di Luciano Pignataro
Tre
vini vesuviani per l’estate. Li abbiamo degustati nel corso del Festival della
Dieta Mediterranea organizzato nel Museo di Pioppi, nel cuore del Cilento, il
paesino dove visse a lungo il medico Ancel Keys studiando i comportamenti
alimentari delle popolazioni meridionali.
Il
Vesuvio, come ma non quanto l’Etna, è uno dei territori magici e onirici del
nostro Paese. Nel corso della sua storia ha eruttato in continuazione e dunque
questo silenzio che mantiene ormai dal 1944 è sicuramente una eccezione. Un
territorio pedoclimatico che chiudeva a sud la Campania Felix dei romani con il
fertile agro vesuviano. La pressione demografica, iniziata nel ‘600, ha
progressivamente ridotto gli spazi agricoli e le costruzioni selvagge degli
anni ’60 e ’70 hanno seriamente intaccato la bellezza dei luoghi, un tempo
borghi di pescatori o residenze di stile hollywoodiano, come Portici ed
Ercolano dove fu costruita la prima ferrovia proprio per collegare i nobili di
Chiaia alle loro ville in campagna.
Dal
punto di vista enologico, il Vesuvio è stata una delle dispense di Napoli: la
corona di vinificatori che circonda la città parte proprio da qui per chiudersi
poi al nord della città. Vino, vino e tanto vino per le mille taverne con uva
coltivata ma anche comprata ovunque, nel vicino Sannio come in Puglia, finanche
in Abruzzo. Poi, appunto, il declino di questo modello a partire dagli anni
’80, la pressione edilizia, lo sbandamento delle aziende tradizionali che si vedevano
anno dopo anno ridurre i margini.
A
partire dallo scorso decennio però abbiamo potuto registrare una ripresa basata
sulla viticoltura di qualità, saldamente legata ai vitigni locali vulcanici,
caprettone, catalanesca e piedirosso primi fra tutti, ma anche coda di volpe e,
in misura secondaria, falanghina e aglianico. Alcune aziende si sono
organizzate per l’accoglienza puntando sull’enorme flusso di turisti che visita
Pompei e la Penisola Sorrentina. Certo, ci sono delle contraddizioni
incredibili che andrebbero sciolte, prima fra tutte il fatto che il territorio
di Pompei, dove l’uva è coltivata persino dentro gli scavi e che serve alla
narrazione soprattutto quando si va all’estero, non rientra nella doc.
I
vini vesuviani hanno la caratteristica di essere beverini, non impegnativi,
sicuramente minerali, sapidi, con il finale amaro. Si accompagnano alla tavola
e sono bicchieri della gioia, da bere senza rituali liturgici complessi come la
messa ortodossa. Ma riservano anche sorprese inaspettate, come la incredibile
longevità di alcuni bianchi che regalano emozioni dopo molti anni. Il Vesuvio
insomma è sicuramente la nuova frontiera della piccola ma caratterizzata
viticultura campana e questi tre vini che vi segnaliamo lo dimostrano.
LA BOLLICINA
Casa Setaro - Caprettone Spumante Metodo Classico "Pietrafumante"
Questo
metodo classico con una sosta sui lieviti di 30 mesi dimostra come sia
interessante questa corsa alla spumantizzazione che del resto riflette la
mentalità anarchica italiana.
Un vino che nel 2017 ha vinto il primo Napoli
Wine Challenge. Perlage fine e sottile, sensazione di freschezza, chiusura
amarognola, beva decisamente intensa.
Circa
18 euro in enoteca.
Casa
Setaro è nel comune di Trecase, ha circa 12 ettari di vigna biologica che sul
Vesuvio sono una fazenda argentina, piantati nel 1960.
IL BIANCO
Cantine Olivella - Lacrima bianco Lacryma Christi 2018
Ritroviamo
il caprettone, stavolta insieme alla catalanesca, uva tipica del territorio a
nord del Vesuvio, di tradizione soprattutto nel comune di Somma Vesuviana. Il
progetto di Cantine Olivella si basa su queste due uve e sul piedirosso, senza
altri vitigni autoctoni campani. Come sappiano la 2018 è stata una vendemmia
difficile in Campania per le continue piogge di agosto che hanno messo in
difficoltà la sanità delle uve.
In questa apparizione pubblica il bianco,
lavorato solo in acciaio come ormai è tradizione in Campania, si è dimostrato
già in ottimo equilibrio, con note floreali di ginestra e di mela al naso e una
sostenuta acidità al palato che regala un sorso sottile e compiuto sino alla
chiusura amarognola molto precisa.
Circa
10 euro in enoteca
Catrine
Olivella è nel comune di Santa Anastasia e lavora in regime biologico sin dal
primo anno.
IL ROSSO
Territorio de’ Matroni - Lacryma Christi Rosso 2016
Il
giovane Andrea, ultima generazione di una famiglia del territorio, è tornato
alle origini laureandosi in enologia a Firenze e facendo esperienza in giro per
il mondo, vendemmia dopo vendemmia, dalla Napa Valley all’Australia. E’ tornato
con idee molto precise, a cominciare dalla decisione di piantare le viti
ad alberello (prima volta sul Vesuvio) per poi passare alla conduzione
biologica e in prospettiva biodinamica. Si tratta di un Piedirosso in purezza,
fermentato in acciaio ed evoluto in botte grande.
Un vino elegante, floreale,
appena un po’ fruttato, con rimandi fumé a fare da corollario. In bocca
essenziale, freschissimo, tannini setosi, chiusura piacevolmente amarognola.
Circa
15 euro in enoteca.
Cantine
Matrone si trova a Boscotrecase, ha quasi cinque ettari di vigneto e produce in
biologico.
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