Muraje Carema e il sogno di Federico e Deborah

di Andrea Petrini

A Carema non ci capiti per caso, ti fermi là perché ci vuoi andare. Carema e il suo vino devono essere necessariamente la tua destinazione, prima di tutto del cuore, perché da queste parti nulla è di moda, nulla è facile e scontato, nemmeno gestire sua maestà il nebbiolo (localmente chiamato picutener e pugnet) visto da queste parti, ovvero al confine tra il Piemonte e la Valle d’Aosta, questo vitigno viene allevato eroicamente sulle pendici del Monte Maletto, tra le rocce moreniche di origine glaciale, usando caparbiamente quella che viene definita architettura topiaria.

Di cosa sto parlando? Beh, sto descrivendo sostanzialmente una viticoltura eroica dove faticosamente, nella roccia viva, l’uomo ha creato dei terrazzamenti a secco, tra i 300 e i 700 metri di altitudine, collegati da ripidissime ed asimmetriche scale in pietra, dai quali si innalzano come soldati schiere di pilastri dalla forma tronco-conica (pilun) sui quali poggiano i graticci che sostengono i tralci delle viti. Le pergole a Carema, chiamate localmente “topia”, sono così ovvero degli scenografici “templi bacchici” (Renato Ratti) dove i pilun hanno l’importante funzione di accumulare calore di giorno rilasciandolo durante la notte, attenuando così l’escursione termica.

Architettura topiaria

A Carema, dove le vigne iscritte a questa DOC, divise in decine e decine di micro-parcelle, non superano i 19 ha totali (dimensione media di una azienda toscana), per esser un vero viticoltore eroico spesso devi conoscere e passare per “Mario”. Chi è costui? Beh, chiedetelo a Federico Santini, toscano di nascita ma piemontese di adozione, e alla sua compagna Deborah (agronomo) che nel 2012 hanno deciso di dar sfogo alla loro grande passione per il nebbiolo cercando di investire tempo ed energie in questa DOC dove tutto è difficile, anche acquistare o affittare dai vecchietti del paese una parcella di terreno vitato. Già, perché a Carema fare il vino è una questione di tradizione famigliare e nessuno accetterà di buon grado di cedere la sua micro-vigna a meno che gli acciacchi dell’età non siano davvero invalidanti o a meno che non ci sia Mario, amico fraterno di Federico, che interceda per convincere i locali che questo aspirante vignaiolo venuto da lontano sia là per fare un buon lavoro tutelando e valorizzando un territorio e, in particolare, una viticoltura che rischiava di scomparire così come successo a Boca. Non ho scritto un nome a caso, poi si capirà.

una vigna di Murjae

Federico e Deborah, dopo essere passati sopra ai tanti “Chi ve lo fa fare!” e aver superato, nel 2012, la prova generale del prode Mario che gli ha “costretti”, tanto per fargli capire a cosa andavano incontro, a vendemmiare e a vinificare due damigiane di nebbiolo, hanno iniziato a Carema la loro attività di vignaioli a fine 2014 quando hanno acquistato la prima parcella di nebbiolo in zona Laurey (versante ovest e più soleggiato della conca di Carema) dando vita al progetto Muraje (in dialetto caremese si riferisce ai muretti a secco usati per i terrazzamenti) che oggi, tra proprietà ed affitto, può contare su circa 1.3ha di vigneti divisi in 40 appezzamenti sparsi nel territorio della DOC Carema.
Le difficoltà dei nostri giovani vignaioli non finiscono qua perché la cantina di vinificazione nei primi due anni di attività ancora non è pronta e, dopo Mario, ecco emergere un altro nome caro alla recente storia di Muraje: Christoph Kunzli, anima e cuore di Le Piane, azienda simbolo del Boca DOC.

Pendenze.....

Federico e Deborah, infatti, usano la cantina e la sapienza enologica dello svizzero per vinificare le prime due vendemmie, 2015 e 2016, dalle quali sono nati due VDT: il Kræma 2015 (972 bottiglie prodotte) e il Sumié 2016 (876 bottiglie prodotte). La cantina verrà acquistata solo nel 2017 ed è situata in via Croce 20, al termine di una sfiancante salita dove è possibile apprezzare anche il campanile settecentesco di Carema alto 60 metri e considerato un capolavoro unico nel proprio genere in Piemonte.


La cantina è piccolissima, circa 60 metri quadri, dove troviamo tre vasche di cemento e qualche botte di rovere esausta. Tutto molto semplice così come lo è l’approccio enologico di Federico e Deborah: fermentazione spontanea in cemento, uso di lieviti non selezionati, lunghe permanenze sulle bucce (2/3 mesi) e successivo affinamento in legno per altri 12 mesi. Il vino, non filtrato e con l’aggiunta minima di solforosa, va poi in bottiglia. Con l’annata 2018 Muraje produrrà circa 3000 bottiglie di Carema DOC alle quali si aggiungeranno un altro migliaio di bottiglie di un secondo vino (60% nebbiolo con saldo di altri vitigni a bacca rossa locali) chiamato Lasú (come per il Sumié il nome si riferisce ad alcuni pali dell’architettura topiaria).

Grazie alla visita che ho fatto a Federico durante la Festa dell’uva e del vino di Carema ho potuto degustare il Sumié 2016 e il Lasú 2018 anche se la parte più divertente, almeno per me, sono stati gli assaggi da botte dell’annata 2018 del vino atto a divenire Carema DOC.
Il Sumié 2016 (90% nebbiolo con saldo di altri vitigni a bacca rossa locali tra cui neyret e nero d’ala) è la seconda e ultima annata vinificata presso Le Piane per cui ancora non può fregiarsi della DOC Carema. Il vino, pur nella sua gioventù, fa percepire che Federico e Deborah hanno intenzione di sovvertire la convinzione che il nebbiolo di Carema sia un vino austero ed indecifrabile. Il Sumié nel mio bicchiere è un vino moderno che non tradisce le tradizioni del territorio, ha un olfatto minerale di ardesia, profondo, ma è anche ricco di sfumature fruttate e floreali che lo rendono immediatamente piacevole. La bocca è succosa, senza deviazioni; punta dritto al finale, sapido e fruttato e di lunga persistenza.


Il Lasú 2018, il “secondo vino” di casa Muraje, è un vino gioviale, divertente, fresco e di grande leggerezza. Sa di fragoline, spezie fresche, viole, erbe di montagna ma la sua forza sta nella beva, assolutamente irresistibile soprattutto se servito fresco, causa anche un grado alcolico misurato. E’ un vino popolare che sa di condivisione e serate tra amici passate a tagliare pane e salame in spiaggia o davanti ad un camino.


Mentre arriviamo in bottaia Federico mi spiega che da sempre cerca di effettuare vinificazioni separate con lo scopo di capire le potenzialità dei vari terroir in cui sono sparsi i suoi vigneti di nebbiolo. In particolare, nella 2018, ha vinificato a parte il nebbiolo della zona Laurey perché, secondo anche i vecchietti del Paese, da quella zona da sempre si producono vini di altro spessore qualitativo. Questo nebbiolo, ovviamente ancora in affinamento, è davvero particolare, è profondo, complesso, vibrante, con una struttura importante che si percepisce dopo la deglutizione. E’ ancora indietro soprattutto se confrontato con il nebbiolo proveniente dagli altri vigneti, comprensivi anche di una parte di Laurey, che risulta già espresso, luminoso, di grande eleganza. Alla cieca avrei parlato di un Carema già in bottiglia. 

Giudizio finale? La 2018 in casa Muraje sarà una grande annata visto che le premesse ci sono tutte. P.s: non sarà prodotto il Cru “Laurey”, quello di Federico e Deborah è per ora solo un esperimento. Ah, il Carema 2017, di cui non ho parlato, uscirà il prossimo anno in circa 1.400 bottiglie.

Tenete d’occhi questi ragazzi, se lo meritano!

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