Sarà la vigna ultratrentennale, saranno le argille su cui prospera, saranno i dodici mesi passati in acciaio sulle sue fecce e i sei in bottiglia, saranno i begli occhi di Letizia Cesani ma a noi questa Vernaccia pulita ma con gran nerbo, verticale e asciutta, lunga e gentile è piaciuta assai.
Domaine Comte Abbatucci - Faustine Vieilles Vignes 2017
Non lo beviamo perché biodinamico, e neanche perché nasce da vigne vecchie.
No. Questo vermentino corso coltivato una quarantina di chilometri a sud di Ajaccio rilascia precisi ed eleganti sentori di macchia mediterranea esprimendo appagante freschezza.
Il territorio del Vesuvio in tre grandi vini tutti da scoprire
di Luciano Pignataro
Tre
vini vesuviani per l’estate. Li abbiamo degustati nel corso del Festival della
Dieta Mediterranea organizzato nel Museo di Pioppi, nel cuore del Cilento, il
paesino dove visse a lungo il medico Ancel Keys studiando i comportamenti
alimentari delle popolazioni meridionali.
Il
Vesuvio, come ma non quanto l’Etna, è uno dei territori magici e onirici del
nostro Paese. Nel corso della sua storia ha eruttato in continuazione e dunque
questo silenzio che mantiene ormai dal 1944 è sicuramente una eccezione. Un
territorio pedoclimatico che chiudeva a sud la Campania Felix dei romani con il
fertile agro vesuviano. La pressione demografica, iniziata nel ‘600, ha
progressivamente ridotto gli spazi agricoli e le costruzioni selvagge degli
anni ’60 e ’70 hanno seriamente intaccato la bellezza dei luoghi, un tempo
borghi di pescatori o residenze di stile hollywoodiano, come Portici ed
Ercolano dove fu costruita la prima ferrovia proprio per collegare i nobili di
Chiaia alle loro ville in campagna.
Dal
punto di vista enologico, il Vesuvio è stata una delle dispense di Napoli: la
corona di vinificatori che circonda la città parte proprio da qui per chiudersi
poi al nord della città. Vino, vino e tanto vino per le mille taverne con uva
coltivata ma anche comprata ovunque, nel vicino Sannio come in Puglia, finanche
in Abruzzo. Poi, appunto, il declino di questo modello a partire dagli anni
’80, la pressione edilizia, lo sbandamento delle aziende tradizionali che si vedevano
anno dopo anno ridurre i margini.
A
partire dallo scorso decennio però abbiamo potuto registrare una ripresa basata
sulla viticoltura di qualità, saldamente legata ai vitigni locali vulcanici,
caprettone, catalanesca e piedirosso primi fra tutti, ma anche coda di volpe e,
in misura secondaria, falanghina e aglianico. Alcune aziende si sono
organizzate per l’accoglienza puntando sull’enorme flusso di turisti che visita
Pompei e la Penisola Sorrentina. Certo, ci sono delle contraddizioni
incredibili che andrebbero sciolte, prima fra tutte il fatto che il territorio
di Pompei, dove l’uva è coltivata persino dentro gli scavi e che serve alla
narrazione soprattutto quando si va all’estero, non rientra nella doc.
I
vini vesuviani hanno la caratteristica di essere beverini, non impegnativi,
sicuramente minerali, sapidi, con il finale amaro. Si accompagnano alla tavola
e sono bicchieri della gioia, da bere senza rituali liturgici complessi come la
messa ortodossa. Ma riservano anche sorprese inaspettate, come la incredibile
longevità di alcuni bianchi che regalano emozioni dopo molti anni. Il Vesuvio
insomma è sicuramente la nuova frontiera della piccola ma caratterizzata
viticultura campana e questi tre vini che vi segnaliamo lo dimostrano.
LA BOLLICINA
Casa Setaro - Caprettone Spumante Metodo Classico "Pietrafumante"
Questo
metodo classico con una sosta sui lieviti di 30 mesi dimostra come sia
interessante questa corsa alla spumantizzazione che del resto riflette la
mentalità anarchica italiana.
Un vino che nel 2017 ha vinto il primo Napoli
Wine Challenge. Perlage fine e sottile, sensazione di freschezza, chiusura
amarognola, beva decisamente intensa.
Circa
18 euro in enoteca.
Casa
Setaro è nel comune di Trecase, ha circa 12 ettari di vigna biologica che sul
Vesuvio sono una fazenda argentina, piantati nel 1960.
IL BIANCO
Cantine Olivella - Lacrima bianco Lacryma Christi 2018
Ritroviamo
il caprettone, stavolta insieme alla catalanesca, uva tipica del territorio a
nord del Vesuvio, di tradizione soprattutto nel comune di Somma Vesuviana. Il
progetto di Cantine Olivella si basa su queste due uve e sul piedirosso, senza
altri vitigni autoctoni campani. Come sappiano la 2018 è stata una vendemmia
difficile in Campania per le continue piogge di agosto che hanno messo in
difficoltà la sanità delle uve.
In questa apparizione pubblica il bianco,
lavorato solo in acciaio come ormai è tradizione in Campania, si è dimostrato
già in ottimo equilibrio, con note floreali di ginestra e di mela al naso e una
sostenuta acidità al palato che regala un sorso sottile e compiuto sino alla
chiusura amarognola molto precisa.
Circa
10 euro in enoteca
Catrine
Olivella è nel comune di Santa Anastasia e lavora in regime biologico sin dal
primo anno.
IL ROSSO
Territorio de’ Matroni - Lacryma Christi Rosso 2016
Il
giovane Andrea, ultima generazione di una famiglia del territorio, è tornato
alle origini laureandosi in enologia a Firenze e facendo esperienza in giro per
il mondo, vendemmia dopo vendemmia, dalla Napa Valley all’Australia. E’ tornato
con idee molto precise, a cominciare dalla decisione di piantare le viti
ad alberello (prima volta sul Vesuvio) per poi passare alla conduzione
biologica e in prospettiva biodinamica. Si tratta di un Piedirosso in purezza,
fermentato in acciaio ed evoluto in botte grande.
Un vino elegante, floreale,
appena un po’ fruttato, con rimandi fumé a fare da corollario. In bocca
essenziale, freschissimo, tannini setosi, chiusura piacevolmente amarognola.
Circa
15 euro in enoteca.
Cantine
Matrone si trova a Boscotrecase, ha quasi cinque ettari di vigneto e produce in
biologico.
Villa Russiz - Collio Chardonnay "Grǎfin de la Tour" 2014
di Carlo Macchi
Tranquilli,
il caldo non mi ha fatto male! Vi parlo di uno chardonnay in legno della
“tremenda” vendemmia 2014 perché non ho mai sentito tanto frutto
“coprire” così bene il legno, tanta freschezza in un corpo dove la barrique
lascia il segno, tanta finezza in una vendemmia tanto difficile.
Un vino
esemplare
Riflessioni guidaiole del primo agosto!
di Carlo Macchi
Con il caldo interrompo la
tradizione che mi vede pubblicare nel gruppo IGP una recensione di un locale o
di un vino per parlare… di vino. Più in particolare di guide vini, che in
questi giorni (almeno per quelle cartacee) stanno chiudendo il lavoro di
degustazione con gli assaggi finali.
A proposito di assaggi…
1.
“Non
ti ho mandato i vini perché li valuti sempre male e io mi sono rotto! Sei l’unico
(magari non è proprio vero ma non importa) che mi da questi voti bassi”. Al
produttore in questione non conviene nemmeno ricordare l’altissimo punteggio ad
un suo vino dato due anni fa.
2. “Non le abbiamo mandato i vini perché
quest’anno abbiamo deciso di non mandarli a nessuna guida”. Cosa non vera,
dimostrata telefonando ad amici che collaborano con un’importante guida
cartacea”
3. “Guarda, siete gli unici a cui mando i vini,
perché tutti gli altri mi trattano malissimo”. Ovvero l’altra faccia della
medaglia.
4.
“Scusi,
a parte il voto non adeguato, come ha
fatto a recensire il nostro xxxx se non glielo abbiamo mandato?”
“Semplice, l’ho comprato in enoteca!”
“Impossibile, il vino è uscito da pochi
giorni”. Segue invio scontrino scannerizzato dell’acquisto, fatto appunto
da pochi giorni.
5.
“Non vi
ho mandato il vino perché è finito!”
“Se è finito in cantina siamo contenti, ma
sicuramente non sarà finito in enoteca o a ristorante e quindi è adesso in
commercio.”
“E’ vero, ma…”
Questi sono solo alcuni degli esempi
che potrei fare delle difficoltà che ogni anno noi di winesurf e , credo, di
qualsiasi altra guida vini, incontriamo nel reperire i campioni per gli assaggi.
Naturalmente non considerando tutti quelli che si sono scordati di consegnarli,
che ti chiedono di passare a prenderli, che ti vogliono far degustare solo e
soltanto in cantina da loro, etc.
Tutte queste difficoltà mi
portano ad un'unica conclusione, che si trasforma sempre in un megadomandone
finale: per chi vengono fatte le guide
vini?
Da sempre, in particolare dalla
fine degli anni ottanta quando nacque la guida del Gambero Rosso, nell’aria c’è
stato un grande fraintendimento: I produttori hanno sempre visto le guide come
un modo a buon mercato per farsi pubblicità (e non si può negare che quella
“pubblicità a buon mercato” abbia molto spesso mandato avanti il settore) e
quindi, anche per i rapporti di amicizia che nel frattempo si erano creati con
i degustatori, ricevere un brutto voto non solo era visto come un danno
commerciale, ma quasi come il tradimento di un amico.
Dall’altra parte i lettori
(preferisco dire consultatori o fruitori) non hanno mai capito perfettamente
che tutto quel lavoro (e vi garantisco, era ed è veramente tanto) era ed è
fatto per loro. Per questo siamo passati dall’osannare una guida, giudicandola
dio in terra (ma magari consultandola facendosela prestare da un amico), al
criticarle tutte in quanto prezzolate, non serie, poco credibili,
autoreferenziali, elefantiache, inutili etc.
Quindi, da una parte i produttori
si sentono i referenti reali delle guide
e le vogliono a loro immagine e somiglianza, i fruitori non credono (o credono
poco) al valore delle guide e nel mezzo ci troviamo noi.
Se questa tendenza continuerà
ogni guida vini dovrebbe avere come sottotitolo “Dei vini che i produttori ci
hanno inviato” e rischierà, per assurdo, di parlare sempre bene di tutti i vini
degustati, altrimenti l’anno dopo non arriveranno i campioni.
Qualcuno potrebbe dire “Basta
andare a comprarli e il gioco è fatto!”, peccato che, oltre ad essere
finanziariamente insostenibile sia anche materialmente impossibile sia perché
richiederebbe un’organizzazione capillare per rintracciarli nelle varie
enoteche italiane, sia perché molti vini, al momento dell’assaggio, non sono
ancora in commercio. Per qualche vino puoi farlo ma certamente non per tutti.
Quindi si ritorna al punto di
partenza: o si parla bene di tutti (o quasi)
o non si fa la guida, ma che guida è una fatta con questo criterio?
Personalmente credo che il solo
fruitore di una guida sia il consumatore finale e noi “degustisti”, in futuro,
dovremo vestire sempre più i panni dei giornalisti, per andare in cerca delle
notizie (alias vini) che ci interessano. Tutto questo fregandosene alla grande
se i produttori vogliano o meno farci degustare i loro vini.
Mauro Sebaste - Langhe Bianco "Centobricchi" 2017
di Roberto Giuliani
Un viognier in purezza, e allora? Che c'è di strano? Mauro
Sebaste lo fermenta in botti da 400 litri e riesce a tirarne fuori un vino di
personalità, intenso, con tanto frutto, erbe aromatiche e una succosità
incredibile al palato, con acidità e sapidità generose nonostante l'annata
calda.
Buonissimo!
Miti di un tempo: Litra 1997 Abbazia Santa Anastasia
Forse non tutti se ne
ricordano, ma il 1997 è stato in qualche modo uno spartiacque nel mondo del
vino italiano, soprattutto dal punto di vista commerciale. Fu declamata annata
del secolo, partirono gli acquisti “en primeur” (ovvero di annate ancora non in
vendita, da prenotare a scatola chiusa), fu il periodo del trionfo del “nuovo
vino italiano”, grazie alla spinta mediatica ottenuta nel decennio precedente
con i vini ribelli, i cosiddetti “supertuscan”, ovvero quei vini prodotti al di
fuori di DOC e DOCG, come “semplici” IGT o Vini da Tavola, quelli i cui nomi
finivano per “aia”, “ello” e via discorrendo e che trascinarono ben presto dal
Piemonte alla Sicilia in un percorso alternativo alla ricerca di premi e
successi.
Uno degli enologi che
aprì la strada al rinnovamento fu certamente Giacomo Tachis, un rinnovamento
che coinvolse prima di tutto il comparto enologico e che fece presto proseliti
in varie parti d’Italia, non sempre con gli stessi risultati qualitativi.
Oggi, quell’immagine
del super vino si è un po’ sgonfiata, progressivamente si è passati dalle
concentrazioni esasperate e l’abuso di legno piccolo, alla ricerca di un sempre
minore e garbato intervento enologico, ma anche a una maggiore comprensione nei
confronti delle piante: continuare a forzare sulle basse rese, su produzioni
sempre più irrisorie per ceppo, significava anche produrre squilibri non
considerati, soprattutto man mano che il clima andava trasformandosi (vedi una
gradazione alcolica sempre più alta e un’acidità sempre meno adeguata,
correzioni e aggiustamenti che non consentono al vino di trovare i propri
equilibri naturali); inoltre le mode passano, si sa, fare vini potenti
significa che sono prodotti più da guida che da pasto, la richiesta si è poco a
poco spostata su vini meno manipolati e più digeribili, termine ancora troppo
poco considerato per il vino, mentre sul cibo è essenziale.
La crescita
esponenziale nel terzo millennio di vini biologici e biodinamici, la dice lunga
sulle nuove strade che questa bevanda sta prendendo, soprattutto oggi si
vogliono vini che non stancano, più “veri”, eccitanti, magari anche leggeri ma
che abbiano qualcosa da raccontare del luogo dove nascono, la prova del nove è
sempre a tavola: se la bottiglia viene velocemente finita, vuol dire che ha raggiunto
il suo obiettivo principale.
Abbazia Santa Anastasia - Panorama sui vigneti |
E il Litra 1997 dove si
colloca? Beh, il periodo era quello che abbiamo descritto, quindi non può
esimersi da avere certe caratteristiche, però ha dalla sua una tenuta e una
sorprendente vitalità che testimoniano comunque una qualità non comune.
Vado in cantina e
prelevo una delle due bottiglie che conservo dall’anno 2000.
Nonostante sia stata
coricata per quasi vent’anni, il tappo di 5 cm. è in perfette condizioni, solo
circa 1 centimetro è stato raggiunto dal liquido. Odore perfetto, di vino
maturo e null’altro.
Andiamo a vedere il
contenuto: il colore è un granato ancora compattissimo, senza cedimenti; la
tecnica enologica è indubbiamente perfetta, trovare un vino chiuso vent’anni in
bottiglia senza alcuna riduzione evidente è fenomeno davvero raro. Accostato al
naso non si fa fatica a riconoscere i tratti del cabernet sauvignon, non solo,
ma gli anni sembra portarseli molto bene; c’è ancora un frutto vivo e carnoso
che avvolge i sensi odorosi, prugna, ribes nero neanche tanto in confettura (ne
capitano di ben più maturi con meno anni di età), sensazioni di muschio,
leggero catrame, ematite, liquirizia, scatola di sigari, cacao amaro, cenni di
cuoio.
All’assaggio rivela la
sua grassezza, la ricerca di una concentrazione che, però, trova bilanciamento
in un’acidità decisa che richiama il cedro, un elemento che costituisce la
giusta impalcatura per dare slancio al sorso; acidità e cremosità che convivono
senza dare l’impressione di essere arrivati al capolinea.
Questo è un eccellente
risultato, non c’è che dire, anche se, onestamente, l’impressione è di un vino
un po’ “artificiale”, troppo voluto a tavolino, ineccepibile sul piano tecnico
ma che non mi emoziona né mi trasporta nell’amata Sicilia. Lo stesso approccio
che ho sempre ritrovato in vini come il sardo Turriga, sempre opera di Tachis. Erano
altri tempi, altre visioni, probabilmente necessarie per smuovere quella
polvere che, volenti o nolenti, si era depositata sull’immagine del vino
italiano. Del resto lo stesso Tachis in epoca più recente aveva cambiato rotta
in modo evidente, tanto da promuovere il vino “sano”, meno lavorato e
proveniente da vigne trattate il meno possibile.
Come noi (che ne siamo
i creatori) il vino ha un corpo e un’anima; quegli anni furono dedicati al
corpo…
Tenuta di Saragano – Sagrantino di Montefalco DOCG 2012
Di Andrea Petrini
Un piacere berlo. Balla scoperta!
L’utopia di Paolo Ghislandi raccontata in 10 annate di Bruma d’Autunno
Ho conosciuto Paolo Ghislandi,
deus ex
machina di Cascina I Carpini, oltre 12 anni fa quando, assieme a
pochi altri produttori, aveva già intuito le potenzialità dei social network
che a quei tempi, per il mondo del vino, avevano un solo nome: Vinix. Proprio
su questa piattaforma, ideata da Filippo Ronco, ho conosciuto e apprezzato
Paolo che, in maniera molto temeraria considerando il periodo, si era messo a
scrivere post su post al fine di far conoscere l’azienda agricola e la sua
filosofia ad un risicato, ma competente, pubblico di enonauti incalliti della
prima generazione.
Cascina I Carpini |
Col tempo, la stima e l’amicizia per Paolo sono talmente
cresciute che andai a trovarlo a Pozzol Groppo (AL), sui Colli Tortonesi, dove
attorno al 1998, laddove c’erano solo prati, boschi immacolati e una nutrita
fauna, sono stati piantati i primi due vigneti di timorasso e barbera che, nei
sogni di Paolo e sua sorella Maddalena, dovevano dar vita a quelli che sono
stati ribattezzati “vini d’arte”, cioè vini buoni prodotti nella piena
naturalità di un processo che, unendo tradizione e tecnica, rispetti appieno la
Terra e la vite fornendo prodotti in grado di evolvere nel tempo.
Il pallino del lungo
affinamento dei vini l’ha sempre avuto tanto che, qualche tempo fa, Paolo
Ghislandi ha voluto organizzare a Roma una bellissima verticale di Bruma di
Autunno (100% barbera) proprio perché voleva capire, anche lui stesso, a che
punto era il perseguimento di una delle sue tante “utopie” da vignaiolo.
Il vino, come già scritto,
deriva da una vigna di barbera del 1926 acquisitata nel 2003 con l’idea di
produrre, un po’ pazzamente, una Barbera da lungo invecchiamento alla stregua,
ad esempio, di un Brunello di Montalcino o di un Barolo. Come può avvenire
tutto ciò? Secondo Paolo attraverso una cura maniacale di tutto il processo produttivo
che parte con la raccolta dell’uva in piena maturazione (la barbera di certo
non ha problemi di caduta di acidità) che, successivamente, viene fermentata
lentamente in acciaio con solo lieviti indigeni. Il vino, appena terminata la
fermentazione, con tutte le sue fecce, viene passato in tonneaux di rovere
francese (media tostatura) a grana fine per tre anni dopo di che, stavolta in
acciaio, si riassemblano tutti i tonneaux in una massa unica per due anni.
Successivamene il vino, giunto ormai ad un buon punto di equilibrio, passa in
bottiglia dove affinerà per altri 4 anni minimo. Riepilogando, perciò, Bruma
d’Autunno è una Barbera che esce sul mercato dopo 10 anni per cui, facendo due
conti, l’ultima annata in commercio è la 2009.
vigna storica del 1926 |
Paolo Ghislandi è un utopista o
un visionario? Dopo tanto tempo ancora non l’ho capito ma per comprendere al
meglio la sua filosofia gettiamoci nelle note di degustazione della verticale
di Bruma d’Autunno che parte dall’annata 2013 (ovviamente in affinamento) per terminare
con la mitica prima annata ovvero la 2004.
Cascina
I Carpini - Bruma d’Autunno 2005: Paolo Ghislandi, tra il serio
e il faceto, durante la degustazione ripeteva spesso che il Bruma d’Autunno si
fa più giovane col passare del tempo. Pensavo, ovviamente, stesse scherzando ma
così non era visto che questo millesimo al naso si esprime con una complessità
aromatica quasi da vino appena messo in commercio. Si percepiscono, infatti,
intense sensazioni di ciliegia, fragola macerata, cera, fiori rossi ed una
intensa speziatura a corredo. Entra in bocca con eleganza, vibrante freschezza
e gustosa sapidità. Polposo e ricco chiude di bella persistenza ed armonia.
Cascina
I Carpini - Bruma d’Autunno 2004: e quando pensi che il
risultato della precedente annata sia irripetibile, come un 13 al totocalcio,
arriva la 2004 con un naso giovane e complesso dove ritrovo di nuovo la cera
d’api, la frutta nera polposa, le erbe officinali, le bacche, sbuffi di
torrefazione e echi balsamici. Al sorso non è un grande barbera, vibrante,
succoso, intenso ed elegante. Non so se rappresenti la quadratura del cerchio
rispetto al sogno iniziale di Paolo ma la strada è definita.
Alfio Nicolodi - Vigneti delle Dolomiti IGT Schiava Nera 2016
di Lorenzo Colombo
La Schiava è un vitigno che ci
piace molto e spesso beviamo vini prodotti con quest’uva. Li troviamo
estremamente duttili e di facile abbinamento con una moltitudine di piatti.
Quando
poi se ne trova una che regge benissimo anche il trascorrere del tempo, come
quella prodotta da Alfio Nicolodi si raggiungono i vertici dell’appagamento.
Cristina Inganni e i primi venti anni di Cantrina
di Lorenzo Colombo
Conosciamo Cristina Inganni da molti anni, praticamente dall’inizio della sua avventura nel mondo del vino; ci era stata presentata da un’amica produttrice in quel di Lugana e quindi abbiamo potuto assaggiare i suoi vini diverse volte nel corso degli anni.
2005 – Rubino-granato, intenso e luminoso.
2011 – Color rubino-purpureo, di discreta intensità.
2015 (Non ancora in commercio) – Rubino-purpureo-violaceo.
Sole di Dario
1999 – Color ambrato scarico.
Grandissimo (secondo noi) il 1999, seguito dal 2012.
Conosciamo Cristina Inganni da molti anni, praticamente dall’inizio della sua avventura nel mondo del vino; ci era stata presentata da un’amica produttrice in quel di Lugana e quindi abbiamo potuto assaggiare i suoi vini diverse volte nel corso degli anni.
Più tardi
abbiamo conosciuto anche Diego Lavo che è diventato successivamente
comproprietario dell’azienda Cantrina.
Cantrina è
una piccola frazione del comune di Bedizzole, qui nel 1999 Cristina Inganni
decide di portare avanti il sogno del marito Dario Dattoli ristoratore
bresciano -morto in un incidente l’anno prima- appassionato di vini francesi, aveva
impiantato una decina d’anni prima alcune vigne per la produzione di vini da
consumarsi nei propri locali.
In
quest’impresa le viene in aiuto Diego Lavo, che aveva un’azienda specializzata
in impianti di vigneti.
Nascono così
i primi tre vini, commercializzati a partire dall’annata 1999.
Nel corso
degli anni la superficie vitata è aumentata, ora sono otto gli ettari a
vigneto, divisi in tre diversi appezzamenti, per una produzione di circa 40
mila bottiglie, suddivise in otto diverse etichette.
In occasione
del ventennale della cantina, sono stati proposte tre verticali dei primi vini
prodotti dall’azienda, dalla prima annata, ovvero la 1999, sino a quelle
attualmente in commercio.
I tre vini,
che nel corso degli anni hanno visto notevoli cambiamenti nella loro
elaborazione sono: Igt Benaco Bresciano Bianco “Rinè”, Igt Benaco Bresciano
Rosso “Nepomuceno” e Vino Bianco Passito “Sole di Dario”.
Noi
c’eravamo, ecco quindi quant’abbiamo riportato:
Rinè
Attualmente il vino, che nel corso degli anni ha visto diverse modifiche, sia nella sua composizione, come nello stile produttivo, è composto da un blend di Riesling (65%), Chardonnay (30%) e Incrocio Manzoni (5%).
Attualmente il vino, che nel corso degli anni ha visto diverse modifiche, sia nella sua composizione, come nello stile produttivo, è composto da un blend di Riesling (65%), Chardonnay (30%) e Incrocio Manzoni (5%).
Riesling ed Incrocio Manzoni fermentano in acciaio, dove
maturano sulle proprie fecce per sei mesi, mentre parte dello Chardonnay
fermenta in tonneaux dove poi sosta per cinque mesi. La resa è di 40 hl/ettaro e le bottiglie prodotte sono
3.500. Parte delle uve provengono dai primi impianti, quelli del
1991.
1999 – Color giallo dorato luminoso.
1999 – Color giallo dorato luminoso.
Intenso al
naso, presenta decise note tostate e di caffè, il legno, ancora in evidenza,
non è stato completamente assorbito.
Discretamente
strutturato, sapido e succoso, ancora decisamente fresco, con legno in evidenza
e lunga persistenza.
2002 – Color oro antico, intenso e luminoso.
2002 – Color oro antico, intenso e luminoso.
Mediamente
intenso al naso, presenta note tostate ed affumicate, con leggeri accenni
d’idrocarburi.Succoso e
fresco, con sentori di legno dolce e note aromatiche, buona la persistenza. E’ il vino
che abbiamo preferito in questa batteria, ci ha ricordato stilisticamente
alcuni Borgogna.
2005 – Color
oro luminoso.
Di media
intensità olfattiva, si colgono leggere note di legno ed accenni idrocarburici. Fresco e
sapido, leggermente esile, con sentori d’idrocarburi su lunga persistenza.
2008 – Giallo dorato.
2008 – Giallo dorato.
Discretamente
intenso al naso, con note tostate-vanigliate e sentori di fiori appassiti.
Succoso e
molto fresco, verticale, con bella vena acida e note minerali, lunga la sua
persistenza. Altra annata
da porre ai vertici.
2013 – Color paglierino scarico, con riflessi verdolini.
2013 – Color paglierino scarico, con riflessi verdolini.
Di buona
intensità olfattiva, minerale, elegante, con sentori d’idrocarburi. Discretamente
strutturato, fresco, sapido verticale, con spiccata vena acida (citrino) e
lunga persistenza.
2017 (Non ancora in commercio) – Verdolino luminoso.
2017 (Non ancora in commercio) – Verdolino luminoso.
Di buona
intensità olfattiva, fresco e minerale, presenta sentori d’agrumi.
Fresco,
succoso, agrumato, minerale, leggermente esile, di media persistenza. Il vino che
maggiormente abbiamo apprezzato è stato quello dell’annata 2002, seguito a
ruota a quello del 2008.
Nepomuceno
Anche questo vino ha subito diverse modifiche nel corso degli anni, la sua composizione attuale prevede: 70% Merlot, 15% Rebo e 15% Marzemino.
Nepomuceno
Anche questo vino ha subito diverse modifiche nel corso degli anni, la sua composizione attuale prevede: 70% Merlot, 15% Rebo e 15% Marzemino.
Le uve
provengono da un vigneto di 1,35 ettari, collocato a circa 200 metri
d’altitudine che fornisce una resa di 50 ettolitri/ha.La
fermentazione avviene in acciaio, con lieviti indigeni, mentre l’affinamento,
per 18 mesi in tonneaux. Dopo
l’assemblaggio la massa riposa per ulteriori 18 mesi in botti di grandi
dimensioni. Se ne
producono circa 6.000 bottiglie/anno.
1999 –
Bellissimo il colore, rubino-purpureo luminoso. Quasi impensabile per un vino
di vent’anni d’età.
Intenso al
naso, vegetale (peperone), con frutto rosso ancora in evidenza (altra cosa
impressionante). Freschissimo
e succoso, con un bel frutto rosso e sentori di radici, buona la persistenza. In tutta
onestà non ci aspettavamo una simile tenuta nel tempo, soprattutto su simili
livelli.
2001 –
Campione purtroppo ingiudicabile, tutte le bottiglie aperte presentavano
purtroppo sentori di riduzione e ossidazione piuttosto pronunciati. Peccato.
2005 – Rubino-granato, intenso e luminoso.
Mediamente
intenso al naso, elegante, presenta leggere note balsamiche e di confettura.
Fresco,
balsamico, succoso, con un bel frutto rosso ed una buona trama tannica, note
dolci su lunga persistenza.
Bel naso,
intenso e balsamico, con accenni di radici e di salamoia.
Molto
fresco, elegante e complesso, con tannini importanti ma mai fastidiosi, sentori
di radici su lunghissima persistenza.
2011 – Color rubino-purpureo, di discreta intensità.
Mediamente
intenso al naso, delicato, con accenni aromatici e leggere note balsamiche.
Fresco,
pulito, fruttato, succoso, con tannini in perfetto equilibrio e buona
persistenza. 86-87
2015 (Non ancora in commercio) – Rubino-purpureo-violaceo.
Di media
intensità olfattiva, fruttato, presenta note balsamiche. Fresco e
pulito, con un bel frutto ed una buona persistenza. Ancora molto giovane.
Grandi vini quelli delle annate 1999, 2007 e 2005.
Grandi vini quelli delle annate 1999, 2007 e 2005.
Sole di Dario
Suavignon,
Semillion e Riesling compongono questo vino. Piantato nel 1991 con densità di
5.000 ceppi/ettaro, il piccolo vigneto, collocato accanto alla casa padronale
s’estende su 0,3 ettari, la resa è di 16,5 ettolitri/ha. Prodotto
unicamente in annate che possono garantirne la qualità, dopo un’accurata
selezione le uve vengono poste ad appassire in cassette per tre mesi, l
fermentazione avviene in barriques nuove, dove il vino rimane in affinamento
per ventiquattro mesi. Nell’annata
2012 ne sono state prodotte 1.290 (mezze) bottiglie.
1999 – Color ambrato scarico.
Intenso al
naso, presenta elegantissime note ossidative e sentori di caramella al
rabarbaro.
Fresco,
verticale, succoso, elegantissimo, si colgono sentori di rabarbaro e di
caramella all’orzo, lunghissima la sua persistenza. Un prodotto
di classe assoluta che ha retto meravigliosamente il passare del tempo.
2001 –
Ambrato-topazio di buona intensità.
Intenso al
naso, con sentori di caramella all’orzo. Molto
intenso al palato, piacevolmente ossidativo (ci ricorda uno Sherry).
2006 – Color
ambrato-topazio.
Discretamente
intenso al naso, elegante, con sentori di caramella all’orzo, datteri e fichi
secchi. Fresco al
palato, dove presenta una leggera pungenza, lunga la persistenza.
2009 –
Ambrato luminoso.
Mediamente
intenso al naso, dove si coglie frutta secca e sentori d’orzata. Fresco ed
intenso alla bocca, discreta la persistenza.
2012 –
Colore tra l’ambrato e l’oro antico.
Discretamente
intenso, al naso presenta sentori di canditi, datteri e fichi secchi. Fresco e
succoso, si colgono note di scorza d’arancio candito, lunghissima la sua
persistenza.
Grandissimo (secondo noi) il 1999, seguito dal 2012.
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