Palazzo Tronconi - Frusinate IGT Fregellae Capolongo 2023


di Roberto Giuliani

Iscritto nel 2009 nel Registro della vite, il Capolongo è tra i vitigni autoctoni recuperati nel comune di Arce (FR). 


Marco Marrocco ne propone una versione di grande impatto, macerato sulle bucce 20 giorni in botti di acacia, profuma di arance gialle e agrumi canditi, elegante e piacevolissimo.

Antonio Buccoliero - Primitivo Èja 2022


di Roberto Giuliani

Antonio Buccoliero è un vignaiolo che ha un piccolo appezzamento nel comune di Sava in provincia di Taranto, passato di mano dal nonno Antonio e poi dal papà Giuseppe, allevato ad alberello, con piante che hanno superato i 50 anni di età.
Due anni fa mi ha presentato il suo progetto denominato Èja, il suo desiderio principale è “fare della mia vigna un museo vivente dell’alberello per tramandare l’amore e la cultura del territorio alle nuove generazioni”.


Una delle particolarità di questo progetto è lavorare in regime di aridocoltura con l’apporto dell’agricoltura di precisione, attraverso l’utilizzo di un drone dotato di un sensore multispettrale in grado di fornire i dati tecnici fondamentali sullo stato delle piante, verificando l’indice di azoto, i microelementi come potassio, magnesio, calcio e ferro, lo stato di maturazione, lo stato di salute e lo stress idrico in determinate fasi fenologiche: pre-fioritura, allegagione, invaiatura, post vendemmia.
Con il supporto di una stazione meteorologica e dei sensori fogliari si possono realizzare dei modelli previsionali, che consentono di fare pochi e mirati trattamenti fitosanitari sapendo prima cosa accadrà in campo, monitorando anche diversi insetti come tignola, tignoletta e cicalina.


Le rese sono sempre molto basse, tra i 35 e i 45 quintali per ettaro; in cantina la fermentazione delle uve, primitivo 100%, viene effettuata con l’utilizzo di lieviti selezionati e dura circa 45 giorni, dopodiché avviene la svinatura e il prodotto ottenuto dimora in barrique usate per oltre un anno, viene poi imbottigliato senza essere filtrato né chiarificato.
L’annata 2022 conferma le impressioni che avevo avuto con la 2021, l’Èja rivela un colore rubino profondo, una trama olfattiva dove il frutto appare ricco e ampio, con note di mora, mirtillo, ciliegia nera, radici, guizzi di cacao, liquirizia e una piacevole vena balsamica.


Al palato colpisce per la notevole spinta acida (superiore alla 2021), che dona al frutto una particolare brillantezza espressiva, arricchita da delicate note speziate, cenni di tabacco; il tannino è ben definito, non aggressivo, la sensazione generale è di grande pulizia, si sente una qualità molto alta e il vino promette una lunga evoluzione.

InvecchiatIGP – Gini: Soave Classico La Froscà 1996


Ho conosciuto i fratelli Sandro e Claudio Gini tanto tempo fa ad uno degli ultimi “Soave Versus” gestiti dal vulcanico Aldo Lorenzoni che oggi, dopo essere andato ufficialmente in pensione, si è rimesso in gioco col bellissimo progetto G.R.A.S.P.O.
Ricordo, sarà stato il 2015, che l’evento prevedeva per la stampa una serie di visite in azienda ed io, come altri, ebbi la fortuna di entrare nella cantina della famiglia Gini dove Sandro, da buon padrone di casa, ci fece degustare tutta una serie di sorprendenti vecchie annate dei suoi Cru tra cui, ovviamente, il Soave Classico La Froscà, uno dei tre Cru storici coltivati dall’azienda assieme al Contrada Salvarenza e al Col Foscarin.


A differenza degli altri due, il vigneto Froscà, incastonato a Monteforte d’Alpone su un pendio esposto a sud-est, si caratterizza per il terreno prevalentemente vulcanico, ricco di ferro e potassio, composizione che fornisce da sempre ai vini un’anima austera e minerale associata ad un’acidità vibrante che ne esalta la freschezza. 
Di questo vino, se qualcuno ha buona memoria, me ne innamorato già perdutamente cinque anni fa quando, descrivendolo in soli 300 battute all’interno della rubrica del venerdì, descrissi questo Soave, senza mezzi termini come un “mostro sacro”. Un’affermazione forte che, per essere definitivamente avvalorata, doveva aver bisogno per forza della prova nel nove la quale, per sua natura, necessita di sacrifici sanguinosi, soprattutto per la mia cantina. Così, qualche settimana fa, non ci ho pensato due volte e ho aperto l’ultima bottiglia che avevo di Soave Classico La Froscà 1996. Sigh!

Il Colore

Aprendo il vino le prime risposte positive arrivano sia dal tappo, ancora perfetto, sia dal colore che ha mantenuto un colore giallo paglierino lucente e vivace come se questo Soave Classico fosse stato prodotto lo scorso anno.


Se la “Canzona di Bacco” parla della fugacità della gioventù, La Froscà 1996 sembra contraddire il grande Lorenzo il Magnifico in quanto al naso il vino non cede nulla alla terziarizzazione rimanendo vibrante e ricco di sfumature odorose di frutta gialla arricchite da cenni floreali di ginestra e acacia. A queste si aggiungono delicate note di agrumi leggermente canditi e pietra focaia.

Sandro Gini

La bocca è stupefacente, ancora oggi sfoggia sapidità a tutto volume, freschezza paradigmatica, concedendo complessità aromatica ancora in accordo col naso. La persistenza è lunghissima. La Froscà 1996, mentre scrivo, mi fa ancora venire i brividi e credo, senza dubbi, che abbia perfettamente superato la prova del nove inserendosi, come mostro sacro, tra i migliori dieci vini bianchi degustati negli ultimi anni!

Antica Hirpinia - Desmòs Fiano di Avellino Riserva 2022


Tra i vini più apprezzati dell’ultimo Beviamoci Sud Roma, questa Riserva di Fiano di Avellino il cui nome, Desmòs, in greco significa “legame” nasce da due ettari di vigna figlia di una pianta madre bicentenaria. 


Bianco di classe, è ricco, appagante e calibrato al sorso. Sfuma sapido e decisamente minerale.

Il Terre Siciliane Igt Black Hole di Cantine Brugnano è un vino per andare oltre i pregiudizi


Immerse nelle dolci colline di Partinico, cuore pulsante della provincia di Palermo, le Cantine Brugnano rappresentano un vero e proprio gioiello enologico siciliano la cui storia è un viaggio nel tempo che si intreccia indissolubilmente con quello del territorio che l'ha vista nascere e crescere. Fondata negli anni '70 dall'intuizione di Francesco Brugnano, la cantina inizialmente si concentrava sull'acquisto di uve da altre realtà agricole per produrre vini destinati principalmente al mercato nazionale. Nel 2022, dopo una lunga pausa produttiva, l’azienda ha rimesso in moto i motori sotto la guida dei fratelli Francesco e Giuseppe Brugnano, terza generazione, che ne riformulano l’identità, salvaguardando la qualità produttiva ma, al tempo stesso, avvicinandosi ad un modo di comunicare più contemporaneo e vicino al consumatore. 


“Essere giovani ti dà il vantaggio di avere tempo per realizzare sogni e per vedere realizzati i tuoi progetti, ma allo stesso tempo, riprendere l’azienda di famiglia e il sogno di fare vino, dopo un lungo stop, ti fa avvertire un forte senso di responsabilità – dice Francesco Brugnano -. La passione, tuttavia, è sempre il motore che ci spinge a fare ciò che desideriamo e alla lunga anche di più di quello che abbiamo desiderato. Ho due figlie e vorrei lasciare a loro un futuro migliore e, se lo vorranno, la possibilità di portare avanti il sogno di tenere alto il nome della Sicilia del vino”.

Giuseppe e Francesco Brugnano

Oggi l’azienda si estende per circa 90 ettari di cui 72 vitati su terreni collinari divisi in più appezzamenti, che partono da circa 300 – 350 metri s.l.m. nella zona dell’Alcamo Doc, nel trapanese. Si aggiunge, nel cuore della campagna di Partinico, un appezzamento che sfiora i 650 metri di altitudine in contrada Mirto. Tra i vitigni coltivati, spiccano i classici autoctoni siciliani come Nero d'Avola, Grillo e Catarratto, ma non mancano varietà internazionali che, adattandosi nel tempo al terroir di riferimento, esprimono caratteristiche uniche ed inimitabili.


Tra la gamma di vini prodotti da Cantine Brugnano, un’attenzione particolare merita il Terre Siciliane Igt Black Hole 2022 (100% nerello mascalese), audace interpretazione di uno dei vitigni simbolo dell’Etna che, nelle mani dei fratelli Brugnano, assume una chiave completamente nuova. Coltivato all’interno dell’areale della DOC Alcamo, a circa venti chilometri dalla costa, in una zona perciò particolarmente ventilata e influenzata dalla brezza marina, questo Nerello Mascalese esprime una personalità unica che deriva già dal nome, Black Hole, che fa riferimento al desiderio di andare “oltre”, di esplorare qualcosa di ignoto, di nuovo, senza pregiudizi.


Chi si aspetta di bere un vino corposo e strutturato andrà incontro, infatti, ad una cocente delusione perché, fortunatamente, questo nerello mascalese in purezza ha un profilo organolettico contemporaneo e sorprende per il peso specifico contenuto, rivelando un’anima più agile e fresca rispetto a quanto ci si aspetterebbe da un rosso così intenso. Black Hole è un vino vibrante, avvolgente e dal finale delicatamente iodato che, ne sono sicuro, non potrà non piacere invitando ad un nuovo assaggio.


Nota tecnica: fermentazione con macerazione per 18-20 giorni sulle bucce. La fermentazione malolattica avviene in barriques di secondo e terzo passaggio. Affinamento in vasche di cemento per 14 mesi.

InvecchiatIGP – Az. Agr. Zof: Colli Orientali del Friuli Doc Schioppettino 2002


di Lorenzo Colombo

Lo Schioppettino è un vecchio vitigno friulano la cui sua diffusione è limitata alla parte orientale del Friuli-Venezia Giulia dove viene utilizzato nelle Doc Friuli Colli Orientali e Friuli Isonzo, e nelle Igt Trevenezie e Venezia Giulia.
La sua superficie vitata, seppur in crescita negli ultimi anni era limitata, secondo il censimento agricolo del 2010, a 154 ettari, mentre il corposo volume Which Winegrapes are Grown Where? dedicato a tutti i vitigni del mondo ne regista unicamente 87 ettari nel 2016, 67 dei quali situati in Friuli Venezia Giulia.
La sua presenza più significativa si registra nella zona di Prepotto, in particolare nella frazione di Albana, anche se è rintracciabile in tutta la media collina friulana, sconfina anche in Slovenia con particolare presenza nella Vipavska Dolina.
Sull’origine del nome ci sono molte supposizioni: quella di maggiore credito lega il termine schioppettino al piacevole effetto prodotto dall’uva matura quando viene masticata, che “scoppietta” per la buccia spessa e tesa, altri invece associano il nome allo “scoppiettìo” del vino al palato, dato che in passato era spesso leggermente frizzante. Tradizionalmente lo Schioppettino si beveva giovane – apprezzandone la marcata acidità, la lggera componente tannica e la contenuta struttura – ma molti produttori hanno dimostrato che il vitigno è capace di evolvere elegantemente con un moderato invecchiamento, sprigionando una bella fruttosità accompagnata da un’elegantissima vena speziata, che ricorda in particolare il pepe nero.


La storia dello Schioppettino – conosciuto anche con il nome di ribolla nera – è piuttosto singolare e prende avvio qualche secolo fa. Nell’Ottocento il Di Rovasenda citava una ribolla nera proveniente da Udine, mentre Marinelli – descrivendo agli inizi del Novecento la rinascita della viticoltura friulana dopo la fillossera – indicava tra i vitigni maggiormente coltivati la ribolla gialla (detta rebula in lingua slovena) e la ribolla nera, chiamata anche pokalza o Schioppettino. Nel passato il vitigno godeva di buona fama, tanto che nel 1907, il Consorzio antifilosserico friulano ne consigliava l’utilizzo per i reimpianti, confermandone così l’adattamento all’ambiente e, implicitamente, anche il pregio enologico.
Nel 1921 l’Associazione Agraria Friulana pubblicò nel suo bollettino un elenco delle varietà di viti coltivate in Friuli nel secolo precedente, fra cui si citava la Ribolla nera, con un’annotazione che la dichiarava originaria di Prepotto e la definiva “uva delicata”. Nella sua “Guida delle Prealpi Giulie” del 1912, Olinto Marinelli riferendosi al distretto di Cividale, scrisse: “… fra i maggiormente coltivati sono la Ribolla, il Refosco, il Refoscone, il Verduzzo, la Pokalça … da un documento del 1282 (F. Musoni, G. Sirch, per nozze Rieppi-Caucig. Cividale, tip. Fulvio 1910) si ricava che già in allora la conca di Albana-Prepotto era in gran parte vitata …”


Il vitigno viene citato anche dal Poggi, nel 1939 che così scriveva: “… vitigno che è coltivato quasi esclusivamente nel territorio collinare e pedecollinare del comune di Prepotto e specialmente nella sua frazione di Albana. La Ribolla nera, al di fuori del suo ambiente optimum, anche alla distanza di pochi chilometri, dà un vino che non possiede più quelle caratteristiche peculiari che lo rendono pregiato in quel di Prepotto col nome locale di Schioppettino …”


Lo Schioppettino però ha subìto anni fa una serie di soprusi – toccati anche ad altre varietà autoctone friulane, come il pignolo e il tazzelenghe – culminati nella sua messa fuori legge (nel senso di cancellazione dai registri delle varietà coltivabili, che di fatto proibiva l’impianto del vitigno) nel 1976 e deve la sua sopravvivenza agli abitanti del Comune di Prepotto, insorti dopo questa legge. Nel 1977 il Consiglio comunale di Prepotto si riunì in seduta straordinaria, con all’ordine del giorno la difesa dello Schioppettino che stava scomparendo, deliberando all’unanimità la richiesta che fosse inserito almeno nell’elenco dei vitigni autorizzati, cosa che avvenne nel giugno del 1977. Nel 1983 un regolamento CEE incluse lo incluse tra i vitigni raccomandati in provincia di Udine e nel 1987 è seguito il riconoscimento all’interno della Doc Colli Orientali del Friuli (ora Friuli Colli Orientali, FCO). Nell’ottobre 2011 la DOC "Colli Orientali del Friuli" ha cambiato nome in "Friuli Colli Orientali", contemporaneamente lo Schioppettino di Prepotto ne è diventato una sottozona situata nella parte sud-orientale della denominazione.

L’azienda

L’Azienda Agricola Zof è situata a Corno di Rosazzo dove dispone di 15 ettari di vigneti costituiti sia dai tipici vitigni locali quali la Ribolla gialla, il Friulani, lo Schioppettino ed il Pignolo come pure dagli internazionali Pinot grigio, Sauvignon blanc, Merlot e Cabernet. 


Dal 1992 l’azienda è guidata da Daniele Zof che s’avvale della consulenza enologica di Donato Lanati. Sono 17 le etichette prodotte, tutte – tranne lo Spumante - commercializzate come Colli Orientali del Friuli Doc.

Il Vino

Il vino che andiamo ad assaggiare appartiene alla linea Classici costituita da nove vini, la scheda tecnica attuale recita che la vendemmia s’effettua a metà ottobre e che la fermentazione avviene in vasche d’acciaio con una macerazione di 15-20 giorni, il vino viene quindi posto ad affinarsi in botti di rovere d’Allier dove rimane sino al mese di luglio successivo, quando viene imbottigliato. Come spesso accade quando andiamo ad aprire bottiglie per le quali non si nutre grande fiducia avevamo preparato il vino di riserva, ma non ce n’è stato assolutamente bisogno, nonostante si presentasse con un color granato di buona intensità con unghia mattonata.


Pulito e di media intensità olfattiva, presenta sentori di frutta a bacca scura matura, ciliegia e prugna quasi in confettura e accenni di cannella, vaniglia e liquirizia.
Mediamente strutturato, un poco smagrito dal tempo, succoso, ancora fresco e vivo, con bella trama tannica e buona vena acida, sentori di liquirizia, radici e spezie dolci, leggeri accenni di pepe, buona la sua persistenza.

San Bernardo - Igt Montenetto di Brescia Marzemino 2022


di Lorenzo Colombo

E’ poco conosciuta l’IGT Montenetto, situata su un promontorio a Sud di Brescia; tra i vitigni che vi si coltivano si distingue il Marzemino utilizzato nel vino che andiamo ad assaggiare.


Fermentazione ed affinamento avvengono in acciaio per preservare i sentori floreali e di frutta fresca del vitigno.

Il Capo di Stato ed altri vini di Loredan Gasparin e Ronco Blanchis


di Lorenzo Colombo

Qualche anno fa, avevamo scritto in merito al Venegazzù - Cru Monopol della Doc Asolo Montello - di Loredan Gasparini andando a tracciarne la storia e riportando quanto ne scrisse nel lontano 1967 André Louis Simon nel suo Wines of the World nel capitolo dedicato ai vini del trevigiano “In questa zona è stato prodotto per decenni uno dei più fini vini d’Italia, il Venegazzù, del Conte Piero Loredan, fatto con Cabernet franc, Cabernet sauvignon, Merlot, Malbec e Petit verdot che viene invecchiato per tre anni in fusti”.

Per chi fosse interessato ecco qui l’articolo completo.

L’azienda Loredan Gasparini è stata fondata nel 1951 dal Conte Piero Loredan, discendente di Leonardo Loredan che fu Doge di Venezia. Dopo essere stato a Bordeaux il Conte decise di mettere a dimora sul Montello i vitigni colà incontrati, ovvero Cabernet sauvignon e Franc, Merlot e Malbec dai quali poi sarebbe nato dapprima il Venegazzù e successivamente il Capo di Stato.
Come specificato nel sopracitato articolo nel 1973 l’azienda viene acquistata da Giancarlo Palla il quale pensa che il territorio del Montello sia adatto anche alla produzione di vini spumanti, così acquista la Tenuta di Giavera del Montello e nel 1976 inizia a produrre, oltre al Prosecco, anche del Metodo Classico. Negli anni Novanta entra in gioco Lorenzo, figlio di Giancarlo che, dopo aver visitato le principali zone viticole del mondo, dà un nuovo indirizzo alla parte agronomica, coinvolgendo dapprima i preparatori d’uva Simonit e Sirch e successivamente adottando l’Indice Bigot per valutare il potenziale qualitativo dei vigneti.


Ultimo passo - almeno per ora - è stato l’acquisto nel 2001 dell’azienda Ronco Blanchis, situata a Mossa, nel Collio goriziano la cui conduzione enologica è affidata a Gianni Menotti, qui si coltivano esclusivamente vitigni a bacca bianca, Friulano, Malvasia, Ribolla Gialla, Pinot Grigio e Sauvignon. Attualmente l’azienda dispone di 60 ettari di vigneti nel Montello, 30 a Venegazzù e 30 a Giavera del Montello (quest’ultima tenuta era stata acquistata negli anni Settanta) per una produzione annuale di circa 400.000 bottiglie. A queste poi s’aggiungono le 50.000 bottiglie prodotte dai 12 ettari di vigneti del Collio.


Nella tenuta di Venegazzù si coltivano principalmente uve a bacca rossa, mentre quella situata a Giavera è destinata ai vitigni a bacca bianca, Glera in primis ed alla produzione di vini spumanti. Le etichette prodotte sono 13, sette di vini rossi, cinque spumanti ed un solo vino bianco.
Abbiamo avuto l’opportunità di assaggiare alcuni vini, in compagnia di Lorenzo Gasparini lo scorso 2 dicembre, eccoli, in ordine di servizio.

Docg Asolo Prosecco Superiore Extra Brut “Cuvée Indigena” 2023

Le uve, Glera in purezza, provengono da un vigneto messo a dimora nel 1975 la cui densità d’impianto è di 2.500 ceppi/ha e la cui resa è di 120 q.li/ha.
La sua produzione prevede una singola fermentazione, ovvero dopo una pigiatura soffice il mosto viene posto direttamente in piccole autoclavi dove rimane per circa sei mesi, la lenta fermentazione, che s’arresta spontaneamente, darà un vino che, a seconda delle annate, avrà un residuo zuccherino diverso e che, nel caso del vino in assaggio è inferiore ai 6 gr/l, collocandolo così nella tipologia degli Extra Brut. La fermentazione avviene utilizzando lieviti indigeni selezionati in azienda.


Color giallo paglierino di discreta intensità, l’effervescenza quasi non si nota nel bicchiere. Media la sua intensità olfattiva, percepiamo sentori di frutta a polpa gialla, mela e pesca gialla. Intenso al palato, cremoso, sapido e succoso, si ritrovano le tipiche note date dal vitigno, ovvero una pera Williams matura, lunga la sua persistenza. 

Collio Friulano 2022

Le uve provengono dai due ettari di vigna posti sulla collina di Blanchis dove il suolo è composto dalla tipica Ponca del Collio composta da marne eoceniche e arenarie, allevato a Guyot con una densità di 4.830 ceppi/ha dà una resa di 65 q.li/ha, per le particolari caratteristiche climatiche di questa vigna i grappoli vengono attaccati dalla Botrytis Cinerea che conferisce un particolare e riconoscibile sapore al vino. Fermentazione ed affinamento avvengono in vasche d’acciaio dove il vino sosta per sei mesi, 8.000 le bottiglie prodotte.


Color giallo paglierino luminoso. Mediamente intenso al naso, fresco, pulito, verticale, vi cogliamo sentori di frutta a polpa gialla e d’erbe officinali.
Dotato di buona struttura, asciutto e sapido, si colgono note di frutta a polpa gialla e di pesca sciroppata, buona la sua persistenza. Un vino particolar e notevole qualità.

Doc Montello Venegazzù “Della Casa” 2019

Primo vino prodotto dal Conte Loredan nel lontano 1951 è composto in maggior parte da Cabernet sauvignon (65%) con una buona presenza di Merlot (30%) e piccole percentuali di Cabernet franc (nell’annata 2019 non è stato utilizzato il Malbec, vitigno solitamente presente in piccola percentuale).
Le uve provengono da quattro distinti vigneti esposti a Nord-Sud a 110 metri d’altitudine su suoli ricchi di ferro, le vigne hanno 25 anni d’età e danno una resa di 90 q.li/ha. La fermentazione si svolge in vasche d’acciaio e l’affinamento avviene in botti di rovere di 25 e 50 ettolitri dove il vino sosta per 30 mesi.


Granato profondo e luminoso il colore. Buona la sua intensità olfattiva, un poco austero, frutta a bacca scura, speziato, sentori di sottobosco e radici, legno ancora un poco percepibile. Discretamente strutturato, asciutto, austero, trama tannica importante ma ben amalgamata, frutta a bacca scura, radici, spezie scure, legno ancora un poco da integrarsi, lunga la sua persistenza.

Doc Montello Venegazzù Superiore “Capo di Stato”

Nato nel 1964 è frutto di un blend tra Cabernet sauvignon, Merlot, Cabernet franc e Malbec, vitigni selezionati dai vigneti più vecchi tra i quali spicca la vigna denominata “Le 100 piante”, messa a dimora nel 1946. Le vigne si trovano a 110 metri d’altitudine su suoli ricchi di ferro e per questo denominati “ferreto”, la densità d’impianto è di 3.000 ceppi/ha per la vigna più vecchia e di 4.800 ceppi/ha per quella messa a dimora negli anni ’80, l’esposizione è Nord-Sud e la resa è di 65 q.li/ettaro. La vendemmia s’effettua da metà settembre ad inizio ottobre, a seconda delle varietà, l’affinamento del vino, per una durata di 30 mesi, si svolge per il 60% in botti da 25 ettolitri e per il 40% in barriques nuove.
Due le annate degustate di questo vino, assai diverse tra loro, note più calde e morbide nel vino del 2019 che pare più pronto (ci è piaciuto moltissimo), più austero e probabilmente non ancora perfettamente compiuto quello del 2017.


2019 – Profondissimo e luminoso il colore. Molto intenso al naso, balsamico, note dolci, spezie dolci e legno dolce, liquirizia, elegantissimo. Buona la sua struttura, succoso, frutta a bacca scura, spezie, bella trama tannica, sentori di liquirizia, perfetto l’equilibrio tra le varie componenti, lunga la persistenza. Vino dalla notevole qualità.


2017 – Profondissimo il colore, leggermente più intenso rispetto al precedente vino, ancora vivissimo, unghia purpurea. Più intenso anche all’olfatto, più austero, presenta note più scure, radici, spezie scure. Asciutto, austero, presenta leggere note selvatiche, legno ancora un poco in evidenza, lunga la persistenza.

La Sardegna di Vinodabere: 47 aziende ed oltre 200 vini a Roma il 18 e 19 gennaio per scoprire un vero e proprio piccolo continente


Per il terzo anno consecutivo torna La Sardegna di Vinodabere, evento nato per promuovere, e far scoprire a chi non le conosce, la varietà e la complessità vitivinicola di una regione che è un vero e proprio piccolo continente.


47 aziende con più di 200 vini in assaggio

Sabato 18 e domenica 19 gennaio, all’Hotel Belstay a Roma, sarà possibile incontrare ai banchi di assaggio numerosi produttori sardi (47 aziende), in rappresentanza delle tante aree (vere e proprie sub-regioni) dove si produce vino di qualità. Tra più di 200 referenze tra bianchi, rosati, rossi, vini dolci e ossidativi, e perfino bollicine, ci si potrà orientare per apprezzare, come merita, la ricchezza enologica della Sardegna, conoscere i vignaioli che la animano e sperimentare nel calice lo stato dell’arte della viticoltura sarda, giunta ormai a livelli di indiscutibile eccellenza.

Un viaggio attraverso i sensi, dunque, tra le produzioni provenienti dai territori di Alghero, Anglona, Gallura, Mamoiada, Mandrolisai, Ogliastra, Oliena, Orgosolo, Oristanese, Romangia, Sulcis e sud Sardegna, alcuni dei quali diventeranno i protagonisti delle masterclass in programma sabato 18 gennaio (presto maggiori dettagli sul sito vinodabere.it).

Programma

Sabato 18 Gennaio

dalle 13:30 alle 15:30

Apertura banchi di assaggio per operatori (ristoratori, agenti, distributori, enotecari, n.1 accredito per attività commerciale) con richiesta di accredito scrivendo una mail entro il 17 gennaio (e ricevendo poi conferma) a operatorivinodabere@gmail.com

Apertura banchi di assaggio per stampa con richiesta di accredito scrivendo una mail entro il 17 gennaio (e ricevendo poi conferma) a stampavinodabere@gmail.com

Apertura banchi di assaggio per sommelier e assaggiatori ONAV (con tessera in corso di validità da mostrare all’ingresso): kit di degustazione 25 euro.

dalle 15:30 alle 19:30

Apertura banchi di assaggio per il pubblico (kit di degustazione 30 euro con calice incluso), per sommelier e assaggiatori ONAV (con tessera in corso di validità da mostrare all’ingresso kit di degustazione 25 euro).

Apertura banchi di assaggio per operatori (ristoratori, agenti, distributori, enotecari, n.1 accredito per attività commerciale) con richiesta di accredito scrivendo una mail entro il 17 gennaio (e ricevendo poi conferma) a operatorivinodabere@gmail.com

Apertura banchi di assaggio per stampa con richiesta di accredito scrivendo una mail entro il 17 gennaio (e ricevendo poi conferma) a stampavinodabere@gmail.com

Domenica 19 gennaio

Dalle 10:30 alle 13:30

Apertura banchi di assaggio per operatori (ristoratori, agenti, distributori, enotecari, n.1 accredito per attività commerciale) con richiesta di accredito scrivendo una mail entro il 17 gennaio (e ricevendo poi conferma) a operatorivinodabere@gmail.com

Apertura banchi di assaggio per stampa con richiesta di accredito scrivendo una mail entro il 17 gennaio (e ricevendo poi conferma) a stampavinodabere@gmail.com

Apertura banchi di assaggio per sommelier e assaggiatori ONAV (con tessera in corso di validità da mostrare all’ingresso): kit di degustazione 25 euro.

dalle 13:30 alle 19:00

Apertura banchi di assaggio per il pubblico (kit di degustazione 30 euro con calice incluso), per sommelier e assaggiatori ONAV (con tessera in corso di validità da mostrare all’ingresso kit di degustazione 25 euro).

Apertura banchi di assaggio per operatori (ristoratori, agenti, distributori, enotecari, n.1 accredito per attività commerciale) con richiesta di accredito scrivendo una mail entro il 17 gennaio (e ricevendo poi conferma) a operatorivinodabere@gmail.com

Apertura banchi di assaggio per stampa con richiesta di accredito scrivendo una mail entro il 17 gennaio (e ricevendo poi conferma) a stampavinodabere@gmail.com

Per conoscere le aziende ed i vini presenti nei banchi di assaggio e per ogni altra informazione sull’evento collegatevi qui.

Vinodabere (www.vinodabere.it) è una testata giornalistica on line che da anni promuove con i suoi articoli e con i suoi eventi la cultura enogastronomica, dando visibilità a realtà già note e storiche come a quelle nuove e da scoprire. I territori, i vini e le specialità gastronomiche della Sardegna sono sempre stati, sin dalla sua nascita, al centro dell’attenzione della testata giornalistica Vinodabere e del suo direttore Maurizio Valeriani. La Guida ai Migliori Vini della Sardegna (link), giunta alla settima edizione, pubblicata on line tra agosto e settembre 2024, ha visto un numero di letture incredibile (oltre 500 mila).

InvecchiatIGP: Tenuta Montauto - Maremma Toscana DOC Gessaia 2011


di Stefano Tesi

Prendi la macchina e, passando da vie traverse, fai un lungo viaggio fino ai dintorni di Manciano, tra le colline ondulate della Maremma interna, per assaggiare i Poggio del Crine, ossia il Pinot Nero e il Sauvignon Toscana Igt da vigne vecchie della Tenuta Montauto (sì, ne valeva oggettivamente la pena), quasi nascosta tra i boschi e le pieghe di una campagna profonda. Quella dell'azienda, oggi condotta da Riccardo Lepri, viticoltore di terza generazione, è una curiosa storia di tradizioni, di intuizioni, di applicazione imprenditoriale e di destini incrociati che, avendo spazio, andrebbe raccontata a parte.


Tu arrivi e fai diligentemente il tuo mestiere, saltabeccando tra una decina di campioni molto intriganti e cercando di non distrarti al pensiero che dopo, terminato il lavoro, ti metterai a tavola in relax e di campioni ne assaggerai anche altri, abbinati però ai piatti di Valeria Piccini, alias Caino.


A un certo punto, tuttavia, quasi alla fine della seduta di degustazione - e con una certa nonchalance - ti versano nel bicchiere il Gessaia Maremma Toscana Doc. Spiegano che è il Sauvignon aziendale “d’ingresso”, come si usa dire. Quello dell’annata 2023 attualmente in commercio, per capirsi, è un prodotto ottimo e godibile che costa meno di 20 euro. Solo che quello che ti trovi davanti non è più in vendita da un pezzo: è infatti del 2011 e non è ciò che ti aspetti.

Innanzitutto il vino ha un bel colore di oro carico, ma nemmeno troppo.

La sorpresa aumenta quando ci metti il naso dentro: avverti subito una nota intensa e profonda, con un marcato sentore pepato, una varietalità affinata, anzi direi rastremata o resa perfino acuminata dagli anni, nonchè una vitalità generale che, considerata l’età del vino, era abbastanza imprevedibile. In bocca il sorso non è lunghissimo, ma ha una sapidità e un’acidità che lo sostengono, rendendo la bevuta tesa, coinvolgente, quasi eterea.


A dimostrazione (lo so, è un refrain di noi IGP) che, se si sa aspettare o, più banalmente, ci si dimentica di averli, certi bianchi sono in grado di rallegrarti lo spirito anche dopo molti anni di sonno tra le scansie più nascoste della cantina. Fino a qualche tempo fa, chi mai l'avrebbe sostenuto?

Val di Suga - Brunello di Montalcino docg Poggio al Granchio 2020


di Stefano Tesi

Sempre della serie “quelli buoni si assaggiano anche fuori dall’anteprima”, eccone uno fatto in tini troncoconici da 60 hl: bouquet pulito, asciutto, penetrante, in bocca agilissimo, vivace ma solido, come il cru da cui proviene, a 400 mt sul versante sud-est di Montalcino. 


Bevuto (e goduto) col filetto di manzo.


Posti del cuore: ristorante San Martino 26 a San Gimignano


di Stefano Tesi

Ci sono ristoranti – soprattutto i cosiddetti gourmet, o peggio ancora stellati – dei quali è più difficile dire se, a causa della loro smania di voler essere originali a tutti i costi o di pretendersi “esperienziali”, sia più noioso mangiarci o recensirli. Posso dire con sollievo che il San Martino 26, nella pur turisticissima San Gimignano, non appartiene a nessuna delle due categorie. Ed è anzi un locale in cui, nonostante tutte le premesse e i possibili pregiudizi, mi sono divertito. Cosa che in questi tempi di tavole "inteccherite" e di cuochi saputelli, oppure di mense becere e di chef troppo rumorosi, non è cosa da poco.

Elvis e Ardit

Mi sono divertito perché, primo, la cucina del giovane albanese Elvis Dedil, che da poco più di un anno ha rilevato i mestoli del fondatore e conterraneo Ardit Curri, ora passato in sala e in direzione, è brillante, vivace, scanzonata, sfrontata al punto da saper sorridere di sè e di non prendersi troppo sul serio, sebbene sia serissima e attenta, almeno quanto è schivo chi sta ai fornelli. E, secondo, i piatti del menu non si nascondono dietro a parole tonitruanti ma riservano la sorpresa alla sostanza. 

Pasta semi di mela

Sorpresa vera, di sapori precisi, a volte intensi, altre delicati e però solari, diretti, mai sbiaditi o troppo melange. Anche quando, ossia praticamente sempre, non cercano di ostentare il glamour, ma lo propongono. L’idea del ristorante infatti è quella – pericolosissima, se affidata a mani non più che abili – della contaminazione e dell’inventiva, a volte con qualche appiglio, ma solo formale, alla tradizione. Niente paraventi, insomma, davanti alla mano felice di Elvis (omen nomen: una cucina raffinata, ma rock and roll?), che senza troppe remore inventa ed esperimenta: buonissimo, per fare degli esempi, il lampredotto di calamari col loro garum, la salsa verde e l’obbligatorio panino di contorno, assai godibile la pasta “semi di mela” (un formato abbastanza inusuale) con la salsa di baccalà in pastella e il suo latte aromatizzato alle erbette, equilibrato, ma vivo e compatto, il gusto del rombo in salsa marinaiole e verza.

Lampredotto di Calamari


La toscanità, assicura Ardit, anziché simulata nelle portate è riservata alle materie prime, tutte provenienti dalla regione. Il menu è stagionale, ovviamente, e prevede la scelta alla carta o due formule di degustazione (pardòn, non ce la faccio a chiamarli percorsi, termine che riservo al trekking e al cicloturismo) da cinque o sette portate, rispettivamente a 95 e 115 euro.
L’ambiente è intimo e sobrio, appena venti coperti, nessuna atmosfera chiassosa. Servizio sorridente ma riservato, il che non guasta.

Interno

Merita una nota la cantina: oltre 700 etichette di mezza Europa, compresi quasi 200 Champagne e parecchie bottiglie fuori passo, che accrescono il divertimento.

Nebbiolo nel Cuore torna a Roma dal 12 al 13 Gennaio 2025


Il Grand Hotel Palatino di Roma, situato in via Cavour 213/M, si prepara ad accogliere la XI edizione di Nebbiolo nel Cuore, un evento esclusivo che mette al centro il fascino senza tempo del Nebbiolo, vitigno d’eccellenza piemontese. L’appuntamento, fissato per il 12 e 13 gennaio 2025, è una tappa obbligata per gli appassionati del vino e per chi desidera approfondire la conoscenza di grandi etichette come il Barolo, il Barbaresco e altri gioielli enologici realizzati con questo vitigno.


Alla scoperta del Nebbiolo e dei suoi territori

Da sempre, Nebbiolo nel Cuore si propone di valorizzare il Nebbiolo in tutte le sue espressioni, dai grandi classici come Barolo e Barbaresco fino alle realtà meno conosciute ma altrettanto affascinanti come Gattinara, Ghemme, Carema e i vini della Valtellina. Un viaggio tra terroir unici che riflettono la straordinaria diversità del panorama enologico italiano. “Anni di valorizzazione del Nebbiolo nei suoi territori d’elezione hanno fidelizzato a Roma sempre più numerosi appassionati e professionisti di settore”, spiega Marco Cum, titolare di Riserva Grande e ideatore della manifestazione.

Masterclass e novità dell’edizione 2025

L’edizione 2025 conferma il ruolo centrale della didattica e introduce una novità importante: l’evento si svolgerà di domenica e lunedì, per favorire la partecipazione degli operatori del settore. “Attraverso banchi di assaggio e masterclass sarà possibile scoprire il potenziale delle nuove annate e delle nuove cantine che partecipano per la prima volta. Anche in questa edizione, la didattica sarà prevalente grazie a masterclass straordinarie”, continua Cum.
Le masterclass tematiche, punto di forza della manifestazione, approfondiranno le caratteristiche dei diversi terroir, offrendo agli ospiti un’occasione preziosa per comprendere la varietà e la complessità di questo straordinario vitigno.

Una celebrazione della cultura enologica

Oltre ai banchi di assaggio, dove sarà possibile dialogare direttamente con i produttori, le masterclass e i laboratori offriranno momenti di approfondimento culturale dedicati al Nebbiolo e alle sue terre di elezione. Come sottolinea Cum, “Cultura, volti, sorrisi, tradizioni, esperienze di vita, racconti, emozioni… questo è Nebbiolo nel Cuore.”

Informazioni utili

Date: 12 e 13 gennaio 2025


Protagonisti: Barolo, Barbaresco e altri vini a base Nebbiolo

Per il programma completo e per prenotare le masterclass:

InvecchiatIGP: Villa Diamante - Fiano di Avellino "Vigna della Congregazione" 1998


di Luciano Pignataro

Il destino ci fa incrociare questa bottiglia sempre in occasioni straordinarie, particolari. Quasi che le condizioni ambientali possano in qualche modo valutare questo straordinario bianco. Siamo da Abraxas, l’osteria di Pozzuoli di Vanna e Nando Salemme da sempre punto di riferimento per gli amanti del buono e della cultura gastronomica delle radici presentata al passo dei tempi che cambiano.
Il locale è chiuso e con un gruppo di amici decidiamo per un pranzo di auguri, il classico pranzo del Sud che inizia alle 14 e finisce nel buio pesto della giornata corta invernale, quando il sole smette di riscaldare i laghi vulcanici e il mare dei Campi Flegrei. Ciascuno con una bottiglia particolare, con una storia da raccontare, così come avviene per le bevute che abbiamo fatto e Nando mette subito il Villa Diamante sul banco, attorno ad un braciere che riscalda all’aperto come le lampade moderne dei dehors di città non sono in grado di fare, creando l’atmosfera adatta per questo straordinario 1998.


Si tratta del secondo anno realizzato da Antoine Gaita rientrato con la moglie Diamante dal Belgio dove, entrambi figli di emigranti, si erano conosciuti e sposati. Antoine ha una testa francese e di fronte al Fiano non ha dubbi, porta in surmaturazione le uve avendo cura però di conservare la freschezza e usa il legno per l’affinamento. Una decisione che dall’anno successivo, il 1999 cambierà a favore dell’acciaio. La sua è una agricoltura biologica ante litteram, a quei tempi si parlava appena di queste tematiche. Altra novità, pioniere insieme ad un altro fianista, Guido Marsella, decide di presentare il proprio vino sul mercato un anno dopo l’uscita. Erano tempi in cui il bianco doveva essere d’annata per ristoratori e consumatori. Proprio giocando su questi semplici fattori Antoine Gaita, scomparso poi prematuramente nel 2014, ha creato una serie incredibile di Fiano di Avellino dimostrando a tutti le enormi potenzialità di questa uva se ben trattata e rispettata. Sin da subito la 1998, ancora vino da tavola per motivi burocratici, si impone per l’alta qualità e, durante tutte le numerose degustazioni che abbiamo avuto la fortuna di fare, migliora di anno in anno, di decade in decade.


In questa Antivigilia di Natale si presenta assolutamente integra, un tappo perfetto, ma ormai sono tante le sperimentazioni che abbiamo fatto in questi trent’anni di passione per il Fiano che la cosa non ci stupisce. Siamo invece travolti da una energia potente, una voglia di vivere che il vino esprime sin dal primo sorso, con un naso molto complesso che passa dai sentori di pasticceria alla frutta a pasta gialla matura, dallo zafferano alle note fumè e di idrocarburo. Il naso, dolce e ammiccante, suadente, viene ribaltato da un sorso sapido, pieno, con una chiusa lunghissima che lascia il palato non stucchevole.


E’ una beva emozionale, che ci fa viaggiare nel tempo e nello spazio. E’ una beva nostalgica, delle belle esperienze che abbiamo avuto la fortuna di vivere. E’ una beva ottimista perché sicuramente le nuove generazioni di viticoltori sapranno trarre insegnamento da questa esperienza e faranno vini memorabili.
Cari amici, vi allego il post che riassume tutte le degustazioni fatte nel corso di questi due decenni con il 1998. Se volete potete aggiungerlo al pezzo oppure anche copiare e incollare il testo oppure lasciar perdere e pubblicare solo quello che ho scritto sopra. A voi la libera scelta (clicca QUA)

Frank Cornelissen - Munjebel Rosso 2017



di Luciano Pignataro

Dissetante e sgrassante. Giovanile e deciso. In questo quadrilatero definiamo la beva senza confini di un classico di Frank etneo, usato per smaltire e digerire la imponente cucina di quinto quarto del ristorante Consorzio a Torino. 


Imperdibile Nerello Mascalese, gastronomico, da battaglia.

Uno sguardo verso i grandi bianchi di Piero Mastroberardino


di Luciano Pignataro

Siamo tornati al Radici Resort esattamente un anno dopo: ormai è consuetudine quella di vederci con Piero Mastroberardino ad Atripalda nella tenuta che ha costruito e dove funziona l’osteria la Tana del Lupo con il bravo e affidabile Francesco Spagnuolo ai fornelli. Come l’enologo Massimo Di Renzo, una sicurezza, due professionisti concentrati sul proprio lavoro come se il mondo dei social, il Paradiso dell’Ego incompiuto, non esistesse. Sul tavolo alcune novità e alcuni ritorni. 


Al centro di questo incontro il progetto Stilema che riporta ai modelli anni ’80, meno esuberanti, più essenziali, che hanno reso l’azienda famosa in tutto il mondo. Il loro assaggio è una sorta di benchmark per il territorio anche il 2025 si annuncia una novità assoluta di cui avremo modo di parlare, gli spumanti metodo classico.

Nero a Metà IGT Campania Bianco 2020

Devo ammettere di aver un po’ sottovalutato questa etichetta a cui Piero invece tiene molto. Si tratta di un Aglianico vinificato in bianco, un po’ come si usava negli anni ’90 sia in Campania che in Puglia. La differenza, in questo caso è che l’azienda ci crede fino in fondo e il vino presenta una gran bella struttura, note di pera matura, pompelmo, note di spezie. Lunghissimo sorso finale. Grande carattere. Gli anni lo hanno messo in equilibrio e pronto a qualsiasi abbinamento. Sui 12-15 euro sul web

Stilema Greco di Tufo DOCG 2020

Una piccola anteprima per l’uscita prevista a marzo. Siamo spiazzati dalla profondità di questo bianco e dalla complessità. Grandissima eleganza e finezza. Naso di arancio e agrume, note sulfuree. Al palato è ben delineato, lungo. Una piccola parte, meno del 10 per cento, viene passata in legno ed è probabilmente questo accorgimento che consente un allungo. Il costo si aggira sui 25 euro.

Stilema Greco di Tufo DOCG 2017 

Riproviamo per l’occasione questa vecchia annata, vivace e ricca di energia come se fosse stata spillata dalle vasche appena qualche mese fa. Grandi note di zolfo, il vino è pieno, si riscontra una affidabilità del prodotto. Grande bianco, lungo, si sente lo zolfanello.

Stilema Fiano di Avellino DOCG 2020 

Anche questo è un assaggio in anteprima perché l’uscita commerciale è prevista in aprile. Parliamo di un bianco davvero stupendo con sentori di frutta matura. Naso elegante, fine, al palato manifesta grandissima energia. Una nota balsamica e vegetale lo alleggerisce e lo rinfresca, la chiusura è precisa, amarognola, lunghissima. Anche qui siamo sui 25 euro.

Stilema Fiano di Avellino DOCG 2016

Anche in questo caso procediamo con un riassaggio del passato. Serve a dimostrare la grandezza del vitigno con il passare del tempo. A otto anni dalla vendemmia questa versione presenta un naso complesso, rimandi floreali, piacevoli, fruttati. Tartufo, idrocarburo, mandorla amara. Freschissima, gioventù, lungho, amaro, sapido. Nota finale amara lasciata pulito il palato.

More Maiorum Irpinia Doc 2019

Questa etichetta con gli anni ha cambiato protocollo: da solo Fiano passato in legno vede adesso un blend di Fiano e Greco. Fermentazione e affinamento in legno sia barrique che tonneaux di diverse tostature. Palato elegante, fine, molto piacevole lungo. Cremoso, con note di pasticceria, non stucchevole. Freschezza lunga, piacevole. In commercio fra sei, sette mesi. Sui 25 euro.


Degustazioni come queste rafforzano la convinzione di potenzialità ancora sostanzialmente inespresse dei bianchi irpini anche se ormai sono numerose le aziende che giocano bene sul tempo. Fiano e Greco sono due grandissime uve che non temono confronti quando vengono coltivate in questo areale cosi circoscritto e unico. Le forti escursioni termiche restano nonostante il gloabl warming e, anzi, possiamo dire che in queste zone fredde favorisce il viticoltore nella gestione della maturazione delle uve. Il Greco, ma soprattutto il Fiano, sono praticamente immortali se partono da un progetto di lungo periodo. Ed è ancora una volta la Mastroberardino a dettare i tempi.

InvecchiatIGP: Cantina di Terlano - Alto Adige Lagrein Riserva Doc 1997


di Carlo Macchi

Molti di voi durante le feste saranno o andranno a sciare e così mi è venuto in mente di cercare in cantina una vecchia bottiglia che ricordasse a me e a voi in qualche modo la montagna, “abbinandola” ad una foto di quando il vostro Giovane Promettente era veramente giovane e anche promettente sugli sci.


Ecco quindi la scelta di questo Lagrein Riserva con ben 27 anni sulle spalle, di una cantina che di vini invecchiati se ne intende. Però il Lagrein non era in passato un vino da invecchiamento e proprio in quegli anni subiva una vera e propria metamorfosi, spesso condita con dosi non omeopatiche di legno nuovo.


Avevo sinceramente qualche dubbio sulla tenuta ma appena stappato e visto il colore i dubbi sono svaniti come neve (appunto) al sole. Era un porpora addirittura brillante e appena nel bicchiere mi sono addirittura arrivati al naso profumi di frutta nera e poi liquirizia, sottobosco e la classica nota di terra del Lagrein. Il legno, che in quegli anni imperava, era un ricordo del passato e chiudeva con note balsamiche e un leggero vegetale con ricordo di cassis , quasi volesse far finta di essere un cabernet sauvignon. In bocca non era certo straripante ma bensì elegante, con tannini perfetti e ottima freschezza, nonostante l’annata non certo fredda.
Un buonissimo vino di 27 anni per fare gli auguri a tutti voi, agli altri Giovani Promettenti e anche a quel giovane sciatore che venti anni prima della nascita del vino veniva immortalato ancora in bianco e nero.

Buon 2025, buone sciate e buone bevute!