Un'emozione chiamata Madeira Barbeito Malvasia 1875 – My grandfather collection


La storia del Madeira si perde nella notte dei tempi e, per molto versi, ricorda quella del Marsala.
Nel XVII secolo l’isola portoghese era considerata un porto di sosta importante per le navi mercantili dirette verso il nuovo mondo che, da queste parti, si rifornivano di cibo e bevande locali. Il vino, sistemato nelle stive della navi, doveva affrontare lunghi e caldi viaggi e, inevitabilmente, giungeva al termine del viaggio completamente imbevibile. 

Vecchia mappa di Madeira
 Con lo scopo di prevenire questo inconveniente, si pensò di aggiungere brandy al vino in modo da fargli sopportare le insidie del lungo viaggio. Il vino rimaneva nelle botti a maturare per mesi al caldo equatoriale delle stive delle navi, e l'azione conservante dell'alcol restituiva, alla fine del lungo viaggio, un ottimo vino, di carattere, totalmente diverso da quello di partenza. 
Era nato il mito Madeira, la cui pratica di farlo ossidare al caldo equatoriale divenne così imprescindibile che, all’epoca, i migliori Madeira erano proprio quelli che avevano viaggiato per mesi nelle stive di navi e che per questo venivano chiamati Vinhos de Roda, cioè vini che avevano compiuto un viaggio fino a tornare, arricchiti e impreziositi, nell'isola.

Oggi, ovviamente, il Madeira non viene più prodotto col riscaldamento delle botti nelle navi ma simulando lo stesso processo: il vino, infatti, per alcuni mesi viene sottoposto ad alte temperature (intorno ai 50 °C), utilizzando le c.d. estufas (stufe) che ossidano velocemente il vino convogliando costantemente aria equatoriale.

Vecchia immagine di una prima estufas
Si deve comunque osservare che il processo di riscaldamento per i Madeira più pregiati viene svolto senza l'ausilio delle estufas, e si svolge in modo naturale lasciando le botti in appositi locali posti sottotetto dove il torrido caldo dell'isola fa raggiungere temperature elevate. In queste condizioni, le botti vengono in genere lasciate per lunghi periodi di tempo, spesso anche per decine di anni, al termine del quale il vino viene trasferito in ambienti più freddi e quindi imbottigliato.

Estufas moderna
Ci sono quattro tipologia di Madeira distinte a seconda del tipo di uva usata per produrlo:

  • il Malmsey (Malvasia), il più dolce (indicato anche con il termine di ricco);
  • il Boal, semi-dolce (indicato anche con il termine di dolce);
  • il Verdelho, semi-secco (indicato anche con il termine di medio);
  • il Sercial, il più secco (indicato anche con il termine di secco).
Nei Madeira di minore pregio, spesso si utilizza anche il Tinta Negra, un uva a bacca rossa alloctona introdotta dopo l’epidemia della fillossera.
La scorsa settimana durante il Roma VinoExcellence 2011 si è svolta una bellissima verticale di Madeira Barbeito, una piccola azienda famigliare fondata nel lontano 1946 che, come vedremo, conserva nella sua cantina gemme senza tempo.  


In degustazione:

Barbeito Sercial Old Reserve 10YO: l’uva sercial offer dinamicità e spina acida al Madeira. Colore oro antico offre al naso piacevoli sensazioni di nocciola, mallo di noce e albicocca secca. Sorso caratterizzato da acidità evidente che mantiene la bocca pulita. Forse un po’ corto in bocca.

Barbeito VB – Lote 2 (cask 12 & 26), Medium Dry: blend di Verdelho e Boal che un po’ rompe la tradizione che vuole il vino monovitigno. Qua si riesce ad intuire la struttura dell’uva Boal (40%) e la freschezza del Verdello (60%). Naso interessante di noce, olio di mandorle, cera. Bocca di media lunghezza, fresca, elegante, chiusura su toni di legno pregiato.

Barbeito Boal – Old Reserve 10YO: quest’uva è sinonimo di struttura e grassezza. Naso caleidoscopico dove ritroviamo l’opulenza del caffè tostato, la cera, la crema di nocciola, il miele di castagno. Bocca glicerica ma non seduta, la freschezza è una caratteristica del Madeira che non rimane mai stucchevole. Grande persistenza finale.

Foto di Davide Cocco
Barbeito Malvasia 2000 – Single Cask 40°: vino con discreto residuo zuccherino. Ha aromi uva passa, canditi, frutta secca e una bella mineralità. Bocca elegante, misurata, più secca forse di una tipica Malvasia portoghese. Ottima la persistenza e la pulizia di bocca.

Barbeito Colheita 2002 – Canteiro – Single Cask 110 (my first Tinta Negra Single Cask): Ricardo Freitas, proprietario dell’azienda, ci dice che come per il Babeito VB, anche questo vino è una scommessa perché nessuno fino ad ora credeva nelle potenzialità dell’uva rossa Tinta Negra giudicata dai più buona solo per vini di basso rango. Come per il Pinot Nero nello Champagne, questo vitigno porta struttura e un naso giocato su aromi di caramella all’orzo, zucchero bruciato, noci dolci. Bocca di grande freschezza e scorrevolezza nonostante la tanta ciccia.

Barbeito Malvasia 20 YO – Lote 7199: la struttura del vino e la complessità gustativa cominciano a farsi estremamente interessanti. Naso resinoso, di erbe aromatiche, di cuoio, frutta secca, olii essenziali, cera per mobili antichi. Forse una punta di alcol che esce di troppo. Sento tantissimo il minerale vulcanico. Bocca dinamica, fervida, minerale. Grande corpo e grande persistenza finale.

Barbeito Malvasia 1920 (Private Collection from Favilla Vieira family): per la legge in vigore all’epoca questo vino ha subito un affinamento minimo di 20 anni anche se Ricardo ci assicura che è rimasto in botte per 90 anni. Come riporta l’etichetta questi grandi vini erano di proprietà di famiglie dell’isola che sceglievano di invecchiare il vino al fine di tramandarlo di generazione in generazione. Non sto a scrivere cosa significa odorare e bere un vino del genere, ogni descrittore che ci fa pensare al tempo che passa è abile e arruolato.

Barbeito Malvasia 1875 – My grandfather collection: avere tra le mani un vino di 150 anni è un’esperienza mistica, irripetibile, perchè vuol dire che hai in pugno la storia di tante persone che hanno amato questo vino talmente tanto da renderlo sacro e preservarlo da un mondo che cambiava e diventava sempre più profano. Un pezzo di storia che i miei sensi difficilmente dimenticheranno.

Foto di Davide Cocco

Fonte: Wikipedia e Diwine Taste

2 commenti:

Davide Cocco ha detto...

Grazie due volte Andrea.
Primo perché hai messo i credits sotto le foto (anche se non era necessario, ma ti fa onore).
Secondo - e molto più importante - per quel bicchiere di 1875 che mi hai portato :).
A presto,
Davide

Andrea Petrini ha detto...

Davide ci mancherebbe che faccio mia una tua foto. L'onore è stato mio di conoscerti. a prestissimo!