Cannolo siciliano, I love You!


Sicuramente è il re dei dolci siciliani e in Italia, prima o poi, tutti hanno avuto a che fare con questa squisitezza.
Oggi, ancora una volta, mi trasformo in food blogger alla ricerca del vero cannolo siciliano.
Facendo una rapida ricerca ho saputo che un tempo era degustato solo nel periodo di carnevale proprio perché sembra essere nato per scherzo in un dimenticato monastero e successivamente prodotto dalle pasticcerie locali in ogni periodo dell’anno.
La leggenda narra che il termine “cannolo” prenda il suo nome dalla parola volgare “canna”, ossia “rubinetto” in siciliano: un motteggio carnevalesco del tempo faceva uscire dal rubinetto crema di ricotta al posto dell’acqua. Da qui deriva lo scherzo carnevalesco e l’impiego in quel periodo.

Trapani by night
Bene, vista la mia trasferta trapanese, pensate potessi non andare alla ricerca del miglior cannolo siciliano?
Le dritte che mi sono state date erano due: la prima portava a Trapani città, da Angelino, mentre la seconda dirigeva le mie papille gustative verso Dattilo, un paesino a 10 Km da Trapani.
Angelo Galati, detto Angelino, è un palermitano classe 1932 che ben 44 anni fa ha aperto a Trapani una delle prime rosticcerie della città. La bontà dei prodotti è stata tale che questi hanno subito conquistato i trapanesi e "Angelino" è diventato un punto di riferimento fisso per chiunque volesse gustare le pizzette, inimitabili, i calzoni, le iris arancine e qualunque altro prodotto di rosticceria. Nel 1996 "Angelino" ha inaugurato un altro punto vendita lungo il porto dove, affianco alla consolidata produzione di rosticceria, ha iniziato quella di bar e pasticceria dove possiamo trovare  anche cassate, strudel e cannoli.


Preso dalla fame atavica ho acquistato da Angelino il mio primo cannolo trapanese che, rispetto agli standard romani, è risultato davvero ottimo, abbondante e con una cialda che ho trovato dal sapore molte abbastanza deciso, a metà strada tra il dolce e il salato. Nessuna ombra di canditi o granelle varie.

Cannoli di Angelino
Dattilo, frazione del Comune di Paceco, tra i golosi di tutta Italia è famosa solo ed esclusivamente per i suoi cannoli, prodotti all’interno dell’Euro bar, il principale ritrovo del piccolo paese siciliano.
I cannoli, rispetto ad Angelino, sono più lunghi e stretti ((la scòrza è lunga da 15 a 20 cm con un diametro di 4-5 cm) ma al tempo stesso pieni zeppi di meravigliosa ricotta poco zuccherata, non setacciata e anch’essa priva di canditi. La cialda è eccezionalmente croccante e dal sapore meno invasivo rispetto a quella di Angelino. Su richiesta vi possono dare le cialde vuote e la ricotta a parte in un contenitore; ciò vi sarà utile se dovrete consumare i cannoli a distanza di qualche ora e quindi impedire che la cialda si ammorbidisca.

Cannoli di Dattilo
Ancora Dattilo

Confronto tra Angelino ed Euro Bar di Dattilo
Chi ha vinto la sfida? Euro Bar a mani basse, basta un morso per comprendere la differenza col resto del mondo e capire perché tutti i siciliani adorano questo bar e le sue specialità che, oltre al cannolo, riguardano le Pesche (due semigusci di morbida pasta da dolci che abbracciano il ripieno di ricotta), le Patate (una palla ricoperta di cacao con all'interno pasta reale e marron glacè) e i Carciofi (pasta sfoglia morbida ricoperta di scaglie di mandorle con ripieno di crema pasticcera e crema al cacao).

Altre specialità dell'Euro Bar


La storia del vino riparte da una grotta in Armenia


Una ricerca finanziata anche dalla National Geographic Society ha portato alla scoperta sensazionali: gli abitanti che polarono la caverna nei pressi del villaggio di Areni non siano stati soltanto i primi calzolai della storia, ma anche i primi produttori di vino visto che gli archeologi hanno rinvenuto una pressa per l'uva, recipienti per la fermentazione e la conservazione del vino, coppe nonché resti di graspe, semi e bucce.

Un torchio per il vino (davanti al cartello) e un recipiente per la fermentazione (a destra) scoperti durante gli scavi in Armenia.
Fotografia per gentile concessione di Gregory Areshian
"Si tratta della più antica e affidabile testimonianza di produzione vinicola”, afferma l'archeologo Gregory Areshian della University of California di Los Angeles (UCLA). "Per la prima volta, disponiamo di un quadro archeologico completo, risalente a 6.100 anni fa, di questo tipo di attività”.

La presenza di queste strutture è stata individuata per la prima volta nel 2007, quando iniziarono gli scavi co-diretti da Areshian e dall'archeologo armeno Boris Gasparyan al complesso di grotte Areni-1.
Nel settembre 2010 gli archeologi hanno completato lo scavo di una vasca (un tino), profonda una sessantina di centimetri, sepolta accanto a un recipiente di argilla, lungo circa un metro, dai bordi alti: manufatti che indicherebbero che gli antichi vinificatori dell'Età del Rame avrebbero schiacciato l'uva in modo tradizionale, ossia con i piedi, afferma Areshian. Dal recipiente d'argilla il succo d'uva sarebbe poi defluito nel tino, e lì sarebbe stato lasciato a fermentare, spiega l'archeologo.
Secondo la ricerca, appena pubblicata sulla rivista Journal of Archaeological Science, il vino sarebbe poi stato custodito in giare e l'ambiente fresco e asciutto della grotta - ideale per una cantina - avrebbe fatto il resto.

Tracce di vino

Per verificare che la vasca e le anfore custodissero effettivamente del vino, gli archeologi hanno sottoposto ad analisi chimiche dei frammenti di ceramica (che il radiocarbonio ha datato fra il 4100 e il 4000 a.C.) in cerca di residui. Le analisi hanno rivelato tracce di malvidina, un pigmento vegetale appartenente alla famiglia dei flavonoidi a cui si deve in gran parte il colore rosso del vino. "La malvidina è il miglior indicatore chimico a noi noto della presenza di vino”, dice Areshian. L'esperto di vino nell'antichità Patrick E. McGovern, archeologo biomolecolare alla University of Pennsylvania Museum di Philadelphia, concorda sul fatto che il ritrovamento testimoni una produzione vinicola. Un elemento però che avrebbe supportato maggiormente questa ipotesi sarebbe stato il ritrovamento di tracce di acido tartarico, un altro indicatore della presenza di vino: la malvidina, spiega lo studioso, è presente infatti anche in altri frutti dell'area, come la melagrana. 

Uva e raspi di 6.100 anni fa

Vino e DNA 

McGovern definisce la scoperta "particolarmente significativa perché suggerisce l'esistenza di una produzione vinicola su larga scala, che a sua volta implica il fatto che la vite fosse già stata domesticata". Questo perché la vite domestica (Vitis vinifera sativa) produce un maggior numero di grappoli rispetto a quella selvatica (Vitis vinifera silvestris) e quindi sono necessarie strutture più ampie per la loro lavorazione.
McGovern ha rilevato testimonianze archeologiche di vino (ma non di una cantina per la sua produzione) in Iran che risalgono a 7.000 anni fa - un millennio prima quindi del recente ritrovamento in Armenia. Ma la scoperta di quella che sembra una produzione vinicola con uso di vite domestica nell'attuale Armenia, spiega McGovern, sembra coincidere con gli studi genetici condotti in precedenza sulle varietà di uva coltivata, che indicavano proprio le montagne dell'Armenia, della Georgia e dei Paesi limitrofi come la culla della viticultura. Secondo McGovern, l'uva di Areni avrebbe avuto un gusto simile a quello delle antiche varietà georgiane indicate come "antenate” del Pinot Nero.

Antichi rituali

Mentre l'identità degli antichi produttori di vino (e di scarpe) resta un mistero, sembra probabile che la loro cultura comprendesse rituali in cui si beveva per onorare i defunti, afferma Areshian.
"Attorno alle strutture per la produzione di vino sono state rinvenute una ventina di sepolture. C'era un cimitero, e la produzione di vino nella grotta era legato a questo aspetto rituale”, ipotizza lo studioso della UCLA. Non a caso attorno e all'interno delle sepolture sono state rinvenute coppe per bere. McGovern conferma che esempi più tardi di riti funerari legati all'alcol sono stati rinvenuti in tutto il mondo. Nell'antico Egitto, ad esempio, "vi sono dipinti all'interno delle tombe che mostrano anfore piene di birra e di vino provenineti dal Delta del Nilo che vengono offerte ai defunti”.
I prossimi scavi ad Areni saranno rivolti all'individuazione di ulteriori legami fra le sepolture e la produzione vinicola, dice Areshian.

Antica pressa per il vino

La rivoluzione del vino

La scoperta è particolarmente importante, affermano gli autori della ricerca (diretta da Hans Barnard della UCLA e finanziata dal Committee for Research and Exploration della National Geographic Society), perché la produzione vinicola è considerata una svolta molto significativa da un punto di vista sociale e tecnologico nelle società preistoriche. La coltivazione della vite, spiega Areshian, annuncia l'avvento di nuove e più sofisticate forme di agricoltura. 
"L'uomo ha dovuto imparare il ciclo di crescita delle piante”, dice lo studioso. “Ha dovuto capire quanta acqua fosse necessaria, come impedire che i funghi danneggiassero il raccolto, e cosa fare con gli insetti che vivono sui grappoli. Il sito getta nuova luce sulle prime fasi dell'orticultura, su come nacquero i primi frutteti e vigneti”. L'archeologa Naomi Miller della University of Pennsylvania commenta che "da un punto di vita nutrizionale e culinario, il vino espande le risorse alimentari in quanto riesce a sfruttare l'uva selvatica, altrimenti acida e immangiabile. Dal punto di vista sociale invece l'avvento delle bevande alcoliche ha cambiato, nel bene e nel male, il modo in cui ci rapportiamo l'uno all'altro nella società”.

Lo Champagne Armand de Brignac torna a far parlare di sè


Si è fatto conoscere dal grande pubblico qualche anno fa grazie a Jay-Z che gli ha fatto una gran bella pubblicità all'interno del video "Show Me What You Got".


Era il 2006 e il noto rapper aveva appena rotto il suo sodalizio con Louis Roederer (ed il Cristal) dopo aver ritenuto razzista un'intervista di Frédéric Rouzaud, direttore della storica Maison, che sulla pagine del settimanale "The Economist" aveva espresso la sua opinione sul binomio champagne/cultura hip-hop tanto di moda a quei tempi.
Dopo quasi cinque anni il nome Armand de Brignac torna di nuovo sulle cronache dei principali wine blog non tanto per la sua comprovata bontà, tutta da decifrare, quanto per l'ennesimo evento mondano a cui il marchio francese si è legato. 

A Las Vegas, in occasione della festa di Capodanno del campione UFC dei pesi massimi Cain Ramirez Velasquez, è stata infatti venduta, per la cifra record di 100.000 dollari, una bottiglia da 30 litri (36 Kg di peso) del famigerato Brut Gold Armand de Brignac. 


Il Brut Gold pare sia la colonna portante della casa vinicola francese. Nato per l'inaugurazione della casa di moda Andrè Courrègues, il Brut Gold è una bottiglia rivestita da una lamina dorata, decorata con quattro etichette di peltro che vengono attaccate a mano sulla superficie, poi avvolta in un vellutato cuscinetto con il simbolo dell'Armand de Brignac. Il Brut contiene una miscela multi-vendemmia composta per il 33% da Chardonnay, 33% da Pinot Nero e 33% da Pinot Meunier.

Ah, per chi ama i concorsi, la rivista “Fine Champagne” ha recentemente eletto il Brut Gold  il migliore champagne del mondo, tra una selezione di oltre 1000 case vinicole.

Beaufort, dove sei? Mi manchi!!!

James Suckling e il Brunello 2006


Che si trattasse dell’ennesima annata del secolo non avevo dubbi, la cosa che ancora ignoravo è che James Suckling somiglia tremendamente a Brunetta in biondo.

Nella foto Suckling che degusta il Brunello con il proprietario di Valdicava....

La foto terribile è tratta dal blog del noto critico che questa volta ci delizia con una serie di constatazioni sul Brunello 2006 che, come sappiamo, vedrà l’anteprima il prossimo Febbraio a Montalcino.
Visto che l’articolo è in inglese cercherò di riassumere brevemente le principali “chicche” sparate dal buon James.

Dopo circa 140 degustazioni Suckling ha notato che il Brunello di questa annata sembra cambiare nel bicchiere trasformandosi in un vino dai caratteri ricchi e scuri come solo un grande Pinot Nero sa fare….


Degustando assieme a Giacomo Neri il Brunello Tenuta Nuova 2006 ha potuto constatare con  meraviglia che il colore del vino passava da un viola brillante ad un porpora più scuro ed intenso. Una volta decantato il vino è come se fosse uscito il genio della bottiglia…

Vabbè, direte voi, si sa che Casanova di Neri ama i sangiovese ricchi e scuri…

Il vero sballo arriva dopo quando il nostro critico indipendente, invitato a casa della famiglia Frescobaldi, scrive che il vice presidente dell’azienda, il dottor Lamberto Frescobaldi, gli ha confidato che il Brunello 2006 rappresenta la migliore espressione di sangiovese che la sua famiglia ha prodotto fin da quando produce vino (700 anni…!!).

Lamberto Frescobaldi avrà anche esagerato ma, proprio perché  si è sbilanciato così tanto, Suckling attribuisce al loro Brunelllo ben 100 punti!!

E 100 punti pure a Casanova di Neri, visto che il suo Brunello è cangiante e hanno visto anche il genio.

La cosa che mi chiedo è: non è che il Brunetta mesciato si è lasciato un pochino prendere la mano? I pranzi con i produttori possono essere fuorvianti per i giornalisti indipendenti...


Le donne forti del vino: Alessia Capolino Perlingieri


Forti, dinamiche, risolute, le donne del vino dell’ultima generazione sono davvero una forza. Marina Cvetic, Cinzia Merli Campolmi, Maria Pia Berlucchi, Elena Fucci, Silvia Maestrellli, Elena Martusciello, Donatella Cinelli Colombini sono le punte di diamante di una squadra tutta al femminile che da qualche tempo può vantare anche la presenza della meridionale Alessia Capolino Perlingieri che, dopo una brillante carriera nel mondo della finanza milanese, ha deciso di far ripartire da zero l’azienda di famiglia costretta a chiudere nel 1992, quando si chiamava Volla, nonostante i tanti riconoscimenti avuti.

La Masseria sede dell'azienda
Ci troviamo nel Sannio beneventano, a Castelvenere, e Alessia ci aspetta nel cortile della sua splendida masseria fortificata, oggi finemente restaurata, che un tempo fungeva da ex stazione di posta per i cavalli.
La grande volontà di riportare le cose ai fasti del passato e l’aiuto di Stefano Chioccioli in cantina hanno dato nuova linfa all’azienda che, negli ultimi 15 anni, ha acquisito via via nuovi terreni e costruito una moderna cantina, raggiungendo attualmente l’estensioni di circa 40 ettari di cui circa 22 a grano, 13 a vigneto e 5 a ulivo.
I vigneti si trovano a Solopaca, ad un’altitudine compresa tra i 200 e i 300 metri, e su terreni prettamente argillosi Alessia coltiva solo uve autoctone che comprendono varietà a bacca bianca (Greco, Falanghina e Fiano) e varietà a bacca rossa (Aglianico, Piedirosso, Sangiovese e Sciascinoso).

La delegazione campana delle donne del vino. La prima a sx é Alessia. Foto tratta dal blog di Pignataro.
Durante il nostro mini tour abbiamo potuto apprezzare sia la cantina, completamente interrata e dotata, di tini troncoconici di legno di Allier, per la fermentazione dei rossi,  e dei classici fermentino di acciaio per i bianchi, sia la vecchia bottaia che è stata abilmente ristrutturata e che si trova appena sotto il pavimento della casa di Alexia.
Alessia Capolino Perlingieri ha una gamma di vini davvero interessanti e territoriali ma, se dovessi consigliarvene uno, la scelta almeno per me pare scontata: bevete lo Sciascì.


Due vitigni, sangiovese (60%) e sciascinoso (40%) che creano un’alchimia enologica di grande impatto, struttura e carica aromatica che si fondono dando vita ad un vino fatto di guizzi floreali e vinosi che al gusto rimane più fruttato e gradevolmente rustico, un mix che a me piace da impazzire e che rende la bevuta sincera e senza troppi fronzoli.


Vecchie annate? No, grazie!


Interessante l'indagine realizzata da WineNews.it che ha tastato il polso delle vendite delle vecchie annate di vino all'interno delle principali enoteche italiane.
Secondo la ricerca gli italiani  continuano a preferire vini non più vecchi di cinque, massimo dieci anni.

“In Italia, c’è ancora grande confusione - spiega Francesco Trimani della famosa enoteca di Roma - su questo tema. Si confondono i vini da asta, i vini maturi, le vecchie annate e i vini da collezione. Noi abbiamo da qualche tempo cominciato a sperimentare la vendita di vini maturi da bere, non necessariamente dai prezzi stellari. Se, per esempio, affianchiamo ad un Chianti Classico 2006 o 2007, le annate oggi in commercio, sei o sette annate precedenti, il consumatore sembra gradire questo tipo di possibilità e comincia anche a comprare millesimi più vecchi”.
 
Le vecchie annate sono un prodotto che trattiamo soltanto marginalmente - afferma Paola Longo dell’Enoteca Longo di Legnano (Milano) - e solamente nei casi in cui ci è richiesto espressamente per occasioni quali i compleanni”. 
Non ho notato - sottolinea Maurizio Cavalli dell’Enoteca Cavalli di Parma - un aumento recente di interesse né tanto meno un aumento di vendite di bottiglie di vecchie annate. La mia enoteca è specializzata in bollicine e su questa tipologia bottiglie di dieci, quindici anni si vendono piuttosto bene, ma si tratta di una tipologia particolare. Altra storia è se parliamo, per esempio di un Barolo di 30 anni. In questo caso - conclude Cavalli - le richieste sono decisamente minime”.
 
Mi sembra di notare piuttosto una tendenza contraria - afferma Nicola Picone, patron dell’Enoteca Picone di Palermo - un aumento cioè della richiesta di vini sempre più freschi, di facile beva e poco impegnativi. Insomma, le vecchie annate non sono propri prese in considerazione”. 
Anche per Roberto Canali dell’Enoteca Beresapere di Perugia la vendita di bottiglie di vecchie annate è “decisamente marginale e riservata soltanto a pochissimi intenditori”.
Il mercato dei vini costosi è in crisi - afferma Pio Daniele De Lorenzo dell’Enoteca Nuvola di Foggia - e, quindi, la richiesta di annate molto vecchie è debole se non quasi inesistente anche per vini come Barolo e Brunello. Se mai vengono ricercate vecchie annate di Amarone, ma, sostanzialmente, sono una quota di vendita del tutto marginale”. 


La vecchia annata, evidentemente, rappresenta, nel caso che non sia conservata in modo adeguato un rischio e, peraltro, un rischio molto spesso assai caro. E’ un po’ questa semplice constatazione che guida le parole di Giovanni Valentini dell’Enoteca Valentini che si trova nella Repubblica di San Marino: “non esiste una richiesta specifica verso le vecchie annate, ancora sentite come bottiglie “rischiose”. Solo per i compleanni qualcuno ci chiede una bottiglia di quaranta o trenta anni di età”. 

Non mi sembra - spiega Francesco Bonfio dell’Enoteca Piccolomini di Siena e presidente di Vinarius, l’associazione che raccoglie la maggioranza delle enoteche italiane - che ci sia una particolare attenzione per le vecchie annate. E’ un tipo di mercato che va un po’ al di fuori di quello delle enoteche. Si trova soprattutto su internet ed è animato da una ristretta elite. Continua, invece, la richiesta della bottiglia legata all’anno di nascita, ma è un fenomeno marginale”. 

Vecchie annate? Ce le chiedono soltanto per i compleanni - sbotta Gianni Sarais dell’Enoteca Le Cantine Isola di Milano - non vedo francamente un aumento di richiesta di vini di vecchie annate. Se mai aumenta la richiesta di prodotti di tre o cinque anni al massimo”. 


C'è sempre l’eccezione che conferma la regola: “sì le richieste di annate vecchie, parlo di vini anche di trenta anni, sono aumentate, di pari passo con l’aumento della competenza dei miei clienti. Soprattutto, sono i vini francesi a ricevere maggiori richieste. Ma - conclude Luca Ghiotto dell’Enoteca Soavino di Soave (Verona) - anche se in espansione, si tratta sempre di una richiesta che proviene da una nicchia”.

Ma, concludo io, se le annate vecchie non si vendono non sarà perchè, più dell'ignoranza dei clienti,  i prezzi di vendita di queste bottiglie sono alle stelle? 

Fonte: Winews.it

Percorsi di...sapori trapanesi: ad Erice da Maria Grammatico


Oggi mi trasformo in food blogger e vi parlo un po’ delle delizie enogastronomiche della provincia di Trapani.
Iniziamo il viaggio da Erice, città mitica, si dice fondata da esuli troiani, posta sulla vetta dell’ omonimo Monte Erice, il nome deriva da Erix un personaggio mitologico, figlio di Afrodite e di Boote, ucciso da Ercole.
Ad Erice la visita comincia dalla Chiesa Madre, dedicata alla Vergine Assunta, che venne fatta costruire da Federico d’Aragona nel XIV sec. a scopo difensivo, come si può ben notare dalle forme massicce e dai merli che la decorano. La facciata presenta un rosone e un portico gotico aggiunto più tardi. L'interno è in stile neogotico. La torre campanaria si erge solitaria sulla sinistra, suddivisa in diversi livelli aperti da feritoie e belle bifore in stile chiaromontese.

Chiesa Madre

La torre
A qualche centinaia di metri dalla Chiesa, su Via Vittorio Emanuele, sorge uno dei tempio del gusto siciliani: la pasticceria Maria Grammatico.
Questa piccola grande donna ericina, classe 1940, ha una storia tutta particolare che vale la pena di far conoscere: all'età di undici anni entra al San Carlo, un istituto religioso di monache di clausura, che per sopravvivere ai duri anni del dopoguerra, produceva e vendeva dolci e biscotti preparati secondo antiche ricette. Maria rimane a lungo nel convento e nel frattempo, spiando le monache al lavoro, impara la loro antica arte pasticcera.

Maria Grammatico
Abbandonato il convento Maria decide di utilizzare quanto appreso e crea dapprima un negozietto provvisto soltanto di un forno a legna e, dopo lunghi anni di sacrifici, apre l’attuale pasticceria in via Vittorio Emanuele, seguita dopo qualche tempo dall'apertura della "Antica pasticceria del Convento", situata all'angolo della Piazzetta San Domenico.
Il suo piccolo laboratorio di pasticceria è rimasto quello di un tempo e, all’interno delle antiche vetrine in legno, c’è da perdersi tra frutta di marturana, mostaccioli, agnelli pasquali, dolci al liquore, cannoli e dolci di badia.





I dolci più popolari di Maria, e il mio palato ha capito ben presto perché, sono le Genovesi appena sfornate. Alla vista sembrano mini dischi volanti ripieni di crema pasticcera anche se i più esperti dicono che siano molto simili ai “minni di virgini” palermitani o le Panarelline di Genova che altro non sono se non tortine simili a queste (non solo nell’aspetto) ripiene di crema allo zabaglione.


La storia della vita di Maria Grammatico è stata raccontata in alcuni libri come "Bitter Almonds", scritto da Mary Taylor Simeti (pubblicato da William Morrow and Company Inc. di New York) e tradotto in italiano con il titolo di "Mandorle Amare" pubblicato da Flaccovio Editore, oppure in "Le Siciliane" di G. Pilati. All’interno di questo prezioso libro possiamo trovare ricetta interessante come quella per fare in casa le Genovesi. 

Prendete carta e penna.

Riscaldare il forno a 220° C.
Con le mani rotolare la pasta in salsicce di due cm di diametro. Tagliare in pezzi lunghi 8 cm, e stendere ciascuno con il matterello per formare rettangoli di 15 x 10 x ½ cm circa. Mettere 2 cucchiai di crema su metà d’ogni rettangolo, ripiegare l’altra metà, e premere tutto attorno ai bordi con le dita. Tagliare a cerchietto con uno stampino, un bicchiere o un tagliapasta. Posare su una teglia a distanza di circa 2,5 cm. Dorare nel forno circa 7 minuti.
Trasferire su una griglia e spolverare con zucchero a velo. È preferibile mangiarle mentre ancora tiepide.
Resa: circa 16 paste. 

Per la pasta frolla 
La pasta frolla varia da cuoco a cuoco, soprattutto per quanto riguarda la quantità del grasso impiegato e la leggerezza o pesantezza che ne consegue. Quella di Maria, ricca senza essere pesante, si presta sia alle genovesi che alla crostata con ottimi risultati.
250 g di farina di grano duro
250 g di farina tipo 00
200 g di zucchero
200 g di burro o margarina, tagliato a pezzi
4 tuorli d’uovo
Qualche cucchiaio di acqua fredda
Mescolare le due qualità di farina e lo zucchero in una terrina grande. Aggiungere i pezzetti di burro e incorporare con una lama da pasticceria o con due coltelli. Incorporare i tuorli uno alla volta, e aggiungere tanta acqua quanto basta perché la pasta si riprenda. Versare su una superficie infarinata e formarne una palla. Maneggiare la pasta il meno possibile, altrimenti la pasta verrà dura. Avvolgere la palla con la pellicola e lasciarla riposare in frigo per almeno 30 minuti prima di stenderla. La pasta cruda si mantiene per una settimana nel frigo o per un mese nel freezer. Questa ricetta è sufficiente per foderare una teglia di 28-30 cm in diametro. 

Per la crema pasticcera 
Questa crema, semplice e delicata, serve soprattutto come ripieno per le genovesi, ma Maria l’adopera anche per crostate.
2 tuorli d’uova
150 g di zucchero
40 g amido (di grano o di mais)
½ litro di latte
Buccia di mezzo limone, grattugiata
In un tegame pesante, sbattere insieme i tuorli e lo zucchero con una frusta. Sciogliere l’amido in mezzo bicchiere del latte, poi aggiungerlo al latte rimanente, mescolando bene. Versare il tutto lentamente nel tegame con i tuorli, mescolando bene con la frusta.
Cuocere a fiamma bassa, mescolando continuamente, per 10-12 min. finché non diventi molto spesso, come un budino. Incorporare la buccia grattugiata.
Versare in una terrina e coprire con la pellicola, facendo si che la pellicola posi direttamente sulla crema, e lasciare raffreddare. Conservare in frigo per un massimo di 3 giorni. Se si dovesse separare, lavorare con la frusta finché non torni omogenea.
Resa: mezzo litro circa.


Se  non vi sentite troppo appesantiti dalla grande abbuffata di dolci ericini potete continuare la vostra passeggiata fino ad arrivare al Castello di Erice dal quale si può godere una splendida veduta che spazia dalla città di Trapani e le sue saline all’arcipelago delle Egadi ed attraverso l’agro ericino fino a Capo San Vito. Il castello venne fatto costruire nel XII secolo dai Normanni sulle vestigia di un preesistente tempio dedicato a Venere Ericina. 
Il maniero è protetto da possenti mura e da torri più avanzate, note come Torri del Balio, e i numerosi rimaneggamenti che lo hanno interessato nei secoli non hanno purtroppo conservato la costruzione fortificata originaria. Nel recinto del tempio ancor oggi esistente, divenuto coi Normanni la sede del Governatore, si riunivano i naviganti e tutti coloro volessero ingraziarsi Venere. 
Il cortile, o Themenos, è oggi tornato alla luce dopo il crollo di parte della fortezza normanna. Molto suggestiva anche la cordonata a gradoni della parte alta della roccaforte, da attribuirsi ad Antonio Palma nel Seicento.


Fonti: www.civiltaforchetta.it, www.mariagrammatico.it, www.wikipedia.it

Investire sul vino conviene ancora? I Fine Wine a giudizio degli esperti


Negli ultimi giorni sono usciti una serie di interessanti articoli sui Fine Wine ovvero sui vini di maggior pregio presenti sul mercato mondiale che, spesso, si comprano non per berli ma per specularci sopra (vedi voce investimento).
Paolo Repetto di Vinifera su NewsFood.com fa un bilancio del 2010 cercando di prevedere il futuro dei vini da investimento.
In primo luogo il 2010 è stato l'anno della definitiva consacrazione dell'estremo Oriente come nuova meta privilegiata delle grandi bottiglie, in particolare quelle provenienti da Bordeaux.
I nuovi ricchi cinesi da tempo stanno scalando le classifiche dei migliori acquirenti dei beni di lusso, e fra questi non potevano mancare le etichette di vini più prestigiose, il cui consumo è ormai considerato simbolo del nuovo status sociale raggiunto.
E' naturale che attualmente la loro attenzione sia focalizzata sui Premier Crus di Bordeaux, nell'ambito dei quali si annoverano molte delle più prestigiose etichette del mondo, e le cui caratteristiche sono facilmente apprezzabili anche dai palati neofiti.
Dopo una leggera fase di contrazione della domanda che caratterizzò il primo semestre del 2008, in concomitanza con l'emergere della crisi finanziaria internazionale, l'attenzione e la pressante domanda dei compratori asiatici ha letteralmente fatto decollare la domanda dei Fine Wine bordolesi negli ultimi 2 anni.


Un'etichetta su tutte è stata la vera star del mercato, il primo vino tra i cinque Premier Cru Classée del Medoc, ovvero il leggendario Chateau Lafite Rothschild.
Dalla fine del 2009 e per tutto il 2010, Lafite ha avuto una domanda talmente elevata da parte del mercato cinese da renderlo quasi introvabile, e determinandone un aumento di valore quantificabile in un 90% in due anni e circa 1000% dal 2000 ad oggi.
Naturalmente Lafite non è stato il solo oggetto del desiderio dei nuovi mercati, ma tutti gli altri grandi vini francesi hanno beneficiato di un sostanzioso aumento delle richieste, tanto che l'indice Liv-ex, la borsa internazionale dei Fine Wine, chiuderà l'anno in grandissima crescita.
Il secondo fattore che ha particolarmente favorito il settore è stata la grande vendemmia del 2009, da molti considerata una delle migliori di sempre a memoria d'uomo, e la cui vendita en primeur nell'estate del 2010 è stata un enorme successo.


Quest'anno la campagna di vendita en primeur ha avuto inizio nel mese di giugno, un paio di mesi più tardi rispetto alla normale consuetudine, e la frenetica domanda da parte dei principali mercati di riferimento ha fatto in modo che i valori delle più celebrate etichette di Bordeaux abbiano raggiunto quotazioni impensabili sino a pochi mesi fa, mediamente raddoppiate rispetto ai certificati di vendita relativi all'ultima straordinaria annata, la 2005.
Il risultato delle aspettative sulla campagna primeur 2009 ha però determinato un incontrollato aumento di prezzo sulle etichette "minori", trascinati dalle quotazioni dei vini più inseguiti, e la bontà dell'investimento su queste ultime sarà da dimostrare nei prossimi anni.

A conferma di tutto questo, le case d'asta internazionali specializzate nei Fine Wine, Christie's e Sotheby's in testa, hanno registrato nel 2010 il loro record in termini di fatturato, in particolare nelle loro sedi di Hong Kong, Londra, New York e Ginevra.
Ciliegina sulla torta, l'andamento climatico del 2010 in Francia ha permesso quest'anno a Bordeaux una vendemmia di tale qualità che è già stata paragonata alle annate 2005 e 2009, ed amici che hanno partecipato alla vendemmia ed alle vinificazioni mi hanno confermato tali sensazioni.
Se nella primavera del prossimo anno gli assaggi dalle botti di questa annata (ai quali avrò la fortuna di partecipare) confermeranno le attese, la campagne di vendita dei primeur 2010 si preannuncia già un successo. 


Le premesse per un 2011 positivo per il settore dei Fine Wine sembrano quindi esserci tutte, ma in un mondo che ha dimostrato di saper cambiare rapidamente, è necessario sapersi muovere con attenzione. Come sempre il mio consiglio è quello di non improvvissare, perché l'investimento sui vini pregiati richiede sempre più competenze che non possono essere compensate solo dalla passione o dall'intuito.
Sulla base degli accadimenti degli ultimi mesi e dei segnali del mercato, ecco cosa mi aspetto dal 2011:
1. Mouton Rothschild, Latour, Margaux, Haut Brion, Cheval Blanc e Ausone vedranno una costante crescita delle loro quotazioni, spinte dalla richiesta del mercato asiatico. In particolare Mouton si appresta a diventare protagonista del mercato nel 2011 e 2012.
2. Lafite vedrà una stabilizzazione dei prezzi ed un ridimensionamento delle attuali valutazioni "stellari", ma senza un drastico calo dei prezzi.
3. L'annata 2000 dei top di Bordeaux emergerà in tutta la sua eccellenza e sarà attivamente ricercata, con conseguente aumento delle sue quotazioni.
4. Chateau d'Yquem irromperà sul mercato asiatico con importanti plusvalenze sulle sue attuali stime, in particolare per l'anna 2007.
5. I cosidetti "2em vins"dei Premier Crus di Bordeaux vedranno aumentare sensibilmente la loro richiesta, e raggiungeranno quotazioni inimmaginabili sino alla fine del 2009.
6. La domanda pressante sui grandi Borgogna e Champagne da parte del mercato asiatico non si farà sentire sino alla metà del 2012, comprare questi vini nel 2011 potrebbe rivelarsi un ottimo affare.
7. I prezzi dei Primeur 2010 di Bordeaux relativamente ai 1er Cru Classé saranno così elevati da demotivare all'acquisto gli storici mercati europei e statunitensi. Nel 2013 la maggioranza delle casse di questi vini si troveranno nel sud est asiatico.
8. Molte aziende di Bordeaux che non rientrano nella cosiddetta "prima fascia" entreranno in crisi a causa dell'eccessivo aumento di prezzo dei loro vini, sull'onda della campagna primeur 2009-2010 e del fermento del mercato mondiale. I magazzini colmi dei négociants potrebbero determinare una svendita di alcune etichette, con possibili infauste conseguenze sulle valutazioni di molti vini.
9. I grandi vini italiani inizieranno a farsi sempre più strada tra i wine lovers e gli investitori, anche grazie al crescente apprezzamento della cucina italiana in tutto il mondo. Su tutti sarà Sassicaia il portabandiera, per il quale prevedo ottime performance finanziarie nel prossimo anno.

Tornando all'indice l'Liv-ex, la borsa internazionale dei vini pregiati, questo indicatore nel 2010 ha stabilito che, negli ultimo dodici mesi, i Fine Wine di Bordeaux sono risultati un investimento più redditizio dell’oro, del petrolio e delle azioni.
L’indice Liv-Ex Fine Wine 50, che monitora i premier cru di Bordeaux nell’andamento del loro valore su dieci diverse annate, ha fissato in un +57% la loro crescita in valore nel 2010, rompendo la barriere dei 400 punti a dicembre.
Nel 2010 l’oro è aumentato di valore del 35%, il petrolio del 20% e i principali indici azionari, S & P 500 e FTSE 100, sono saliti rispettivamente del 13% e dell’11%.
Secondo l’analisi di Liv-Ex questi aumenti, come spiegava anche Repetto, sono da ricollegare principalmente alla domanda eccezionalmente forte domanda dei mercati asiatici, Cina e Hong Kong in particolare.

Alla luce di tutto questo sapete che penso? Avrò magari pochi soldi in tasca ma io il vino me lo bevo e.....sticazzi del Lafite!

Fonti: www.newsfood.com e www.decanter.com via Winenews.it

Tendenze 2011: le "Eno-Nozze"


Leggendo il sito WineNews ho scoperto che quest'anno la tendenza per gli enosnob sarà il matrimonio in cantina.
Barrique come tavoli, bottiglie vuote come porta-candele, tappi di sughero come segnaposto. E vini pregiati come bomboniere. 
Le nozze in cantina, tendenza tutta californiana,  sbarcano in Europa, per un connubio tra uno dei momenti più importanti della vita ed il nettare di Bacco, tra simbolismo religioso e simbolismo di gioia e di festa.


Perché celebrare il “rito laico”, quello del ricevimento, pranzo o cena che sia, nel “classico” ristorante, quando si può scegliere una location più “d’atmosfera”, come appunto una cantina, e personalizzare al massimo l’esperienza, magari con l’aiuto di sommelier o vignerons? 
Da Sonoma e Napa Valley allo Château La Font du Broc (Francia), con il suo chiostro con colonne di marmo di Carrara e la sontuosa cantina. O all’Adega Regional de Colares (Portogallo), dalla sala pavimentata in pietra circondata da enormi botti di rovere. 


“Last, but not the least”, l’Italia: qui è l’Umbria a farla da padrona, con la cantina Caprai, la sua splendida location ed il suo Sagrantino di Montefalco. Decisamente un matrimonio “diverso” che non rinuncia alla sacralità del momento, tra i luoghi sacri di Assisi ed i “luoghi sacri” del vino ...


Fonte: WineNews.it

Con questo freddo mi merito un Vin Brulè


Non so voi ma io, come si dice a Roma, con questo freddo sto battendo le brocche e il miglior modo di scaldarsi con un bicchiere in mano è rappresentato dal Vin Brulè, una bevanda calda a base di vino rosso (brulè significa infatti vino bruciato) che ha davvero molte proprietà benefiche: è corroborante, riscaldante e disinfettante, molto utile per i malanni di stagione. Ma non solo! Poeticamente il Vin Brulè ha il potere di riscaldare anche gli animi; molti infatti gli artisti di strada che negli anni passati sulle strade parigine si accompagnavano ad un bicchiere di caldo vino dolce.


Le origini del Vin Brulè si perdono nella notte dei tempi visto che ho scoperto che non è altro che un derivato del Conditum Paradoxum, un vino speziato romano la cui antica ricetta è stata trascritta nelle pagine del Re Coquinaria di Apicio.

I. CONDITVM PARADOXVM:
Conditi paradoxi compositio: mellis pondo XV in aeneum vas mittuntur, praemissis vini sextariis duobus, ut in coctura mellis vinum decoquas. quod igni lento et aridis lignis calefactum, commotum ferula dum coquitur, si effervere coeperit, vini rore compescitur , praeter quod subtracto igni in se redit. cum perfrixerit, rursus accenditur. hoc secundo ac tertio fiet, ac tum demum remotum a foco post pridie despumatur. tum ‹mittes› piperis uncias IV iam triti, masticis scripulos III, folii et croci dragmae singulae, dactilorum ossibus torridis quinque, isdemque dactilis vino mollitis, intercedente prius suffusione vini de suo modo ac numero, ut tritura lenis habeatur. his omnibus paratis supermittis vini lenis sextaria XVIII. carbones perfecto aderunt [duo milia]. 

Ecco la traduzione:

“Siano versati in un vaso di bronzo un quarto di vino e due cucchiai di miele, in modo che, mentre il miele bolle, il vino diminuisca di volume. Scaldalo a fuoco lento; gira il tutto finchè prenderà il bollore; quando comincerà a salire, trattienilo versando altro vino. Una volta freddo fallo scaldare di nuovo. Ripeti per altre due volte. Il giorno dopo lo schiumerai. Aggiungi allora 120g di pepe, poco pistacchio, cannella e zafferano, cinque ossi arrostiti di datteri; trita cinque datteri che dal giorno precedente avrai posto nel vino per farli ammorbidire. Fatto ciò versa due litri circa di vino giovane”.

Il sito di cucina Giallo Zafferano ci insegna come fare un ottimo Vin Brulè moderno:

Per preparare il vin brulè preparate tutte le spezie che vi serviranno per la preparazione, quindi tagliate sottilmente la scorza del limone e dell'arancia, senza prendere anche la parte bianca, che renderebbe amara la preparazione (2). In un tegame di acciaio dai bordi non troppo alti, versate lo zucchero (3)


unite la scorza degli agrumi, le spezie (4-5) e in ultimo versate il vino rosso corposo (6)
Ponete la pentola sul fuoco e portate lentamente ad ebollizione: fate bollire a fuoco basso per 5 minuti mescolando fino al completo scioglimento dello zucchero (7); a questo punto avvicinate una fiamma alla superficie del vino, facendo molta attenzione a non scottarvi: l’alcol contenuto nel vino prenderà fuoco, e voi dovete lasciarlo fiammeggiante fino al completo spegnimento (8)


Quando il fuoco si sarà spento, filtrate il vin brulè con un colino a maglie fittissime e servitelo fumante (9).

Il tasso alcolico minimo del vin brulè è del 7%. Chiaramente da un vino di bassa qualità non deriverà un vin brulè troppo buono. Per questo è sempre meglio usare del vino di ottima qualità, speziarlo e non addolcirlo troppo.
Come alternativa per i bambini e gli astemi, viene servito presso tutti i mercatini di Natale anche del succo di mela caldo, anch’esso speziato con la cannella e i chiodi di garofano.

A Trapani e dintorni tra vino, cous cous e busiate!



Cinque giorni in terra di Sicilia, visiterò Trapani, Marsala, Mazara del Vallo fino ad arrivare alla costa nord di San Vito Lo Capo e la Riserva dello Zingaro che, ci scommetto, anche in inverno mi riserverà colori e profumi sensazionali.

Riserva dello Zingaro
Segesta
Busiate allo scoglio
Cous Cous di San Vito lo Capo
  Un tour che mi porterà a visitare due cantine di eccellenza: Marco De Bartoli e Antonino Barraco. A presto per un resoconto dettagliato.

Andrea