di Luciano Pignataro
Perillo mi dà la possibilità di definire bene, secondo la mia opinione ovviamente, il produttore artigiano. In realtà, al di là dei protocolli, dell’uso o meno di lieviti indigeni o selezionati, di barrique o botti grandi, di trattamenti con fitofarmaci o lotta integrata, secondo me quello che distingue davvero l’artigiano è il rapporto con il tempo. Ossia la decisione di mettere il vino in vendita non quando lo richiede il mercato ma quando è effettivamente pronto. Tutto il vino, non una linea solamente.
Michele Perillo, che ha iniziato a vinificare sulle silenti colline di Castelfranci, ossia nella parte più alta dell’areale compreso dalla DOCG, corrisponde esattamente a questa definizione che alla fine è l’unico discrimine vero, fino al paradosso, magari, di fare uscire una annata più vecchia prima dell’ultima s ne ha le caratteristiche.
Un altro elemento che distingue questa piccola azienda, che produce meno di 20mila bottiglie da nove ettari di proprietà curati personalmente, è il fatto che affianca solo la Coda di Volpe all’Aglianico, secondo quelle che sono le vere tradizioni dell’areale taurasino che non conosceva Fiano e Greco. E tanto meno la Falanghina, il trittico bianco che quasi tutte le cantine irpine presentano a prescindere.
La capacità di distinguersi è sempre il nocciolo del problema che appare difficile da comprendere a chi lavora in questo settore. Michele Perillo, oggi affiancato dal figlio Daniele, fresco di studi di Enologia, conosce nel dettaglio i terreni argillosi, calcarei e tufacei sparsi fra Montemarano e Castelfranci e le loro esposizioni realizzando una lunghissima vendemmia a seconda delle maturazioni raggiunte dall’uva. Giusto per dare una idea dei tempi di uscita, le ultime annate in commercio sono la Coda di Volpe 2019, il Taurasi 2011 e il Taurasi riserva 2010.
Capirete bene, allora, che stappare una 2004 non ha quasi nulla di straordinario in questo caso. Lo facciamo come deve essere bevuto il vino, in una allegra e spensierata giornata di agosto fra numerosi amici accorsi in cantina per sfidare il caldo. Tra pasta al forno, salumi, mozzarella, capretto e pollo ruspante, pizze rustiche e pasta con i ceci, una dopo l’altra le bottiglie vengono sacrificate all’altare della gioia collettiva.
La 2004 fu una annata di riprese dopo la difficile 2003, la prima vera annata caldissima che prese di sorpresa un po’ tutti. Anche in Irpinia si registrò un considerevole aumento della produzione e un ritardo rispetto alla vendemmia precedente dovuto ad un andamento climatico decisamente più fresco che ha regalato vini più snelli ed eleganti. Il 2004 di Perillo si presenta bene all’appuntamento con lo stappo dopo quasi vent’anni, o profumi di frutta sono concentrati, cotognata, carruba, inseriti in un contesto di accenni balsamici e spezie, sul finale una piacevole nota fumè. Al palato l’acidità risulta bilanciata, frutto e legno sono perfettamente integrati sial gusto che all0olfatto, il finale lungo, sapido, i tannini levigati dal tempo ma ficcanti.
Un bel bicchiere che ha chiuso il nostro convivio agostano, purtroppo ormai lontano ricordo dopo il rientro nel logorio della vita moderna (cit. Calindri).
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