Radikon: oltre il mito


11 Settembre 2016

Questa data non è casuale, quel giorno noi tutti appassionati abbiamo perso una grande personaggio del mondo del vino, un gigante della viticoltura italiana che solo una malattia infame poteva portarci via. 

Il suo nome? Stanko Radikon

Stanko Radikon - Foto: Decanter.com

Da quel giorno in poi Saša, suo figlio, ha preso in mano le redini dell’azienda agricola con molto coraggio perché, se è vero che già affiancava da anni suo papà, è anche vero che l’eredità è di quelle pesanti e bisogna avere spalle grandi, in tutti i sensi, per continuare e, possibilmente, migliorare ciò che all’apparenza potrebbe sembrare inscalfibile. Per mille motivi, perciò, ero ansioso di passare a trovare Saša, nella sua Oslavia, là dove la ribolla gialla trova il suo terroir di elezione e dove lavora un altro mito del vino italiano: Josko Gravner. 

Padre e Figlio

Saša mi aspetta nel vigneto storico della proprietà, che ha una superficie di circa tre ettari, acquistato nel 1923, assieme all’annessa casa colonica, dal suo bisnonno Franz Mikulus (papà di suo nonna) che al tempo coltivava prevalentemente ortaggi e alberi da frutto. Il vino, allora, era ancora una produzione marginale e bisogna aspettare suo nonno Edoardo Radikon, originario di Podsabotin (Slovenia), un paesino a tre chilometri da Oslavia, affinché si iniziasse a coltivare vigna e produrre vino seriamente anche grazie alla creazione della prima cantina a nome Radikon. Nel 1977, ad Edoardo, succede suo figlio Stanko che imbottiglierà il suo primo vino una decina di anni dopo riscoprendo, a partire da metà anni ‘90, le lunghe macerazioni sulle bucce, contestualmente all’abbandono della chimica, dando vita assieme ad altri vignaioli del territorio ad un nuovo corso del vino italiano.


I 3 ettari di una volta oggi sono diventati quasi 18, tra proprietà e affitto, dove sono piantate viti di ribolla, friulano, sauvignon blanc, pinot grigio, chardonnay, merlot e pignolo. 

Vigna storica - Foto: Luciano Pignataro

I terreni vengono lavorati in maniera semplice, quasi arcaica: l’erba viene sfalciata e i sarmenti e le vinacce sono gli unici nutrimenti per la ponca, terreno composto da marna e arenaria, ricco di sali e macroelementi, tipico di questa zona del Collio. Anche in vigna si cerca la massima naturalità possibile e i trattamenti, a base di solo rame e zolfo, vengono effettuati solo quando strettamente necessario. 

La casa colonica e la cantina esterna- Foto: Luciano Pignataro

Visto che dal punto di vista agronomico, rispetto al passato, nulla è apparentemente cambiato, ho domandato a Saša se anche in cantina tutto era rimasto immutato o se, dopo la morte di suo papà, c’erano state delle evoluzioni in modo che i vini, come giusto che sia, somigliassero più alla sua personalità e al suo modo di interpretare il territorio. 

La sua risposta è stata eloquente: ”Da quando papà è mancato faccio il vino nella stessa maniera ma non nello stesso identico modo. Io e lui, fortunatamente, avevamo gusto ed idee simili sul concetto di vino ma io penso che bisogna sempre evolversi nel nostro lavoro altrimenti rimaniamo semplici esecutori di ricette. Nel dettaglio, perciò, rispetto al passato, ho cambiato le barrique con botti più grandi da 6 HL, minori follature durante la fermentazione ma, soprattutto, i tini vengono chiusi per evitare il contatto con l’ossigeno. Questo, vorrei sottolineare, era già condiviso da mio papà ma per vari motivi non era mai stato messo in atto”. 


Da un punto di vista strettamente tecnico, ­una volta in cantina le uve, vendemmiate manualmente e pigiodiraspate, svolgono fermentazione spontanea e macerazione per 3/4 mesi in tini troncoconici di rovere chiusi. A termine fermentazione, per i bianchi, segue svinatura e affinamento in botti di rovere dai 25 ai 35 hl per 36 mesi con alcuni travasi se necessari. Per i rossi, invece, l’affinamento in barrique usate può durare almeno 5 anni a cui seguono ulteriori 5 anni di maturazione in bottiglia prima di uscire sul mercato. 


Questo vale per la linea Blu mentre per la linea “S”, che nasce con l’obiettivo di avvicinare per gradi i consumatori al mondo dei vini macerati senza catapultarli subito nei loro “eccessi”, i tempi di macerazione (8\10 giorni) ed affinamento (12 mesi di botte grande più altri 4 di bottiglia) sono ovviamente più ristretti al fine di far prevalere in questi vini la fragranza fruttata rendendo l’approccio gustativo più amichevole e simile a ciò che mediamente già si conosce. 


Con Saša, dopo un giro nella cantina privata dove sono conservate tutte le annate storiche dell’azienda, ci dirigiamo verso la sala di degustazione che incanta l’ampia vetrata con affaccio panoramico sui vigneti. E cominciamo a stappare… 



Radikon – Slatinik 2018
(chardonnay e friulano): Saša lo considera come l’approccio più immediato e didascalico al mondo dei suoi vini macerati. E’ un vino di spessore ma al tempo stesso conserva proporzione ed eleganza. Sa di agrumi canditi, resina e ferro ed incanta per un sorso sinuoso, vibrante, che sfuma in ricordi di salgemma. 


Radikon – Pinot Grigio “Sivi” 2018 (pinot grigio): dallo splendido color ramato questo pinot grigio in purezza indossa senza problemi la casacca di un grande rosato il cui boquet olfattivo passa dai piccoli frutti rossi al rabarbaro fino ad arrivare al pepe rosa e alla terra rossa. Sorso vigoroso, graffiante, declinato con eleganza in quanto privo di ossidazioni e sbavature. Il tannino c’è, graffia leggermente e fa da sponda ad un finale dove il frutto croccante e la maestosa sapidità si fondono rendendo questo vino un perfetto jolly a tavola. Saša dice di provarlo col coniglio cotto al forno. 


Radikon – Oslavje 2013 (chardonnay, sauvignon e pinot grigio): vino simbolo di un territorio e della filosofia Radikon, è un orange wine dalla complessità e dalla personalità davvero importanti. E’ estremo, fa gare a sé, non ha la pretesa di entrare nelle corde di tutti i degustatori, difficile, come ammette lo stesso Saša, trovarsi davanti ad un vino capace di coniugare sanzioni olfattive e gustative che sono agli opposti. Difficile trovare un vino elegante ma vigoroso, verticale ma al tempo stesso voluminoso e avvolgente, nervoso ma equilibrato. L’impianto olfattivo è un costante richiamo alla mela cotogna, all’albicocca disidratata, al burro di arachide, alle spezie gialle orientali, al timo, alla terra rossa bagnata dalla pioggia. Sorso sorprendente per bilanciamento tra le durezze acido-sapide e la percezione tannica. Inutile parlare di lunghezza gustativa poichè il vino, grazie alla sua veemente mineralità, ha una beva interminabile con costanti richiami di frutta gialla matura. 


Radikon – Ribolla Gialla 2013 (ribolla gialla): se chiedi a cento appassionati quale è il vino simbolo dei Radikon, probabilmente il 90% prenderà la ribolla gialla come punto di riferimento. Ed è normale, perché questo vitigno ed Oslavia sono un tutt’uno, sono radicati a vicenda in un rapporto quasi simbiotico che col tempo e la giusta consapevolezza si è spinto ai margini di una orgogliosa rivendicazione di unicità qualitativa dato che, da un paio di anni, sei produttori della zona, tra cui Radikon, hanno proposto di elevare la ribolla di Oslavia a DOCG. Questa Ribolla Gialla, una delle ultime prodotte ancora da Stanko, si esprime su suadenti sensazioni di pasticceria da forno, nocciola, nespola, purea di mela, miele di castagno, burro di arachidi, iodio. Al gusto l’avvolgenza e il morbido abbraccio iniziale del vino sono subito equilibrati dai toni freschi e minerali del vino. Indescrivibile il finale lungo, corrispondente, elegante di questa ribolla che esplode nel retrogusto in maniera vigorosa con i suoi ricordi di frutta esotica e sensazioni salmastre. 


Radikon – RS 2018 (merlot, pignolo): se volete un approccio ai grandi rossi di Radikon, dovete allora iniziare da questo blend ricco di richiami aromatici di frutta rossa croccante, viola appassita, china, terra umida e sbuffi ematici. Sorso di grande piacevolezza in cui un corpo ben proporzionato si concede una lunga chiusura che richiama le sensazioni fruttate e floreali.


Radikon – Merlot 2003 (merlot): i grandi rossi di Radikon, per quanto ho capito io, hanno una caratteristica stilistica abbastanza importante che, probabilmente grazie al lungo tempo di affinamento prima in botte e poi in bottiglia, ha a che fare con un aggettivo molto conosciuto da noi sommelier: etereo. Tale parola, declinata nel merlot di Radikon, nulla ha a che fare con l’etere composto chimico, con rimandi perciò a sensazioni di vernice o solventi, ma ha una connessione diretta al concetto di etere per gli antichi ovvero sia alla parte più alta, pura e luminosa dello spazio che nella fisica aristotelica costituiva l’incorruttibile quinto elemento di cui sono costituiti le sfere e i corpi celesti, dal cielo della luna a quello delle stelle fisse. Pertanto, se questa è la mia interpretazione, scordavi di esser davanti ad un vino muscoloso e scalpitante in quanto questo merlot 2003 ha più le caratteristiche della purezza, della spiritualità e dell’astrattezza sia aromatica che gustativa. Ci sono solo soffi aromatici di frutta rossa disidratata, solo echi di erbe officinali e risonanze salmastre. Prendete un sorso, chiudete i vostri occhi e resettate le vostre convinzioni sui grandi rossi da invecchiamento. 


Radikon – Pignoli 2008 (pignolo): il pignolo è come una orchestra un po’ caotica e ribelle alla quale serve un grande direttore per dare armonia ed eleganza alla sinfonia complessiva. Il vino, prodotto solo nelle annate 2004, 2007 e 2008, ha un bouquet aromatico che ricorda le marasche macerate, il tabacco da pipa, il macis, il pepe nero, la grafite, la noce. Una appagante vena fresca va ad equilibrare magistralmente gli sbuffi alcolici del vino creando una fusione gustativa unica dopo il tannino, perfettamente fuso, accarezza il palato. Il finale, dotato di eleganti e suggestivi effluvi minerali, è praticamente infinito. 

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