Claudio Mariotto: io e il mio Timorasso

Mi ricordo perfettamente, a metà anni '90 quando iniziai ad appassionarmi di enogastronomia, che il riferimento ai Colli Tortonesi era scandito dalle "Tre M" ovvero Massa, Mariotto e Montebore


Per il timorasso, dopo decenni di oblio dove ha rischiato di scomparire a scapito del più produttivo cortese, quel periodo coincise con la sua definitiva riscoperta e consacrazione poiché un po' tutti, critica enologica compresa, avevano capito che questa uva autoctona, naturalmente ricca di norisoprenoidi, era in grado di dar vita ad un vino di grande struttura ed eleganza il cui affinamento era condizione indispensabile per valorizzare al massimo la sua grande complessità aromatica che in molti casi, col tempo, rimanda alle note minerali ed idrocarburiche.

Vista dei Colli Tortonesi da Vho

E' in questo contesto che Claudio Mariotto, seguendo le orme di Walter Massa, decide di riprendere in mano le sorti dell'azienda di famiglia al fine di dare continuità alla tradizione e alla passione per la terra e il vino tramandatagli dai suoi "vecchi" puntando sia sul timorasso che sulla barbera non trascurando altri vitigni da sempre coltivati nei Colli Tortonesi come moscato, cortese, dolcetto, freisa e croatina.

vigneti

Da quei tempi, fortunatamente, l'areale del Colli Tortonesi Timorasso DOC, che dal 2015 può chiamarsi Derthona, si è notevolmente ampliato con la presenza di tanti altri produttori (l’ultimo aggiunto è un certo Farinetti) che oggi coltivano oltre 100 ettari di timorasso.
Nonostante l’odierna “concorrenza”, Claudio Mariotto rimane oggi più che mai un assoluto punto di riferimento grazie alle sue tre espressioni di Timorasso ovvero Derthona, Pitasso e Cavallina che, complice una bella degustazione organizzata dalla FIS di Tivoli qualche tempo fa, ho potuto (ri)apprezzare anche in annate non recenti. 

Claudio Mariotto. Foto: Strada vini colli tortonesi

Volete sapere come è andata la degustazione? Basta continuare a leggere. Ne vale la pena, parola mia!

Claudio Mariotto - Colli Tortonesi Timorasso DOC Cavallina 2014: questo Cru di Timorasso è l'ultimo nato in casa Mariotto e, nella gamma, si pone a metà strada tra il Derthona e il Pitasso visto che l’impianto, come afferma lo stesso vignaiolo, non è giovanissimo e neppure vecchio, insomma è nell'età (15/20 anni) in cui la pianta inizia a trovare il giusto equilibrio produttivo tra terreno e microclima. La vigna Cavallina si trova in località Vho, nel comune di Tortona, ad una altezza di circa 300 metri s.l.m. ed è piantata su terreno calcareo argilloso. Il vino che ne consegue, figlio di una annata poco felice, ha un colore leggermente evoluto e fin da subito tira fuori una trama aromatica fitta dove prevalgono gli idrocarburi e gli sbuffi minerali accanto ad un leggero ricordo di frutta gialla ed erbe aromatiche. La bocca non tradisce le attese, è ampia, piena, sapida anche se chiude leggermente corta. Nota tecnica: le uve vengono diraspate e pigiate, il mosto rimane a contatto con le bucce per alcuni giorni a temperatura controllata, segue la maturazione in acciaio.


Claudio Mariotto - Colli Tortonesi Timorasso DOC Derthona 2010: il Derthona, ovvero quello che i meno attenti chiamano "vino base", proviene da una selezione di vecchie vigne (40 anni) dislocate lungo il comune di Tortona con esposizione sud-est e poste a circa 250-300 metri s.l.m. su terreno calcareo e argilloso. Da sempre questo è il vino più "classico" e varietale di Mariotto e questa 2010 fa ben comprendere l'evoluzione del Timorasso che nella sua veste dorata si esprime con traboccanti profumi di fiori gialli e macedonia di frutta le cui rotondità, derivanti da una leggera surmaturazione dell'uva in pianta, bilanciano alla grande un'austerità minerale di fondo. Il sorso è fatto di sostanza e sensualità e tanta progressione salata. Nota tecnica: vinificazione  prevede una pressatura soffice, sfecciatura, fermentazione a temperatura controllata e affinamento sulle fecce nobili.


Claudio Mariotto - Colli Tortonesi Timorasso DOC Pitasso 2006: il Pitasso rappresenta il Cru storico dei Mariotto e fa riferimento a uve provenienti da vigne di oltre 40 anni piantate nel tortonese su terreno di medio impasto e caratterizzate da una bassa resa per ettaro (50 q/ha). Tutto ciò implica che il Pitasso è da sempre il Timorasso più strutturato e complesso di casa Mariotto e questo 2006 non fa certo sconti disegnando un quadro aromatico dove idrocarburi, spezie gialle, selce, cedro ed erbe aromatiche sono spie olfattive di una evoluzione del vino inappuntabile e priva di sbavature. Bevendolo ti accorgi come il Timorasso sia un grande vino, non solo italiano, perchè dopo 10 anni scalpita e graffia grazie ad una tensione minerale pazzesca, classe, pulizia e, soprattutto, equilibrio. Nota tecnica: dopo una pressatura soffice è avviata la fermentazione alcolica a temperatura controllata. Il vino matura poi in contenitori d’acciaio, sulla feccia nobile, per diversi mesi e successivamente, prosegue l’affinamento in bottiglia prima di essere messo in commercio. 


Claudio Mariotto - Colli Tortonesi Timorasso DOC Pitasso 2004: rispetto al precedente ha una veste cromatica più giovane, meno dorata, a cui è legato un registro olfattivo mirabolante e puntellato da un nucleo aromatico di frutta matura, cenni floreali di mimosa e gelsomino ben incastonati all’interno di una cornice di erbe aromatiche di grande impatto e spessore. Pieno e avvolgente alla gustativa dove le morbidezze del vino pian piano lasciano spazio alle sensazioni dure che irrompono solo a centro bocca lasciando il palato velato da uno strato sapido, quasi salmastro, di assoluta persistenza. Chapeau ad un vino con tanta strada avanti e ad un esempio, tra i tanti, di come un grande Timorasso possa progredire nel tempo.

Carbon sarà lo Champagne ufficiale della Formula 1

Dopo due stagioni di assenza, lo champagne ritorna a fare capolino sul podio della Formula 1.


Nello scorso weekend infatti il Circus ha reso noto l’accordo con Carbon, brand produttore di champagne, per la fornitura delle magnum da utilizzare sul podio
Era dal 2015 che lo champagne mancava in Formula 1. Nell’inverno 2015, infatti, Bernie Ecclestone aveva lasciato scadere l’accordo da 5,5 milioni annui con Mumm (che forniva lo champagne dal 2000 dopo essere subentrata a Moet): le magnum per il podio nelle ultime due stagioni sono state così fornite da Chandon, che è però un marchio di chardonnay e non di champagne.

Grazie all’accordo con Carbon, che presenterà sul podio tre bottiglie diverse (etichettate in oro, argento e bronzo per ciascuno dei tre piloti), tornerà nella F1 una tradizione che proviene dagli albori del Circus: nel 1950 venne inaugurata la tradizione di regalare una grande bottiglia di vino al vincitore, mentre fu Jo Siffert, nel 1960 a Le Mans, il primo a schizzare la folla con lo champagne.

Foto tratta da Twitter

“La caratteristica unica è che la bottiglia è realizzata in carbonio, il materiale più rappresentativo della straordinaria tecnologia presente in questo sport, è un ulteriore elemento che rende lo Champagne Carbon il prodotto perfetto per i piloti per festeggiare il podio in un Gran Premio di Formula 1”, le parole di Sean Bratches, capo del marketing della F1. “Siamo molto lieti di accogliere Champagne Carbon come uno dei nostri partner. Tradizione, mistizia, celebrazione e gusto sono caratteristiche comuni sia di Formula 1 che di Champagne Carbon”, ha concluso Bratches.

“La partnership tra Champagne Carbon e Formula 1 è per noi la perfetta fusione di idee. Condividiamo una storia simile: di grande eredità, costante ricerca della perfezione e un desiderio incessante di innovare”, il commento invece di Alexandre Mea, CEO di Champagne Carbon.

Novità che per la Formula 1 comunque non si fermano qui: secondo quanto riporta Motorsport.com, la FOM starebbe inoltre facendo alcuni test con telecamere montate sulle magnum del podio, per fornire un nuovo angolo di visione agli spettatori televisivi.

Fonte: http://www.calcioefinanza.it

Claude Riffault - Sancerre Les Denisottes 2014 è il Vino della settimana di Garantito IGP

Di Angelo Peretti

Fiori di sambuco e mentuccia e pesca nettarina bianca croccantissima. Eccoli qui i tratti distintivi del Sancerre di Claude Riffault, e sono i caratteri che mi piace trovare in un sauvignon blanc della Loira. 


Nel calice, prende amplificazione con lentezza, acquisendo gradualmente in ampiezza e in fascino.

Podere Il Saliceto e i Sorbara che sanno di sale - Garantito IGP

Di Angelo Peretti

Campogalliano per me è era solo uno di quei posti che i bollettini del traffico citano per avvertire che c’è coda, soprattutto d’estate, e qualche volta anche nelle altre stagioni, perché lì si incrociano le autostrade e si fa un imbuto, tra la Brennero e quella del Sole. Però da qualche po’ ho scoperto che, se sono in viaggio ma non vado di fretta, a Campogalliano conviene imboccare il casello e fare una sosta. Per il mangiare, ché nel circondario c’è qualche buona trattoria che fa cucina ruspante a pochi soldi, ed è tutt’altra cosa di un panino all’area di servizio. Per il vino, dato che al numero 10 di via Albone, che è fuori in campagna e l’imbocco non lo vedete quasi neanche, c’è un’aziendina piccina che ha sede in un cascinale un po’ male in arnese appena sopra a un dosso e fa grandissimi Sorbara, nel senso di Lambrusco.


Ora, capisco che ci sia chi può dubbiosamente aggrottare le sopracciglia nel vedere che ho adoperato il superlativo “grandissimo” a proposito di Lambrusco, ma il pregiudizio non ci vuole quando si parla di vino e dunque lo ripeto, lo ribadisco e lo sottolineo che i Sorbara del Podere Il Saliceto sono, per me, oggi, tra le cose più intriganti che escano dalle cantine sparse in giro per l’Italia, e non sto per niente esagerando (del resto, il piacere è soggettivo, e questa preferenza risponde appunto al piacer mio).
Ho detto “i Sorbara” al plurale perché ne hanno due, e sono entrambi tra le mie bevute d’affezione.
A farli, i vini, sono due cognati, giovani e così scombinati come carattere da formare una squadra perfetta. Il più giovane, Marcello Righi, è taciturno, riflessivo. L’altro, Gian Paolo Isabella, dieci anni di più, è esplosivo, un fiume in piena.

Gian Paolo Isabella e Marcello Righi

Logico che sia Gian Paolo a figurare di più nella “letteratura lambruschista” degli ultimi tempi, magari anche per il plus narrativo che viene dal suo passato di sportivo, e infatti è stato perfino medaglia di bronzo ai mondiali di boxe thailandese, ma siccome quando sono arrivato in cantina era un attimo in ritardo, sono riuscito a far due chiacchiere (giusto due) con Marcello, che si è laureato in agraria nel 2006 e mi ha confidato che quando sono partiti, in quegli anni, hanno fatto un sacco di fatica, ma adesso sì, sono contenti, e comunque continuano a coltivare anche le pere, oltre alla vigna, perché il frutteto aiuta a pagare le rate del mutuo.



Quanto a Gian Paolo, lui ha mollato il suo lavoro di ottico in Piazza Grande a Modena per andare a fare esperienza per un paio di anni da un mito delle “effervescenze” (copyright Massimo Zanichelli, definizione presa dal titolo del suo recente libro sui “vini vini”) come Vittorio Graziano e ha capito che la sua strada portava alla vigna e adesso dice che il vino buono è quello che finisci la bottiglia, ma che non deve mica essere banale, e anzi deve avere garbo, e usa proprio questa parola, “garbo”, e condivido anch’io questa maniera di pensare il vino.

Ora, la sto tirando lunga, mi pare, e dunque passo ai vini, e avverto che mi soffermo solo sui due Sorbara che producono Gian Paolo e Marcello non già perché le altre bottiglie non siano d’interesse (per esempio stanno lavorando bene al recupero del malbo, vitigno negletto le cui uve loro vinificano sia in versione ferma, sia con le bollicine), ma perché qui voglio dire del Sorbara e basta e semmai degli altri vini ci sarà modo di parlare un’altra volta, chissà.

Aggiungo, e lo ritengo rilevante, che i vini del Podere Il Saliceto possiedono tutti un tratto stilistico comune, che è il sale, la sapidità e dunque la strepitosa abbinabilità con la tavola, ed è gran cosa quando d’un produttore si riconosce la mano a prescindere dalla bottiglia che hai stappato e soprattutto è gran cosa che a un proprio stile una cantina ci arrivi dopo appena una manciata d’anni dalla prima vendemmia. Bravi.


Lambrusco di Sorbara Ring Adora 2014 Podere Il Saliceto
La Ringadora, tutt’attaccato, è una pietra che sta nella Piazza Grande di Modena e e viene chiamata così perché da lì anticamente si arringava il popolo. In etichetta il nome è spezzato, in modo che resti in evidenza il riferimento al ring su cui combatteva Gian Paolo. Finita la spiegazione dell’etichetta, eccomi al vino, che è un metodo classico “nature” e lo considero una delle più coinvolgenti bolle che si facciano oggidì in Italia. Agrumi, tanti agrumi, freschi e canditi. Il vino ha energia e carattere, eppure la bollicina è sottilissima. Insomma, la quadratura del cerchio, con il plus d’una fascinosa tonalità tra il rosa salmone e la buccia di cipolla, e del resto anche l’occhio vuole la sua parte, o no? (93/100)

Lambrusco di Sorbara Falistra  2016 Podere Il Saliceto
Il Falistra è un Sorbara frizzante secco “col suo fondo”. Posso aggiungere che è uno di quei vini che quando mi fermo in trattoria in Emilia e lo vedo in carta, non resisto e me lo bevo di gusto a sorsi ampi e golosi per accompagnare il bollito o lo gnocco fritto col prosciutto crudo o la mortadella tagliata a cubetti. Sono irresistibili la fragolina di bosco e il ricordo floreale di rosa appassita che ti salgono al naso e t’invadono il palato e insomma viene voglia di una nuova sorsata e un’altra ancora. Aggiungo (esperienza già fatta) che regge il tempo che è una bellezza, e anzi aggiunge speziatura, il che non vuol dire lo si debba far invecchiare, ma se ne resta dimenticata una bottiglia male non fa. (90/100)

Il gusto digitale del vino italiano 2017: quarta edizione della ricerca FleishmanHillard Italia sulla presenza online delle prime 32 aziende vinicole italiane per fatturato

Contenuti sempre più al centro della digitalizzazione del settore vinicolo italiano con grande focus su vitigni autoctoni e sostenibilità, immagini e video usati più delle parole per comunicare il territorio. Aree di miglioramento su SEO e chat, l’e-commerce proprietario solo per pochissimi. Questi in sintesi i risultati della quarta edizione della ricerca condotta da FleishmanHillard, società di consulenza strategica in comunicazione attiva con 85 uffici in oltre 30 Paesi, che ha analizzato nel mese di aprile 2017 la presenza e le attività online delle prime 32 aziende vinicole italiane per fatturato secondo l’ultima indagine Mediobanca. 

La ricerca ha evidenziato, tra le novità principali, come ben il 53% delle aziende abbia dedicato attenzione sul proprio sito al tema dei vitigni autoctoni nell’ambito della valorizzazione del territorio: le cantine che legano la comunicazione dei propri prodotti alle specificità del luogo d’appartenenza salgono quest’anno al 75% (+22% rispetto a 2016). Altro aspetto degno di nota è che oggi il 37,5% delle aziende prese in esame parla di sostenibilità. Inoltre, all’interno di uno scenario social in costante evoluzione, da segnalare un forte aumento dell’utilizzo di Instagram (+23%) e Wikipedia (presidiata dal 37,5% contro l’11,5% del 2016). 

Ancora da esplorare l’integrazione di chat per favorire conversazioni real time sui siti, l’e-commerce proprietario, infine, è utilizzato da pochissimi (3 su 32). Per l’edizione 2017 si conferma sul gradino più alto del podio Frescobaldi, seguita da P. Antinori al secondo posto, Masi Agricola stabile al terzo, Cavit Cantina Agricoltori in quarta posizione mentre Mezzacorona chiude la top 5.


Ecco nel dettaglio i trend dell’analisi “Il gusto digitale del vino italiano 2017”: 

1. Aumenta la qualità della comunicazione su social: Instagram in forte crescita 

1.1 Dal punto di vista quantitativo, l’analisi sui social media conferma Facebook come tool più utilizzato dalle aziende (25 su 32) seguito da YouTube (20 su 32), Instagram (17 su 32) e Twitter (16 su 32). Instagram è la vera rivelazione, in crescita del 23% rispetto allo scorso anno. L’utilizzo d’immagini e video supera quello di contenuti puramente testuali, meno efficaci e d’impatto. 

1.2 Questo trend viene confermato dall’analisi della frequenza di aggiornamento, con in evidenza proprio Instagram e Facebook: in entrambi i casi, più del 70% delle aziende che possiede un account ha pubblicato contenuti con cadenza almeno settimanale, garantendo continuità al proprio flusso di comunicazione. Oltre il 43% di aziende twittano quotidianamente e il 35% pubblica video su YouTube con cadenza almeno mensile, a chiusura di un quadro qualitativo in progressiva crescita. 

1.3 Per quanto riguarda Wikipedia, in forte aumento le aziende che hanno migliorato la propria visibilità SERP (Search Engine Results Page) grazie ad una pagina dedicata alla propria storia, ai prodotti e al territorio (37,5%, contro l’11,5% del 2016). 

2. Contenuti: vitigni autoctoni al centro del territorio 

2.1 La maggioranza delle aziende (75%) comunica il proprio territorio, mentre il 53% parla di vitigni autoctoni, della loro storia e delle loro peculiarità. 

2.2 In aumento - sul 47% dei siti delle aziende - i riferimenti a enoteche, degustazioni e canali commerciali consigliati sui siti (contro il 31% del 2016). 

2.3 Il 37,5% delle aziende (12 su 32) parla di sostenibilità: la crescente sensibilità dei consumatori verso questi temi spinge sempre più aziende a comunicare le proprie politiche virtuose in materia di agricoltura sostenibile, efficienza energetica e attenta gestione delle risorse naturali. 

3. Lingue e SEO, e-commerce e chat 

3.1 La quasi totalità delle aziende (31 su 32) presenta siti in almeno due lingue, tipicamente italiano e inglese, mentre un’azienda su tre anche in tedesco, cinese fermo a 2 su 32. La disponibilità di diverse lingue è un fattore chiave sia per comunicare correttamente l’identità di marca sia per supportare l’export. 

3.2 Peggiorano numero di “link-in” (siti esterni che rimandano al website aziendale) e Page-Rank, evidenziando ancora ampi margini per il miglioramento dei siti in ottica SEO (Search Engine Optimization). 

3.3 Ancora fermo l’e-commerce diretto: solo 3 aziende su 32 hanno adottato piattaforme di vendita sul proprio sito. Da segnalare anche l’assenza di chat che possono favorire il dialogo in tempo reale sui siti di riferimento indirizzando gli utenti verso informazioni per loro rilevanti (come ricerca e educazione su prodotti, eventi delle cantine, disponibilità di visite guidate, etc.). 


L’analisi 2017 ci conferma un trend di digitalizzazione del settore attraverso un presidio quantitativo importante delle principali piattaforme e con una frequenza di aggiornamento in lenta ma constante crescita. Le aziende preferiscono utilizzare video e immagini per raccontare prodotti e territorio, con una particolare attenzione su vitigni autoctoni e sostenibilità, argomenti che diventano sempre più rilevanti per comunicare il vino italiano nel mercato domestico e nel mondo” – afferma Massimo Moriconi General Manager & Partner di FleishmanHillard Italia. 

L’e-commerce viene esternalizzato e affidato a intermediari, portali dedicati oppure online shop specializzati. Questo trend rappresenta sia un’opportunità sia una minaccia secondo la maturità dei mercati. In quelli più maturi come gli Stati Uniti, l’e-commerce potrebbe ridurre alcuni prodotti a mere commodity poiché l’acquisto sarà guidato solo dal prezzo e non anche dal valore della marca e del territorio. In mercati emergenti come la Cina invece, cui solo 2 aziende su 32 dedicano un sito in lingua, si delinea un ruolo rilevante per i portali e-commerce più conosciuti in loco. Essi potrebbero aiutare a svolgere, da subito, vera educazione sul valore del vino italiano, integrando il mix di promozione che il nostro comparto sta conducendo sugli altri canali” continua Moriconi. “In questo contesto è auspicabile che le cantine continuino a educare il consumatore sul valore dei prodotti associati alla cultura del territorio, facendo leva sulle opportunità di dialogo che offre il digitale e creando contenuti su percorsi esperienziali. La velocità del ritorno sugli investimenti è legata alla maturità dei diversi mercati e alla capacità di fare sistema”. 


Vini di Vignaioli, Vi.Te – Vignaioli e Territori e V.A.N. (Vignaioli Naturali Artigiani) si alleano per collaborare ad un regolamento europeo sui vini naturali

Le diverse anime del mondo del Vino Naturale finalmente collaborano e si danno regole comuni.
Christine Cogez Marzani per Vini di Vignaioli, Gabriele da Prato per l’ass. Vi.Te – Vignaioli e territori (organizzatore ViViT) ed Emilio Falcione dell’ass. V.A.N. (Vignaioli Naturali Artigiani) si sono incontrati e hanno deciso di condividere informazioni e modi operativi.
Nell’assenza di una regolamentazione ufficiale relativa al Vino Naturale, le fiere del settore diventano sempre più l’unica certificazione e possibilità di entrare in questa nicchia di mercato. Tutto ciò carica di responsabilità gli organizzatori delle Fiere del Vino Naturale e le relative associazioni, in particolar modo nei confronti dei consumatori.
Si è perciò deciso:


– di uniformare le schede di autocertificazione con cui i produttori descrivono il loro lavoro in vigna e in cantina, rendendole immediatamente e più facilmente confrontabili;
– di far analizzare, nell’arco temporale di un anno, almeno un campione di vino per azienda per determinare la solforosa totale ed eventuali residui di fitofarmaci (multiresiduale);
– di uniformare il processo di selezione.


Pur con uno spirito inclusivo, intendiamo garantire agli avventori delle nostre fiere (Vini di Vignaioli, ViViT, VAN) la certezza di assaggiare esclusivamente Vini Naturali.
La collaborazione però non si esaurisce qui: stiamo infatti lavorando assieme alla stesura di una bozza di regolamento europeo sui Vini Naturali. L’appuntamento sarà per il prossimo 28 novembre presso il Parlamento Europeo di Bruxelles, dove abbiamo organizzato, con l’europarlamentare Curzio Maltese, un evento pubblico per discutere e presentare la nostra proposta.
Christine Cogez Marzani
Emilio Falcione
Gabriele da Prato

Friuli Colli Orientali Doc Schioppettino 2015 dell'Az. Agr. Ronchi San Giuseppe è il Vino della settimana di Garantito IGP

Di Lorenzo Colombo

Da vigneti situati a Corno di Rosazzo, allevati alla “Cappuccina”, su suoli ricchi di minerali,  si ottengono le uve per questo vino che presenta sentori di sottobosco, frutti rossi selvatici ed una piacevole nota di spezie dolci. 


Intenso e sapido, con tannini netti ma ben amalgamati e dalla lunga persistenza gustativa

Garantito IGP: Grechetto di Todi Superiore "Fiorfiore" 2015 - Roccafiore

Di Lorenzo Colombo

Non siamo degli appassionati dei vini bianchi che fanno legno, soprattutto quando quest’ultimo -ed è un caso non raro- prende il sopravvento e va a mascherare le caratteristiche organolettiche espresse da vitigno e luogo d’origine. In una parola va a coprire il “terroir”.
Non è però certamente il caso di questo “fiorfiore”, prodotto dalla Cantina Roccafiore, situata in località Collina, nel comune di Todi.
Roccafiore in realtà non è unicamente una cantina, ma anche un lussuoso Resort di campagna, con annessi SPA e ristorante (curiosamente il nome del ristorante è lo stesso del vino di cui stiamo parlando).

A noi comunque quello che interessa è il vino che abbiamo dapprima degustato e poi bevuto domenica scorsa (23 luglio).Prima di parlare di questo però ecco qualche sintetica info sulla cantina.

Fondata da Leonardo Baccarelli, nel 2000, la tenuta s’estende su novanta ettari dei quali quindici a vigneto, vi s’allevano sia vitigni a bacca rossa (sangiovese, sagrantino e montepulciano), sia uve bianche (trebbiano spoletino, moscato giallo e grechetto) dai quali si ricavano cinque vini rossi, un rosato, un vino passito (da moscato giallo) e due bianchi per un totale di circa 120mila bottiglie/anno.



Attualmente è Luca, figlio di Leonardo, a occuparsi direttamente della cantina, avvalendosi della collaborazione di Hartmann Donà e di Alessandro Biancolin.

Ed infine arriviamo al nostro vino, prodotto con uve grechetto di Todi, una varietà differente rispetto all’altro grechetto coltivato in zona -ovvero il Grechetto d’Orvieto-  tanto che viene anche chiamato Grechetto Gentile.
In realtà, nonostante sia stata fatta richiesta di differenziazione tra i due vitigni, il Registro Nazionale delle Varietà di Vite considera un’unica tipologia di Grechetto, limitando le differenze ai diversi cloni: il Grechetto di Todi è conosciuto come “clone G5”, mentre quello d’Orvieto viene identificato come “clone G109”.
Il sistema d’allevamento è a Guyot, con densità di 6.500 ceppi /ettaro, la vendemmi viene solitamente effettuata nella seconda metà di settembre. La fermentazione del mosto avviene in acciaio mentre l’affinamento in botti da 50 ettolitri per un anno, ai quali seguono alcuni mesi in bottiglia.


Il colore è un giallo dorato intenso e luminoso, di prim’acchito si pensa ad un vino macerato.
L’intensità olfattiva non è molto elevata, più che l’intensità quello che colpisce è l’ampio spettro olfattivo, dove il legno gioca il suo ruolo senza mai strafare, si colgono quindi le note vanigliate, gli accenni di miele e di fiori di tiglio a lui dovuti, ma in primo piano c’è sempre il frutto, maturo e tropicale, a completare il tutto  anche sentori di fieno e di mandorle.
Alla bocca troviamo un vino di grande struttura, senza pesantezze comunque, ma invece fresco e sapido, alcolico e con una bella vena acida, intenso e complesso, si colgono leggere note tostate che rimandano alle nocciole, la persistenza gustativa infine è lunghissima.


Un vino molto sfaccettato e versatile che può benissimo -su alcuni piatti- sostituire anche un rosso. A tal proposito dicevamo che il vino poi l’abbiamo bevuto ed ha accompagnato più che degnamente baccalà coi peperoni cruschi.

Papa Francesco e la svolta naturale e controllata per il vino destinato all'Eucarestia

Voci su presunte "leggerezze" durante la celebrazione della messe, come l'uso della birra al posto del vino, devono essere giunte senz'altro alle orecchie del cardinal Robert Sarah, prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, se questi, su impulso di Papa Francesco, ha preso carta e penna per scrivere una lettera per dire basta ai possibili abusi al fine di garantire che il pane e il vino per l'eucarestia siano veramente degni per la celebrazione della Cena del Signore anche perchè, come scritto ufficialmente, ormai questi prodotti, che prima erano confezionati da alcune comunità religiose, oggi "si vendono anche nei supermercati, in altri negozi e tramite internet".

Foto: Ilgiornale.it

Le norme circa la materia eucaristica, indicate nel can. 924 del CIC e ai numeri 319 - 323 dell’Institutio generalis Missalis Romani, e già spiegate nell’Istruzione Redemptionis Sacramentum di questa Congregazione (25 marzo 2004), per quanto concerne il vino sono abbastanza restrittive e le riporto integralmente:

«Il vino utilizzato nella celebrazione del santo Sacrificio eucaristico deve essere naturale, del frutto della vite, genuino, non alterato, né commisto a sostanze estranee. […] Con la massima cura si badi che il vino destinato all’Eucaristia sia conservato in perfetto stato e non diventi aceto. È assolutamente vietato usare del vino, sulla cui genuinità e provenienza ci sia dubbio: la Chiesa esige, infatti, certezza rispetto alle condizioni necessarie per la validità dei sacramenti. Non si ammetta, poi, nessun pretesto a favore di altre bevande di qualsiasi genere, che non costituiscono materia valida» (n. 50).

Più chiaro di così!

La lettere ai vescovi, successivamente, riporta alcune precisazioni: ad esempio, i sacerdoti che non possono bere alcol posso celebrare la messa usando il mosto e non il vino.  


Quanto al mosto, «il succo d’uva - ammonisce la circolare - sia fresco, sia conservato sospendendone la fermentazione tramite procedure che non ne alterino la natura (ad es. congelamento), è materia valida per l’Eucaristia».  

Il Cardinale Sarah prevede anche che si siano degli opportuni controlli suggerendo "che una Conferenza Episcopale possa incaricare una o più Congregazioni religiose oppure altro Ente in grado, di compiere le necessarie verifiche sulla produzione, conservazione e vendita del pane e del vino per l’Eucaristia in un dato Paese e in altri Paesi in cui vengano esportati. Si raccomanda anche che il pane e il vino destinati all’Eucarestia abbiano un conveniente trattamento nei luoghi di vendita".

Insomma, se vado a controllare il disciplinare di produzione del "vino VinNatur" più o meno ci sono scritte le stesse cose. 


Che Maule e Papa Francesco si siano incontrati di nascosto? Chissà!

Bortolin Angelo - Valdobbiadene Prosecco Superiore DOCG Extra Dry 2016 è il Vino della settimana di Garantito IGP

Di Stefano Tesi


Non vado pazzo per il Prosecco e neppure per il Valdobbiadene, lo ammetto, ma l’equilibrio, l’eleganza e la riposante vivacità di questa bottiglia mi ha rallegrato assai le robuste dosi caserecce di polpo e patate che la mia metà mi ha ammannito durante queste afose serate estive.

Come natura Crea: degustazione di vini da vitigni toscani antichi e rari - Garantito IGP

Si fa un gran parlare, spesso a sproposito, delle eccellenze italiane. Ma poi scopri che ce le hai sotto il naso e non te n’eri mai accorto.
E’ il caso dell’articolazione aretina, diretta da Paolo Storchi, del Crea (il Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi dell'economia agraria, ente ministeriale spalmato su dodici sedi, di cui sei “vinicole”, in tutta la penisola). Nomi, quello dell’ente e del direttore, ben noti agli addetti ai lavori, ma quasi sconosciuti al grande pubblico. Forse perché non se la tirano. O forse perché si trovano in una parte di Toscana ritenuta meno nobile ed altisonante di altre.

Paolo Storchi

Eppure si tratta di un’istituzione ultracentenaria (nacque nel 1903 come “Regio Istituto”) e, soprattutto, attivissima sia nella ricerca d’avanguardia applicata alla viticoltura, sia nella conservazione della biodiversità. E’ infatti titolare della più grande collezione italiana di vitigni antichi e rari: A Pratantico, alle porte della città, sono sei gli ettari di vivaio gestiti direttamente, con oltre 550 “accessioni” tra cloni, vitigni e perfino viti silvestri recuperate nei boschi: “Vengono principalmente dall’Italia centrale e meridionale”, dice Storchi”, “le ultime sono arrivate da zone sperdute attorno a Montegabbione d’Orvieto, in Umbria. Abbiamo poi la più grande collezione al mondo di Sangiovese: 158 biotipi, provenienti anche dalla Corsica e inclusi i 47 della collezione di Pierluigi Talenti di Montalcino nonché i due, ribattezzati BR come le iniziali del Barone di Ferro, individuati anni fa a Brolio su viti centenarie”. Ogni filare ha un pannello QRCode e NCF che consente, avvicinandosi con lo smartphone, di scaricare liberamente tutte le informazioni, incluso il profilo genetico di ogni singola varietà. “La collezione fa parte di un progetto italiano di ambito Fao sul recupero e la conservazione delle risorse genetiche”, precisa il direttore.
Passi in rassegna i cataloghi e scopri nomi di varietà sconosciute dai nomi folkloristici, che sembrano emerse da una viticoltura da Albero degli Zoccoli.


Ma siccome per giornalisti e appassionati la curiosità di conoscere “di che sapevano” i vini ricavati da quelle uve oscure era forte, nel giugno Paolo Storchi ha pensato bene di organizzare ad hoc per i soci di Aset (Associazione Stampa Enogastroagroalimentare Toscana) e pochi altri amici una degustazione di alcune delle microvinificazioni fatte dall’istituto e di altri vini prodotti da aziende commerciali con alcune di quelle varietà antiche.
Occasione ghiotta in cui, con altri fortunati colleghi, mi sono tuffato.

Ecco cosa ne è venuto fuori.
 
Orpicchio 2015, da microvinificazione Crea

Varietà bianca coltivata nel Valdarno Superiore fino alla metà dell’900, poco vigorosa, piuttosto precoce. Giallo paglierino con riflessi verdastri, profumo piuttosto intenso di fiori bianchi, buon frutto, in bocca è altrettanto intenso, piacevole e lungo. Una tipologia certamente interessante in chiave reinterpretativa.


Nocchianello Bianco 2015, da microvinificazione Crea

Recuperato nella zona di Pitigliano, dov’era quasi scomparso a metà degli anni ’60, è un vitigno geneticamente vicino al Trebbiano toscano, ma meno produttivo e piuttosto tardivo. Di colore dorato e brillante, al naso ha uno spiccato sentore di pietra focaia e agrumi, mentre in bocca è pieno, sapido, quasi piccante.


Nocchianello Nero 2015, Sasso Tondo (Sovana, GR)

Sempre da Pitigliano, ma quasi introvabile, assai localizzato e scarsamente documentato, è una varietà molto vigorosa e piuttosto resistente. Di colore rubino-granato, ha un naso fragrante con note spiccate di ciliegia e spezie, mentre in bocca è robusto, pepato, ricco di tannini e accenni di mora selvatica.


Foglia Tonda 14, Primo di Leo (Reggello, FI)

Vitigno secondario per tutto l’800 molto diffuso (fino al 10% della superficie) nel Chianti senese, nel 2000 si era ridotto in tutta la Toscana a soli 3,1 ettari. Più precoce del Sangiovese e piuttosto resistente alle malattie, dà vini robusti e ricchi di colore. Il nostro era rubino molto intenso, con un naso rotondo di frutta matura e una bocca alcoolica, piena, piuttosto tannica.


Vermentino Nero 2013, Pepe Nero, az. agr Castel del Piano (Licciana Nardi, MS)

Di origini oscure e diffuso principalmente tra Toscana e Liguria, oggi in meno di 100 ettari, è incostante e difficile da coltivare. Il vino è di colore rubino medio, al naso risulta piuttosto intenso e caratteristico, mediamente fruttato, mentre in bocca è gentile, con un piacevole e marcato finale amarognolo.


Morellone 2016, da microvinificazione Crea

Vitigno “da colore” già diffuso dal Casentino alla Maremma e riscoperto in vecchi vigneti nell’area di Bibbiena (AR), è iscritto da poco nel Registro Nazionale e in attesa di iscrizione tra gli idonei della Regione Toscana.  Stretto parente del Sangiovese, dà un vino di colore scurissimo, quasi impenetrabile, con un naso intenso di verde e di vegetale, mentre in bocca, oltre all’elevato tannino, si rivela compatto, con vaghe note di frutta.


Abrostine 2015, da microvinificazione Crea

Considerato, per la sua rarità, un “vitigno-reliquia”, si trova solo in ristrette aree della provincia di Firenze. Varietà rustica, piuttosto tardiva, usata per tagli “da colore”. In purezza si rivela di un rubino scurissimo, con un interessante e ricco naso screziato di note di cacao, mentre in bocca risulta fresco, piacevole, molto equilibrato.


Lacrima Forte 2013, da microvinificazione Crea

Varietà tardiva e resistente alle malattie, rintracciabile ormai solo in vecchi vigneti del Valdarno, ove era coltivato specialmente in fondovalle. Geneticamente autonomo da altre “lacrime”, dà un vino di colore rubino medio-intenso, un naso con discreti profumi e una bocca ricca, quasi spigolosa, con tannini in evidenza.


Arcano 2012, Congregazione di Camaldoli

Un vero peccato che questa bottiglia, prodotta dai monaci camaldolesi per celebrare il millenario della loro fondazione seguendo i metodi duecenteschi e utilizzando le uve di ben 40 antichi vitigni casentinesi (Ingannacane, Sapaiola, etc), fosse a sua volta una reliquia, ovvero esemplare unico  rimasto troppo tempo in condizioni di luce e temperatura inadatte e rivelatosi, perciò, non degustabile.