Iniziamo il giro presso l’enoteca I Terzi dove, assieme ad ottimi crostini, ci viene servito il primo vino della giornata, uno Champagne Jérôme Prévost - La Closerie - Cuvée Les Beguines. Pinot Meunier 100% (e questo fornisce un’idea della prima chicca della giornata) invecchiato totalmente in legno, offre al naso intense sensazioni di mela cotogna, marzapane, nocciola, camomilla, farina di castagne. Se pensavate ad un vino dimesso vi sbagliate, in bocca è una lama acida, freschissimo e di grande sapidità (proviene da un terreno a prevalenza calcarea). Ottima la persistenza finale per un prodotto molto raro (ne fanno circa 6000 bottiglie) proveniente da un allievo di Anselme Selosse.
L'arco de' Pontani, in un angolo tutto senese, cova la prossima osteria, Il Grattacielo, un posto che, a discapito del nome, è piccolo piccolo e col soffitto basso, all’interno del quale si trova la veracità senese fatta vecchietti mezzi ubrachi che parlano di Palio e di contrade, di storie più o meno immaginarie e di vita vissuta. Un piatto di salumi e il vino della casa (nemmeno male) ci hanno fatto immergere in questo angolo (sperduto) di Toscana.
Veloci come il vento siamo passati “Da Trombicche Vinaio”, altro locale tipico dove, assieme ad ottime zuppe toscane, abbiamo degustato la prima bottiglia della verticale Chianti Classico Riserva Rancia della Fattoria Felsina.
La 1998 è di grande personalità, presenta un naso profondo, di grande austerità se vogliamo, avvolge con le sensazioni di amarena, ribes nero, humus, china e ferro. Bocca di grandissimo equilibrio e setosità. Un vero nobile in bottiglia.
Ultima osteria, andiamo alla “Compagnia dei Vinattieri”, un locale bellissimo e di gran classe che sta agli antipodi rispetto al Grattacielo. Qua, assieme ad uno squisito brasato, abbiamo terminato il giro sulla verticale di Riserva Rancia.
La 1997, nonostante la sbandierata grande annata, non mi convince appieno soprattutto al naso dove escono sbuffi eterei, si sente lo smalto per unghie, la vernice, poi esce fuori il frutto rosso maturo e, col tempo, una leggera puzzetta che stenta ad andar via. Alla gustativa è meglio, potente, caldo e persistente. Disarmonico.
La 1995 ha un naso più femminile, quasi dolciastro, dove si avverte chiaramente la visciola, l’amarena stramatura, i fiori rossi appassiti e un tocco ematico. Al gusto non intriga, troppo molle soprattutto se paragonato alla 98 che aveva un impatto granitico.
La 1994 ha un naso più diretto, preciso, la frutta, i fiori rossi e un leggero minerale/speziato si amalgamano tra di loro fornendo un ventaglio olfattivo non di grande dinamicità ma comunque interessante. In bocca colpisce per la pulizia e la fresca acidità finale. Stiamo crescendo.
La 1993 è quella che forse mi ha più intrigato. Annata che parte sottovalutata ma che, invece, ci mette davanti ad un Chianti Classico dai toni alti, sia per l’intensità olfattiva dove la vi è una elegantissima terziarizzazione, sia per la qualità gustativa dove tutto è di grande impatto, dalla struttura fino ad arrivare all’interminabile persistenza. Sorpresa.
La 1990 è sicuramente il campione della serata insieme alla ’93, siamo di fronte ad una grandissima annata che, per nulla intimidita, si è mostrata da subito nel bicchiere con effetti psichedelici di frutti di bosco, china, terra bruciata, caffè, chiodi di garofano. Al palato è compatto, carnoso, a tratti maestoso nella sua irruenza ancora giovanile che ne fa di un vino ancora in divenire nonostante si fatichi a lasciarlo per troppo tempo nel bicchiere.
Concludo ringraziando tutti per la splendida giornata: Davide, Alberto, Patrick e la sua ragazza, Stefania…grazie di tutto e alla prossima, magari a Roma per un giro itinerante all’ombra del Colosseo.