di Luciano Pignataro
Il Corriere Vinicolo compie 90
anni e proprio oggi questo importante traguardio viene festeggiato. Abbiamo
pensato di intervistare il direttore Giulio Somma per affrontare a tutto tondo
un po’ di rgomenti, in particolare il cambiamento in atto nel mondo del vino e
il ruolo, se c’è ancora, del cartaceo.
Novant'anni sono molto più di un secolo, forse anche più di due. Mai il
mondo è cambiato a questa velocità. Com'era il mondo del vino italiano 90 anni
fa?
Profondamente diverso nella struttura
economica e imprenditoriale; con un livello qualitativo medio del prodotto ben
lontano da quello di oggi, seppur con diverse importanti eccellenze produttive,
con numeri di export notevolmente ridotti ed un consumo pro-capite interno
triplo rispetto all’attuale. Si potrebbe scrivere un libro per rispondere a
questa domanda. Comunque un contesto tutto diverso dall’attuale dove il valore
della filiera era nelle mani del commercio che aveva il compito, e la
responsabilità, di far conoscere e portare il vino sui mercati interno e
internazionale. E questo è uno degli aspetti più interessanti raccontati nel
volume storico realizzato per i 90 anni del nostro giornale: i commercianti
hanno avuto un ruolo molto importante nel costruire l’immagine del vino
italiano nel mondo aiutando il settore a crescere e svilupparsi.
Come affrontò il Corriere la grave crisi del metanolo?
Direi con grande coraggio e
onestà intellettuale. Ampio spazio viene dedicato alla denuncia dell’Unione Italiana
Vini che si costituisce parte civile contro le aziende coinvolte nello
scandalo. Viene pubblicato tutto l’elenco delle imprese incriminate (anche se non
tutte verranno alla fine condannate) per mettere in evidenza come all’origine
di quei fatti molto gravi, ci fosse, in realtà, uno sparuto gruppi di aziende
ai margini del settore. Il giornale non si è mai sottratto al coraggio della
verità facendosi strumento politico del settore nella battaglia verso la
qualità, le leggi a tutela dell’origine e la nascita del moderno sistema dei
controlli. Insomma, il Corriere Vinicolo è stato in prima linea nel lungo
lavoro che sta dietro il “rinascimento” del vino italiano. Un brano di storia
che ripercorriamo nel nostro volume.
Oggi il mondo del vino italiano è la punta di diamante della nostra
agricoltura, praticamente tanti prodotti stanno ripercorrendo la stessa strada:
investimento sulla qualità assoluta, packaging e marketing, occhio al futuro.
Cosa c'è ancora da fare secondo te?
I fronti su cui si sta la
lavorando sono molti e tutti importanti. Volendo, però, identificare tre
obiettivi macro potremmo parlare di sostenibilità, caratterizzazione e promozione
del “sistema paese”. In vigna, la sostenibilità è ormai una priorità che va
oltre gli indirizzi e le scelte produttive; in cantina, una caratterizzazione
dei vini legata ai territori – che sia
riconoscibile nel bicchiere - è indispensabile per valorizzare le
identità dei vini italiani e vincere la sfida competitiva di un mercato
diventato globale mentre, sul fronte promozione, le istituzioni pubbliche
devono lavorare di più - e meglio - per far conoscere il sistema “vino
italiano”. I numeri dell’export, al di là di oscillazioni positive di breve
periodo, rallentano: dobbiamo pensare e progettare a medio-lungo termine per
garantire un futuro al vino italiano. Ma non sempre si ragione in questa
prospettiva.
Parliamo adesso un po' da comunicatori: il cartaceo ha ancora un senso?
E quale?
Continua ad avere un ruolo
fondamentale. Se vuoi studiare, approfondire, analizzare, la carta rimane il
supporto più utile al lettore. Noi lo vediamo quotidianamente: abbiamo anche la
versione digitale del Corriere ma nessuno è disposto a rinunciare al cartaceo.
Forse è perché, come settimanale, non inseguiamo l’attualità, che lasciamo ai
colleghi dell’on-line, ma proponiamo analisi e approfondimenti che si leggono meglio sulla vecchia, e da me molto
amata, carta. Non è banale dire che i due supporti, oggi, convivono bene quando
si rimandano lettori l’un con l’altro. Ed è quello che cerchiamo di fare, mi sembra,
con un buon successo.
Come si pone il Corriere rispetto ai social e alle nuove forme di
comunicazione?
In generale con grande
apertura e interesse anche se la comunicazione politica ed economica del nostro
settore ancora non viaggia molto sul digitale. Utile e prezioso per la comunicazione
di prodotto, per l’informazione al consumatore – come fai molto bene con il tuo
blog - il digitale deve ancora trovare uno spazio specifico nell’informazione
istituzionale sul vino. Stiamo lavorando ad un progetto che ci porterà a breve
sui principali canali social, ma come supporto e integrazione del settimanale
cartaceo, la cui formula giornalistica, a distanza di 90 anni, rimane ancora
efficace.
Secondo te il mondo del vino italiano è autoreferente rispetto a quello
che succede nel mondo?
Sempre meno, anche se vanno
fatte valutazioni differenziate a seconda dei soggetti di cui si parla. Le aziende,
ormai, che vivono di export, hanno occhi e sensibilità globali avendo superato quel
certo provincialismo che per molti decenni si sono portate dietro. Il sistema
fieristico, Vinitaly in testa, sta velocemente recuperando un gap di
internazionalizzazione che abbiamo più volte segnalato negli anni scorsi. Anche
se una maggior apertura al dialogo con le imprese non guasterebbe. Le
istituzioni pubbliche e la politica, invece, sono ancora drammaticamente
indietro. Al di là delle contingenze di posizioni politiche dell’oggi, ad
ascoltare i politici o gli amministratori locali sembra proprio che anche
Bruxelles – dove ormai si decide la politica del vino - sia in un altro mondo.
Per non parlare dei grandi mercati, dagli USA al far-east: realtà sconosciute,
lontane, indecifrabili nonostante rappresentino oltre il 50% del nostro
fatturato.
Anche le fiere stanno cambiando. Quest'anno Bordeaux,a detta di molti, ha segnato un po' il passo. Come valuti
l'azione di Vinitaly e cosa vedi in
Italia da questo punto di vista?
Le fiere del vino, nonostante
la rivoluzione digitale, continuano a svolgere un ruolo importante forse perché
questo prodotto, alla fine, per conoscerlo veramente va assaggiato. Ma la
capacità di promozione internazionale delle nostre imprese è ormai molto
sviluppata e non c’è più bisogno di aspettare lo stand per farsi conoscere sui
mercati. E Vinitaly ha colto questo trend evolvendosi da fiera a sistema di promozione
globale del vino italiano. Ma anche gli altri competitor fieristici stranieri
lo stanno facendo. Per questo, ribadisco, è importante e urgente che Vinitaly si
apra di più al dialogo con le imprese del vino. Non avrebbe che da guadagnarne
anche nei confronti delle istituzioni. Noi, e Veronafiere lo sa, ci siamo.
Giulio Somma, una vita dedicata al vino con ruolo diversi ma sempre prestigiosi e interpretati con
professionalità. Come è cambiato questo mondo da quando hai iniziato ad occupartene?
Era più facile prima o adesso? E quali sono le cose che davvero non sopporti di
questo mondo?
Il mio battesimo nel vino
avviene negli anni del metanolo. Stagione molto difficile. Nella comunicazione
del vino eravamo pochissimi; giornali e tv erano insensibili all’argomento,
considerato volgare. Oggi il mondo sembra essersi ribaltato ma, come ben dice
Aldo Grasso nella sua videointervista realizzata per i 90 anni del Corriere, la
situazione del vino in televisione è peggiorata rispetto al secolo scorso. La
distanza da Soldati o Veronelli sembra incolmabile. Oggi è forse più facile
portare un vino in televisione o sui giornali: ma il racconto si è fatto
banale, superficiale, ripetitivo. Ed è questo che non sopporto: l’approssimazione
e la superficialità dei media, il dilettantismo di chi si avventura a fare il
“comunicatore” del vino senza preparazione, facilitato, a volte, anche da un
certo provincialismo dei produttori. Il mondo del vino, e tu lo sai bene, è un
mondo serio, articolato, fatto di lavoro ed economia. Ma raramente la comunicazione
rende giustizia di questa complessità.
Quali obiettivi hai come direttore del Corriere nei prossimi anni,
diciamo almeno sino ai festeggiamenti del primo secolo di vita?
Reinterpretare la mission originaria
del giornale, essere “voce della classe”, che oggi significa travalicare gli
steccati degli interessi di settore, pensare il vino italiano nel più ampio
contesto economico, sociale e culturale del paese, e non solo, con una politica
dell’informazione fedele nel racconto, arguta, pungente verso le istituzioni e
le rappresentanze politiche, efficace nel fornire strumenti culturali e
professionali all’imprenditore e al management dell’impresa. Un giornale di
servizio, in forte sviluppo, dove arriveranno nuovi dorsi, rubriche di
approfondimento e spazi giornalistici orientati a far crescere i contenuti sui
temi della ricerca e della qualità produttiva, del management, dello sviluppo
d’impresa e del lavoro. Sempre più piattaforma di contenuti verso una
multicanalità dove carta e digital diventano complementari per una informazione
che sa proporsi come strumento culturale di crescita del settore.
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