Ritorno dalle vacanze con una certezza: la Manzanilla de "La Cigarrera"

Torno dopo venti giorni passati nelle calde terre spagnole dell’Andalusia. Un viaggio che mi ha permesso di conoscere vini interessanti, sicuramente fuori dalle rotte dei grandi mercati ma che, forse per questo, sono dotati di grande originalità e fascino.
Passando per Sanlúcar de Barrameda non potevo esimermi dal visitare “La Cigarrera”, una Bodegas storica di questo territorio che, per le sue caratteristiche pedoclimatiche (qua il fiume Guadalaquivir sfocia nell’Oceano Atlantico), da vita al Jerez (meglio conosciuto col termine inglese Sherry) di intrigante impronta salina.
“La Cigarrera” è una cantina fondata nel 1758 da Don José Colóm Darbo che, pian pianino, iniziò a comprare terreni in città per cominciare a produrre jerez. L’attività è andata sicuramente bene visto che oggi siamo alla nona generazione e, nonostante i suoi piccoli numeri, “La Cigarrera” rimane una realtà molto importante nel settore soprattutto perché tutto è rimasto a livelli artigianali e i vini, soprattutto la Manzanilla, rimangono di grande spessore qualitativo.
Jerez e Manzanilla, che rapporto c’è tra loro? Il Jerez è stato il primo vino della Spagna al quale fu conferita la Denominación de Origen (DO) la cui area è delimitata dai territori dei comuni di Jerez de la Frontera, Sanlúcar de Barrameda e El Puerto de Santa María. Le uve utilizzate per la produzione del Jerez sono tre e precisamente Palomino, Pedro Ximénez e Muscatel.
Il Jerez viene classificato secondo cinque stili specifici (per approfondimenti vedere qua)
  • Fino
  • Amontillado
  • Palo Cortado
  • Oloroso
  • Cream
  • Pedro Ximénez
E la Manzanilla dove è? In quale stile la possiamo ricondurre? Questa tipologia di vino fa parte della categoria Fino ma si diversifica dallo stesso perché, in qualche modo, entra in gioco in questo caso il concetto di “terror”. Infatti solo a Sanlúcar de Barrameda può essere prodotta la Manzanilla che, grazie allo sviluppo e alla protezione del flor, lo strato di lieviti superficiali che si sviluppa all’interno della botte sopra la superficie del vino, mantiene caratteristiche uniche ed inimitabili.
Durante la visita alla Bodegas, che costa circa 3 euro a persona, abbiamo visitato tutta la cantina colma di botti di rovere americano accatastate secondo il metodo soleras y criaderas e abbiamo degustato, alla fine del tour, parte dei loro vini.
Curioso come una scimmia non ho potuto non degustare la loro Manzanilla che ho trovato di un gradevole impatto olfattivo giocato su sensazioni di miele, fiori bianchi e melone. Al palato esce tutto il “terroir” di Sanlúcar de Barrameda visto che il palato diventa gradevolmente salino e ricco di spunti di frutta fresca estiva, mandorla e vaniglia (il legno purtroppo in un vino così giovane è difficile da debellare).
Passando per gli altri stili sono arrivato al capo opposto, al Pedro Ximénez, un vino prodotto al 100% da uva omonima e che trasmette intensi effluvi di prugna, caramello, uva passa, fichi secchi, chiodi di garafano, mallo di noce, ciliegia matura. Un gran vino dolce, certamente non indimenticabile in questa versione, ma che porta con se un finale interminabile e di grande carattere. Col cioccolato poi è il massimo!

Percorsi di Vino va in vacanza.....

...............e torna il 20 Agosto!
Ragazzi godetevi queste vacanze e cercate di bere poco ma bene.
Ah se lo incontrate in spiaggia......non sono io....

Alla scoperta dell’azienda agricola Montepepe di Roberto Poggi

Poco tempo fa su Vinix sono incappato in una recensione di Mirco Mariotti (I vini delle Sabbie) che parlava in maniera davvero entusiastica dei vini di questa azienda agricola, sconosciuta ai più, che porta il nome di Montepepe. Non so, mi sarò fatto influenzare dalle belle parole che un produttore di vino ha avuto nei confronti di un altro (strano in questo mondo) però, dopo quelle poche righe, ho cercato fortemente il Montepepe Bianco 2007 che ora è qua, sul mio tavolo, bello fresco per essere degustato.
Non avendo l’azienda ancora un sito internet funzionante, vi fornisco qualche informazione per capire bene di chi e di cosa stiamo parlando: l’azienda, di recente costituzione, si trova sulle prime pendici di una collina nei pressi di Montagnoso, nella zona DOC dei Colli del Candia. La vicinanza del mare e delle Alpi Apuane crea un microclima particolare fatto di estati ventilate ed inverni miti. I vigneti sono stati impiantati nel 2004 su terrazze già esistenti, che fin dall’ottocento hanno ospitato la vite. La potatura è ad alberello orientato, allevato a spalliera, con viti poste a 0.6 metri l’una dall’altra. La superficie di circa cinque ettari è ripartita in parti uguali tra vitigni a bacca bianca e vitigni a bacca rossa.
I terreni, invece, sono a tessitura franca, leggermente sabbiosa e sensibilmente acidi.
L’azienda agricola produce tre vini:
• Il Montepepe bianco (70% Vermentino e 30% Viogner);
• Il Degeres (60% Vermentino e 40% Viogner) che viene vinificato e affinato in tonneaux di rovere francese;
• Il Montepepe Rosso (70% Syrah e 30% Massaretta) che viene vinificato in acciaio e affinato in botti da 15ql.

Il Montepepe bianco 2007 che ho nel bicchiere è una vera e propria esplosione di frutta, una macedonia olfattiva che porta l’impronta di pesca gialla, mela, susina gialla, ananas, pera Williams e agrumi. Lievi cenni di fiori gialli ed un accenno minerale in chiusura.
Palato di grande spessore e ben equilibrato da una apprezzabile dotazione di freschezza e sapidità. Media la persistenza finale.
Piacevolissima sorpresa questo Montepepe Bianco soprattutto perché, vista anche l’annata, sono sicuro che continuerà ad evolvere in bottiglia e ci regalerà belle emozioni nel futuro. Continuiamo a seguirla questa azienda.
E ora sono curioso di bere il Degeres, il fratellone maggiore che ha fatto legno…..

Lo strano binomio dell'estate 2009: ostriche e Perrier

Il comunicato stampa dell'iniziativa fa molto figo e recita così:

Metafora antica di un cibo difficile da raggiungere, le ostriche sono emblema di stile ed eleganza, di una proposta esclusiva e densa di fascino. La mitologia greca narra che proprio dalle valve di un'ostrica nacque Afrodite, dea dell'amore, mentre pare che Casanova ne mangiasse a dozzine prima di iniziare un pranzo. L'accostamento ostriche e Perrier rimanda al più tradizionale abbinamento dei pregiati frutti di mare con lo Champagne, comunemente associato al concetto di lusso e di raffinatezza, qualità indiscutibilmente riconducibili allo stile Perrier.
Alcuni dei più esclusivi locali italiani propongono per l'estate 2009 l'evento Rendez - Vous: l'aperitivo chic con ostriche e Perrier, una serata a tema in cui vengono esaltate la classe e lo stile della più celebre acqua minerale del mondo, in abbinamento con la preziosità delle ostriche.

Il programma delle serate prevede che gli ospiti siano accolti all'ingresso dei locali dalle ragazze Perrier, che danno il benvenuto offrendo una freschissima flûte di acqua Perrier. Coloro poi che nel corso della serata ordinano un cocktail a base di Perrier - selezionato fra i tanti presenti sul coloratissimo ricettario della Casa - hanno diritto a un'esclusiva degustazione di ostriche, una nuova, elegante idea aperitivo. Il tutto in un ambiente riccamente arredato con i colori e con gli oggetti del leggendario mondo Perrier!".

Ora, va bene che d'estate tutto è lecito e c'è tanta voglia di divertirsi e di trasgredire, va bene che la pubblicità ti vende anche la m@@@@ spacciandotela per puro cioccolato svizzero, però santa miseria non fatemi passare il messaggio che bere acqua ed ostriche fa chic soprattutto con la Perrier che, se non ricordo male, è l'acqua da rutto per eccellenza (vedi Fantozzi) in quanto la più gassata al mondo!!
Acqua, Champagne e ruttino più o meno libero mi sembra tanto l'aperitivo del cafone che non può permettersi lo Champagne che, diciamolo subito, non è il vino che amo abbinare alle ostriche. Troppo metallico il risultato finale che avremo in bocca, meglio un moscato secco o un timorasso di Mariotto, provare per credere.
E se proprio lo volete fare strano, andate a Napoli, non si sa mai si trovasse ancora il marijuancello!!

Il Barolo Sperss 1988 di Angelo Gaja

Questo era uno dei vini presentati durante l’ultimo Bibenda Day e, fortunatamente, l’AIS di Roma a noi “disertori” ci ha permesso di recuperare quanto avevamo perso. Non amo tantissimo i vini di Angelo Gaja, soprattutto perché li ritengo abbiano uno scarso rapporto qualità/prezzo, il fatto di essersi contornati di un’aura di leggenda fa salire le loro quotazioni alle stelle e, a certi prezzi, compro molto altro. Il 1988 non è un’annata qualunque per Angelo Gaja, per lui e la sua famiglia questo millesimo ha significato una sorta di ritorno alle origini, di ritorno a quel Barolo che il papà produceva tra gli anni ’50 e ’60 con le uve che provengono dagli stessi vigneti che Angelo Gaja ha acquisito proprio nel 1988 a Serralunga, in frazione Marenca-Rivette. “Sperss” è stata chiamata la nuova proprietà, nome piemontese che si traduce in nostalgia o profondo desiderio, un omaggio a sua padre Angelo che tanto aveva (ri)voluto questo vino, quel tanto agognato Barolo che ora è qua nel mio bicchiere, aristocratico e monumentale come pochi altri, se chiudiamo gli occhi e portiamo alziamo il calice sembra quasi di stare all’interno di un monastero tanto sono netti ed insistenti gli aromi di ebanisteria, incenso, fiori rossi essiccati. Aprendosi, il vino offre molto di più in quanto esibisce bellissime definizioni di humus, goudron, foglie secche, frutta rossa evoluta, cipria, tabacco, liquirizia. Il palato non tradisce le aspettative e si mantiene austero, mai eccessivo in una eleganza gustativa che solo i grandi vini posso avere. I tannini sono velluto che scivola via per dare spazio ad un corpo e una vena acida ancora in perfetto equilibrio anche se qualche scricchiolio cominciamo a notarlo. Lungo il finale dove giocano note di humus, echi di frutta rossa e rosa passita. Un vino sicuramente emozionante questo Barolo Sperss 1988 anche se questo suo essere monolitico lo rende per me troppo severo, difficile da apprezzare appieno se non da chi ha le chiavi giuste. Ma forse è proprio questo che vuole Gaja no?

L'aperitivo a Napoli si fa così!

Ragazzi non ce ne è per nessuno davvero, non c'è alcun uomo di markenting, stilista o pubblicitario che abbia l'inventiva e l'immaginazione dei napoletani.
Uno di loro, in questi giorni, ha inventato la bevanda dell'estate 2009!
Immaginatevi ora di essere in un suggestivo bar della costiera amalfitana o nella piazzetta di Capri, non c'è nulla di più buono e dissetante, in una calda serate estiva, di una granita fresca ed un babà meglio se abbinati ad un buon bicchiere di limoncello. Sì, il limoncello, il liquore più imitato della storia, quello fatto con i limoni di Sorrento (biologici) la cui buccia viene macerata nell'alcol per otto/dieci giorni per poi filtrare tutto. Avete presente? Che dite? E' un pò "vintage" come aperitivo? E mi sa che avete ragione, perchè ci sono altri che la pensano come voi. Infatti, un sessantenne napoletano, stanco del solito liquore giallastro si è inventato un bel surrogato a partire da una materie prima molto particolare: cannabis. Manlio Chianchiano, come riporta TGCOM, coltivava nell'orto di casa la piantina non per spacciare la droga nel solito modo ma per realizzare un particolare liquore: il "marijuancello", vale a dire liquore alla cannabis. Che fine ha fatto l'arzillo signore? Ovviamente è stato arrestato dai carabinieri nel quartiere Chiaiano di Napoli. Fonti attendibili dicono che al momento del fermo tutto il quartiere stava brindando alla salute del Chianchiano. Ovviamente la bevanda è ignota...

Quando la tradizione del vino diventà passione: Cascina Tollu

Tomaso Armento di Cascina Tollu è un altro di quei vignaioli “on line” che utilizzano il social networking come strumento per trasmettere ed accrescere la propria immagine aziendale. Non è facile trovare in internet produttori che ci mettono la faccia, che ci fanno capire giorno dopo giorno, riga dopo riga, come evolve il loro lavoro, cosa succede in vigna e, soprattutto, quale è la loro (reale) filosofia produttiva.
Tomaso, come scrive lui stesso,è innamorato di Tollu, un podere di circa dieci ettari nel Monferrato a Rocca Grimalda, nel cuore delle terre di produzione del Dolcetto d’Ovada. Lui è cresciuto là, ha visto cambiare il panorama nel tempo, insieme alla sua famiglia ha portato avanti le vigne come chi non lo fa semplicemente per “produrre e vendere” bensì perché ha una naturale passione per la campagna, per il territorio in cui si trova e per i suoi frutti.
La filosofia aziendale è da sempre stata improntata al rispetto dell’ambiente e alla sua preservazione, assecondando la natura, la complessità e varietà che la caratterizzano, con un occhio costantemente rivolto alla qualità: presidio ritenuto fondamentale visto che sono proprio loro i primi a bere e mangiare tutto quello che producono.
Cascina Tollu non fa grandi numeri, oggi produce quattro vini: Dolcetto d'Ovada, Bianco di Tollu, Rosa di Tollu, Cortesemente. (In realtà fanno anche un dolcetto affinato che si chiama Leò, che al momento non è in commercio ma è in cantina ad affinare).
La mia curiosità, soprattutto perché ho letto alcune interessanti recensioni, mi ha spinto a provare il Bianco di Tollu, un vino frizzante a base di Cortese e Chardonnay.
Questo vino è un’eredità che passa da nonno a nipote (Tomaso), il primo l’ha creato e l’ha sperimentato volendo ottenere un prodotto capace evolvere nel tempo, il secondo ha il dovere di migliorarlo e di farlo conoscere (finalmente) al mercato.
Per quanto riguarda la tecnica di produzione, il vino nasce da due vini finiti, infatti le uve chardonnay e cortese vengono vendemmiate e vinificate separatamente sino ad arrivare a due vini finiti, pronti per l’imbottigliamento. Una volta realizzata la cuvéé avviene la presa di spuma che Tomaso cura personalmente moltiplicando i lieviti e poi inoculandoli nella massa che verrà subito imbottigliata. Non viene effettuata nessuna sboccatura, quindi il vino permane sui lieviti (“sur lie”) anche quando commercializzato.
Come spesso dice Tomaso, il Bianco di Tollu è un vino “fuori dagli schemi” e questa caratteristica la notiamo subito nel bicchiere: spuma abbondante e colore giallo paglierino torbido fanno presumere, a bottiglia coperta, che andremo a bere ad una birra artigianale. Ma le assonanze con questa bevanda non finiscono qua….
Il naso si propone con sensazioni di crosta di pane, mela golden e pesca bianca mentre il palato si lascia facilmente conquistare dalle sferzante freschezza e da una piacevolissima beva. Lieve finale amarognolo che mi ha fatto venire di nuovo in mente le birre artigianali molto luppolate.
Bottiglia finita in un attimo. A volte penso che sia molto meglio questa tipologia di vino che tanti Barolo, stracomplessi ma anche di difficile beva ed abbinamento. E poi a meno di 10 euro (in cantina) che volete di più?

P.S.: tutte le etichette dei vini di Cascina Tollu sono riprese dai quadri dell’artista Sergio Fedriani (prematuramente scomparso) la cui moglie ha gentilmente concesso di usare per dare maggiore visibilità sia a vini che all’artista.

E ora? Che ci facciamo col Brunello declassato? Qualche ipotesi di utilizzo....

Non mi occupo di seguire attentamente la vicende che è (ri)esplosa in questi ultimi giorni visto che ci sono illustri giornalisti e blogger che se ne stanno occupando in maaniera capillare e con la giusta competenza. Quello che ho capito io è che tra un pò il nostro mercato sarà invaso da fiumi di Brunello declassato, infatti le notizie ufficiali parlano di circa 1,1 milioni di litri di vino Brunello di Montalcino declassato a Igt Toscana Rosso in seguito alle istanze di restituzioni da parte del Tribunale del riesame di Siena e dopo l'esito delle consulenze tecniche disposte per verificare il rispetto del disciplinare di produzione del Brunello di Montalcino Docg 2003. Non è finita. Sono stati restituiti ai proprietari anche circa 450mila litri di vino Rosso di Montalcino e declassati anch'essi a Igt Toscana Rosso. Più di un milione e mezzo di vino, due milioni di bottiglie, il cui contenuto non ha rispettato (e la facciamo candida) il disciplinare di produzione. E ora cosa pensate facciano i produttori coinvolti con questo vino? Ce lo venderanno a noi con buona pace dei Consorzi di Tutela, della territorialità e della nostra salute. Riflettendo su questo fatto ho cominciato a pensare dove troveremo questo vino:
  • supermercati che lo pubblicizzeranno con un fantastico 3X2;
  • nei wine bar che ci spacceranno questo vino come Brunello, tanto quando versano il vino nel bicchiere nessuno li vede;
  • nei ristoranti che lo spacceranno come vino della casa (nella migliore delle ipotesi).
E noi? Io dico di NO ragazzi, non compriamolo e pretendiamo un altro vino nel caso ce lo volessero vendere a prezzi ridicolo. Non lo beviamo nemmeno se siamo a casa di amici e ce lo offrono. Gli deve rimanere tutto sul groppone perchè noi consumatori ci sentiamo imbrogiati, dai produttori o da chi doveva controllarli, non importa! Al massimo ci facciamo un brasato a Natale visto che in quel periodo siamo tutti più buoni. E voi? Che cosa ne pensate?

Vinixiani di Roma, gran brava gente!!

I vinixiani non sono un popolo extraterrestre ma un gruppo di persone col web 2.0 in testa e tanta voglia di parlare di grande vino e, soprattutto, berlo in compagnia.
Con la benedizione del nostro vate enologico Filippo Ronco che grazie a Vinix ci ha fatto conoscere, ci siamo incontrati ieri sera a Roma all’interno del Circus, locale molto carino ed intimo nel centro di Roma che sarà il punto di riferimento futuro di questo nuovo movimento wine oriented.

A parte gli scherzi, nonostante la serata che più romana sembrava africana, abbiamo bevuti dei vini estremamente interessanti e, in tale ambito, devo necessariamente ringraziare il nostro spacciatore di bianci (Paolo Ghislandi di Cascina I Carpini) e il nostro nuovo pusher di rossi, Vincenzo Ciaceri di Poggio al Toro, che ci ha deliziato con un Morellino di Scansano e un I.G.T. Toscana di tutto rispetto.


Prima di aprire il bianco dei Colli Tortonesi una piccola sorpresa: una vinixiana ha portato con se una piccola chicca umbra, un bianco “naturale”, il Colle Capretta della cantina Terra dei Preti che viene prodotto annualmente in circa 700(!) bottiglie. L’etichetta cita che trattasi di “…vino bianco ottenuto da una selezione di uve delle vecchie viti di Trebbiano Spoletino, fermentate con la macerazione delle bucce per più di dieci giorni come nella pratica tradizionale antica. Il lavoro in vigna e in cantina si ispira a principi di assoluta naturalità e alle influenze dei cicli lunari. La terra viene aiutata solo di rado con concime ricavato dagli animali dell'azienda. Non si utilizzano lieviti artificiali e non si aggiunge solforosa in imbottigliamento. Il vino riposa in un contenitore di cemento vetrificato prima di essere imbottigliato”.
Bevendolo mi è sembrato un vino del contadino a “cinque stelle” che gioca molto sullo stile ossidativo (ottimi i ritorni olfattivi di miele e albicocca matura) ma che al palato perde un po’ la marcia non aprendosi come dovrebbe e peccando un po’ di persistenza. Sarà interessante seguire le varie evoluzioni della cantina.


Gli altri bianchi, come detto, sono stati gentilmente offerti da
Cascina I Carpini, un’azienda amica di Vinix che, pur essendo distante da noi, ci era sicuramente vicina col cuore. Il Rugiada del Mattino lo abbiamo bevuto sia nella versione 2007 sia in quella 2008 (imbottigliata da pochissimo) e i più attenti sono stati bravi a coglierne le differenze: infatti quest’ultimo millesimo si caratterizza per una minima aggiunta (circa 10%) di Timorasso, vitigno principe dei Colli Tortonesi, che ha dato più struttura e complessità al vino che risulta per questo (forse) meno beverino del 2007 che, bevuto freschissimo in una serata afosa come quella di ieri, è stato spazzato via in un attimo. Complimenti comunque a Paolo per la sua continua voglia di sperimentare e di offrirci sempre prodotti di grande livello.

La sorpresa, almeno per me, ieri sera è stata l’azienda Poggio al Toro del nostro Vinixiano Vincenzo Ciacere, romano de roma trapiantato in maremma che ci ha presentato il suo Morellino di Scansano 2007 e un sorprendente 900 Ceppi, in I.G.T. Toscana a base Sangiovese di grande caratura.
Perché parlo di sorpresa? Perché finalmente il suo Morellino mi ha rinfrancato nei confronti di tanti altri prodotti equivalenti che trovavo (trovo) sempre molto sbilanciati o sulla componente alcolica o sulla componente tannica.
Il suo Morellino di Scansano DOCG, proveniente da vigne di 10 anni di età, è ottenuto da uve Sangiovese (almeno il 90%), Cabernet Sauvignon e Syrah (5-10%) e si presenta di un colore rosso rubino con naso di frutti di bosco, visciola, gelso nero ed un tocco di erbe aromatiche. In bocca è molto avvolgente, caldo e, nonostante il grande caldo, è rimasto sempre ben equilibrato nelle sue componenti dure e morbide. Bella la persistenza finale. Sicuramente pronto ma con un potenziale di invecchiamento non indifferente.

Un altro vino di Poggio al Toro che mi ha affascinato è il 900 Ceppi, prodotto solo nelle grandi annate, è una cuvée di uve provenienti dai migliori vigneti di Sangiovese (900 ceppi selezionati) esposti tutti a sud-ovest.
Dopo la vendemmia, che avviene tardivamente (circa metà ottobre), le uve raccolte vengono subito portate in cantina per essere vinificate separatamente dal resto del pigiato dopo un’ulteriore fase di selezione manuale degli acini. La fermentazione viene svolta in 6 giorni ad una temperatura controllata di circa 28° gradi ed è seguita da una macerazione di ulteriori 20 giorni posta in essere per estrarre la maggior quantità possibile di aromi e polifenoli. La fermentazione malolattica è svolta in 2 tonneaux da 5 ettolitri dove poi il vino successivamente sosterà per ulteriori 15 mesi. Un altro anno di affinamento in bottiglia e il vino, senza chiarifiche né filtrazioni, verrà commercializzato. Solo in Magnum o Jeroboam però!!!
Berlo ieri sera è stato una vera delizia per il mio olfatto e il mio palato. Giovane, giovanissimo col suo colore rubino con riflessi violacei, ha un naso molto complesso che non ricorda molto i caratteri del Sangiovese in quanto, prima di tutte, escono le note speziate, pepe nero in primis, seguite da impregnanti note di liquirizia, cuoio, caffè, tabacco biondo, marasca, ribes, sottobosco. Imponente l’impatto gustativo, ricco di estratti e corpo, con un tannino, giustamente astringente, è di grande stoffa ed eleganza. Grande la persistenza finale per un vino che, pur essendo quasi da meditazione, risulta essere di grande bevibilità. Puro edonismo maremmano.

Cantine d'autore? Ma er vino è bbono?

Stati Uniti. Area 51?

Un grande polipo alieno è sceso sulla Terra?

Ma no, è solo l'immagine di una chiesa moderna....

Magari un centro benessere all'avanguardia....

Entrando però non troveremo nè scienziati nè alieni, ma solo...."barrique a cinque stelle". Ma allora si produce il vino qua dentro?

Benvenuti nel fantastico mondo delle cantine d'autore, luoghi incredibili, al limite della fantascienza, creati da grandi architetti e designer moderni che creano questi veri e propri luoghi di culto asettici per soddisfare le manie di grandezza del produttore moderno.
Il fenomeno come facile immaginare è iniziato prima negli Stati Uniti, in California, per poi proseguire in Francia ed in Spagna. Nelle immagini vediamo proprio la cantina della Bodega Ysios, situata a Laguardia (Roja), disegnata dall'architetto Santiago Calatrava, noto forse ai più per i progetti avveniristici di stazioni ferroviarie e ponti che, in questo caso, ha messo tutto il suo ingegno per creare un cantina high-tech ispirandosi ad una immagine di barrique in fila. E il vino? C'è chi giuria sia anche buono ma quanta nostalgia delle cantine fredde, buie, a volte umide, dove nascoste tra le colonne si trovavano le grandi botti scure di vecchiaia che trasudavano storia, passione, lavoro vero. Ora già mi immagino che un cantiniere con i guanti bianchi che posterà la barrique su nastri in velluto ponendo in essere i travasi solo con materiali firmati, magari una pompa enologica firmata Armani.... Il fenomeno, come detto, non è certo isolato perchè oltre alla suddetta "cantina" troviamo altri luoghi high-tech come Marqués di Riscal, sempre nella Rioja, firmata da Frank O. Gehry, architetto del museo Guggenheim di Bilbao (nella foto in basso). Altri esempi li troviamo in Francia (Château Lafite-Rothschild) e in California, dove gli elvetici Jacques Herzog e Pierre de Meuron, utilizzando pietre a secco sostenute da strutture metalliche hanno dato vita alla Dominus, cantina di Château Petrus a Napa Valley. E in Italia? Alla prossima puntata.....

Il Re dei vini dolci: il Vin Santo Avignonesi 1996

Qualcuno fa risalire il suo nome ad un frate francescano che nel 1348 curava le vittime della peste con un vino che era comunemente usato dai confratelli per celebrare messa e che qualcuno credeva avesse delle proprietà miracoloso. Qualcun altro ritiene che durante il Concilio di Firenze del 1439, il metropolita greco Giovanni Bessarione proclamò, mentre stava bevendo il vin pretto: "Questo è il vino di Xantos!", forse riferendosi ad un vino passito greco (un vino fatto con uva sultanina pressata) prodotto a Santorini. Per altri, invece, il riferimento è al suo ciclo produttivo, basato intorno alle feste religiose più importanti del calendario liturgico cristiano: alcuni spremono l’uva per i Santi, altri per Natale ed altri per Pasqua. Alcuni imbottigliano il Vinsanto in Novembre, mentre altri ad Aprile. In Trentino, ad esempio, presso il lago di Toblino, ancora oggi la tradizione vuole che l’attributo derivi dal periodo in cui, le uve appassite vengono pigiate, appunto durante la Settimana Santa. Anche se le origini del Vin Santo sono ancora cotnroverse, al giorno d’oggi, invece, qualche certezza ce l’abbiamo: bere il Vin Santo Avignonesi, uno dei migliore vini dolci al mondo, soprattutto nel millesimo 1990 che giudico una perla enologica mondiale.
L’amore di Avignonesi per il Vin Santo lo possiamo capire leggendo alcune righe del suo sito internet: il Vin Santo non è un mezzo per fare fatturato e soldi. Se sarà prodotto per questo scopo, quel Vin Santo non sarà mai grande. La qualità si trova in una dimensione diversa. Non importa quanto tempo occorra, quanta energia occorra, quanto denaro occorra. Quello che conta è la qualità, e basta. Più è difficile da raggiungere, più grande è la soddisfazione e, di regola, più grande è il risultato.
Oggi proverò a descrivere il Vin Santo Avignonesi, un prologo a quell’Occhio di Pernice che rappresenta, come ho già scritto, il miglior vino dolce italiano e, senza dubbio, uno dei migliori al mondo. Per produrre questo vini si usano due varietà di uva a bacca bianca: la Malvasia Toscana ed un Greco, detto "Pulce in culo", per un evidente puntino nero che presenta nella parte inferiore dell'acino. Dopo la raccolta i grappoli vengono portati nell'appassitoio per essere distesi in unico strato e non troppo fitti sopra cannicci disposti su vari piani e sorretti da castelli di legno. L'appassimento dura sei mesi, durante i quali l'uva non viene mai toccata per nessun motivo. Unica variante alle tecniche antiche, sicuramente migliorativa, è al momento della pressatura, con l'utilizzo di presse pneumatiche, che sono andate a sostituire i vecchi torchi a vite. La quantità di mosto che si ottiene non supera mai il quindici per cento dell'uva fresca e contiene una percentuale di zucchero altissima (dal 55 al 60 per cento). Dopo circa due mesi, al termine della naturale decantazione, il mosto viene messo nei caratelli, piccole botti generalmente di rovere di circa 50 litri. I caratelli non sono a perdere, come le barrique. Durano finché non evidenziano difetti di profumo e finché sono in grado di tenere. Questi vengono riempiti solo per nove decimi del loro volume, con due litri di madre e quarantatre di mosto. I caratelli vanno chiusi subito dopo il riempimento. Poi non si tocca più, per dieci anni finchè non arriva il giorno della loro apertura, di solito nel mese di maggio, a fine luna calante, quando il mosto nuovo si è sufficientemente pulito. Il risultato? Basta leggere più avanti…

Nel mio bicchiere ho il millesimo 1996, emozionante e promettente già dal colore e dalla densità, un testa di moro dalle mille nuance che ruota nel bicchiere con difficoltà, l’alcol, lo zucchero e tutte le altre componenti del vino si aggrappano al bordo del bicchiere lasciando archetti indelebili. Al naso è stupefacente, è quasi commoventi sentire un bouquet di profumi che minuto dopo minuto cambiano lasciandoci emozionati ricordi di quello passato. Frutta candita, frutta secca, tabacco, miele di castagno, cuoio, chiodi di garofano, china, legno di sandalo, mallo di noce, liquirizia, caramello e…mille altri. La bocca mantiene le promesse del naso, il vino entra ampio, ci invade il cavo orale con un equilibrio perfetto tra freschezza e dolcezza. Una volta deglutito il Vin Santo rimane nei nostri sensi per minuti, lunghissimi minuti di puro edonismo. Vin da meditazione assoluto. Cosa potrà essere a questo punto l’Occhio di Pernice?

Scopriamo i Bordeaux 2008. Qualche consiglio.

Il 2008 è stata definita una annata classica dove solo chi ha lavorato bene in vigna ha potuto dar vita a vini di grande struttura e longevità. Dal punto di vista climatico il millesimo in oggetto è stato abbastanza piovoso specie in estate mentre, fortunatamente, da Settembre in poi le condizioni metereologiche sono sensibilmente migliorate portando l'uva ad una maturazione completa anche se abbastanza tardiva costringendo i vignaioli ad una vendemmia accurata selezionando minuziosamente i grappoli. E i prezzi? Finalmente qualcuno ha capito che la bolla speculativa è esplosa per cui per comprare questi vini, en primeur, non bisognerà chiedere un mutuo in banca. Percorsi di Vino non vi parlerà dei soliti grandi Bordeaux (Cheval Blanc, Latour, etc) ma vi darà alcune dritte per scoprire vini poco conosciuti ma di grande spessore. Magari il portafoglio ringrazierà!

Chateau Duhart-Milon 2008: 73% Cabernet Sauvignon e Merlot 27%. Molto denso nel bicchiere, questo vino ammalia il naso e la bocca con complesse sensazioni di frutta rossa matura, la carnosità del ribes, della ciliegia e della mora di rova è totalmente palpabile. I tannini sono setosi e in grande equilibrio con la struttura del vino. Ottima l'intensità e la persistenza di questo vino. Grande possibilità di invecchiamento. Una cassa da 12 bottiglie a circa 400 euro!

Château Pontet-Canet 2008: Molto concentrato alla visiva questo vino, a differenza del precedendente, presenta un naso dove frutta matura e un delicato floreale si uniscono dando vita ad una suadente armonia olfattiva. Alla gustativa il vino spiazza positivamente con la sua grande struttura, dove il carattere del tannino maturo e una grande acidità ben si fondono con una morbidezza di frutto forse un pò troppo accentuata. Grandissimo il finale per un vino che raggiungere un perfetto equilibrio tra qualche anno. Teniamolo in cantina.... Una cassa da 12 bottiglie a circa 700 euro!

Chateau Saint-Pierre 2008
: rubino intenso questo vino si fa amare per la sua freschezza sia al naso dove la frutta è bella croccante, sia al palato dove la spina acida rende ogni sorso molto piacevole e mai banale. Tannino estremamente vellutato per un vino di bella eleganza e persistenza. Non conoscevo Chateau Saint-Pierre, mia grande ignoranza oppure questi qua stanno facendo le cose seriamente da poco? Una cassa da 12 bottiglie a circa 400 euro!

Chateau Cantemerle 2008
: molto intenso al colore, concentra interessanti sensazioni di amarena e prugna matura, chiodi di garofano e corroboranti cenni balsamici che accentuano le note di freschezza come contraltare alla dolcezza della frutta rossa. Fitto e avvolgente, al palato sorprende per la grande sapidità e il lungo finale che termina con un tocco di liquirizia che rende la chiusura leggermente amarognola. E' ancora un pupo questo vino, diamogli tempo e anche in questo caso saremo di fronte ad un Bordeaux dal grandissimo rapporto q/p. Una cassa da 12 bottiglia a circa 200 euro! Oppure volete un'imperiale da 6 litri a circa 200 euro?

Cernilli fa chiarezza(?) sulla lista dei vini del G8

Fortunatamente frequentando il forum del Gambero Rosso ho potuto chiarire grazie alla presenza di Daniele Cernilli, che solitamente latita da quelle parti, i motivi dell'inserimento dei vini nella famosa lista per il G8 in Abruzzo.
Secondo il Direttore sono state contattate, inizialmente, tutte le aziende che quest'anno hanno preso i tre bicchieri per verificare la volontà di queste a partecipare all'iniziativa. Solamente poche, direi pochissime, hanno risposto positivamente all'invito che, come dice lo stesso Cernilli, è stato gentilmente declinato da mostri sacri come Conterno, Biondi Santi, etc.
Tutto ok allora? Beh, non tanto, perchè alla fine l'immagine enologica italiana alla fine è rappresentata da poche aziende, spesso di relativa importanza, e da pochi vini la cui lista non include nessun Brunello, Barbaresco o Amarone.
Beh, però quelli presenti almeno sono tutti tre bicchieri? Nemmeno per sogno, alla fine le aziende hanno fornito quello che avevano, nulla di imbevibile però almeno lo sforzo di dare il meglio della loro produzione lo potevano fare....
Ah, sarebbe carino capire anche perchè Biondi Santi e gli altri non abbiano partecipato ad un evento del genere. Sarò colpa dell'antipatia dei potenti della terra oppure c'è altro dietro?

I 41 vini del Gambero Rosso al G8 in Abruzzo. E' davvero la migliore lista?

Sul sito del Gambero Rosso oggi è comparso un articolo col quale si annuncia con un certo orgoglio che il famoso crostaceo decapode sarà il portabandiera dell'eccellenza enogastronomica italiana durante il prossimo G8 che si terrà a L'Aquila tra l'8 e il 10 di Luglio.
Come si legge nell'articolo, la selezione operata dal Gambero Rosso, mira a far conoscere alcuni dei prodotti simbolo (dai salumi ai formaggi, dalla pasta ai dolci) firmati dalle migliori aziende artigianali italiane e affiancati dai vini di 60 delle cantine italiane di maggior prestigio.

«Non è stato facile – afferma Daniele Cernilli, direttore del Gambero Rosso – decidere chi inserire nell'elenco, vista la quantità e l'altissima qualità complessiva delle produzioni. Tenendo anche conto della provenienza degli ospiti, abbiamo voluto offrire un esempio delle più antiche tradizioni della cultura gastronomica italiana ma anche della capacità dei produttori di salvaguardare e valorizzare i diversi territori del Paese, ognuno ricco di storie, profumi e sapori assolutamente unici e irripetibili».

Tra i vini presenti la scelta, in maniera non troppo casuale, è finita su:

1. Albea - Selva
2. Albea - Petrarosa
3. Albea - Raro
4. Albea - Petranera
5. Albea - Lui
6. Allegrini - Veronese Palazzo della torre igt ‘06
7. Argiolas – Turriga ‘04
8. Az. Agr. Cottanera - Fatagione '06
9. Braida - Bricco dell'Uccellone '06
10. Brancaia - Blu '01
11. Bucci - Verdicchio dei Castelli di Jesi Villa Bucci Ris. '06; Verdicchio Cl. Sup.
12. Cantina sociale di Santadi - Terre Brune '05
13. Castello del Terriccio - Lupicaia '05
14. Cavit - Teroldego Rotaliano D.O.C. Bottega Vinai 2007
15. Colle Massari - collemassari montecucco ris. DOC 2005
16. Cuomo Marisa - Costa D'Amalfi Fiorduva '07
17. Donnafugata - Passito di Pantelleria Ben Ryé '07
18. Elio Grasso - Barolo Gavarini Chiniera '05
19. Ferghettina - Franciacorta Brut DOCG
20. Feudi San Gregorio - Greco di Tufo Cutizzi '07
21. Gianfranco Fino - primitivo di manduria es '07
22. La Broglia - Gavi docg del Comune di Gavi Bruno Bbroglia
23. Livio Felluga - Friulano '08 doc COF
24. Lorenzo Begali - Valpolicella Cl. Sup. Ripasso '07
25. Mastroberardino - Taurasi Centotrenta Ris. '99
26. Montevetrano - Montevetrano
27. Morgante - Don Antonio
28. Perticaia - Montefalco sagrantino docg '05
29. Saiagricola, Colpetrone - Montefalco Sagrantino '05
30. Saiagricola, Fattoria del Cerro - Nobile di Montepulciano '06
31. Saiagricola, Tenuta dell'Arbiola - Carlotta Barbera d'Asti '06
32. Saiagricola, Villetta di Monterufoli - Malentrata - Val di Cornia
33. San Felice - Chianti Cl. Il Grigio Ris. '05
34. Santa Barbara - Verdicchio dei Castelli di Jesi Cl. Stefano Antonucci Ris. '06
35. Settesoli - Mandrarossa Grecanico igt Sicilia '08
36. Sorelle Bronca - P. di Valdobbiadene Extra Dry particella 68 '07
37. Tenuta di Capezzana - Carmignano Villa di Capezzana doc '05
38. Tenuta Sette Ponti - Crognolo '06
39. Trabucchi - Valpolicella Sup. Terre di S. Colombano '05
40. Uberti - Franciacorta
41. Vistorta - Friuli Grave Merlot Vistorta '06

Questa lista rappresenta davvero il meglio dell'enologia italiana? Oppure, come penso io, è solo un insieme di vini provenienti da aziende che, in qualche modo, fanno parte del circuito del Gambero Rosso?

Si diceva che a pensar male si commette peccato però spesso ci si prende....

Vedi qua

E poi qua

Potrei sbagliarmi, certo, però, con tutto il rispetto, una cantina come Albea addirittura presente con cinque vini al G8? E la SAI agricola? Mah, voi che ne pensate?

Percorsi di Vino e lo chef Dino De Bellis insieme per "Bollicine sotto le stelle"

Ci si è messo anche il maltempo a Roma ma la serata che Percorsi di Vino voleva dedicare alle bollicine italiane si è svolta lo stesso, con successo, nonostante fulmini e grandine. Al nostro arrivo all’Incannucciata c’era un bellissimo arcobaleno a darci il benvenuto e tutta la brigata capitanata da Dino De Bellis era indaffarata a terminare il lavoro sugli ultimi deliziosi finger food che dovevano accompagnare l’evento.
Tre i vini che avevo scelto per la serata, tre piccole chicche che volevo condividere con gli altri invitati per far capire loro che si può bere frizzante con godimento e senza spendere un patrimonio.
Certo, non avevamo davanti i mostri sacri francesi della Champagne, però devo dire che il Prosecco millesimato “Luca Ferraro” di Bele Casel, lo spumante “Riserva Nobile” 2004 della Cantina d’Araprì e il Brut Rosè di Luca Abrate non hanno certo sfigurato davanti ad un pubblico di palati esigenti che l’Antica Osteria l’Incannucciata ha ospitato lo scorso giovedì.
Venendo ora ai particolari, il millesimato di Bele Casel per molti è stata una grandissima sorpresa, pochi infatti si aspettavano un Prosecco così godibile e per nulla banale, molto lontano dallo stereotipo del prosecchino bevuto nei peggiori bar delle metropoli italiane. Fantastico questo Prosecco che, nonostante 20 g/l di zucchero, non è mai stucchevole grazie alla bella vena acida e alla grande sapidità che regalano al vino un equilibrio fantastico, senza eccessi e con una nota minerale che fornisce al tutto una garbata eleganza. Altro che Paris Hilton nuda e dorata tra lattine di Prosecco! Il prezzo del vino? Chiedete a Luca di Bele Casel, rimarrete esterefatti, uno dei vini dal miglior rapporto q/p che mi sia capitato.
Altra sorpresa assoluta è stato lo spumante “Riserva Nobile” 2004 della Cantina d’Araprì, grande Metodo Classico da uva Bombino Bianco che quasi tutti i presenti avevano scambiato per un TrentoDoc. Non siamo nel nord Italia ma in Puglia, in una azienda nata nel 1979 dalla passione per il vino di tre amici jazzisti che, per scommessa, decidono di produrre spumante a San Severo, in provincia di Foggia, nel cuore della Daunia. Girolamo D’Amico, Louis Rapini e Ulrico Priore, da cui "d'Araprì", seguono personalmente tutte le fasi di produzione del loro spumante che producono artigianalmente ed in quantità estremamente limitata, come questo “Riserva Nobile”, a cui gli oltre 48 mesi sui lieviti conferiscono una grande complessità giocata su sentori di pera matura, mela cotogna, nocciola, muschio, pane tostato e miele. In bocca è di grande freschezza e morbidezza e il finale, su ricordi di vaniglia e frutta matura, è lungo e persistente. La Puglia non è solo vini rossi, c’è tanto altro oltre il Primitivo e il Negroamaro….
Col Brut Rosè andiamo a Nord da Luca Abrate, giovane azienda piemontese nata nel 1993 e che non molto tempo fa ho potuto conoscere su Vinix, il social network enogastronomico per eccellenza. Questo vino, spumantizzato secondo il metodo Martinotti, con una presa di spuma di tre mesi e affinato sui lieviti per almeno sei mesi, è realizzato totalmente con nebbiolo, caratteristica che lo rende estremamente particolare e dotato di tutti i pregi (tanti) e i difetti (pochi) che questa uva si porta con se. E’ uno spumante dotato al naso di suadenti nuance di frutti di bosco e violetta che in bocca mantiene le promesse olfattive corroborato anche da un piacevole tannino che lo rende estremamente piacevole se abbinato a piatti di carne succulenti. Noi all’Incannucciata non avevamo finger food a base di bistecca Fiorentina però il vino è andato giù lo stesso anche se qualche presente ha notato che la sua struttura “nebbiolesca” lo rende forse meno beverino rispetto agli altri due vini presentati.
Finisco questo piccolo resoconto ringraziando Dino De Bellis e tutto lo staff dell’”Antica Osteria l’Incannucciata” per lo splendido servizio offerto, Stefania De Carlo che, oltre ad essere una splendida compagna di vita, è diventata anche una brava sommelier e Giorgia Toti che ha collaborato alla grande nell’organizzazione di questo piccolo evento che spero abbia fatto conoscere al grande pubblico piccole realtà enologiche che vale la pena di promuovere visto il livello di qualità raggiunto dai loro vini. Grazie a tutti!

Verticale storica di Serra Fiorese Garofoli

Garofoli e il suo Verdicchio non hanno bisogno di presentazioni, soprattutto il Serra Fiorese, un vino che con la sua struttura e complessità può cavalcare benissimo il tempo e offrire emozioni incontrollate all’appassionato che si avvicina per la prima volta al magico mondo dei vini bianchi invecchiati.
Per capire come può evolvere un grande Verdicchio, dieci persone sono partite da varie parti di Italia alla volta di Castelfidardo dove Carlo Garofoli ci aspettava per una fantastica verticale di Serra Fiorese. Dal 1988 ai giorni nostri abbiamo fatto un viaggio sensoriale veramente incredibile.
Il 1988 incanta da subito con il suo colore giallo dorato carico e i suoi profumi intensi di miele, zenzero, pesca e albicocca matura, cedro e accenni di crema. In bocca è ancora vivo, ampio, polposo anche se a tanta struttura non corrisponde forse una persistenza equivalente. Annata che a detta dell’enologo ha sofferto una poco ottimale influenza del legno. Gran bel vecchietto comunque!
Il 1990 è forse un capolavoro di vino, è tutto quello che vorresti da un bianco invecchiato quasi 20 anni: eleganza, complessità, persistenza e struttura in un unico sorso. Macedonia di frutta, agrumi canditi, spezie esotiche e tanta mineralità al naso e una bocca dove grandissimo equilibrio, struttura e persistenza infinita vanno a tessere una unica emozione. Grande!
Il 1992, complice l’annata un po’ minore, è già più evoluto del precedente e si caratterizza per un naso un po’ chiuso dove fa capolino un lieve minerale e qualche sensazione di frutta gialla matura. In bocca perde senza dubbio il confronto con i precedenti in quanto squilibrato tra acidità e alcol che non viaggiano su piani paralleli rendendo, purtroppo, la beva un po’ difficoltosa.
Il 1994 è un vino estremamente godibile, di grande beva oggi anche se mi da l’idea di un nobile decaduto visto che la sua precedente classe ed eleganza la si può solo dedurre dalla degustazione. Un Verdicchio dal quadro olfattivo comunque interessante che ci inebria odori di la frutta esotica matura, zafferano e tocchi di resina, il tutto condito da un lieve minerale. Bocca di media ampiezza e struttura e che stenta ad allungarsi nel finale. Forse bevuto due anni fa era un grandissimo Verdicchio!
Il
1997 è il mio preferito in assoluto, forse anche aiutato dall’annata che a detta di Carlo Garofoli è stata la migliore in tantissimi anni. E’ un monumento al Verdicchio questo Serra Fiorese, dotato di grande freschezza al naso dove vi sono stuzzicanti ed esuberanti accenti di albicocca matura, pesca sciroppata, agrume candito, anice e tanta elegante mineralità. Splendido alla gustativa, esplode in bocca intensissimo e rinfrescato da elegante acidità e sapidità. Persistenza infinita per un vino che stenta a lasciarci e ci accompagna per un viaggio ai confini della realtà!
Il 1999, a detta dell’enologo, è stato un millesimo strano ma di grande godibilità visto che dalle sue precedenti degustazioni di Serra Fiorese erano dotati di una invadente per quanto godibile nota mielosa che, ovviamente, ritroviamo anche nel Verdicchio che degustiamo. Non solo miele però, ma anche frutta gialla matura e spezie dolci per un vino che fa della morbidezza il suo punto forte ma che, fortunatamente, riesce a tirar fuori una nota fresco/sapida che tende riequilibrare il tutto.
Il 2001 è un vino che comincia ad avvicinarsi alla giovinezza, inodora il calice con intriganti note minerali, un po’ boisè, accompagnate da accenni di frutta gialla appena matura e tocchi di ginestra. Palato di grande equilibrio e spessore, molto piacevole ed appagante la persistenza finale.
Il 2002, figlio di un annata piovosa, ha sicuramente meno potenza e struttura dei vini precedenti, anche se questo presunto deficit è bilanciato dalle grandissime note di freschezza del vino che conferiscono grande beva al vino. Finale ammandorlato molto lungo e di buona persistenza. Sicuramente un Serra Fiorese che non avrà un grandissimo futuro ma che, nonostante tutto, fa capire quanto siano bravi in cantina da Garofoli anche in condizioni difficili. Sorprendente.
Il 2003, figlio del sole e del caldo, rispetto alla sua giovane età è già un vino maturo dove frutta matura, fiori gialli passiti e una discreta mineralità formano un quadro olfattivo di tutto rispetto. Bocca di grande potenza anche se manca quella finezza e quell’equilibrio che avevamo trovato negli altri vini precedenti, soprattutto in quei Verdicchio di annate altrettanto calde che, a differenza di questo e nonostante l’età, avevano mantenuto una maggiore freschezza.
Il 2004 è già oggi un grandissimo vino dove il ventaglio olfattivo propone toni intensi di frutta estiva, miele, crema pasticcera, mandorla e un tocco di elegante mineralità. Bocca di grande spessore ed equilibrio, molto diretta con un finale molto lungo da dimenticare. Tenetelo in cantina, sarà uno dei migliori Serra Fiorese degli anni 2000.
Il 2005 come già scritto durante la mia degustazione al Vinitaly è un vino di grande equilibrio ed intensità, dotato di grande femminilità con i suoi profumi aggraziati di pesca, melone, spezie dolci e muschio. Bocca che non ricorderemo per l’esplosività ma per la grande finezza e la cremosità che gratifica il palato.
Il 2006, in anteprima, a detta di Carlo Garofoli è figlio di una grande annata (così come lo sono state la 2007 e la 2008). Olfatti di grande intensità che regala aromi di fiori bianchi, pera, pesca bianca, litchi ed erbe di campo. Assaggio caldo subito mitigato da sapidità e freschezza, questo millesimo, per ora, è stato commercializzato solo in Svezia visto che questo Serra Fiorese da quelle parti ha già vinto un premio. Intenditori!

Energyawine e Tenute Rubino: coppia vincente

Fortunatamente a Vinòforum, se scegli bene e cerchi di evitare la fauna che ho descritto in un articolo precedente, c'è anche gente in gamba che propone vini interessanti.
Mauro, di Energyawine, è una persona appassionata e competente e ho avuto il piacere di seguire il suo consiglio, cioè degustare i vini di Tenute Rubino che la sua società distribuisce in tutta Roma. Tenute Rubino non sono certo una sorpresa (forse lo è per me) perché da tempo le principali guide italiane mettono questa importante realtà pugliese ai vertici dell’enologia non solo regionale ma addirittura nazionale con una gamma di vini estremamente interessanti e molto territoriali. Ma come nasce Tenute Rubino? A metà degli anni 80, la famiglia Rubino, inizia a costruire l’azienda agricola, realizzando delle acquisizioni che, in un decennio, formeranno Tenute Rubino, quell’importante base produttiva, oggi, pienamente in attività, con oltre 200 ettari dedicati ad una viticoltura d’eccellenza. Sono gli inizi di un percorso produttivo che porterà alla nascita, nel 2000, di una nuova cantina di vinificazione e di affinamento a Brindisi città, e alla realizzazione di un progetto imprenditoriale centrato sulla produzione di vini di qualità, in un territorio, quello del nord del Salento, particolarmente vocato alla coltivazione della vite. I vigneti aziendali si estendono si estendono dalla dorsale adriatica fino all’entroterra brindisino su quattro tenute (Jaddico, Uggio Santa Teresa, Marmorelle, Punta Aquila) e gli impianti, con qualche piccola eccezione, hanno una densità per ettaro che oscilla tra le 4000 e le 6000 piante ed un sistema di allevamento prevalentemente a spalliera. Le rese per ettaro, variano per le diverse tenute agricole e per varietà: si va da rese al di sotto dei 50 quintali per ettaro con massimi che non superano gli 80 quintali per ettaro. Grande attenzione al vigneto e moderna tecnologia in cantina danno vita, come detto in precedenza, ad una serie di vini estremamente interessanti a partire dalla gamma “base” dove mi hanno impressionato per piacevolezza di beva due vini: il Giancòla 2007 e il Negroamaro 2006. Il primo è un bianco molto gradevole a base di Malvasia Bianca che offre al naso un profumo molto intenso, aromatico di pesca gialla, susina, frutta tropicale croccante, ginestra, fiori di acacia e miele. Al palato ritroviamo la stessa personalità olfattiva accanto ad una struttura estremamente avvolgente e ad un equilibrio gustativo di grande rispetto. Ma è la beva e la sua piacevolezza la cosa che ammalia di questo vino che nella calda estate romana trova un ottimo alleato. Il Negroamaro 2006 è stata la vera sorpresa, non mi aspettavo un vino base così piacevole e territoriale, sarei curioso di farlo bere alla cieca insieme ad altri mostri sacri dell’enologia italiana, ci sarebbero secondo me delle sorprese. Mettendo il naso nel bicchiere e chiudendo gli occhi ci ritroviamo all’interno della macchia mediterranea pugliese e la scia aromatica, accompagnata anche da note di frutta di rovo, pepe e viola appassita, è pianamente coerente anche alla gustativa dove troviamo vino fresco, sapido con tannini ben integrati. Buona la persistenza finale. A 10 euro è un vino da prendere a casse!