubrica sia finita (l’ultima risposta ad un lettore risale ad aprile 2009) anche se, conoscendo il personaggio e la scarsa propensione ad internet, non mi aspettavo nulla di infinito e, comunque, cadenzato.

Peccato, dicevo, che tutto sia finito perché dalle sue risposte ho potuto capire meglio il contadino Graver, la sua filosofia e, soprattutto, come la sua idio
sincrasia a tutto ciò che sembra commerciale.
Un esempio? Rispondendo ad una lettrice che lo rimproverava sulla sua mancata presenza ad un evento targato “Vini naturali” scrive semplicemente così:” Gentile signora Antonella,mi spiace davvero che lei e altre persone siano state illuse di una mia presenza, di certo tutto non è dipeso da me, infatti non ho mai detto o solamente pensato di parteciparvi.

Questo non perché io mi senta superiore agli altri produttori, solamente che io non credo “più” a questo tipo di cose, a queste associazioni fra produttori, forse mi sbaglio, ma questo è quello che penso, e non saranno i Vini Veri, i Vini Naturali, i Grand Crù d’Italia ecc..a farmi cambiare idea”.

Interessante è anche il modo in col quale contestualizza il suo lavoro e il suo mestiere:” …… come già detto più volte non sono un Maestro, faccio il Contadino, il Contadino volutamente scritto con la “C” maiuscola [….]. Ho sempre detto che per me fare Vino è filosofia non enologia e
Oliviero Toscani scrive che un contadino è uguale ad un filosofo, questo è il più bel complimento che poteva fare a chi fa “veramente” il mio mestiere”.
Un contadino che fa del vino la sua filosofia e dal carattere a volte burbero come dimostra questa risposta ad un enotecario di Torino che si lamentava di cercare (invano) di avere contatti con lui nonostante fosse cliente da anni:”………la tua lettera non è la prima ne sarà l’ultima che r
icevo…cosa vuoi che ti dica? Sono fatto così, è passato troppo tempo ora mai per cambiare il mio carattere e forse non lo vorrei neppure cambiare.
La mia azienda è la mia casa ma nel vero senso della parola, e forse è proprio questo che mi porta a proteggerla, molte volte lascio fuori dalla porta persone davvero interessanti mentre altre volte faccio entrare delle persone che con me e con i mie vini non hanno nulla a che fare…il mio chiud
ermi con me stesso non è altro che una protezione, con questo non voglio dire che sia giusto, ma non voglio che neppure gli altri mi dicano quello che sia giusto o sbagliato.
Comunque alla fine di tutto spero che i mie vini le piacciano essendo la cosa più importante…più di andare in giro per cantine, costruite solo per stupire i visitatori”.

Tra le righe delle sue tante risposte anche un breve cenno al suo rapporto con Daniele Cernilli, accusato da lettore di esser stato in passato un grande nemico di Gravner.
Ecco la sua risposta:”… non giudico l’uomo per quello che mi può dare, non stringo amicizie per interessi. Ho persone amiche che non amano i mie vini, ma questo non va ad influire sul resto. E’ vero ci sono stati anni in cui Daniele non amava i mie vini ma come lui il resto del mondo, e allora??? Io avevo messo in conto tutto questo, ma sapevo dove volevo arrivare e una volta arrivato in molti mi hanno dato ragione, Daniele era uno di questi.

Ho conosciuto Daniele tanti anni fa, di lui mi ha sempre colpito la sua memoria e la sua cultura, ma in particolare la sua umiltà, siamo due persone che si stimano, i premi le critiche non mi interessano vanno evengono, quello che resta alla fine di tutto è la nostra faccia".


Un vero peccato che sia terminata (spero per poco) questa rubrica, una vera chicca per chi ama il vino ma, visto le ultime tragedie che lo hanno colpito, penso che Gravner si sia chiuso ancor di più in se stesso e non abbia molta voglia di parlare col mondo.
Ingiusto, tutto davvero maledettamente ingiusto!

Roma VinoExcellence - altro breve aggiornamento

Ieri due grandissime verticali bolgheresi. Martedì riordino tutti gli appunti ma vi posso anticipare che il millesimo 2004 a Bolgheri è stato fantastico con due grandi espressioni di Sassicaia e Paleo, davvero straordinari in termini di complessità e bevibilità.
Bevuto con grande godimento immediato anche il Caberlot 2005 e 2006, vino sicuramente unico nel suo genere, di grande struttura e intensità aromatica che ha il solo grande difetto: viene prodotto solo in poche magnum. Altro difettuccio? Talmento "mostro" che non riuscirei ad abbinarlo facilmente.
A breve altre impressioni...

Roma VinoExcellence & Merano WineFestival - aggiornamento

Tornato ora dall'evento dopo tre supe verticali di Cà del Bosco - Anna Maria Clementi, Taurasi Mastroberardino e Castello di Ama Chianti Bellavista.
Primi giudizi: grandissimo l'Anna Maria Clementi 1979, ottimo il Bellavista 2006 ma, una spanna sopra tutti, il Taurasi Mastroberardino Riserva 1968, uno dei migliori vini italiani di sempre.
Apocalittico!
A breve per una recensione completa della prima giornata

Al via il Roma VinoExcellence & Merano WineFestival

Oggi inizia il Roma VinoExcellence & Merano WineFestival, una nuova iniziativa del Merano Wine Festival, che dopo 18 anni di attività, è conosciuto in tutto il mondo per essere, insieme al Vinitaly, la più importante manifestazione di vino d’Italia.
Una manifestazione studiata e voluta da Helmut Koecher e Ian D’Agata negli anni, dedicata al vino di qualità per il grande pubblico e per i produttori, offrendo a tutti un progetto unico e
di grandissimo prestigio.
Helmut Köc
he
r, ideatore e presidente del MIWF, noto per la professionalità nella selezione delle aziende vitivinicole da tutto il mondo nei diciotto anni di storia del MIWF, e Ian D'Agata, uno dei più noti e sopratutto credibili wine writer del mondo, responsabile per l'Italia dell'International Wine Cellar e autore di guide e testi sul vino (fra cui la prima guida scritta da un italiano per una prestigiosa casa editrice USA, “The Ecco guide to the Best wines of Italy” delle Ecco/Harper Collins), hanno voluto ricreare il Merano WineFestival delle origini, quando le aziende prescelte non erano più di cento, scegliendo Roma, capitale d’Italia e primo mercato del vino della nazione.

Con Stefania saremo sicuramente presenti alla manifestazione iniziando il "percorso di vino" alle 10.30 con la partecipazione al Convegno:
l Sangiovese oggi, splendori e miserie di un grandissimo vitigno italiano.

Seguite gli aggiornamenti in diretta!

Senza alcol o con alcol sintetico. Che vino volete? Parte II

Qualche post fa, avallato da molti illustri pareri, avevo espresso forti dubbi circa il successo commerciale del vino dealcolato sottolineando il fatto che, perdendo parte delle sue fondamentali caratteristiche, si trasformava in un qualcosa di diverso, ad una bevanda e come tale doveva esser trattato.
Un’altra soluzione per evitare tutti i danni derivanti dall’eccessivo consumo di alcol (parlo di danni alla salute e al portafoglio) potrebbe essere rappresentata dall’alcol sintetico.
Secondo il Telegraph, l'invenzione arriva dall'Imperial College di Londra ed è firmata dal controverso David Nutt, psichiatra, neuro farmacologo e consulente governativo recentemente allontanato dalla sua carica dopo forti polemiche attorno ad alcuni suoi pareri su cannabis ed ecstasy, da lui considerati meno dannosi di alcol e tabacco.
Basato sulle benzodiazepine che già hanno regalato al Valium la sua popolarità mondiale, l'alcol sintetico agisce sul sistema nervoso regalando le stesse sensazioni di benessere e relax dell'alcol tradizionale.
La sua azione però non si estende al sistema motorio ed i suoi effetti non generano pericolosa dipendenza. Inoltre, la sua capacità di essere rapidamente rimosso dall'organismo, consentirà di realizzare una ipotetica pillola in grado di "spegnere" istantaneamente effetti quali stato confusionale e tasso alcolico.
Una sorta di antidoto che consente di mettersi alla guida dopo aver bevuto e tornare serenamente a casa senza timore di incidenti e punti persi sulla patente.
Il team di scienziati che lavora con David Nutt è ora alla ricerca della miscela giusta di benzodiazepine per arrivare alla formula finale. Il liquido sarà anche completamente insapore, così da essere utilizzato come base per qualsiasi bevanda alcolica, eliminando definitivamente la necessità di utilizzare l'alcol tradizionale.
Se davvero riuscirà a raggiungere il mercato e non rivelerà risvolti inaspettati per la salute, l'invenzione di Nutt potrebbe disegnare un futuro in cui l'alcol si libera dei suoi problemi, diventando esclusivamente piacere di vita.

Volete un mio commento? Non mi passa nemmeno per l’anticamera del cervello l’idea di bermi una bottiglia di vino che contiene un misterioso composto chimico a base di psicofarmaci (le benzodiazepine, appunto).
Tra vino senza alcol e vino con alcol sintetico non scelgo nessuno dei due, prediligerò sempre e solo un impagabile bicchiere di buon vino, quell’elisir che proviene dalla fermentazione alcolica del mosto d’uva che, tra con tutti i suoi difetti, possiede un elemento unico al mondo: la possibilità di aggregare persone e di far passare a queste una splendida giornata.

Con l'Enoclub Siena alla scoperta delle osterie senesi e del Chianti Classico Riserva Rancia

Sabato scorso con Stefania abbiamo rinnovato il gemellaggio con l’Enoclub Siena capitanato, come sempre, da Davide che per l’occasione ha organizzato un giro itinerante per le osterie di Siena, un tour, e lo premetto subito, che ci ha fatto tuffare per qualche ora nella vera cultura senese fatta di rivalità fra contrade, ironia toscana, ottimi vini (grande la verticale di Riserva Rancia organizzata) e grandissime opere d’arte.

I
niziamo il giro presso l’enoteca I Terzi dove, assieme ad ottimi crostini, ci viene servito il primo vino della giornata, uno Champagne Jérôme Prévost - La Closerie - Cuvée Les Beguines. Pinot Meunier 100% (e questo fornisce un’idea della prima chicca della giornata) invecchiato totalmente in legno, offre al naso intense sensazioni di mela cotogna, marzapane, nocciola, camomilla, farina di castagne. Se pensavate ad un vino dimesso vi sbagliate, in bocca è una lama acida, freschissimo e di grande sapidità (proviene da un terreno a prevalenza calcarea). Ottima la persistenza finale per un prodotto molto raro (ne fanno circa 6000 bottiglie) proveniente da un allievo di Anselme Selosse.
L'arco de' Pontani, in un angolo tutto senese, cova la pro
ssima osteria, Il Grattacielo, un posto che, a discapito del nome, è piccolo piccolo e col soffitto basso, all’interno del quale si trova la veracità senese fatta vecchietti mezzi ubrachi che parlano di Palio e di contrade, di storie più o meno immaginarie e di vita vissuta. Un piatto di salumi e il vino della casa (nemmeno male) ci hanno fatto immergere in questo angolo (sperduto) di Toscana.
Veloci come il vento siamo passati “Da Trombicche Vinaio”, altro locale tipico dove, assieme ad ottime zuppe toscane, abbiamo degustato la prima bottiglia della verticale Chianti Classico Riserva Rancia della Fattoria Felsina.
La 1998 è di grande personalità, presenta un naso profondo, di grande austerità se vogliamo, avvolge con le sensazioni di amarena, ribes nero, humus, china e ferro. Bocca di grandissimo equilibrio e setosità. Un vero nobile in bottiglia.
Ultima osteria, andiamo alla “Compagnia dei Vinattieri”, un locale bellissimo e di gran classe che sta agli antipodi rispetto al Grattacielo. Qua, assieme ad uno squisito brasato, abbiamo terminato il giro sulla verticale di Riserva Rancia.
La 1997, nonostante la sbandierata grande annata, non mi convince appieno soprattutto al naso dove escono sbuffi eterei, si sente lo smalto per unghie, la vernice, poi esce fuo
ri il frutto rosso maturo e, col tempo, una leggera puzzetta che stenta ad andar via. Alla gustativa è meglio, potente, caldo e persistente. Disarmonico.
La 1995 ha un naso più femminile, quasi dolciastro, dove si avverte chiaramente la visciola, l’amarena stramatura, i fiori rossi appassiti e un tocco ematico. Al gusto non intriga, troppo molle soprattutto se paragonato alla 9
8 che aveva un impatto granitico.
La 1994 ha un naso più diretto, preciso, la frutta, i fiori rossi e un leggero minerale/speziato si amalgamano tra di loro fornendo un ventaglio olfattivo non di grande dinamicità ma comunque
interessante. In bocca colpisce per la pulizia e la fresca acidità finale. Stiamo crescendo.
La 1993 è quella che forse mi ha più intrigato. Annata che parte sottovalutata ma che, invece, ci mette davanti ad un Chianti Classico dai toni alti, sia per l’intensità olfattiva dove la vi è una elegantissima terziarizzazione, sia per la qualità gustativa dove tutto è di grande impatto, dalla struttura fino ad arrivare all’interminabile persistenza. Sorpresa.

La 1990 è sicuramente il campione della serata insieme alla ’93, siamo di fronte ad una grandissima annata che, per null
a intimidita, si è mostrata da subito nel bicchiere con effetti psichedelici di frutti di bosco, china, terra bruciata, caffè, chiodi di garofano. Al palato è compatto, carnoso, a tratti maestoso nella sua irruenza ancora giovanile che ne fa di un vino ancora in divenire nonostante si fatichi a lasciarlo per troppo tempo nel bicchiere.

Concludo ringraziando tutti per la splendida giornata: Davide, Alberto, Patrick e la sua ragazza, Stefania…grazie di tutto e alla prossima, magari a Roma per un giro itinerante all’ombra del Colosseo.

Senza alcol o con alcol sintetico. Che vino volete?

Su internet e sulla carta stampata ormai non si parla d’altro, soprattutto dopo i severi limiti imposti dalla legge. Di cosa parliamo? Semplice, dell’alcol e del suo utilizzo o, meglio, del suo possibile non uso in campo enologico.

Due sono le correnti ideologiche: produrre vino senza alcol oppure produrre vino con alcol sintetico.

Per quanto riguarda il primo punto, come sappiamo, dal al 1° agosto è possibile vendere ed
acquistare in tutta Europa il vino senza alcool, nel quale è stato eliminato parte dell'alcol naturalmente contenuto attraverso pratiche enologiche industriali (che vi illustrerò in un altro post).
Lo scopo di produrre un vino dealcolato può essere duplice e cioè: pro
porre nuovi prodotti per le comunità ebraiche e musulmane e creare prodotti che possano permettere di superare i test alcolometrici.
La domanda, come diceva qualcuno, nasce spontanea: può dirsi vino, che è il risultato di una fermentazione alcolica, quello a cui poi, durante il processo produttivo, viene tolto tutto l'alcol?


Davvero un vino senza alcol mantiene tutti i benefici del vino di qualità?


Risponde a questa seconda domanda Andrea Poli, direttore della Nutrition Foundation of Italy, che sul Corriere.it osserva: «Sono francamente perplesso. I benefici cardiovascolari del vino, c'è poco da girarci intorno, derivano dal suo contenuto di alcol: non a caso si osservano anche con altre bevande alcoliche.
La proporzione di effetti positivi sul sistema cardiovascolare che dipende dalla presenza dei tanto decantati antiossidanti, resveratrolo in primis, è molto piccola: prima di tutto perché mediamente queste sostanze sono assorbite in maniera modesta dal nostro organismo, per cui per garantircene quantità consistenti dal vino dovremmo bere fino a star male – spiega l'esperto –. In secondo luogo, l'uomo ha un elevatissimo potere antiossidante “intrinseco”: se diciamo che il nostro “livello antiossidante base” è mille, introdurre resveratrolo attraverso il vino potrà spostare di uno o due questo valore. In sostanza, credere in un potere cardioprotettivo di un vino senza alcol è illusorio: per godere dei benefici del buon vino sul cuore non resta che berlo responsabilmente», taglia corto Poli.

Per rispondere, invece, alla domanda se un vino così possa esser chiamato tale, dal mio punto di vista la questione nemmeno si pone. Il vino deve essere vino, deve essere il risultato della f
ermentazione alcolica attraverso la quale lo zucchero si trasforma in alcol e altre sostanze. Commercializzare prodotti diversi con questo nome potrebbe generare confusione, a questo punto chiamiamoli bevande, surrogati, ma non vino. Se poi consideriamo l’aspetto sensoriale degustativo, è risaputo e fin troppo evidente che l'alcol svolge un ruolo fondamentale sia nell'equilibrio del vino sia nella percezione gustativa e tattile. Un vino senza alcol, mediamente, sarà sicuramente di mediocre qualità, un prodotto certamente diverso e come tale dovrebbe essere visto.

Pensate inoltre che i giovani ameranno questa bevanda? Per alcuni il vino senza alcol rappresenterebbe una delle soluzioni anti-sballo, non si rischia l’ubriacatura e tutte le possibili conseguenze. Di nuovo, su questo tema, Poli manifesta più di un dubbio: «I ragazzi che bevono non lo fanno certo perché vogliono godere dei benefici del vino. Se lo fanno, soprattutto, è per cercare gli effetti ansiolitici e disinibitori dell'alcol. Commercializzare un vino senza alcol con la pretesa di convincere i ragazzi a berlo perché così non sballano mi sembra avviarsi verso il più sicuro degli insuccessi: se funzionasse, certo, sarebbe risolutivo. Ma non credo che un vino simile possa far presa sui giovanissimi».

A questo punto le vie di uscita sono due: bere moderatamente (la mia preferita) oppure bere i vini con alcol sintetico……

Il mondo del vino piange Anna Martinengo, la regina del Barbera

E' morta Anna Bologna, poco più che sessantenne. Le campane del suo paese Rocchetta Tanaro, ai confini tra l'Astigiano e l'Alessandrino hanno suonato ieri pomeriggio per salutare questa straordinaria donna del vino che lottava da tempo contro un tumore. Anna Martinengo, fino al giorno di Natale del 1990 era conosciuta nel mondo del vino, soprattutto come la moglie di Giacomo Bologna: un colosso di simpatia e un genio enologico, scomparso a soli 52 anni. Fu lui a rilanciare la barbera partendo da «La Monella», briosa e beverina, e il possente «Bricco dell’Uccellone». Giacomo aveva il progetto di far costruire una nuova cantina. Ma la malattia lo vinse.

Anna da quel Natale di vent'anni fa si ritrovò sola, con due figli. «Dopo i giorni del lutto da un’altra azienda piemontese, mi fecero sapere che se avevo intenzione di vendere loro erano disposti. Capivano le mie difficoltà...». Ma non avevano messo in conto la capacità di questa donna di Belveglio, solida e tenace come una quercia. Decise di far costruire la nuova cantina, solo lambita, per fortuna, dalle acque del Tanaro nell’alluvione del 1994.

Negli anni scorsi con l'aiuto di Luigi Veronelli e altri amici ha organizzato un premio alla "Qualità della vita" dedicato al marito. Tra i premiati amche Gianni Rivera e Padre Eligio che erano stati coinvolti dalla simpatia della famiglia Bologna. A Rocchetta il fratello di Giacomo ha un famoso ristorante e i vini dell'azienda Braida sono conosciuti in tutto il mondo.

Vendemmia dopo vendemmia l’azienda si è consolidata: oggi firma oltre mezzo miliome di bottiglie, ha 35 ettari di vigne, un fatturato di 5 milioni di euro e 18 dipendenti. Per il 40% vende all’estero. Raffaella, il ritratto vivente del padre, segue le vendite in tutto il mondo con Norbert il marito austriaco che ha lasciato la laure in medicina per amore. Beppe con la moglie Cristina cura i vigneti e la cantina che è stata recentemente allargata.

Anna fino all'ultimo ha fatto la nonna dei bei nipotini e fino all'ultimo sulle decisioni importanti è stata lei con il buonsenso a decidere, «come avrebbe fatto Giacomo», il marito che l'aspettava tra i filari del cielo.

Fonte: La Stampa. Articolo di Sergio Miravalle

Andiamo in enoteca? Sì, da Ikea.....

Articolo che fa riflettere quello de Il Sole 24 Ore che dedica una spazio importante al rapporto tra vino e grande distribuzione.

In particolare, nell'articolo a firma di Manuela Soressi, si parla di grandi e piccole manovre che coinvolgono il vino, ormai ritenuto anche dalle principali multinazionali distributive come un prodotto-chiave per attrarre i consumatori. Perché, a dispetto della crisi dei consumi, il vino è sempre di più una bevanda che fa status e che, soprattutto sui mercati più giovani (come quello statunitense), detta gusti e mode. Inquesto modo si aprono nuovi canali commerciali che possono rivelarsi un'opportunità interessante anche per il vino made in Italy.

La sperimentazione di Starbucks

La prima notizia che ha attratto l'interesse dei mass-media è la caduta di un tabù: Starbucks, la catena di caffetterie più grande del mondo con oltre 16mila punti vendita in una cinquantina di paesi, ha sdoganato l'alcol. Si tratta solo di un test, ma, viste le dimensioni e la potenza del gruppo, è un segnale da non sottovalutare. Starbucks ha scelto la sua città natale, Seattle, per verificare un nuovo format, trasformando uno dei suoi locali storici in “15th Avenue Coffee and Tea”. Se l'insegna non lascia presagire molto di nuovo, in realtà all'interno le novità non mancano: a cominciare dall'offerta di vini e birre, con menu del giorno, che si affiancano ai classici te e caffè. E poi musica dal vivo con dj set per un locale che si dichiara “ispirato da Starbuck'” ma che calca soprattutto la mano sull'atmosfera europea, cibi e bevande comprese.

Franciacorta in salsa svedese

Starbucks non è solo sulla strada della valorizzazione del vino. Anche Ikea ha novità in questa direzione. Nei bar di alcuni store italiani viene proposto il prosecco biologico, mentre in altri nella zona ristorante è comparsa l'enoteca Ikea, con bottiglie di vino bianco, rosso e prosecco fornite da un produttore della Franciacorta e in vendita nel banco frigorifero del ristorante. Insieme al vino, Ikea suggerisce anche i calici perfetti per la degustazione.

Chianti e Lambrusco sugli scaffali di mezzo mondo

È il caso di Auchan (presente in 13 paesi e con 39,5 miliardi di euro di fatturato 2008) che ha varato di recente l'Operazione Prodotti Paesi Latini nel Mondo per promuovere prodotti, sapori e stili alimentari dei principali paesi europei. Nell'iniziativa commerciale, che ha preso il via in settembre, è coinvolto un assortimento di referenze provenienti da Spagna, Portogallo, Francia del Sud e Italia. Gli “ambasciatori” del food&beverage italiano sono circa 200, perlopiù private label, in rappresentanza delle principali merceologie, a partire proprio dal vino. La catena distributiva ha aspettative positive su questo progetto internazionale, che è stato messo a punto sulla base del successo riscosso da Operazione Prodotti Italiani 2008, un altro mega-evento promozionale che ha visto 171 referenze italiane sbarcare nei punti vendita della catena presenti in sette paesi (Francia, Spagna, Portogallo, Ungheria, Romania, Polonia e Cina).

Una particolare attenzione viene dedicata al prodotto forse più nobile della tradizione alimentare italiana: il vino, che attualmente rappresenta il 5% del fatturato export realizzato dall'insegna. Dal 2008 Auchan porta la cultura vinicola italiana in Ungheria, Romania, Polonia, Cina, Francia, Spagna, e Portogallo con i prodotti che partecipano all'Operazione Vini dal Mondo. La collezione, che oggi comprende un Chianti, due Lambrusco e un Primitivo di Manduria, viene etichettata per l'occasione con la traduzione nelle lingue dei Paesi di destinazione.
Inoltre, in occasione di Vinitaly 2009, Auchan Italia ha presentato alle strutture acquisti di 13 Paesi la produzione vinicola italiana e li ha messi in contatto con fornitori potenzialmente interessati all'esportazione diretta verso altri paesi della rete Auchan.
Così 10 etichette italiane, fra cui un Nero d'Avola, un Valpolicella e un Barolo, entreranno anell'assortimento continuativo degli ipermercati Auchan in 9 paesi europei.

Come riciclare il pessimo vino regalato dalla zia?

Siete dei rossisti e la vostra lontana zia vi ha regalato l’ennesima bottiglia di Falanghina comprata al supermercato in offerta speciale?
Siete dei grandi sommelier e i vostri amici, per fare bella figura con voi, vi hanno regalato un vecchio Barolo del 1947 morto e stramorto col livello del vino ormai a metà bottiglia? Vi fa schifo il vino e come ogni anno vi regalano una cassetta di cabernet del discount?

Bene, c’è un solo imperativo per voi: riciclare

La cosa non sembra così strana visto che, secondo l'osservatorio dell'Adoc, raddoppiano rispetto allo scorso anno i regali riciclati, che sono ormai quasi il 15% dei regali complessivamente ricevuti, ovvero un regalo su sei, e raddoppiano anche quelli messi in vendita su E-Bay. In particolare, sempre secondo l’Adoc, il vino rappresenta un buon 10% del totale dei regali riciclati.

Non male come percentuale se si pensa che è dietro solo alle solite cravatte e ai guanti e cappellini vari.

Allora che fare con queste bottiglie “scomode”?

Oltre al classico consiglio di metterle in vendita su Ebay, ma solo nel caso abbiano un minimo di valore economico, Percorsi di Vino vi fornisce, tra il serio e il faceto, qualche consiglio utile per il riciclo:
  • creare un serbatoio d’acqua per le piante quando partite per le ferie;
  • se avete delle magnum, svuotatele e con la bottiglia fate dei lumi;
  • creare delle dei portavasi moderni;
  • creare un simpatico recinto al vostro giardino
  • creare degli scaffali a casa vostra;
  • creare un tavolo;
  • fare collane “enologiche”
  • creare dei bicchieri
  • creare dei portacandele;
  • creare dei lampadari;
  • creare dei simpatici piattini.
Basta un po’ di fantasia no?

Vini Naturali a Roma 2010 - Seconda giornata

Vini Naturali a Roma 2010, sicuramente un grande successo anche se tanta gente a volte è deleteria per chi come me vorrebbe cercare di parlare qualche minuto col produttore preferito e magari prendere qualche appunto sul suo taccuino reso improponibile dalle tante botte delle persone che richiedevano l’ennesimo bicchiere di vino. Mission Impossibile.

Vabbè, detto questo, provo a buttar già qualche note dei vini che la scorsa domenica mi hanno colpito di più:

Franco Terpin – Sauvignon 2006: a me questi vini naturali fanno impazzire, sia dal colore che dai profumi non direi proprio si tratti di quel vitigno, alla cieca perderei alla grande. Colore ambrato e una complessità esplosiva che va dalla scorza di arancio allo zenzero, dal mallo di noce alla pietra minerale per eccellenza. Vino di grande struttura ed equilibrio grazie ad una sferzante acidità di fondo. Forse da meditazione o abbinato a qualche pesce molto grasso e strutturato.

Kristancic/Nando – Rebula 2004: la canzone “anvedi come balla Nando….” da oggi diventa “anvedi come vinifica Nando….”! Un estremista della macerazione sulle bucce questo Andrei Kristinacic che, con i suoi 5 ettari di vigneto posti a pochi passi dal collio italiano, tira fuori una ribolla esplosiva che ha un tannino quasi da sagrantino. Buono sicuramente, estremo, forse troppo per berne una bottiglia a tavola .

Oasi degli Angeli: Casolanetti mi doveva far provare il famoso Kupra però domenica non si è visto. M’ha dato la sòla!!! J

Ar.Pe.Pe.: qua non mi invento nulla, siamo di fronte ad un grandissimo produttore che, contrariamente ad ogni criterio commerciale, mette in vendita il suo vino quando lui pensa sia pronto. A parte un sempre grandissimo ed incantevole Sassella Rocce Rosse 1997, il mio palato e il mio cuore sono andati persi per il Grumello Buon Consiglio Riserva 1999, un vino timido che rilascia suadenti note di rabarbaro, chinotto, semi di papavero e una florealità di grande classe. Mi dicono che è ancora giovane ed inespresso…..

Azienda Agricola Antoniolo - Gattinara San Francesco 2004: più diretto ed essenziale rispetto al suo fratellone Osso San Granato, questo nebbiolo si fa sempre bere con grande gusto, trovo un frutto rosso perfettamente integrato con la componente floreale e speziata. Bocca solida, compatta, con un tannino di buona fattura e un finale ricco di acidità che richiama costantemente la mano verso l’ennesimo bicchiere.

Paolo Bea – Montefalco Rosso Riserva 2004: ebbene sì, rispetto al tanto osannato Sagrantino ho trovato questo vino di una categoria superiore, forse perché più pronto, forse perché dotato di una bevibilità disarmante. Intenso, frutta, fiori rossi e spezie sono armonicamente fusi all’interno di un registro olfattivo di grande personalità. Bocca calda, fresca, di ottima struttura tannica. Buoni i ritorni di frutta e spezie.

Il Cantante – Sicilia Igt Bianco 2007: da vigne di oltre 40 anni poste a 1200 metri di altezza nasce questo vino estremamente affascinante, di ottima spinta acido-sapida, che presenta un bouquet aromatico e gustativo fatto di fruttini gialli, mandorla e pietra bianca. Ottima la struttura e la persistenza finale. Da segnalare anche l’Etna Rosso 2002, da vigne di oltre cento anni di Nerello Mascalese e Nerello Cappuccio ottimamente combinati per dar vita ad un vino che ha tutta l’anima irrequieta del vulcano.

Altre ottime bevute:

Podere Le Boncie – Le Trame Chianti Classico 2006: ancora un vino oscuro, in divenire, che comunque rivela una struttura e una grinta da vero fuoriclasse. Da aspettare sicuramente.

Graci – Quota 600 Etna Rosso 2006: grande rosso da Nerello Mascalese, dotato di tanta frutta rossa, mineralità, terrosità e una persistenza da vero campione.


Alla prossima!

Piccolo report su Vini Naturali a Roma 2010

Bella giornata ieri a Vini Naturali Roma 2010, manifestazione creata ed organizzata da Tiziana Gallo. Bella giornata perché, in uno spazio non troppo grande, ho potuto bere vini di grande spessore e, cosa più importante, ho incontrato amici vecchi e nuovi come il mio “collega” Jacopo Cosatter con il quale ho condiviso qualche bicchiere. Butto giù qualche nota su quanto degustato fino ad ora con la promessa di approfondire successivamente.

Champagne Raymond Boulard Prestige Tradition
(Chardonnay 50 %, Pinot Noir 30%, Pinot Meunier 20%): sarà stato il caldo dell’ambiente o il fatto che la bottiglia era aperta da tanto, però mi aspettavo molto di più da questo champagne che si caratterizza per una buona sapidità e per una bocca poco convincente, specialmente in persistenza.

Klinec: lo sloveno timido, come amano definirlo, coltiva 5 ettari di vitigni vari con il sistema dell'agricoltura biodinamica nei pressi di Medana, non lontano dal castello di Dobrovo. Ho degustato in questo caso solo vini bianchi, splendidi, a partire da una Rebula 2007 dalla splendide note agrumate e di fiori, fino ad arrivare ad un Pinot Grigio 2007, dal colore aranciato (vedi foto) che, nel berlo, richiamava intensamente tutti i profumi e i caratteri della buccia dell’uva. Straordinario nella sua tipicità e caratterizzazione. Da non dimenticare, sempre di Klinec, il suo Tocai e la sua Malvasia.
Ciro Picariello: il suo Fiano di Avellino mi incanta sempre, per me la migliore tipologia di questo vigneto. Il 2005 mi intriga per la sua complessità mentre l’ultima annata in commercio, la 2007, è un’esplosione aromatica che non lascia mai la bocca. Un vino che riflette il produttore.
Azienda Agricola Bonaccorsi: altra scoperta, tra i vari vini da segnalare un posto d’onore lo attribuisco sicuramente al Valcerasa Etna Bianco 2007, 100% Carricante allevato ad alberello, caratterizzato da grande acidità e sapidità e profumi complessi. Forse sull’Etna hanno trovato l’altra faccia (bianca) del nerello mascalese.
Emidio Pepe: c’è chi lo odia per i suoi vini a volte “puzzettosi” mentre io, invece, lo amo visceralmente per le emozioni che il suo Montepulciano a volte sa dare, soprattutto nelle grande annate come il 2001 bevuto ieri, un vino di una eleganza netta e disarmante.
Bonavita: molti hanno parlato prima di me del loro Faro, un giusto mix di Nerello mascalese, Nerello cappuccio e Nocera che tra spezie e odori eterei ci porta in un’altra dimensione sensoriale. Ottimo anche il loro rosato, stesso uvaggio del Faro, che rappresenta un’ottima risposta allo stile provenzale.
Radikon: non c’è molto da dire su quest’altro artigiano del vino se non che il loro Merlot 1997 rappresenta un velluto sul mio palato e sulla mia anima. Oggi proverò i loro bianchi.
Oasi degli Angeli: oltre al “solito” Kurni, che nella versione 2007 trovo leggermente più equilibrato, da segnalare c’è soprattutto il loro Fragile 2000, Trebbiano vinificato in stile sherry che esce dopo aver fatto circa otto anni di botte. Un vino spiazzante, grasso, complesso, che non può esser paragonato a nulla se non a se stesso sia per complessità aromatica (ogni descrittore va bene secondo me) sia per impatto gusto-olfattivo (esplosivo). Peccato che sia una riserva privata e, per questo, un vino virtuale.
Camillo Donati: il Mio Lambrusco 2007 rappresenta una risposta, profonda e complessa, a tutte le bottiglie di “vinaccio” emiliano che troviamo in giro per i supermercati italiani. Non c’è dolcezza e stucchevolezza aromatica, la frutta nera si mischia alla terra, tutto è irresistibilmente speziato. Beva compulsiva.

Vini Naturali a Roma 2010

Torna a Vini Naturali a Roma, l’evento curato da Tiziana Gallo che, dopo il successo dello scorso anno, ha voluto bissare organizzando questa seconda edizione.

Il fine della manifestazione è permettere al consumatore di conoscere e degustare vini prodotti nel rispetto del territorio, della vite e quindi della natura. Alla manifestazione saranno presenti vignaioli aderenti a varie associazioni quali
Vini Veri, VinNatur, Triple "A", Renaissance Italia oltre ad alcuni indipendenti.

Sarà possibile degustare ai banchi di assaggio il 30 e 31 gennaio e il 1 febbraio 2010 presso le sale dell'
Hotel Columbus in via della Conciliazione, 33.

Noi di Percorsi di Vino saremo là con altri blogger ed appassionati romani, magari scopro qualcosa di davvero interessante all’interno di un modo che ancora non mi convince pienamente.


State sintonizzati perché ci saranno aggiornamenti costanti sull’evento.

Podere San Lorenzo, piccoli grandi Brunello crescono a Montalcino

Ho conosciuto Luciano Ciolfi quasi due anni fa, un rapporto di stima reciproca che si è concretizzato e ha preso vita solo qualche mese fa in occasione di Benvenuto Brunello 2009, happening enologico che raduna tutti i produttori del famoso vino toscano che, anno dopo anno, mostrano al mondo in anteprima il loro Brunello.
Luciano Ciolfi e Podere San Lorenzo sono una giovane realtà ilcinese, un connubio di tradizione ed innovazione che sta conquistando, vendemmia dopo vendemmia, bottiglia dopo bottiglia, traguardi importanti sia in Italia che all’estero.
Luciano è l’ultimo di cinque generazioni di vignaioli autentici, con la terra nel sangue, che ha preso il meglio da suo nonno Bramante e da suo padre Paolo (che lavorano tuttora in azienda) per ricercare un solo obiettivo: produrre un Brunello di Montalcino eccellente. Sanlorenzo si trova sul versante sud-ovest del comune di Montalcino e si sviluppa a 500 metri di altitudine sulla cresta delle colline che dal poggio della Civitella si allungano morbide fino al fiume Ombrone. I terreni si estendono sui due versanti delle colline, con il bosco verso nord e la Val d'Arbia, e i vigneti esposti verso sud e la Maremma.
Il terreno è mediamente argilloso e ricco di pietre, tendenzialmente magro e arido.
Il particolare microclima e le precipitazioni concentrate nei mesi primaverili e tardo autunnali caratterizzano la crescita dei tipici vitigni autoctoni e conferiscono alle uve un aroma unico. Sono quattro le principali vigne del podere: le principesse di Sanlorenzo. Si trovano nel versante sud della proprietà e sono esposte verso est o verso ovest, a seconda della morfologia naturale del territorio.
La "principessa della luce" esposta a sud-est è, fra tutte, la preferita dal Sole che la scalda dall'alba fino al tramonto. E' la vigna più grande con 6800 viti di Sangiovese Grosso che, per 1,4 ettari producono uve destinate a divenire Brunello di Montalcino, e per 0,4 ettari, Rosso di Montalcino.
La "principessa del risveglio" è la prima, al mattino, ad essere accarezzata dal sole. Quando ci si trova in questa vigna il silenzio è così intenso che sembra di essere soli al mondo. La principessa del risveglio è composta da due appezzamenti, impiantati a distanza di molti anni l'uno dall'altro, e coltivata a Sangiovese Grosso.
La "principessa di Bramante" è la vigna più antica, la signora del Brunello. Di sicuro è la più piccola per estensione, ma nessuno più di lei ha storie da raccontare e persone da ricordare. Dalla principessa di Bramante si produce unicamente Brunello di Montalcino che ha preso il nome di Bramante in onore del più anziano dei fondatori dell'azienda ancora in vita.
La "principessa di Lorenzo" è la vigna più giovane, anch'essa coltivata a Sangiovese Grosso rappresenta l’unione tra il passato e il futuro della famiglia. I suoi filari corrono giù lungo una piaggia scoscesa e nelle notti d'estate, quando la Luna è piena e il cielo limpido, i riflessi scintillano lungo i tralci e la principessa di Lorenzo sembra un pezzetto di cielo attraversato da milioni di stelle cadenti.
Durante l’anno le principesse vengono costantemente curate selezionando prima i tralci con la potatura verde che evita ammassi disomogenei di uva, successivamente, dal mese di agosto, selezionando i grappoli e controllando lo stato delle uve.
Verso la metà di settembre, si tolgono le foglie più vicine all'uva per
arieggiare e soleggiare i grappoli, e infine, di ottobre, si controlla l'avanzamento della maturazione perché per ogni vigna c'è un giorno esatto, che ogni anno viene scelto accuratamente, per iniziare la vendemmia che, di solito, cade verso la metà di ottobre, all'inizio dell'autunno, quando la terra è ancora tiepida dei solleoni estivi, e l'aria del mattino è già quella frizzante dell'autunno inoltrato. Immediatamente dopo raccolta, l'uva viene trasportata in cantina e accuratamente diraspata. Gli acini vengono spremuti e il tutto passa in apposite vasche d'acciaio dove avviene la fermentazione e la successiva macerazione che di solito ha la durata di 20-25 giorni ad una temperatura che varia dai 28 gradi dei primi giorni fino ai 20 degli ultimi giorni.
Durante tutto questo tempo vengono effettuate per
iodiche rimonte e delestage. Al termine della vinificazione il vino passa in vasche per il deposito dei residui solidi.
A questo punto, analizzando e assaggiando il vino, si decide la sua destinazione ultima, cioè se diverrà Rosso di Montalcino oppure Brunello di Montalcino.
Il vino destinato a diventare Rosso di Montalcino viene passato nei barriques senza togliere le fecce leggere.
Qui rimane per 10 mesi e viene periodicamente sottoposto a batonage. Trascorso questo tempo viene imbottigliato e lasciato riposare per almeno altri 3 mesi. Il Rosso di Montalcino viene messo in commercio dal febbraio del secondo anno dopo la vendemmia.

Il Brunello viene messo a riposare in grandi botti di legno da 30 ettolitri per 3 anni. Al termine di questo lungo periodo viene passato in acciaio per il tempo
necessario e successivamente imbottigliato e lasciato di nuovo riposare per almeno 6 mesi. Il Brunello di Montalcino viene messo in commercio dal primo gennaio del quinto anno successivo alla vendemmia.
L'annata 2004, come ormai anche i sassi sanno, si è distinta per il suo andamento climatico equilibrato, roba da far meritare al Brunello di tale millesimo il voto massimo delle cinque stelle.


Per i vigneti di Sanlorenzo questa (presunta) ottima annata si ritrova anche nel bicchiere dove il vino presenta al naso con un bouquet molto intenso di viola, ribes nero, mora e un filo di spezie scure. Al palato mostra stoffa da vendere con una trama tannica molto levigata, potente ed elegante.
Vino di grande personalità, davvero gustoso, da bere con un filetto di manzo alle ciliegie.

Foto tratte dalla rete

Arriva il personal wine shopper?

Sembra essere l’ultima tendenza del momento o, meglio, la professione del futuro: il personal food-shopper.
Leggendo l’articolo comparso tempo fa su TGCOM comprendiamo che questo consulente si occupa di accompagnare il goloso cliente tra i migliori indirizzi della città per permettergli di mangiare e/o acquistare i migliori prodotti enogastronomici.
Spiega
Alessandra Lepri, storica del costume e organizzatrice di sfilate ed eventi di moda: "Si tratta di una professione già diffusa in America, che va a braccetto con quella del 'personal shopper' e che sicuramente prenderà piede anche qui. Cibo, vino, olio, tartufi, cioccolato, formaggi e altre delizie sono apprezzatissimi dai turisti e dagli italiani stessi che vogliono conoscere anche questo aspetto della città in cui si trovano. Un 'food shopper' saprà indicare i prodotti tipici da acquistare, accompagnerà alle degustazioni, conoscerà i ristoranti, osterie, enoteche, cantine e non solo".

Proprio quest’ultima frase mi ha acceso la famosa lampadina: e perché no un wine-shopper? Accompagnare i tanti appassionati di vino in giro per le cantine del Lazio e d’Italia, far conoscere loro direttamente i produttori che potranno vendergli le bottiglie a prezzo di cantina, organizzare wine tasting personalizzati, organizzare mini corsi di vino direttamente al domicilio del cliente, portarlo nelle migliori enoteche e consigliarlo nell’acquisto di un determinato vino e sul relativo abbinamento gastronomico.
Sogni, stronzate e possibile realtà? Intanto butto il sasso e di certo non nascondo la mano, oggi è solo un pensiero, domani chissà….

Un'enoteca storica della mia città: Trimani

Trimani per gli appassionati di vino romani rappresenta da sempre un nome e una garanzia. Qualche giorno fa, spulciando tra la rassegna stampa enologica nazionale, ho trovato questo articolo su Il Giornale.it che, ultimo di tanti altri articoli scritti in merito, va a suggellare storica e culturale di questa importante famiglia di vinai di Roma.

Ecco cosa hanno scritto:
Dal 1876 è un punto di riferimento per i romani. Uno dei più antichi negozi di vini della Capitale, tra i più importanti punti vendita specializzati d’Italia, Trimani affonda le proprie radici nel lontano 1821. «Si ha notizia certa che già a quell’epoca un mio avo, Francesco Trimani, vendesse vino in un negozio su via di Panico - spiega Marco, titolare dello storico negozio di via Goito -. Fu però nel 1876, dopo un momentaneo trasferimento in via di Porta Salaria, l’odierna via Piave, che iniziò la nostra vera attività.
Mio padre Pietro e io poi ci stabilimmo nell’attuale sede e da allora abbiamo adeguato il punto vendita a seconda delle richieste del mercato, passando da vinaio con cucina fino all’attuale negozio che conta circa 4mila referenze tra vini italiani e da tutto il mondo. Nel 1991, al negozio di vini si è poi affiancato il Wine Bar di via Cernaia».

Marco Trimani, che oggi gestisce l’attività assieme alla moglie Rosalena e ai figli Paolo, Carla, Francesco e Giovanni, è un fiume in piena. Stimato critico enologico (ha lavorato anche per la Treccani), animatore dei primi programmi tv dedicati all’enogastronomia, spetta a lui il merito di aver fatto conoscere il Brunello di Montalcino a Roma e a «importare» la moda del wine-bar.

La crisi lo ha sfiorato appena, anche per merito di una clientela affezionata attenta più alla qualità che al prezzo. «Negli ultimi 3-4 anni abbiamo riscontrato la ricerca di una qualità molto alta, per tutte le zone e per tutte le fasce di prezzo- continua Trimani-.

Proponiamo vini selezionati in anni ed anni di pazienti peregrinazioni e puntuali assaggi tra i viticoltori nazionali». Oltre a nobili, politici, attori, professionisti, la famiglia Trimani annovera tra i fedelissimi anche personaggi del passato quali Luigi Pirandello, Ignazio Silone, Vittorio Emanuele Orlando e l’artista Mino Maccari che disegnò per la famiglia il logo che ancora oggi li rappresenta in tutto il mondo: le tre mani stilizzate.

Anche il presidente Giuseppe Saragat si affidò ai Trimani per un ricevimento in onore della Regina Elisabetta d'Inghilterra nel 1969. «In quell’occasione- racconta Marco Trimani-, invece dello champagne il presidente fece servire spumante italiano, superando anche le perplessità di chi reputava inopportuno apportare modifiche al consueto cerimoniale».

Delle atmosfere di un tempo, Trimani ha conservato nel negozio alcuni arredi originali degli anni Venti. Oltre all’antica fontana per la mescita, vi è anche una lista di prezzi a parete con lettere in foglia d’oro datata 1919 in cui erano riportati i prezzi dei prodotti di maggior vendita di quegli anni (Vermouth, Marsala, Ferro China).

Oggi, vino e olio Marco Trimani se li produce pure da sé. È infatti titolare dell’azienda vitivinicola Colacicchi di Anagni (nota per il rosso Torre Ercolana), e proprietario di alcuni oliveti nella zona di Torri in Sabina, da cui ricava un olio extravergine d’oliva biologico Dop, il San Vittore degli Uccellatori.

Foto prese dalla rete

Fattoria Le Casalte - Vino Nobile di Montepulciano 2006


Il Nobile di Montepulciano è un vino che difficilmente è riuscito a piacermi, spesso, soprattutto nelle nuove annate, è troppo legnoso e, comunque, troppo internazionalmente pompato per poter piacere alle mie papille gustative.

Tutto questo fino a poco tempo fa, fino al giorno in cui
Armando Castagno mi fa fatto bere qualcosa di diverso, di sconosciuto, di nuovo, che ha generato in me un’esplosione sensoriale che richiede, per nutrirsi e per nutrirmi, altre dosi di quel prugnolo gentile. L’artefice inconsapevole di questa rinascita gustativa, oltre a Castagno, è stata l’azienda Le Casalte, piccola realtà agricola sita in località Sant’Albino, vicino Montepulciano, che col suo Vino Nobile base, millesimo 2006, mi ha permesso di capire quanto sbagliavo bollando come “non affine ai miei sensi” tutta una prestigiosa denominazione come quella del Vino Nobile di Montepulciano. La storia della Fattoria Le Casalte è un bellissimo racconto di famiglia. Tutto iniziò nel '75, quando Guido Barioffi e sua moglie Paola, decisero di acquistare un vecchio casale in rovina, sulle colline di Montepulciano. Ci volle tutta la caparbietà e la determinazione di Guido, che si mise a studiare enologia e agronomia non conoscendo nulla del settore, perchè in poco più di 30 anni di sacrifici, il sogno di una casa in campagna si trasformasse in una piccola azienda vinicola.



Per amore di un cavallo, dal '95 la figlia Chiara cominciò a passare i fine settimana a Montepulciano, cominciando a scoprire una realtà di vita ben diversa da quella cittadina di Roma. Sarà proprio lei ad affiancarsi successivamente al padre nella gestione dell'azienda. Oggi sono 13 gli ettari in produzione su questo altopiano a sud di Montepulciano posto a circa 400 metri s.l.m dove, con una media di 34 anni, possiamo trovare solo vigneti di Sangiovese, Canaiolo e Mammolo. Nulla di internazionale.

In cantina, grazie al lavoro di Paolo Salvi e, soprattutto, di Giulio Gambelli, tutto è perfettamente “tradizionale”: vinificazione in vasche di acciaio, spesso affiancate da tini tronco-conici e maturazione in botti grandi per circa due anni.

Nulla di pirotecnico, di gridato, così come il
Vino Nobile di Montepulciano 2006 che ora è nel mio bicchiere, una giusta combinazione di prugnolo gentile (80%), canaiolo (15%) e mammolo (5%) che creano una finezza aromatica e gustativa tutta da scoprire.
L’impatto olfattivo non è da vinone, anzi, tutto è sussurrato, le pennellate aromatiche sono lievi ma decise, ci sento il ferro, una bella nota minerale, cenni di spezie e di un frutto maturo che è lontano dall’essere stucchevole, sciropposo. In bocca si conferma ampio e vellutato, non invade la bocca come un barbaro, la vena acida è sorprendente come la bevibilità del vino che, per un Nobile di Montepulciano, non è cosa da poco.

Un vino certamente non facile, per chi cerca potenza e immediatezza consiglierei di virare verso altri prodotti. Se, invece, volete cercare, scavare tra le intime emozioni di ciò che bevete, questo è il mio e il vostro vino.