Anche se avevo 10 anni ed ero un bambino me lo ricordo bene quel gennaio del 1984 perchè per due volte, tra il 19 e e il 23 gennaio, tutta l'Italia si era fermata col fiato sospeso per tifare ed esultare dopo l'impresa di Francesco Moser che, nell'arco di pochi giorni, a Città del Messico aveva battuto prima Eddy Merckx e poi se stesso stabilendo il nuovo record dell'ora a 51,151 km con l'ausilio dell'innovativa bicicletta on le ruote lenticolari
Foto: Sky Sport |
Mi ricordo bene il volto stralunato di Moser al termine di quella battaglia vinta a 33 anni pedalando ad 50 km/h di media, sento ancora nella mia testa le urla di gioia di Adriano De Zan e quello speaker che nell'area rarefatta della capitale messicana gridava incredulo "Va por la hora! Va por la hora!".
Foto: Ville&Casali |
Capirete, cari amici, che per uno come me cresciuto col mito di Francesco Moser non è stato facile trattenere un filo di emozione quando pochi giorni fa da Pipero a Roma me lo sono trovato vicino, assieme ai suoi figli Carlo, Ignazio e al nipote
Matteo, per la presentazione del Moser Brut Nature, ultimo nato della gamma aziendale assieme al Moser Rosé e al Moser 51,151.
I Moser al completo. Foto: Trentodoc |
Già, cari amici, avete capito bene, i Moser producono anche ottimo vino e la tradizione vinicola di famiglia risale agli anni '50 quando in Val di Cembra, alle porte di Trento, Ignazio Moser inizia a coltivare la vigna cedendo poi le uve bianche, soprattutto Mueller Thurgau, alle varie cantine della zona. La vera svolta arriva negli anni '70 quando i figli Francesco e Diego cominciano ad imbottigliare il proprio vino, soprattutto Teroldego, Chardonnay e Mueller Thurgau, per soddisfare le esigenze dell'agriturismo di famiglia. Col tempo, e il successo dell'iniziativa, arrivano i primi importanti investimenti che si concretizzano della realizzazione delle prime bottiglie di Trentodoc e il trasferimento nella nuova e moderna sede localizzata nella tenuta di Maso Villa Warth, un antico podere vescovile di origine seicentesca che dai suoi 350 metri s.l.m. si affaccia sulla città di Trento.
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Maso Villa Warth |
Oggi, grazie alla freschezza e all'energia di Carlo, Francesca, Ignazio e Matteo, Cantine Moser gestisce circa 16 ettari
di vigneto suddiviso in tre aeree trentine dalla particolare vocazione
produttiva: il Müller Thurgau e lo Chardonnay crescono sui terrazzamenti di
Giovo, in Val di Cembra, mentre sono terreni ideali per rossi corposi quali
Cabernet Sauvignon, Merlot e Teroldego quelli di Sorni in prossimità di Lavis.
La maggior parte delle vigne si trova nell’anfiteatro di Maso Villa Warth che accoglie
Chardonnay, Moscato Giallo, Gewürztraminer e Riesling Renano quanto alle uve
bianche, Pinot Nero e Lagrein per quelle rosse. L’identità produttiva di Cantine Moser è
dichiaratamente trentina, ad iniziare da vini bianchi quali il Moscato Giallo,
il Riesling, il Gewürztraminer, il Muller Thurgau o i rossi che propongono
Teroldego e Lagrein. Ma è al Trentodoc che Cantine Moser guarda con particolare attenzione sopratutto oggi che è stato lanciato sul mercato il Moser Brut Nature, millesimo 2011, che nelle intenzioni dell'azienda va a posizionarsi al vertice della gamma.
Moser Brut Nature è un Blanc de Blanc da uve chardonnay
prodotte in due diverse aree vitate della proprietà, posizionate in situazioni
molto diverse tra loro: la prima a Maso Warth, che è anche sede dell’azienda, un anfiteatro di vigne ad
un’altitudine di 350 metri di quota che si affaccia sul comune di Trento; la
seconda in Valle di Cembra dove le altitudini sono molto più importanti, tra i
500 ed i 650 metri s.l.m. Si tratta di due bacini produttivi che consentono di
unire il carattere e la pienezza delle uve coltivate a minor altitudine all’eleganza
e ai profumi di quelle “di montagna”.
Le uve delle singole parcelle vengono vinificate
separatamente con pressatura soffice, selezione del mosto fiore, fermentazione
e affinamento in vasche di acciaio a temperatura controllata. Una volta
individuate le microvinificazioni da destinare al Brut Nature si procede
all’imbottigliamento e all’aggiunta del liquido di tiraggio. Inizia così il lungo periodo – minimo cinque
anni - della maturazione in bottiglia.
Degustandolo si capisce immediatamente che questo Trentodoc è ancora giovanissimo e gioca tutte le sue carte non sulla complessità, che arriverà in futuro, ma sulla sua sfrenata bevibilità amplificata dalla gradevole secchezza del vino il cui sorso, tagliente come una lama, è nettamente proporzionato in tutte le sue dimensioni. Il finale, nitido e decisamente minerale, è un plus da non sottovalutare.
Buona la prima ragazzi e, per il futuro, gambe in spalla e pedalare. E' il caso di dirlo, no?!
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