Nell’ottocento lo chiamavano Coglio in italiano, Brda in Sloveno e Cuei in friulano.
Il Collio, come tutti lo conosciamo oggi, è un fazzoletto di terra dove si coltivano circa 1.500 ettari di vigneto e Zegla, una manciata di declivi che salgono verso la Slovenia, è la “tana” di uno dei produttori più rappresentativi della zona ovvero Edi Keber, oggi coadiuvato dai figli Veronika e Kristian che, anche se non ufficialmente, ha ereditato il testimone del papà.
|
Edi Keber - Foto: ilmangiaweb.it |
Vignaioli di confine li chiamano quelli come i Keber e, facendomi raccontare da Kristian la storia della loro famiglia, capisci come questa parola, CONFINE, nel loro territorio rappresenti una mera linea mobile tanto che il Collio, storicamente, ha cambiato i suoi limiti geografici per tre volte in circa settantacinque anni. Come ama raccontare spesso lo Edi Keber, questi "cambiamenti" sono stati effettuati anche più volte durante la stessa notte così come accadde nel 1947 quando, dopo il trattato di Parigi, i contadini della zona, per ragioni culturali e non politiche, spostarono "furtivamente" i picchetti con i quali i militari delimitarono la separazione tra Italia e Jugoslavia (linea Morgan).
|
Veronica e Kristian Keber
|
Per capire meglio il concetto di vignaioli di confine Kristian ha voluto farmi un esempio assolutamente calzante: ”In questo momento – racconta Keber - ci troviamo a Zegla, frazione di Cormons, Italia, mentre laggiù, a Medana, a circa tre chilometri da qua, sulle colline del Brda sloveno, ho l’altra mia azienda dove gestisco i vigneti ereditati dal nonno. Per comprendere meglio il paradosso, se fossimo ad esempio in Francia, io avrei due aziende, su due Stati diversi, che fanno riferimento allo stesso Cru, Zegla, visto che il comune censuario di questi vigneti, localizzati in Italia, fa ancora riferimento a Medana quando era sotto l’Austria…...”.
Questa terra, unica, che solo guerre e politica hanno potuto dividere, ha un altro fattore comune che rende speciale il terroir del Brda sloveno e del Collio Friulano: la matrice del suolo. Qua, infatti troviamo la ponca (opoka in sloveno) che altro non è che un impasto di marna (argilla calcarea) e arenaria (sabbia calcificata) stratificatesi nel corso dei millenni. Un terreno, pertanto, ricco di sali e microelementi, dal quale la vite riesce a estrarre sostanze che conferiscono ai vini una intensa mineralità di fondo.
|
La ponca |
Piove, con Kristian non riusciamo a girare tra i vari terrazzamenti dove sono coltivati, attualmente, circa 12 ettari di vigneto, con piante anche di 80 anni, divisi tra ribolla gialla, malvasia istriana, friulano accanto a pochissime piante di merlot.
Sulla conduzione agricola della sua azienda Kristian ha pochi dubbi: ”Oggi tutto è gestito secondo i principi biologici e biodinamici ma, col tempo, vorrei gestire tutto secondo il principi della permacoltura e dell'agricoltura del non fare di Masanobu Fukuoka creando un vigneto sinergico i cui principi si basano su quattro pilastri ovvero nessuna lavorazione della terra, nessun concime chimico o compost, nessun uso di diserbanti nè erpici e impiego di prodotti chimici”. L’idea di fondo è far diventare la sua azienda vinicola una vera e propria fattoria agricola, come ai tempi del nonno, dove la vite convive con gli alberi da frutto, gli ortaggi e gli animali formando una sorta di micromondo rurale dove ogni elemento è funzionale all’altro.
Ci ripariamo dalla pioggia in cantina dove la vinificazione è molto semplice è tradizionale “L’uva – racconta Kristian – viene raccolta viene pressata a grappolo intero per preservare le ossidazioni in pigiatura, di seguito il mosto viene decantato e posto nelle vasche di cemento dove avviene la fermentazione con lieviti non selezionati. In tali contenitori il vino si affina ulteriormente almeno 5 mesi mentre la parte restante evolve in contenitori di rovere da 4 ettolitri tanto per fornirgli un carattere più marcato”.
Contrariamente a molto altri colleghi dei Keber la cui gamma di vini aziendale prevede tantissime referenze, l’azienda oggi produce un solo, grande, vino ovvero il Collio Bianco, blend di ribolla gialla, malvasia istriana e friuliano, che la famiglia considera una perfetta sintesi del territorio, un vero e proprio Grand Cru del Collio che ha avuto una genesi abbastanza travagliata.
“Molto travagliata – sottolinea Kristian – e tutto è iniziato a metà anni ‘80 quando mio papà Edi era a cena con alcuni ospiti uno dei quali, dovendo partire il giorno dopo, richiese un souvenir del Collio. In casa c’erano tanti grandi vini ma nessuno di questi rappresentava al 100% la nostra Terra. Da quel momento in poi mio padre decise che era il momento giusto per portare avanti un progetto che già aveva in mente. Da quattro vini (2 bianchi e due rossi) che si producevano fino al ‘95, l’anno dopo decise di dare un primo taglio dando vita solo a due bianchi, un Tocai in purezza e Collio bianco dove vi era un uvaggio di tocai, ribolla gialla, malvasia con piccole percentuali di pinot grigio e pinot bianco. Poi, nel 2008, la svolta decisiva: Edi Keber produce un unico vino, il Collio Bianco, essenzialmente da uve friulano, con la classica K in etichetta”
L’unica eccezione a tutto questo riguarda una piccolissima produzione di merlot in purezza, circa tremila bottiglie, che viene prodotto solo bella grandi annate. In commercio attualmente si trova la Riserva 2016.
Il tempo che mi rimane dopo questa lunga chiaccherata con Kristian non è tantissimo, abbiamo solo il tempi di degustare due vini:
Edi Keber – Collio 2018 (friulano, malvasia istriana e ribolla gialla): quando un blend come questo sa di territorio c’è poco da fare, emoziona e rizza i peli sulle braccia grazie ad un perfetto mix dove le spezie orientali donate dalla malvasia istriana si fondono con la struttura del friulano e il dinamismo e la personalità della ribolla gialla. Al gusto il vino esalta il palato per la sprizzante sapidità e per un finale dove la polpa della frutta bianca avvolge il cavo orale mantenendosi persistente per molti minuti. Un vino assolutamente giovanissimo che potrà dare soddisfazioni per almeno due lustri.
Kristian Keber – Brda 2017 (Ribolla Gialla 50%, Friulano 40%, Malvasia Istriana 10%): a Medana, a due passi da Zegla e dalla casa paterna, Kristian gestisce la sua azienda e questo vino può essere definito, anche dal colore giallo intenso, come una sorta di orange wine visto che la macerazione avviene a uva intera-raspo per 5 mesi durante la fermentazione alcolica spontanea in vasche di cemento. Un affinamento di due anni in grandi botti di rovere ed un altro anno di bottiglia e il vino è pronto per essere degustato e la 2017 è l’ultima annata in commercio. Non pensate a questo vino come uno dei tanti macerati “pesanti” che si trovano in giro, Kristian è un grande talento e un perfetto equilibrista in quanto il vino risulta assolutamente leggiadro esplodendo in note di erbe aromatiche, agrumi e sale. Sorso intenso, dove volume e senso della misura sono dannatamente proporzionati così come il finale di bocca che regala armonie tattile di grande personalità. Bravo Kristian!
Nessun commento:
Posta un commento