I Soave Classico de Le Mandolare sfidano il tempo

di Lorenzo Colombo

L’Azienda Le Mandolare si trova a Brognoligo di Monteforte e possiede venti ettari di vigneti nelle più pregiate zone del Soave Classico: Brognoligo, Castelcerino, Fittà e Monteforte, su suoli di basalto lavico e calcare.

Vigneto

Sono tre i Soave che l’azienda produce, da zone diverse e con processi enologici differenti, per tutti vengono utilizzate uva Garganega in purezza, che coltivate su questi suoli acquistano la tipica nota “vulcanica”, caratterizzata da sentori sulfurei.
Il Soave viene (purtroppo) spesso considerato dai consumatori un vino che s’esprime al meglio in gioventù, quindi da bersi nel primo (o nei primi) anni di vita. Nulla di più sbagliato. 
Se si ha la pazienza d’attendere i vini acquisiscono profumi e sentori che solo il tempo è in grado di fornire, prova ne sono i tre vini che seguono, degustati dopo un opportuno periodo di sosta in bottiglia.

La famiglia al completo

Si tratta di tre vini diversi, oltre alle differenti zone di provenienza delle uve ed al loro differente grado di maturità al momento della raccolta, differiscono anche relativamente alla conduzione enologica.
Il “Corte Menini” vede unicamente acciaio, le uve de “Il Roccolo” vengono in parte fermentate in legno, mentre il "Monte Sella” –unico a Docg, essendo un Soave Superiore- vede unicamente legno.

I tre vini sono tutti molto interessanti e dotati di buona complessità,  la nostra preferenza personale va comunque a “Il Roccolo”, dove il sapiente e limitato uso del legno gli dona complessità senza sacrificarne le note fruttate.

Soave Classico Doc “Corte Menini” 2016
Uve provenienti dalla Località Menini, nelle colline di Castelcerino, i vigneti hanno un’età media di vent’anni e sono allevati a pergola con esposizione Sud-Est. Sia la vinificazione che l’affinamento (sulle fecce) si svolgono in vasche d’acciaio. Color paglierino luminoso.
Fresco al naso, di media intensità, pesca bianca, fieno, erbe officinali, accenni d’idrocarburi.
Fresco e sapido, mediamente strutturato, accenni vegetali e note sulfuree, fiori secchi e miele, buona la persistenza.


Soave Classico Doc “Il Roccolo” 2016
Le uve provengono dalla Località Monte Grande, sulle colline di Brognoligo, il sistema d’allevamento è la pergola.
Le uve vengono raccolte a maturazione avanzata, la fermentazione avviene in parte (30%) in legno di rovere ed il restante in acciaio; la maturazione, sulle proprie fecce, si protrae sino a primavera. Giallo paglierino di buona intensità, quasi dorato, luminoso.
Buona l’intensità olfattiva, complesso ed elegante, presenta leggere note aromatiche, accenni idrocarburici, frutto giallo (pesca matura), note tropicali, fiori di tiglio e d’acacia, sbuffi d’agrumi, fieno, fiori secchi. Di discreta struttura, fresco e minerale, equilibrato, con bella vena acida, ritroviamo i sentori tropicali che rimandano all’ananas ed alla papaia e le note d’agrumi, lunga la sua persistenza. Un vino notevole.


Soave Classico Superiore Docg “Monte Sella” 2014
I vigneti, allevati a pergoletta veronese, si trovano nella parte più alta del Monte Sella, sulle colline di Brognoligo.
Le uve, dopo un’opportuna selezione, sono raccolte a piena maturazione, parte di esse vengono poste in cassette per un leggero appassimento, l’altra parte è sottoposta a criomacerazione. La fermentazione si svolge in botti di rovere, dove il vino sosta per almeno un anno, dopo di che  s’affina per ulteriori tre mesi in bottiglia. 
Color giallo dorato, intenso e luminoso. Intenso ed ampio al naso, sentori di frutto tropicale, pesca, agrumi, fiori di tiglio, accenni di miele, fiori secchi, note sulfuree, l’evoluzione lo spinge verso note idrocarburiche. Strutturato, morbido e sapido, con vena acida che dona freschezza, sentori di miele, pesca matura, fieno e fiori secchi, lunghissima la persistenza.



Ormae Vinae - Gioiellae Toscana IGT Rosato 2018

Poteva un appassionato di latinorum sottrarsi all’assaggio di un rosè bio chiamato Gioiellae, fatto da un’azienda olearia di Pontassieve che maccheronicamente si chiama Ormae Vinae e di cui non so nulla, salvo che forse sono russi? 


Non potevo. Ma ben me ne incolse: Sangiovese 100%, bello sapido, perfino muscolare e quasi autunnale!

Vitique ovvero mangiare a Greve in Chianti

di Stefano Tesi

Di norma quando, in zone ad alta densità ristoratoria o mediatica, nasce un nuovo locale, c’è da preoccuparsi: il rischio è infatti che si tratti o dell’ennesimo clone oleografico da mainstream, o del classico posto che vuole distinguersi a tutti i costi, facendo poi la fine del proverbiale gatto in tangenziale.
Quando, inoltre, l’iniziativa è espressione diretta di una casa vinicola, i rischi aumentano perché, come è ovvio, spesso le esigenze di promozione soverchiano, o limitano fortemente, quelle gastronomiche, ingabbiandole.
Il Vitique di Greve in Chianti, ristorante affidato dal gruppo Santa Margherita al giovane chef Antonio Guerra, questi rischi li correva tutti e, quando l’ho visitato, ne ero ben consapevole. Sono stato però piacevolmente smentito.

Lo chef Antonio Guerra

Non tanto nello stile e nelle scelte architettoniche, ispirate comunque a un design curato, in equilibrio, come trend comanda, tra minimalismo e rusticità reinterpretata, quanto a tavola e in cantina.
Sotto il secondo aspetto, se le etichette “domestiche” hanno ovviamente un ruolo importante, esse tuttavia non tracimano ed anzi lasciano spazio con intelligenza a qualche centinaio di referenze italiane e non, offrendo una gamma di scelte che non condiziona né la curiosità, né gli abbinamenti.


Sotto il primo aspetto, invece, la sorpresa è stata una cucina che, senza rinunciare a contaminazioni e a qualche esperimento ardito, rimane comunque centrata, senza sbavature, focalizzata sulla qualità delle materie prime o soprattutto attenta a non disperdere in orpelli e diverticoli il cuore delle singole portate: sapori decisi e consistenze nette anche in caso di composizioni “acrobatiche”, le giuste stagionalità senza regionalismi e, aspetto secondo chi scrive della massima importanza, senza caricature. Quindi carne, pesce, territorio e anche no, in una carta ragionata che muta ciclicamente ma, stagione dopo stagione, mantiene la sua coerenza.

Esterno

Bene ad esempio, per coesione e delicatezza, le cappesante con porcini, guanciale e nepitella. Bene anche i ravioli del plin allo stracotto di manzo con pecorino, alloro e tartufo, un piatto pieno di nerbo e niente affatto facile da trovare in una versione così intrigante. Davvero eccellente, alla fine, la brioche allo zabaione.

Interno

Considerato lo stile e la qualità, il Vitique, che è aperto solo a cena, non è in assoluto un ristorante economico (alla carta il conto è sui 75 euro a testa più i vini), ma l’abbondanza dei menu degustazione, da tre a sette portate a partire da 55 euro, allarga la forbice dei costi.
Di giorno è aperto invece il bistrot, con una cucina più ruspante e veloce e costi più contenuti.

Vitique
Via Citille 43, 50022 Greti, Grave in Chianti (FI)
info@vitique.it - www.vitique.it
tel. 055 9332941
chiuso mercoledì
Orari: dalle ore 11 alle ore 23

Michel Furdyna - Champagne Brut Reserve


di Luciano Pignataro

Una piccola chicca a circa 20 euro in rete. E' lo champagne di Michel Fourdyna da pinot noir vinificato in bianco coltivato in dieci ettarisparsi in sei comuni della Cote des Bar. 


Il piccolo viticolture di Celles sur Ource segue pratiche ambientali e tradizionali. Sorso fresco e appagante. Un affare.

www.champagne-furdyna.com

Dieci vini della Campania da abbinare al ragù napoletano!

di Luciano Pignataro

C'è chi aspetta il freddo per funghi e tartufi e chi per il ragù napoletano: una preparazione lunga, un piatto strutturato, soprattutto se completato con pecorino e un pizzico di forte, certamente impegnativo. E allora abbiamo bisogno di vini altrettanto rossi e forti che abbiamo la caratteristica di ripulire il palato e rilanciare la voglia di mangiare. Ecco la nostra idea attingendo dal panorama campano, fermo restando che alternative valide non mancano certo in nessuna regione italiana

Moio - Moio 57
Ecco il primo abbinamento che ci viene in mente. Da uve primitivo, meglio se non troppo invecchiato, questo rosso iconico dell’azienda di Mondragone si presta perfettamente all’abbinamento con il ragù per la sua potenza e la sua esibizione muscolare. Provare per credere.

Gennaro Papa - Campantuono Falerno del Massico DOP
Restiamo ancora in zona, come non citare il poderoso primitivo di Papa, l’azienda di Falciano del Massico oggi diretta dal bravissimo Antonio. Caratteristiche simili, ovviamente, al precedente, forse solo una maggiore suadenza olfattiva che lo rende meno rustico ma altrettanto efficace del precedente.

Sclavia - Granito Terre del Volturno IGP
Cambiamo vitigno, pensiamo allora al Casavecchia, antica uva dell’Alto Casertano che è stata riscoperta da una ventina d’anni. Anche qui l’aspetto principale è la potenza, l’alcol, la differenza con i rossi da primitivo la presenza dei tannini si sente e non sta affatto male con il ragù napoletano.


Boccella - Rasott Irpinia Campi Taurasini DOC
Andiamo tra i monti irpini in cerca di ruspanti aglianico, rossi più freschi e tannici. Immediato il riferimento a questo rosso base della piccola azienda Boccella, di cui amiamo moltissimo il Taurasi. Ma in questo caso spendiamo questo rosso non solo perché più abbordabile economicamente, ma per la sua straordinaria efficacia. Anche in questo caso consigliamo le ultime annate.

De Gaeta - Irpinia Campi Taurasini DOC
Ci muoviamo verso il comune di Castelvetere sul Calore e proviamo questo rosso da Aglianico pensato da Vincenzo Mercurio. Una piccola produzione per appassionati, in questo caso la beva è meno rustica, i tannini più morbidi ma ficcanti, decisamente in equilibrio con l’alcol e sostenuti da una vibrante acidità che ripulisce il palato.

Il Cancelliere - Gioviano Aglianico Campania IGT
Ora a Montemarano, dove troviamo questa piccola azienda contadino fondata da Soccorso Romano e gestita da tutta la famiglia. Il buon “manico” di Antonio de Gruttola si vede proprio con questa bottiglia, legno grande, vino non filtrato. Un Aglianico sincero ed efficace, dotato di una spinta incredibile e adatto a questo abbinamento.

Cantina Giardino - Nude Aglianico Campania IGT
Stesso vitigno, stesso enologo per il quale non nascondiamo la nostra simpatia nell'interpretazione che è capace di dare con l’Aglianico. Utile proprio se pensato vicino ai piatti tradizionali come in questo caso. La freschezza e i tannini lavorano bene alla grande per equilibrare nel palato il boccone. Non resta che provare!


Tempa di Zoé - Zero Paestum IGT
Dall’Irpinia al Cilento, territorio  che ha adottato l’Aglianico con convinzione da molti anni. Questa storica etichetta pensata da Bruno De Conciliis e Vinny D’Orta esprime un rosso di potenza assoluta, adatta al ragù napoletano ma anche alle varianti campagnole belle robuste che vedono l’inserimento di altre carni.

Casa di Baal - Aglianico di Baal Colli di Salerno IGT
Questo rossa nasce sulle colline vicino Salerno da agricoltura biologica adottata in tempi non sospetti, ma come metodo di rapporto con il territorio. Un Aglianico più morbido rispetto a quelli che abbiamo selezionato ma ugualmente efficace soprattutto grazie alla freschezza tonica della beva che è molto efficace nell'abbinamento con il cibo.

I Cacciagalli - Sphaeranera Roccamonfina IGT
Volendo inserire un Pallagrello Nero, scegliamo questo, molto rustico, pensato da questa azienda che si ispira ai principi biodinamici. Il vitigno si esprime in maniera irruente e decisa, lavorato e affinato in anfora. Esprime un gusto molto interessante e tipico, riconoscibile. Ecco perché lo potete abbinare al ragù sfruttando le sue virtù gastronomiche.




Castell’in Villa - Chianti Classico Riserva 2013

di Carlo Macchi

Castell’in Villa Riserva  2013 è la sublimazione dell’idea di Grande Sangiovese. 


Complesso, austero, eclettico. Sembra un vino di Gambelli e invece, storicamente, “Tachis fecit”: tanto per far capire che i due grandi non erano distanti. Importante: bottiglia da 330 grammi, perché un grande vino non ha bisogno di vetri pesanti.

www.castellinvilla.com

Tra Piemonte e Liguria: il Moro a Capriata d’Orba è il regno del piacere gastronomico

di Carlo Macchi

Sarà un caso, ma tutte le volte che arrivo a Capriata d’Orba mi accoglie un silenzio che, per dirla con Paolo Conte “Descrivervi non saprei”. In questo silenzio si cela la tranquillità di un paese del Piemonte ligure, cioè di quella terra di confine che ingloba una bella fetta delle tradizioni gastronomiche di entrambe le regioni. Siamo nel Monferrato e dal centro di Capriata d’Orba con gli occhi da una parte tocchi le colline del Gavi e dall’altra i vigneti dell’Ovadese.


Ma i miei occhi, quando arrivo nella silente piazza centrale di Capriata, sono tutti per l’insegna e l’ingresso di un ristorante che conosco bene e che frequento con gioia da tanti anni, il Moro.


In un paese così tranquillo un nome come “Il Moro” potrebbe riportare a guerre e invasioni, ma come entri nel locale e ti accoglie la tranquillità e la sobrietà fatta persona, cioè Claudio, l’unica invasione a cui puoi pensare e quella dei profumi che già ti solleticano le narici.
In cucina c’è Simona, moglie di Claudio, mano sicura e esperta che non sbaglia un colpo (e se ve lo dico io, che ci ho mangiato decine di volte, credeteci!) e che riesce sempre a sorprenderti con piatti che poggiano i piedi nella tradizione per spiccare poi il volo verso la semplicità e la concretezza di grandi sapori. Come scordarsi le semplicissime ma monumentali acciughe fritte che, quando è stagione, Claudia “mi obbliga” ad ordinare e potrei andare avanti con altri piatti e sapori ma prima voglio farvi sedere comodamente, nelle linde e accoglienti sale e salette (d’estate c’è anche un grande spazio esterno) dove ti senti come un bambino nella pancia della mamma. Apparecchiatura perfetta ma non ricercata e piglio distinto degli altri ragazzi in sala vi faranno scordare anche la mamma, ma non la pancia che avrà già iniziato a borbottare.

Agnolotti - Foto: http://ristoranti.travelitalia.com

E per far fermare il borbottio niente di meglio che una piemontesissima carne cruda di fassona battuta al coltello o uno sformato di peperoni con salsa di acciughe sotto sale, che punta più verso i lidi liguri, mentre di estremamente locale c’è la testa in cassetta di Gavi.
Naturalmente vi sto parlando del menù autunno-inverno, perché Claudio e Simona lo variano spesso, anche se alcuni piatti (per fortuna!!) ci sono sempre, come gli agnolotti nei tre modi della tradizione, cioè “a culo nudo” “nel vino e “al tocco”. Questi non ve li potete perdere perché mettono assieme leggerezza, sostanza e storia.
Naturalmente in questa stagione autunnale non mancano i funghi per un gustoso risotto e i tartufi bianchi. L’ultima volta sono stato al Moro a fine settembre e vicino a me, sotto la cupola di vetro, c’era un tartufo bianco che (nonostante non fosse ancora stagione piena) aveva un profumo che faceva resuscitare i morti. Ma ci sono altri modi con cui Simona e Claudio vi faranno resuscitare, tipo lo Stoccafisso in insalata con patate e olive taggiasche o la Lingua bollita con bagnetto verde. Naturalmente c’è sempre qualche fuori carta: l’ultimo era una trippa con i fagioli da applauso a scena aperta.
Se vi resta ancora spazio vi consiglio di provare la loro scelta di formaggi e magari un Bunet con zabaione al moscato.

Formaggi - Foto: Marcel Egger

Sui vini brilla il Piemonte con tante etichette locali molto interessanti (Gavi e Monferrato in primis) ma naturalmente la carta spazia sull’Astigiano e sulla Langa, puntando anche a mirate etichette fuori regione, tutte con ricarichi assolutamente onesti.
Un pranzo luculliano dall’antipasto al dolce vi costerà meno di 50 euro (vini esclusi) e soprattutto vi farà gustare piatti che non scorderete facilmente. Se ve li scordaste niente paura, Simona e Claudio sono sempre lì, nel centro del silenzio di Capriata d’Orba, pronti a accogliervi.

Claudio e Simona - Foto: Tripadvisor

Premio Qualità “Vino Ducale” per il Cabernet Atina DOC


di Antonio Di Spirito

Il ristorante “Le Cannardizie” organizza il premio-qualità dedicato alla figura di Giovanni Palombo, promotore della denominazione “Cabernet Atina DOC”.
L’evento è promosso dal Comune di Atina e dal Consorzio di tutela dell’Atina DOC, in collaborazione con associazione IRIS, Centro Studi S.S. Atina, Istituto Agrario di Alvito, Pro Loco di Atina e Pro Loco di Alvito.
Gli obiettivi del progetto sono molteplici ed identitari della cultura agricola e sociale locale:
Far conoscere la DOC ad assaggiatori professionisti che sappiano apprezzare i vini dell’areale e promuoverli ai tanti appassionati coinvolti nei vari settori enologici;
Ricordare un produttore speciale che ha fatto di tutto per costituire il comitato promotore dell’Atina DOC
Mettere a confronto, dopo vent’anni di produzione, gli stessi prodotti e le radici comuni derivanti dalla storia del Cabernet MONUMENTALE costruito sulla storia di Pasquale Visocchi (l’agronomo dell’Ottocento che ha definito le sorti della viticoltura locale e che ha studiato e sperimentato i vari vitigni francesi).
La giornata dedicata all’evento, Domenica 27 ottobre 2019, avrà il seguente programma: nella mattinata si effettueranno visite in cantina; tutti i partecipanti all’evento saranno informati dal personale delle due pro loco (Atina e Alvito) e saranno consegnate loro delle mappe geografiche con indicazione dei punti di degustazione. Durante la pausa pranzo ognuno potrà scegliere liberamente i ristoranti convenzionati. Alle ore 16:00 inizierà il segmento dedicato al premio/concorso Vino Ducale presso la Sala di Rappresentanza del Comune di Atina.


Il giudizio sui vini sarà prodotto da una commissione formata da nove giudici, strutturata come segue:

Tre giornalisti:
Antonio Di Spirito – presidente della commissione (giornalista enogastronomico per: Guida ai Vini d’Italia de L’Espresso – Luciano Pignataro Wine blog – Cucina e Vini),
Francesco D’Agostino (Direttore Responsabile di Cucina e Vini),
Andrea Petrini (Percorsi di Vino Wine Blog);

Tre stimati enologi NON impegnati in attività professionali nell’ambito della Atina DOC: Chiara Fabietti, Maurizio De Simone, Vincenzo Mercurio;

Tre sommelier provenienti dalle tre maggiori associazioni AIS, FIS, FISAR, rispettivamente: Emanuela Di Palma, Antonio Abbate e Alice Lupi.


La sistemazione della sala sarà similare a quella predisposta per un concorso ministeriale, allestita per una degustazione alla cieca di quattro tipologie di vini: Bianchi, Rosati, Rossi DOC di ultima annata e Rossi Riserva; la scelta dei vini portati in gara sarà a discrezione delle aziende partecipanti.
Il confronto darà la possibilità a tutti i produttori della DOC, anche ai non associati al Consorzio di Tutela; questa scelta ha lo scopo di mettere a confronto tutti i vini e cogliere tutte le loro particolarità che, grazie alla geografia della DOC, sono ricchi di sfumature floreali e frutti naturali.
Verso le ore 18,30 la giuria comunicherà i vincitori delle varie categorie (Bianchi, Rosati, Rossi e Riserva) e, a seguire, ci sarà una mini convention con consegna dei premi.
Alle ore 20,00 sarà organizzata una degustazione dei vini in collaborazione con IRIS, associazione per la ricerca di cure ed assistenza al malato oncologico.

Bonavita - Faro DOC 2012


di Roberto Giuliani

Ripescato dalla cantina, il Faro 2012 ottenuto da nocera, nerello mascalese e cappuccio, era ancora frutto della mano esperta di Carmelo Scarfone, accompagnato dal figlio Giovanni. 


Emozione doppia nel ricordare la sua scomparsa e nell’apprezzare un vino che sussurra con garbo il canto della terra.

Terre di Vite 2019: vino, arte e cultura il 26 e 27 ottobre al Castello di Levizzano


Non nascondo che provo sempre una certa emozione all’avvicinarsi di Terre di Vite. Nato nel 2009, quasi come un gioco, dalla fantasia di Barbara Brandoli di Divino Scrivere ed Elena Conti, nota produttrice di Boca, è diventato subito un evento del tutto particolare, dove il vino rappresenta l’aspetto principale, ma affiancato anche da mostre d’arte e seminari, nelle sale del Castello di Levizzano, a due passi da Modena.
Quando Barbara mi ha proposto di collaborare, ho accolto con gioia l’invito, perché ho sentito che era il modo di comunicare il vino che piace a me.


I vignaioli sono protagonisti, ma anche l’ambiente fa la sua parte, si crea un’atmosfera del tutto particolare, la gente non si limita a curiosare e assaggiare, ma ha bisogno di capire, di percepire cosa c’è dietro a questo prezioso liquido, qual è la ragione del suo fascino. Gli spazi del castello sembrano favorire il dialogo fra produttore e visitatore, si crea intimità nonostante i numerosi partecipanti, nascono racconti, scambi di idee, punti di vista, emozioni che trovano il giusto compimento nell’assaggio di vini mai banali.

Per tutti coloro che non sono ancora stati a Terre di Vite mi sembra giusto riportare qui il suo manifesto:
Il vino è il punto esatto in cui la terra incontra la poesia: Terre di vite nasce per raccontare questo incontro attraverso volti, suoni, immagini e parole. Abbiamo deciso di dedicare le nostre energie e la nostra passione a questo progetto perché siamo persuasi che attorno al vino vi sia la necessità di momenti di aggregazione, promozione e convivialità che sappiano essere anche occasioni di crescita.
Terre di vite si propone di essere una sorta di “zona franca” all’interno della quale sia possibile restituire al vino e alla terra una dimensione più profonda e autentica, al fine di rendere loro quella dignità spesso sacrificata per assecondare le indicazioni del marketing e delle mode.
Abbiamo pensato e realizzato questo progetto innanzitutto nella consapevolezza che l’arte e la cultura hanno sempre la forza di avvicinare le persone. E che il vino alla fine è soprattutto questo: un pretesto per stare insieme”.
Quest’anno Terre di Vite è alla sua nona edizione, sabato 26 e domenica 27 ottobre, a proporre i loro vini ai banchi d’assaggio (con possibilità di acquisto) ci saranno 73 aziende provenienti da tutta Italia e non solo, accomunate dal legame con la terra e i rispettivi territori, ma anche da un’idea del vino che ha molto a che fare con la capacità di confronto e con l’accettazione delle differenze.
Gli appassionati potranno assaggiare in degustazione libera, tra gli altri, un vino leggendario come il Barbacarlo di Lino Maga – passione irrinunciabile di Gianni Brera e Luigi Veronelli – i tesori della tradizione valtellinese di Ar.Pe.Pe (ma anche quelli di alcuni vignaioli emergenti della zona come Terrazzi Alti, Sasso Vivo e Franzina), i bianchi inaspettati del Piemonte di Carlo Daniele Ricci e quel Brunello Vigna Soccorso di Tiezzi, che è una delle rappresentazioni più classiche e celebrate di Montalcino. L’Emilia si vedrà rappresentata per intero, con i frizzanti della tradizione come con delle perle sconosciute ai più ma capaci di confermare una potenzialità e una vocazione fuori dal comune.

Apertura banchi d'assaggio: sabato 15:00 - 21:00 - domenica 11:00 - 20:00

Contributo d’ingresso 15 Euro + 5 Euro cauzione calice

Contributo ridotto (10 Euro) per i soci Ais, Onav, Fisar, Slow Food, Aies

Per Informazioni: info@divinoscrivere.it

Uno spazio è poi riservato alla parte gastronomica, con l’immancabile Nunzio de Lo Stallo del Pomodoro di Modena, che proporrà i suoi panini con formaggi e affettati da urlo (straordinaria la ventresca!). Ci saranno anche proposte dolciarie, miele, biscotti, composte e succhi di frutta.
Come a ogni edizione, Terre di Vite propone un tema centrale sul quale vertono i seminari condotti da Sandro Sangiorgi, direttore di Porthos, giornalista fra i più apprezzati di settore; per la nona edizione è stato scelto il tema dell’accoglienza, argomento mai tanto attuale.

Eccoli nel dettaglio:

Sabato 26 Ottobre dalle ore 13.00 - “Il tema dell’accoglienza” conversazione pubblica tra il direttore di Porthos Sandro Sangiorgi e Valeria Bochi, antropologa ed esperta di cooperazione allo sviluppo - Ingresso libero fino a esaurimento posti.

Domenica 27 Ottobre dalle ore 13.00 - "Accoglienza mediterranea", degustazione/seminario ideata e condotta da Sandro Sangiorgi. In degustazione sei vini tra i più interessanti del Meditteraneo.
Prenotazione obbligatoria all'email: info@divinoscrivere.it oppure tel: 338-5474185.
Quota di partecipazione 35 € (sconti da applicare ai soci Ais, Fisar, Onav, Slow Food, Aies) - per info qui


Ma come vi avevo già accennato, Terre di Vite dà spazio anche all’arte, infatti in alcune sale del castello per tutte e due le giornate saranno esposte le opere dell’associazione Aerografisti Italiani Riuniti (AIR); l’aerografia è una delle arti visive che si sta imponendo con maggiore forza, anche grazie al fascino che esercita sul pubblico giovane in virtù di una nitidezza e di un’immediatezza espressiva che trovano pochi riscontri. L’associazione che è riuscita a raccogliere al suo interno il meglio della produzione italiana di settore, si adopera per promuovere attraverso esposizioni e partecipazioni a eventi culturali. Tra i fondatori dell’associazione ci sono artisti come Renato Casaro (illustratore molto ricercato nell’ambiente cinematografico americano), quell’Alberto Ponno che è probabilmente l’illustratore iperrealista più conosciuto al mondo, l’artista della Casa reale britannica Claudio Mazzi, poi ancora illustratori del calibro di Giorgio Guazzi, Salvatore Cosentino, Mario Romani, Arianna Fugazza, Frank FK e Alex Lorenzi.
Il fascino della pittura ad aerografo sta anche nell’esecuzione diretta: per questo gli artisti di AIR si esibiscono in performance live itineranti, come  accadrà nelle sale del castello di Levizzano durante le due giornate di manifestazione. Un’occasione per avvicinarsi a una forma di arte visiva che avrà molto da raccontare negli anni a venire.

Per informazioni e materiali illustrativi: ariannafugazza@gmail.com

Il museo Rosso Graspa
Per la prima volta il pubblico di Terre di Vite avrà la possibilità di accedere al Museo del vino e della società rurale Rosso Graspa (www.castellolevizzano.it), inaugurato nell’aprile scorso dall’Amministrazione comunale di Castelvetro. All’interno del museo si collocano numerose testimonianze della vita dei campi: attrezzi agricoli, strumenti per la lavorazione del legno, utensili per la lavorazione dell'uva, oltre a una mostra fotografica che illustra in modo piacevole e accattivante le dinamiche sociali e le buone pratiche agricole della società contadina.

La lista produttori la trovate al seguente link Terre di Vite

Tenuta Olim Bauda – Nizza DOCG 2015

di Andrea Petrini

Nizza e Barbera, un binomio vincente soprattutto se a gestire le danze è Gianni Bertolino


Questo Nizza DOCG interpreta al massimo il territorio di appartenenza, è una barbera profonda, strutturata, carica di sentori di frutta ma al tempo stesso fresca ed elegante come un vestito di Audrey Hepburn. Chapeau!

Castello Bonomi presenta l'Erbamat, il nuovo autoctono franciacortino – Garantito IGP


di Andrea Petrini

Castello Bonomi, con sede a Coccaglio, ai piedi del Monte Orfano, con la sua estensione pari a 24 ettari di splendidi vigneti sviluppati a gradoni,  affonda le sue radici nel XIX secolo.  La tenuta, infatti, deve il suo nome all'edificio liberty di fine Ottocento commissionato dalla famiglia del rivoluzionario Andrea Tonelli, noto carbonaro e precursore del Risorgimento, ad uno degli architetti più importanti dell'epoca, Antonio Tagliaferri. La tenuta fu successivamente acquistata dall’ingegner Bonomi, ancora oggi proprietario del Castello, che, negli anni Novanta, diede avvio al recupero dei vigneti terrazzati esistenti, gestiti invece dal 2008 con grandissimo successo e passione dalla famiglia Paladin, attraverso un contratto di affitto a lungo termine.

L'azienda e i vigneti visti dall'alto

L’azienda, qualche giorno fa, in assoluta anteprima, ha presentato a  Roma, presso la suggestiva “Divinity Terrace” dell'Hotel The Pantheon, una piccola, ma significativa verticale di Erbamat, dal 2011 al 2014!

Il Progetto è stato cercato e voluto dal Consorzio Tutela Franciacorta per valorizzare una viticoltura di territorio, che ha radici antiche, con la coltivazione di un'uva dalla peculiare maturazione tardiva, che a sua volta permette di compensare gli effetti dei cambiamenti climatici e di allungare di conseguenza il momento vendemmiale. Questo Progetto nasce da lontano, quando cinque coraggiose aziende hanno accolto per prime la sfida, scegliendo di recuperare e valorizzare l'antico vitigno, citato per la prima volta nel 1564 dall'agronomo italiano Agostino Gallo, nell'opera “Le venti giornate dell'agricoltura e dei piaceri della villa”. Il vero primato di Castello Bonomi è tuttavia quello di aver scelto di vinificare separatamente queste uve, sin dal 2011.

La cantina di Castello Bonomi

Dal 2012 sono stati effettuati monitoraggi delle fasi fenologiche su Erbamat, studiandone le uve per verificarne le curve di maturazione, sono state allestite delle prove di potatura allo scopo di valutare la fertilità del grappolo ed il vigore. Inoltre, sono stati fatti diversi studi sulla vinificazione dell’Erbamat e sulla sua espressione come base spumante allinterno dei Franciacorta.

Ne risultò un profilo interessante: l'Erbamat è un vitigno a maturazione relativamente tardiva, circa un mese dopo rispetto allo Chardonnay, con un buon corredo acidico, in particolare malico, capace di compensare almeno in parte il rischio di riduzione dell’acidità nei vini base. Proprio l’acidità spumante è un elemento fondamentale per conferire freschezza e longevità e va quindi preservata il più possibile. Questo vitigno contribuisce perciò alla freschezza delle basi senza però stravolgerne il profilo, così come è conosciuto dal pubblico del Franciacorta, grazie alla sua sostanziale neutralità aromatica. A distanza di alcuni anni dalla sperimentazione, in base alla bontà dei risultati, oggi l’Erbamat è previsto da disciplinare del Franciacorta nella misura massima del 10%.

Grappolo di Erbamat - Foto: Federvini

La Cuvée 1564, presentata a Roma con una verticale quattro annate, è un Metodo Classico VSQ: ha un uvaggio composto da Erbamat in un quantitativo compreso tra il 30% e il 40%, il restante suddiviso in parti uguali tra Chardonnay e Pinot Nero, ed è il risultato dell'importante lavoro svolto dal team di Ricerca & Sviluppo, guidato dal professore Leonardo Valenti e dagli enologi Luigi Bersini e Alessandro Perletti.


La degustazione verticale inizia subito con una chicca, una sperimentazione assoluta, ovvero uno spumante 100% Erbamat portato in degustazione come pietra di paragone con gli altri vini in successione. In effetti lo spumante è come mi aspettavo: deciso, sapido, con una acidità spinta che indubbiamente non so in quanti potrebbero apprezzare. Da qui la volontà di tagliare l’Erbamat con altri vitigni in grado di dare complessità e maggiore morbidezza.

La Cuvée 1564 2011, chiamiamola versione ufficiale anche se in realtà non uscirà mai in commercio, ha una percentule di erbamat del 32% e si presenta, nonostante otto anni di affinamento, assolutamente integra grazie ad una vendemmia che in Franciacorta giudicano eccellente. Naso molto intenso, quasi aromatico, dove ritrovo gli agrumi e il melone bianco con cenni di leggera tostatura. Sorso dinamico, tagliente nella sua sinergia acido-sapida che poggia su un corpo decisamente all’altezza.


La Cuvée 1564 2012, che vanta una percentuale di Erbamat pari al 38%, ha ricordi di erba limoncella, glicine, agrumi e soffi minerali. Al sorso è brioso per freschezza e sapidità e foriero di coerenti ritorni aromatici anche se il vino cede un po’ troppo nel finale la cui persistenza non è indimenticabile.


La Cuvée 1564 2013, che vanta sempre una percentuale di Erbamat pari al 38%, è la bottiglia che mi ha convinto di più di questa verticale anche se l’annata in Franciacorta non è considerata tra le migliori. Naso ricco, complesso, aromatico, dove ritrovo sensazioni di uvaspina, agrumi, fiori di campo, glicine e nuance minerali. Alla beva è uno spumante cremoso per effervescenza, fresco e dalla sapidità saettante. Retrolfatto fruttato e lungo.


La Cuvée 1564 2014, che vanta una percentuale di Erbamat del 32%, sarà la prima a comparire sul mercato nel 2020, nel quantitativo limitato, e solo per amatori, di 800 bottiglie. Figlia di una annata apparentemente negativa, si fa apprezzare per eleganza nei sentori agrumati e floreali e per un corpo esile ma assolutamente vibrante che non cede nulla in termini tensione acido-sapida che rappresenta un bonus per chi, come me, ama la verticalità e la versatilità di certi spumanti adatti ad accompagnare dall’inizio alla fine un pasto decisamente importante. Piccola chicca da comprare assolutamente quando uscirà tra pochi mesi.

Azienda Agricola Tosca: Incrocio Manzoni 2017

Di Lorenzo Colombo

Vite Natural Durante è il nome dato alla linea di vini biologici dell’Azienda Agricola Tosca, di Pontida. Noi abbiamo assaggiato l’Incrocio Manzoni 2017, vino nel quale si coglie la classe dei suoi genitori: la struttura e la finezza del Pinot bianco e le note idrocarburiche del Riesling.


Da provare assolutamente.