di Lorenzo Colombo
Ciao Gilberto, inizia col dirci quando hai iniziato la Tua
attività nel mondo della ristorazione.
Ho aperto il mio locale Ristorante La Piana, nel 1993, a
Castello di Brianza, in provincia di Lecco e, dal 2008 ho trasferito l’attività a Carate Brianza.
Nel 1987 mi sono diplomato alla scuola alberghiera e,
durante i mesi estivi da studente, nei primi anni ‘80, ho fatto due stagioni a
Londra. Dopo il diploma, sono seguiti tre stage presso Georges Cogny, quando, lasciata
l’Antica Osteria il Teatro di Piacenza, si era trasferito in Valnure, nel suo
primo locale, La Cantoniera.
Altre esperienze?
Ho lavorato alla Vecchia Filanda di Cernusco sul Naviglio,
Stella Michelin e nei primi anni novanta, sono stato per un anno all’Enoteca
Pinchiorri, a Firenze.
Cosa ne hai tratto da queste esperienze?
Mi si è aperto quel mondo che la sola scuola alberghiera non
può darti, soprattutto da Cogny e da Pinchiorri; a Firenze, in particolare, mi
occupavo delle carni che spesso vedevano nelle loro preparazioni l’utilizzo del
vino ed ho quindi avuto l’opportunità di assaggiare vini provenienti da tutto
il mondo scoprendo così un universo di cui mi sono innamorato.
Abbiamo chiuso subito, avvertendo la responsabilità di dover
contribuire alla sicurezza ed agli sforzi che l’intero Paese stava mettendo in
campo per contenere la diffusione del virus, usufruendo in parte della cassa
integrazione verso i nostri cinque collaboratori; abbiamo riaperto ai primi di
giugno.
Come hai sfruttato quei mesi di chiusura forzata?
Ne abbiamo approfittato per sistemare i locali, riorganizzare la cantina, mettere
in pratica tutte le disposizioni ed attuare i protocolli che ci potessero
permettere di riaprire in sicurezza al termine del lockdown. Inoltre mi sono riguardato tutti i menù proposti dal 1993 ad oggi, ho rivisto
ed in parte ampliato il Menù Business per il pranzo ed ho trovato il tempo per
studiare, leggendo i numerosi libri a tema “cibo e vino” della mia biblioteca. Ho cercato inoltre di mantenere il contatto con i miei clienti attraverso
l’invio di Newsletter, proponendo anche blog di ricette ed un questionario per
capire cosa loro si aspettavano alla riapertura.
Quindi non hai pensato di attivarti con l’asporto ed il
delivery?
No, nella prima fase del lockdown sia il ristorante che la
locanda erano completamente chiusi.
Quanto t’è costata la chiusura?
In termini economici ci sono stati i costi di adeguamento
alle nuove normative, i corsi di aggiornamento e formazione per il personale,
la dotazione degli strumenti di sicurezza e poi la riduzione del 40% dei
coperti dovuti ai distanziamenti.
Com’è andata la riapertura estiva?
Bene, i clienti abituali non vedevano l’ora di poter
nuovamente sedersi al tavolo di un ristorante, però è durata poco.
E, nel secondo lockdown?
Abbiamo attivato l’attività di asporto alla riapertura di
giugno e l’abbiamo sempre mantenuta come proposta. Al secondo lockdown,
lavorando da solo, ho cercato di diversificare le proposte di asporto a cui si
è aggiunto il servizio delivery a causa dell’impossibilità di spostamenti tra
comuni, ma senza risultati entusiasmanti, qualcosa in più s’è smosso a fine novembre
ed allora, a turni, ho fatto rientrare il personale.
E con la locanda?
L’abbiamo riaperta ad ottobre, ma praticamente è stata poi
quasi immediatamente richiusa.
Com’è andata la prima giornata di riapertura? (L’intervista è stata effettuata lunedì 14 dicembre, il giorno prima, domenica
13, la Lombardia è rientrata in zona gialla)
Direi molto bene, il locale era praticamente quasi pieno, 35
coperti sui 40 possibili rispettando i distanziamenti previsti.
Ho visto che recentemente hai cambiato la specialità del Menù
del Buon Ricordo.
Si, dopo 5 o 6 anni di “Millefoglie di riso croccante con
ragù di pasta di salame fresca” ho voluto cambiare, ora il Piatto del Buon
Ricordo è dedicato a “Tagliatelle e Misultitt”, ovvero gli Agoni essiccati del
Lario, il piatto avrebbe dovuto essere presentato alle Officine del Volo a
Milano lo scorso 1 dicembre, in occasione dell’annuale presentazione dei nuovi
soci, ma ovviamente l’evento è stato sospeso ed ha potuto svolgersi unicamente
in modo virtuale.
Certamente, mercoledì prossimo mi sono recato in
Valsassina per ritirare le ultime stagionature.
Per quanto riguarda le serate a tema e quelle pre-teatro?
Siamo riusciti a fare una serata a tema dedicata ai formaggi
ad ottobre, poi ci hanno nuovamente chiusi; per quanto riguarda il teatro, la
stagione è stata annullata e quindi non se n’è fatto più nulla.
Pensi che i ristori messi in atto dal governo possano essere
stati sufficienti?
Le discussioni sul tema sono su tutti i giornali, da buon
brianzolo chiedo solo la possibilità di lavorare, in sicurezza adottando tutte
le misure necessarie e di poter continuare a credere nella professione che ho
scelto, nei suoi valori e nelle sue potenzialità.
Dopo 28 anni la passione c’è ancora tutta, altrimenti non si
potrebbe fare questo lavoro, ma il morale è sotto i piedi.
Per quale motivo?
Innanzitutto la burocrazia, che ormai occupa il 50% del mio
tempo, continui nuovi adempimenti e aggiornamenti che richiedono molta
attenzione con il ricorso a specialisti che incidono negativamente sui costi.
Poi l’impossibilità di poter programmare il proprio lavoro, la mancanza di
tempi certi in cui poter operare e la difficile gestione in questo scenario
della attività di ristorazione.
Ultima domanda: so che la tua figura professionale si
completa anche con l’attività di insegnamento, cosa ne trai da questa
esperienza?
Ho iniziato l’attività di insegnamento da qualche anno, la
scuola presso cui opero è cresciuta nel tempo ed io insieme a lei. Il desiderio
di poter trasmettere la mia passione in cucina alle giovani leve, nella scuola
ha trovato la sua realizzazione e nel confronto con il corpo docenti una nuova
realtà in cui acquisire e trasmettere nuovi stimoli sia umani che
professionali.
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