Fonterenza è un altro dei luoghi incantati che possiamo trovare girando nei pressi di Montalcino. Il suo nome richiama la purezza dell’acqua dalla cui fonte gli abitanti di Sant’Angelo in Colle hanno sempre bevuto in maniera abbondante. Quest’acqua sicuramente avrà rifocillato i tanti arieti, o birri in vernacolo locale, che fino a poche decine di anni fa erano allevati nella tenuta e che la gente del posto considerava così strambi che, qualcuno, in paese, ricorda un modo di dire di qui: “matto come un birro di Fonterenza”.
L’azienda agricola Campi di Fonterenza oggi ha le sembianze di due sorelle gemelle, Margherita e Francesca Padovani, le “gemelle di Milano” come dicono da queste parti, due ragazze che, sebbene cresciute nel capoluogo lombardo, hanno passato fin da bambine ogni estate ed ogni momento libero in questo angolo di paradiso acquisito dai genitori negli anni ’70.
La “pazzia di Forterenza”, assieme alla crescente voglia di passare più tempo tra la Terra, ha colpito inizialmente solo Margherita che, stabilitasi a Montalcino nel 1997, ha iniziato a valorizzare gli oliveti, imparando dai vecchi esperti i segreti della cura degli olivi, a cominciare dalle potature. Due anni dopo è stata raggiunta dalla sorella Francesca. Due gemelle non si separano mai.
La passione per il vino è nata piantando personalmente la prima vigna, nel 1999, in un appezzamento di terra circondato per tre quarti da un bosco di lecci, querce, corbezzoli e ginepri, che sul quarto lato si apre sul paesaggio della val d’Orcia. Attualmente l’azienda può vantare circa 2,5 ha di vigneto in produzione tutto coltivato con i metodi della biodinamica.
La cantina, situata al podere e ricavata da ex stalle e granai, è divisa in spazio di vinificazione ed affinamento. In fermentazione, per il Brunello, il Rosso di Montalcino e il Lupo di Fonterenza (un IGT 100% Cabernet Sauvignon), vengono utilizzati dei tini-botte troncoconici in legno o serbatoi in legno da 5hl.
Nessun controllo della temperatura e solo utilizzo di lieviti selvaggi. L’utilizzo della solforosa è in discussione in azienda, per il momento l’obiettivo è quello di diminuire il più possibile la sua presenza che ad oggi viene utilizzata in fermentazione ed imbottigliamento.
Per l’affinamento si utilizzano a seconda della tipologia, tini-botte (18hl-38hl), botti (23hl), tonneaux, e barriques (ambiente condizionato).
La “pazzia di Forterenza”, assieme alla crescente voglia di passare più tempo tra la Terra, ha colpito inizialmente solo Margherita che, stabilitasi a Montalcino nel 1997, ha iniziato a valorizzare gli oliveti, imparando dai vecchi esperti i segreti della cura degli olivi, a cominciare dalle potature. Due anni dopo è stata raggiunta dalla sorella Francesca. Due gemelle non si separano mai.
La passione per il vino è nata piantando personalmente la prima vigna, nel 1999, in un appezzamento di terra circondato per tre quarti da un bosco di lecci, querce, corbezzoli e ginepri, che sul quarto lato si apre sul paesaggio della val d’Orcia. Attualmente l’azienda può vantare circa 2,5 ha di vigneto in produzione tutto coltivato con i metodi della biodinamica.
La cantina, situata al podere e ricavata da ex stalle e granai, è divisa in spazio di vinificazione ed affinamento. In fermentazione, per il Brunello, il Rosso di Montalcino e il Lupo di Fonterenza (un IGT 100% Cabernet Sauvignon), vengono utilizzati dei tini-botte troncoconici in legno o serbatoi in legno da 5hl.
Nessun controllo della temperatura e solo utilizzo di lieviti selvaggi. L’utilizzo della solforosa è in discussione in azienda, per il momento l’obiettivo è quello di diminuire il più possibile la sua presenza che ad oggi viene utilizzata in fermentazione ed imbottigliamento.
Per l’affinamento si utilizzano a seconda della tipologia, tini-botte (18hl-38hl), botti (23hl), tonneaux, e barriques (ambiente condizionato).
Il Brunello di Montalcino 2005, la seconda annata prodotta, è inaspettatamente e schiettamente agreste, le gemelle Padovani non trasmettono al Sangiovese Grosso nulla di effimero, già al naso possiamo percepire il lato rustico del loro carattere che, ormai, è lontano dalla visioni cittadine della Milano da bere.
Ruotando il bicchiere si percepiscono evidenti le note di catrame e gomma, arricchiti da sensazioni di sottobosco umido, bacche selvatiche nere, humus, carrube. Davvero un profilo olfattivo scuro e terrestre. Al gusto deflagra per vigore e carattere, il tannino è un pò rustico, scalpitante, coerenti col naso i ritorni frutta nera e catrame. Chiude lungo, sapido, impertinente. Un Brunello fatto da due terribili “maschiacce” del vino che consiglio di seguire anche nei prossimi anni. Ne vedremo delle belle!
Ruotando il bicchiere si percepiscono evidenti le note di catrame e gomma, arricchiti da sensazioni di sottobosco umido, bacche selvatiche nere, humus, carrube. Davvero un profilo olfattivo scuro e terrestre. Al gusto deflagra per vigore e carattere, il tannino è un pò rustico, scalpitante, coerenti col naso i ritorni frutta nera e catrame. Chiude lungo, sapido, impertinente. Un Brunello fatto da due terribili “maschiacce” del vino che consiglio di seguire anche nei prossimi anni. Ne vedremo delle belle!