Di Angelo Peretti
Campogalliano per me è era solo uno di quei posti che i bollettini del traffico citano per avvertire che c’è coda, soprattutto d’estate, e qualche volta anche nelle altre stagioni, perché lì si incrociano le autostrade e si fa un imbuto, tra la Brennero e quella del Sole. Però da qualche po’ ho scoperto che, se sono in viaggio ma non vado di fretta, a Campogalliano conviene imboccare il casello e fare una sosta. Per il mangiare, ché nel circondario c’è qualche buona trattoria che fa cucina ruspante a pochi soldi, ed è tutt’altra cosa di un panino all’area di servizio. Per il vino, dato che al numero 10 di via Albone, che è fuori in campagna e l’imbocco non lo vedete quasi neanche, c’è un’aziendina piccina che ha sede in un cascinale un po’ male in arnese appena sopra a un dosso e fa grandissimi Sorbara, nel senso di Lambrusco.
Ora, capisco che ci sia chi può dubbiosamente aggrottare le sopracciglia
nel vedere che ho adoperato il superlativo “grandissimo” a proposito di Lambrusco,
ma il pregiudizio non ci vuole quando si parla di vino e dunque lo ripeto, lo
ribadisco e lo sottolineo che i Sorbara del Podere Il Saliceto sono, per me,
oggi, tra le cose più intriganti che escano dalle cantine sparse in giro per l’Italia,
e non sto per niente esagerando (del resto, il piacere è soggettivo, e questa
preferenza risponde appunto al piacer mio).
Campogalliano per me è era solo uno di quei posti che i bollettini del traffico citano per avvertire che c’è coda, soprattutto d’estate, e qualche volta anche nelle altre stagioni, perché lì si incrociano le autostrade e si fa un imbuto, tra la Brennero e quella del Sole. Però da qualche po’ ho scoperto che, se sono in viaggio ma non vado di fretta, a Campogalliano conviene imboccare il casello e fare una sosta. Per il mangiare, ché nel circondario c’è qualche buona trattoria che fa cucina ruspante a pochi soldi, ed è tutt’altra cosa di un panino all’area di servizio. Per il vino, dato che al numero 10 di via Albone, che è fuori in campagna e l’imbocco non lo vedete quasi neanche, c’è un’aziendina piccina che ha sede in un cascinale un po’ male in arnese appena sopra a un dosso e fa grandissimi Sorbara, nel senso di Lambrusco.
Ho detto “i Sorbara” al plurale perché ne hanno due, e sono
entrambi tra le mie bevute d’affezione.
A farli, i vini, sono due cognati, giovani e così scombinati
come carattere da formare una squadra perfetta. Il più giovane, Marcello Righi,
è taciturno, riflessivo. L’altro, Gian Paolo Isabella, dieci anni di più, è
esplosivo, un fiume in piena.
Logico che sia Gian Paolo a figurare di più nella “letteratura lambruschista” degli ultimi tempi, magari anche per il plus narrativo che viene dal suo passato di sportivo, e infatti è stato perfino medaglia di bronzo ai mondiali di boxe thailandese, ma siccome quando sono arrivato in cantina era un attimo in ritardo, sono riuscito a far due chiacchiere (giusto due) con Marcello, che si è laureato in agraria nel 2006 e mi ha confidato che quando sono partiti, in quegli anni, hanno fatto un sacco di fatica, ma adesso sì, sono contenti, e comunque continuano a coltivare anche le pere, oltre alla vigna, perché il frutteto aiuta a pagare le rate del mutuo.
Quanto a Gian Paolo, lui ha mollato il suo lavoro di ottico in
Piazza Grande a Modena per andare a fare esperienza per un paio di anni da un
mito delle “effervescenze” (copyright Massimo Zanichelli, definizione presa dal
titolo del suo recente libro sui “vini vini”) come Vittorio Graziano e ha
capito che la sua strada portava alla vigna e adesso dice che il vino buono è
quello che finisci la bottiglia, ma che non deve mica essere banale, e anzi
deve avere garbo, e usa proprio questa parola, “garbo”, e condivido anch’io
questa maniera di pensare il vino.
Ora, la sto tirando lunga, mi pare, e dunque passo ai vini, e avverto che mi soffermo solo sui due Sorbara che producono Gian Paolo e Marcello non già perché le altre bottiglie non siano d’interesse (per esempio stanno lavorando bene al recupero del malbo, vitigno negletto le cui uve loro vinificano sia in versione ferma, sia con le bollicine), ma perché qui voglio dire del Sorbara e basta e semmai degli altri vini ci sarà modo di parlare un’altra volta, chissà.
Aggiungo, e lo ritengo rilevante, che i vini del Podere Il Saliceto possiedono tutti un tratto stilistico comune, che è il sale, la sapidità e dunque la strepitosa abbinabilità con la tavola, ed è gran cosa quando d’un produttore si riconosce la mano a prescindere dalla bottiglia che hai stappato e soprattutto è gran cosa che a un proprio stile una cantina ci arrivi dopo appena una manciata d’anni dalla prima vendemmia. Bravi.
Lambrusco di Sorbara Ring Adora 2014 Podere Il Saliceto
Gian Paolo Isabella e Marcello Righi |
Logico che sia Gian Paolo a figurare di più nella “letteratura lambruschista” degli ultimi tempi, magari anche per il plus narrativo che viene dal suo passato di sportivo, e infatti è stato perfino medaglia di bronzo ai mondiali di boxe thailandese, ma siccome quando sono arrivato in cantina era un attimo in ritardo, sono riuscito a far due chiacchiere (giusto due) con Marcello, che si è laureato in agraria nel 2006 e mi ha confidato che quando sono partiti, in quegli anni, hanno fatto un sacco di fatica, ma adesso sì, sono contenti, e comunque continuano a coltivare anche le pere, oltre alla vigna, perché il frutteto aiuta a pagare le rate del mutuo.
Ora, la sto tirando lunga, mi pare, e dunque passo ai vini, e avverto che mi soffermo solo sui due Sorbara che producono Gian Paolo e Marcello non già perché le altre bottiglie non siano d’interesse (per esempio stanno lavorando bene al recupero del malbo, vitigno negletto le cui uve loro vinificano sia in versione ferma, sia con le bollicine), ma perché qui voglio dire del Sorbara e basta e semmai degli altri vini ci sarà modo di parlare un’altra volta, chissà.
Aggiungo, e lo ritengo rilevante, che i vini del Podere Il Saliceto possiedono tutti un tratto stilistico comune, che è il sale, la sapidità e dunque la strepitosa abbinabilità con la tavola, ed è gran cosa quando d’un produttore si riconosce la mano a prescindere dalla bottiglia che hai stappato e soprattutto è gran cosa che a un proprio stile una cantina ci arrivi dopo appena una manciata d’anni dalla prima vendemmia. Bravi.
La Ringadora, tutt’attaccato, è una pietra che sta nella
Piazza Grande di Modena e e viene chiamata così perché da lì anticamente si
arringava il popolo. In etichetta il nome è spezzato, in modo che resti in evidenza
il riferimento al ring su cui combatteva Gian Paolo. Finita la spiegazione
dell’etichetta, eccomi al vino, che è un metodo classico “nature” e lo
considero una delle più coinvolgenti bolle che si facciano oggidì in Italia. Agrumi,
tanti agrumi, freschi e canditi. Il vino ha energia e carattere, eppure la
bollicina è sottilissima. Insomma, la quadratura del cerchio, con il plus d’una
fascinosa tonalità tra il rosa salmone e la buccia di cipolla, e del resto anche
l’occhio vuole la sua parte, o no? (93/100)
Lambrusco di Sorbara Falistra 2016 Podere Il Saliceto
Lambrusco di Sorbara Falistra 2016 Podere Il Saliceto
Il Falistra è un Sorbara frizzante secco “col suo fondo”. Posso
aggiungere che è uno di quei vini che quando mi fermo in trattoria in Emilia e
lo vedo in carta, non resisto e me lo bevo di gusto a sorsi ampi e golosi per
accompagnare il bollito o lo gnocco fritto col prosciutto crudo o la mortadella
tagliata a cubetti. Sono irresistibili la fragolina di bosco e il ricordo
floreale di rosa appassita che ti salgono al naso e t’invadono il palato e insomma
viene voglia di una nuova sorsata e un’altra ancora. Aggiungo (esperienza già
fatta) che regge il tempo che è una bellezza, e anzi aggiunge speziatura, il
che non vuol dire lo si debba far invecchiare, ma se ne resta dimenticata una
bottiglia male non fa. (90/100)
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