Spirit of Scotland - Rome Whisky Festival 2017

Roma, 4 e 5 marzo 2017
c/o Salone delle Fontane all'Eur
(Via Ciro il Grande, 10) 


Si tiene a Romasabato 4 e domenica 5 marzo 2017presso il Salone delle Fontane all'Eur (via Ciro il Grande, 10) la sesta edizione di Spirit of Scotland – Rome Whisky Festival, il più importante festival di settore italiano. Programma completo al link www.spiritofscotland.it

Imperdibile appuntamento per tutti coloro che vivono il mondo del whisky, Spirit of Scotland – Rome Whisky Festivalè un evento ricco di eventi, degustazioni, masterclass, seminari sulla mixology, incontri affidati ad esperti del settore con l’obiettivo di creare appuntamenti ad alto contenuto di “single malt”. Il tutto con la direzione artistica di Andrea Fofi, affiancato dai due whisky consultantPino Perrone e la scozzese Rachel Rennie. La scorsa edizione di Spirit of Scotland – Rome Whisky Festival ha attratto oltre 4mila visitatori, appassionati e neofiti e riunito operatori ed esperti nazionali e internazionali, con oltre 200 brand presenti, 10 masterclass, 5 seminari mixology e 10 guest internazionali del settore presenti.

La sesta edizione presenterà masterclass di brand quali Isla of Jura e Dalmore. Tra gli ospiti del mondo della miscelazione, che terranno un seminario, figurano Erick Lorincz, Head Bartender dell’American bar del Savoy Hotel di Londra; Filippo Sisti, barman di Carlo Cracco e bartender internazionale; Fabio Bacchi, bartender, bar manager e fondatore ed editore del magazine specialistico BarTales e i bartender dell’Oriole cocktail Bar di Londra, capitanato da Luca Cinalli e Gabriele Manfredi. Altro seminario previsto, Mezcal Vs Whisky(ey), che vedrà in una sorta di scontro a quattro rispettivamente Roberto Artusio e Cristian Bugiada dell’Agaveria La Punta da una parte e Antonio Parlapianodel Jerry Thomas e Pino Perrone dall’altra. Il Festival darà la possibilità di degustare whisky provenienti da Scozia, Irlanda, Stati Uniti, Giappone e anche whisky prodotto in Italia. Nella giornata di sabato 4 marzo si terrà la Balan & Partners Mixology Contest, torneo ad eliminazione diretta in cui 8 bartender selezionati da una Giuria di eccezione, tra coloro che avranno inviato la propria candidatura, si contenderanno il titolo a suon di cocktail. Gli 8 bartender si sfideranno proponendo delle preparazioni realizzate utilizzando distillati presenti a Portafoglio Balan combinandoli con ingredienti di loro gradimento. Primo Premio di mille euro al primo classificato.

Tra i cocktail bar dell’area mixology che presenzieranno: Jerry Thomas Project; Argot; Freni & Frizioni; Madeleine; Propaganda e Litro. All'interno del salone sarà allestito uno spazio dedicato alle bottiglie vintage e rare portate da un collezionista e amatore del settore che ha lavorato anche a Londra per Whisky Auction. In occasione del Festival verrà presentato come ogni anno il nuovo imbottigliamento ufficiale in serie limitata, di Spirit of Scotland - Rome Whisky Festival, che sarà naturalmente in vendita presso lo shop. Non solo drink al festival: è prevista anche un’area gourmete degli abbinamenti con il whisky, dalle ostriche al salmone scozzese, dal cioccolato all'haggis, con la ricostruzione di un vero e proprio pub in stile scozzese con tanto di spine. Spirit of Scotland – Rome Whisky Festival nasce nel 2012 grazie alla passione per gli eventi di uno dei due fondatori, Andrea Fofi e per quella del whisky da parte dell’altra,Rachel Rennie ma soprattutto per la mancanza a Roma di un evento sul mondo del distillato. Oggi la compagine è allargata con l’arrivo di Pino PerroneEmiliano Capobianco e Andrea Franco e la manifestazione è cresciuta in modo esponenziale, al punto tale da poter essere annoverata tra i Festival internazionali di maggior rilievo.

La sesta edizione di Spirit of Scotland – Rome Whisky Festival è realizzata grazie alle partnership di: Visit Scotland (Ente del Turismo Scozzese) – Partner Istituzionali Italia / Scozia; Italian Chamber of Commerce for UK – Partner Istituzionale; Glencairn Glass – Glass Official Partner; Tiuk Travel – Travel Agency Partner.

Biglietto:

Intero: 10 euro - da diritto al bicchiere serigrafato del Festival, alla racchetta porta bicchiere e alla Guida
Ridotto: 7 euro - per accompagnatori che non bevono o per i bambini sopra i 12 anni e non prevede le upgrades del biglietto intero.
Le 
degustazioni saranno a pagamento e il sistema sarà quello dei gettoni del valore di 1 euro ciascuno. Il prezzo di ciascuna degustazione sarà a discrezione di ciascun espositore.

Per informazioni:


tel. 06 50081251

Le Grane di Boccadigabbia alla prova del tempo - Garantito IGP

Di Lorenzo Colombo

La Ribona (o Maceratino) è un vitigno coltivato principalmente in provincia di Macerata.
Il Registro Nazionale delle Varietà di Vite ne registra cinque diversi cloni e lo ammette come utilizzabile nella Doc Colli Maceratesi e in sette Igt di Marche ed Umbria, mentre la superficie vitata, secondo i dati ISTAT relativi al 2010 risultava essere di 177 ettari.
Non risulta la presenza di quest’uva al di fuori dell’Italia, si tratta quindi di un vitigno piuttosto raro.


Durante un incontro a Milano, con Elvidio Alessandri, proprietario dell’azienda Boccadigabbia, abbiamo avuto la possibilità di effettuare una verticale composta da cinque annate di: Le Grane” – Colli Maceratesi Ribona Doc

Elvidio Alessandri
Le uve utilizzate per questo vino sono coltivate nella contrada Montanello di Macerata, a circa 25 chilometri dal mar Adriatico.

Si tratta dei vigneti dell’azienda Villamagna Floriani, acquistata dalla famiglia Alessandri nel 1996. Il processo produttivo è assai particolare e prevede una doppia fermentazione. Una parte dell’uva, fatta surmaturare in pianta, viene infatti aggiunta al termine della prima fermentazione, questa rifermentazione, chiamata localmente “fare le grane” da il nome al vino.


2007: Un vino molto diverso da quelli che verranno poi, si tratta della prima annata dove s’utilizza la rifermentazione sulle uve surmature.
Si presenta con un color oro antico, luminoso, sembra olio.
Al naso presenta decise note evolutive che rimandano a frutti tropicali maturi, note mielose e leggeri accenni idrocarburici ed ossidativi.
Di buona struttura, e con bella vena acida, si colgono leggere note ossidative (buccia di mela) ed accenni tostati, qualche rimando anche a note tanniche.

2009: Il colore è paglierino-dorato luminoso.Il naso, di discreta intensità ma un poco chiuso all’inizio, s’apre su sentori fruttati di mela. Asciutto al palato, sapido e con bella vena acid, presenta accenni vegetali e note tanniche, buona la sua persistenza.

2011: Presenta un color paglierino luminoso, tendente al dorato. Di media intensità olfattiva, si colgono sentori fruttati che rimandano alla mela ed alla sua buccia. Fresco al palato, sapido, fruttato, con note d’agrumi e leggeri accenni d’idrocarburi, buona la persistenza. Secondo noi il migliore tra i vini con qualche anno sulle spalle.


2014: Color paglierino luminoso. Di buona intensità olfattiva, con frutta a polpa gialla in evidenza, ricorda la mela matura e presenta curiosi sentori d’arachidi. Quest’ultimi sono netti anche al palato, dove troviamo un vino fresco, con leggere note tanniche e con sentori di frutta gialla. Vino molto curioso e particolare.

2015: Il colore è paglierino luminoso tendente al dorato. Discreta la sua intensità olfattiva, con sentori fruttati che ricordano la mela e la pesca. Bello il frutto al palato (nuovamente mela e pesca), sapido, mediamente strutturato, con accenni tannici di buccia di mela, lunga la sua persistenza.

I vini rossi:

Tre i vini rossi assaggiati (bevuti) durante il pranzo che è seguito alla verticale di “Le Grane”:

Saltapicchio” 2012 – Igt Marche Sangiovese
Prodotto da uve Sangiovese in purezza, provenienti da un vigneto di 1 ettato e mezzo esposto a sud-oves, su suolo argilloso. Il mosto s’avvale di una lunga macerazione sulle bucce, il vino quindi s’affina in barriques per 14-16 mesi.
Rubino-purpureo luminoso di buona intensità.
Buona la sua intensità olfattiva, presenta sentori di frutti rossi (ciliegie, more), note vanigliate e ricordi di legno.
Di discreta struttura e spiccata vena acida, sapido, con buona trama tannica, ritroviamo il frutto rosso con venature speziate, buona la persistenza.


PIX” 2012 – Igt Marche Merlot
Le uve provengono da un vigneto di circa tre ettari situato vicino al mare. Il vino subisce la fermentazione malolattica in barriques, dove poi sosta per oltre un anno prima dell’imbottigliamento.
Profondo e luminoso il colore, unghia purpurea.
Buona la sua intensità olfattiva, si coglie un bel frutto rosso, sentori di prugna secca, note balsamiche e vanigliate.
Dotato di buona struttura e bella trama tannica, leggermente asciugante, con leggere note vegetali, buona la persistenza.

Akronte” 2012 – Igt Marche Cabernet sauvignon
Cabernet sauvignon in purezza, da un vigneto di circa tre ettari, situato vicino al mare. Il vino s’affina in barriques per una ventina di mesi.
Profondo e compatto il colore, con unghia purpurea.
Buona l’intensità al naso dove emergono sentori di prugne secche, confettura di more e note balsamiche unitamente ad accenni di sottobosco.
Strutturato, balsamico, con accenni vegetali e legno ancora in evidenza, asciutto, con bella vena acida e lunga persistenza su note di liquirizia.

Il vino vegano? Esiste ma non è regolamentato. E quindi?

La certificazione dei vini vegani è ancora priva di regolamentazione, europea e nazionale, ma il settore è in crescita: nel 2016 le richieste di certificazione VeganoOk, marchio di autocertificazione riconosciuto dall’Associazione Vegani Italiani, da parte di aziende vitivinicole sono aumentate del 35% rispetto all’anno precedente, così come aumentate le richieste per le etichette di vini vegani, privi cioè di stabilizzanti e chiarificatori di origine animale.

Vini vegani in crescita «Si parla di un centinaio di cantine – precisa Paola Cane, curatrice del Rapporto “In vino vegan” -. E’ un mercato ancora di nicchia ma l’aumento delle domande di certificazione è un significativo indice di un cambiamento che si sta verificando in Italia. Nell’industria alimentare i cambiamenti si sono già registrati nelle linee produttive, il comparto enologico è più lento nel cogliere una istanza salutistica forte ma anche nel vino il cambiamento riguarda un po’ tutto il settore, da Nord a Sud. In termini di listini – sottolinea ancora la responsabile dell’Osservatorio – i prezzi al consumatore sono in linea, mentre la differenza c’è per le bottiglie bio e da viticoltura biodinamica».
L’Italia dei vini vegani Le aziende vitivinicole certificate VeganoOk hanno sede principalmente in Toscana 28%, Abruzzo 20% e Piemonte 17%, con una buona presenza di vini del Trentino e della Sicilia. I chiarificanti incidono su tre aspetti: a livello tecnologico, l’albumina come coadiuvante non è ammessa così come sono proibiti caseina, colla di pesce, gelatine animali. «Poi – precisa ancora la responsabile dell’Osservatorio, Cane – ci sono i parametri legati al packaging, col divieto di utilizzo di colle di origine vegan, e poi c’è uno stimolo alla coltura consumo consumo. Non si può pensare di produrre vino vegano e poi consigliare in retroetichetta l’abbinamento con carne e selvaggina». Le denominazioni di appartenenza delle etichette certificate, si legge infine sul Rapporto, sono 54% IGT, 17% DOC/DOP e 1% DOCG. E il 45% circa delle etichette che riportano la scritta vegan, posseggono un’altra certificazione o un riferimento a metodi naturali o biodinamici. Lo standard più diffuso è sicuramente quello biologico, con il 26% circa delle etichette di vino vegan certificato anche bio; le etichette certificate Demeter ricoprono un’altra interessante quota così come quelle che riportano la dicitura “naturale” o “biodinamico”.

Botromagno - “25° Anno” Murgia Rosso IGT 2013 è il Vino della settimana di Garantito IGP

Di Stefano Tesi


Non mi piacciono i vinoni, ma i grandi vini sì. Questo, che prodotto in sole 2.500 bottiglie numerate per festeggiare il quarto di secolo dell’azienda, lo è: Uva di Troia e Primitivo in pari misura, gran naso fruttoso ma elegante, bocca fitta e suadente. Bravo Ben! Io l’ho bevuto davanti al caminetto e voi?

"Il Crudele", un grande pecorino a latte crudo maremmano - Garantito IGP

Di Stefano Tesi

"Diciamoci la verità" (come faceva una celebre sigla di Canzonissima degli anni d'oro): se vai in cerca di caci nella Maremma già amara, per non dir peggio, e trovi un caseificio che si chiama Le Tofane, come il celeberrimo massiccio montuoso che domina Cortina d'Ampezzo, lì per lì qualche dubbio ti viene.


Poi indaghi e scopri che il titolare Daniele Francioli, d'aspetto e d'eloquio invero assai maremmano, è discendente di una delle tante famiglie venete che un secolo fa vennero da queste parti per bonificare le paludi e ripopolare la regione, il che attenua un po' l'iniziale sconcerto onomastico.

Chiacchieri ancora e scopri che l'azienda è biologica a ciclo chiuso, che oltre al formaggio produce extraverginee frutta e che è ricompresa per intero nel Parco Naturale della Maremma. Emerge poi che metà dei capi del gregge aziendale sono di razza Sarda e metà di Lacaune, pregiata e selezionata razza francese con il latte della quale si fa, tra l'altro, il Roquefort.


Così ti viene voglia di passare dalle parole ai fatti e chiedi di fare qualche assaggio. Formaggi tutti ottimi, a dire il vero. Ma arrivi all'ultimo e ti fermi. Riassaggi. Ripensi. Riassaggi. Soppesi. Riassaggi. E concludi che "Il Crudele", pecorino a latte crudo e caglio vegetale, con almeno un paio di mesi di stagionatura, è un bomba: pasta compatta ma suadente al morso, consistenza in perfetto equilibrio tra l'elastico e il friabile, un magnifico profumo che sa di cardo ed erbe e che, in bocca, quando il gusto deciso ma armonico del cacio si attenua, torna sotto forma di retrogusto che dura a lungo, richiamando altri morsi e altre lente masticazioni.
Insomma un prodotto di rara bontà, che vale il viaggio.
E che naturalmente si può comprare direttamente in azienda, con gli altri prodotti. Se si esagera con gli assaggi, c'è pure un grazioso appartamento con quattro posti letto. Così uno si addormenta e, casomai sognasse di essere a Cortina, si sveglia ma col sapore del pecorino maremmano in bocca e la vista sul Parco.
Consigliatissimo!

Agrobiologica Le Tofane
Strada provinciale 59, Alberese (GR)
Tel. 0564/407110

Alla scoperta del Lessini Durello, lo spumante che nasce dal vulcano

Nel panorama italiano degli spumanti da vitigni autoctoni sicuramente il Lessini Durello è senza dubbio quello che negli ultimi tempi sta ricevendo la giusta attenzione mediatica e il crescente interesse del pubblico verso queste bollicine, prodotte tra tra la provincia di Verona e quella di Vicenza, l'ho potuto toccare con mano durante il seminario che ho organizzato a Roma con l'enoteca Trimani e sotto la guida esperta di Giovanni Ponchia.

Paolo Trimani e Giovanni Ponchia

Prima di passare alla descrizione dei vini degustati vorrei inquadrare al meglio questo spumante partendo proprio dall'uva col quale viene prodotto ovvero quella durella attestata nei dintorni del veronese almeno fin dal Medioevo quando era chiamata durasena, dal latino Durus Acinus, in quanto si faceva riferimento allo spessore della sua buccia che è una delle caratteristiche di questa uva assieme all'elevata acidità e, soprattutto, sapidità che deriva direttamente dal suo terroir di elezione ovvero le alti vallate dei Monti Lessini che, anche alla vista, tradiscono la loro natura vulcanica con suoli composti da tufi e basalti ricchi di ferro e magnesio. Attualmente a durella sono coltivati circa 366 ettari sulle colline veronesi e 197 ettari su quelli vicentine per un totale di 428 viticoltori e 23 aziende.

uva durella
La DOC “Lessini Durello” o “Durello Lessini” è suddivisa in due categorie:
  • Lessini Durello o Durello Lessini” spumante
  • “Lessini Durello o Durello Lessini” spumante riserva
Per entrambe le tipologie il vino deve essere ottenuto per almeno l'85% da durella mentre possono concorrere, da soli o congiuntamente, fino a un massimo del 15%, i vitigni garganega, pinot bianco, chardonnay, pinot nero.

Sempre secondo il disciplinare il “Lessini Durello" spumante deve essere ottenuto esclusivamente per fermentazione naturale a mezzo autoclave, mentre il “Lessini Durello" spumante riserva deve essere ottenuto ricorrendo esclusivamente alla pratica della rifermentazione in bottiglia secondo il metodo classico, con permanenza del vino sui lieviti per almeno 36 mesi.


In degustazione a Roma abbiamo degustato i seguenti spumanti:


Cantina di Soave - Lessino DOC Spumante "Settecento33": uno charmat fatto con tutti i crismi che, con la semplicità che lo contraddistingue, fa egregiamente il suo lavoro deliziando il palato con sentori freschi di mela e .fiori bianchi. Finale sapido.



Tamaduoli di Bastianello - Lessini Durello DOC spumante "Agliaia": altro charmat che evidenzia note maggiormente mature dove spicca la frutta esotica e la nocciola. Sorso rotondo e diretto.



Le Macine Lessini Durello DOC Metodo Classico: spumante da durella in purezza che si fa apprezzare per la sua vivace freschezza grazie ad un corredo aromatico che punta decisamente verso l'agrume e la scorza di limone. Sorso verticale e persistenza "vulcanica" grazie ad importanti ritorni sapidi.


Tonello - Lessini Durello DOC Metodo Classico: altra durella in purezza che dona profumi di frutta bianca e biancospino e si fa apprezza per al sorso per la sua grande bevibilità esaltata da un tocco salino nel finale.



Società Agricola Fattori - Lessini Durello DOC "Roncà" Metodo Classico: Antonio Fattori coltiva la sua durella sopra i suoli vulcanici del Monte Calvarina e questo suo spumante riflette il carattere austero e scuro di questo terroir che dona al vino personalità e profondità da vendere.



Casarotto Lessini Durello DOC "Roncà" Spumante Riserva: metodo classico 100% durella che convince per la sua verticalità e la predominanza di aromi di litchi e mela verde. Sorso agile citrino e agile, chiusura lievemente sapida e avvolgente.



Sandro De BrunoLessini Durello DOC Metodo Classico: Sandro Tasoniero ha prodotto per la prima volta questo spumante nel 2008 da vigneti di durella (85%) e pinot bianco (15%) situati sul monte Calvarina, in località Terrossa di Roncà-Montecchia di Crosara, a circa 600 metri d'altezza. Il vino palesa sentori fragranti di frutta gialla matura, cedro ed erba cedrina. Al gusto vanta struttura elegante e ottima tensione. Finale scuro, leggermente amarognolo.


Fongaro Lessini Durello DOC Metodo Tradizionale Classico 2009: questo spumante, durella in purezza, matura sui propri lieviti almeno 48 mesi prima da essere commercializzato. Al naso è complesso, profondo nelle sue sensazioni fruttate e floreali che ritroviamo anche al sorso, appetitoso, caratterizzato da una cornice salina intervallata da tocchi di agrume candito e nespola. Un grande metodo classico che a più di qualche persona farà ricredere sulle qualità evolutive del Lessini Durello. 

Marcato Lessini Durello DOC A.R. 2006: l'azienda, fondata a Roncà nel 1904, da sempre interpreta al meglio il Lessini Durello Spumante e anche oggi che è diventata di proprietà della famiglia Tessari l'obiettivo della qualità ad ogni costo non è di certo cambiato. Questo spumante metodo classico è infatti un chiaro esempio di durella e pinot nero possono tranquillamente convivere dando vita ad un vino di grande complessità olfattiva dove aleggiano aromi di frutta gialla matura, mimosa, spezie, nocciola ed erba cedrina. Bocca carnosa, rotonda che è tenuta in tensione da una bellissima nota sapida. 


Tenuta Camaldoli, la riserva del Piedirosso di Cantine Astroni in tre annate - Garantito IGP

Di Luciano Pignataro


Antico ma moderno: il Piedirosso. Quasi tutte le aziende campane producono Aglianico, poche, pochissime il Piedirosso. Eppure, a volerla dire tutta, è proprio questo vitigno a bacca rossa il segno tipico della viticoltura regionale. Circoscritto da sempre nell’area flegrea, negli ultimi vent’anni ha trovato buone espressioni anche nel Beneventano e nel Sannio.
Gerardo Vernazzaro
Un bicchiere molto sottovalutato negli anni ’90, quando andavano di moda vini più strutturati, poi, lentamente, c’è stata una ripresa significativa grazie ad un pugno di viticoltori flegrei, Giuseppe Fortunato di Contrada salandra, Raffaele Moccia di Agnanum, Vincenzo di Meo della Sibilla e Gerardo Vernazzaro di Cantine Astroni primi fra tutti.
Oggi parliamo di Tenuta Camaldoli, il vino su cui Gerardo ha puntato tutto, con un passaggio in legno. Alt, fermi, non vi spaventate. Non è un tentativo di fare l’Aglianico dei poveri, ma di cercare di recuperare pratiche antiche poggiando sulla conoscenza moderna senza stravolgere il senso di questo vino che è fresco, dai tannini sottili, dal profumo di geranio e di frutta rossa fresca, salato e minerale in bocca con una chiusura quasi amarognola.
Cantine Astroni nasce da Varchetta, oltre cento anni di vinificazione sul cratere degli Astroni, una deller iserve naturali più spettacolari che i Borbone deciso di salvaguardare rinforzando il muro già in precedenza eretto dagli aragonesi. Dentro il cratere una delle ultime tracce di foresta europea. Il presidio viticolo è spettacolare, sulla collina dei Camaldoli, un tempo luogo di preferito per la Pasquetta, c’è la più grande estensione di questo vigneto, il suolo è sabbia nera frutto delle eruzioni degli ultimi cinquemila anni su una base di tufo giallo tipcia di questo areale. Per chi non lo sapesse, i Campi Flegrei sono una sorta di frullato ottenuto dall’attività di un centinaio di vulcani. Non a caso gli antichi romani pensavano che qui fosse l’ingresso dell’Inferno.

In questo territorio onirico, dove tracce di masserie costruite duemila anni fa si intrecciano con palazzoni di cemento in stile anni ’60 l’armonia è proposta proprio dal vigneto. Quasi un vigile urbano che regola il traffico caotico delle costruzioni fermate dal mare.
Gerardo, come gli altri suoi colleghi, è riuscito a cogliere l’anima allegra di questo vitigno, di questo vino. Un vino di beva allegra, da spendere senza ritegno come abbiamo fatto noi su ragù, coniglio alla cacciatora e anche su capretto, un vino della tavola felice, di accompagnamento, da bere senza stanchi rituali ammosciapalle.
Sì, lo studio è stato necessario, ma forse il segreto oggi è riportare il vino nella sua dimensione conviviale, senza voler fare populismo enologico.
Naturalmente non vogliamo esagerare nel tessere le lodi di questo vino, ma la modernità del Piedirosso, in questa espressione di Tenuta Camaldoli che viene travasato in botte di castagno e in due tipi di rovere francese (media e bassa tostature), si esprime con la gioa balsamica del naso ben fusa ai sentori tipici di geranio, con una beva leggera e vivace, veloce, di buono spirito. Insomma, non è greve ed è molto preciso.
La 2011 è forse l’annata più incerta, la 2012 è nel pieno della sua maturità espressiva, la 2013 secondo me è un grandissimo vino da serbare ancora un annetto.


Il Piedirosso non ha bisogno del tempo dell’Aglianico, ma nell’assestamento ci guadagna e con il buon protocollo messo a punto da Gerardo, capa a chicco d’uva, è in grado di competere con molti rossi della categoria. Anche illustri.
Solo che invece del petto d’anatra laccato ci mangio una bella frittata di maccheroni. Alè.

www.cantineastroni.com



Il premio Gambelli raddoppia: sono due i giovani enologi vincitori dell'edizione 2017

Sono ben due quest'anno i vincitori del PREMIO GIULIO GAMBELLI, riconoscimento alla quinta edizione istituito da ASET (Associazione Stampa Enogastroagroalimentare Toscana) ed IGP (blog network  “I Giovani Promettenti”) che premia il giovane enologo under 35 il cui lavoro abbia saputo incarnare l'idea di vino portata avanti dal grande Maestro del Sangiovese: rispetto ed esaltazione delle tipicità di ogni singolo vitigno, delle caratteristiche del territorio e delle peculiarità dell'annata vendemmiale.

A spuntarla fra le numerose candidature (e autocandidature) arrivate da tutta la Penisola sono stati DIEGO BONATO e LUCA FACCENDA, operanti rispettivamente in Toscana e Piemonte, i cui vini degustati - rigorosamente alla cieca - da una giuria formata da 10 giornalisti ASET ed IGP hanno più di tutti rispecchiato le finalità del Gambelli.

Diego Bonato e Luca Faccenda
La premiazione si è svolta martedì 13 febbraio nell'ambito della Chianti Classico Collection, kermesse organizzata dal Consorzio Vino Chianti Classico alla Stazione Leopolda di Firenze. Ai vincitori oltre alla targa ricordo un assegno da 1500 euro, grazie al contributo del Consorzio Vino Chianti Classico e di alcune delle aziende di cui Giulio Gambelli è stato amico e consulente: Bibbiano, Collemassari-Poggio di sotto, Fattoria Rodano, Il Colle, Montevertine e Ormanni.

DIEGO BONATO - Az. Tolaini (www.tolaini.it), Castelnuovo Berardenga (SI)
Classe 1982, è cresciuto tra i vigneti di famiglia nei Colli Euganei, nel padovano (Az. Agr. Reassi). Dopo la Laurea in Viticoltura ed Enologia presso l’Università di Padova nel 2004, inizia un percorso professionale che lo porta a diverse esperienze tra Veneto, Nuova Zelanda,  Toscana e Australia. Nel 2008 il ritorno in Toscana presso la famiglia Tolaini, a Castelnuovo Berardenga, dove inizia occupandosi dei vigneti, poi di vigneti e cantina e via fino ad arrivare alla direzione generale dell’azienda.

LUCA FACCENDA – Az. Agr. Valfaccenda (www.valfaccenda.it), Canale (CN)
Diplomato alla Scuola Enologica di Alba nel 2002 e laureato ad inizio 2006 a Torino, dopo le prime esperienze durante gli studi presso la Matteo Correggia di Canale e quelle successive alla laurea in Nuova Zelanda (Sacred Hill e Pegasus Bay) e a Barolo (Az. Agr. G.D. Vajra), a partire da novembre 2006 è nello studio Cordero Consulenze di Priocca (CN) a fianco dell'enologo Cordero Gianfranco e degli altri collaboratori. Contestualmente a questa attività di consulenza, svolta principalmente sul territorio piemontese ma anche in Calabria, Sicilia, Veneto, Liguria e Lombardia, a partire dal 2010 ha ripreso alcuni piccoli vigneti di proprietà e, insieme alla moglie Carolina, ha aperto a Canale l'Az. Agr. Valfaccenda.

Il regolamento del Premio Gambelli è visionabile sul sito www.asettoscana.it

I vini della Russia esistono e sono in mezzo a noi

Il Ministero dell’Agricoltura sta valutando la possibilità di aumentare i dazi sull’importazione di vini e derivati e di ridurre il volume di mosti e materie prime importati nei prossimi 5-7 anni. È quanto ha dichiarato il ministro dell’Agricoltura Aleksandr Tkachev in un’intervista concessa lo scorso dicembre a Rossijskaya Gazeta. Si tratta di una misura necessaria per incrementare la quota di vino prodotto localmente nel mercato russo.
vendemmia a Krasnodar, 23 agosto 2016. Fonte: Vitalij Timkiv/TASS
La produzione locale
“Oggi la Russia si colloca solo all’11esimo posto nella classifica della produzione mondiale di vino, ma abbiamo delle chance concrete d’incrementare la nostra produzione e di destinare dei volumi anche all’export”, sostiene Tkachev.
Oggi la Russia sta intensificando la produzione vinicola locale. Secondo Tkachev, negli ultimi 10 anni la superficie vitata è aumentata del 30%, raggiungendo gli 85mila ettari. “Per non dipendere dalle importazioni entro il 2020 dovremo piantare altri 50mila ettari di nuovi vigneti”, afferma il ministro.
Negli ultimi due-tre anni sono avvenuti in Russia dei cambiamenti profondi nel settore della produzione vinicola  e della legislazione che lo riguarda: il prezzo delle licenze alle aziende vinicole è diminuito e la viticoltura ha assunto la stessa importanza dell’agricoltura col risultato che i produttori hanno potuto accedere alle sovvenzioni statali.
Gli aiuti da parte dello Stato ai viticoltori e ai produttori di vino sono stati quasi quadruplicati, passando da 9,5 milioni di euro (600 milioni di rubli) a 37,5 milioni (2,4 miliardi di rubli) nel 2016, spiega Evgenij Akhpashev, direttore del dipartimento dell’industria agroalimentare del Ministero dell’Agricoltura della Federazione Russa. A detta di Akhpashev, nel 2017 si prevede di estendere tali misure e di garantire a questo settore volumi di finanziamento non inferiori a quelli del 2016.

La riduzione dell’import
Parallelamente il Ministero dell’Agricoltura sta prendendo in esame una serie di progetti per ridurre l’importazione di mosti e materie prime per la produzione del vino. Nelle aziende vinicole russe viene prodotto attualmente un terzo di tutto il vino presente sul mercato.
“Il mercato del vino in Russia si suddivide grosso modo in tre segmenti, quello del vino russo, o prodotto da uve russe, del vino d’importazione, imbottigliato in Russia, e del vino 'ordinario' a basso costo, prodotto con materie prime importate, ma magazzinato ed etichettato con un marchio russo”, spiega a Rbth Dmitrij Kovalev, coordinatore del progetto “Il nostro vino”.
A detta di Kovalev, il divieto d’importare vini dall’estero risulta poco realistico e delle trasformazioni concrete in questo settore potranno avvenire più verosimilmente nel segmento del vino “ordinario” che implica l’impegno dei produttori vinicoli russi. “In tale direzione è possibile compiere dei passi per ridurre l’importazione di materie prime per consentire alla Russia di sviluppare la produzione locale in condizioni di concorrenza”, dichiara l’esperto.
Il Ministero dell’Agricoltura ha già messo a punto un disegno di legge che rende obbligatoria l’etichettatura con l’indicazione geografica per vini e spumanti destinati alla vendita al dettaglio.
Una rivalutazione dei vini del Mar Mero
“All’estero, e soprattutto in Francia, il vino migliore è quello prodotto dalle piccole aziende”, spiega Dmitrij Kovalev. A suo avviso, oggi in Russia cominciano a comparire aziende simili con vigneti dell’estensione di 10 ettari. “Per esempio, l’anno scorso a dicembre due di queste piccole aziende hanno ottenuto le licenze di produzione”, racconta Kovalev.
Malgrado l’elevata concorrenza del mercato mondiale, la Russia, a detta degli esperti, ha delle discrete chance di diventare un protagonista del mercato globale. “Dal 2008-2009 i produttori vinicoli russi partecipano regolarmente a concorsi internazionali, come quello di Londra, e negli ultimi 5-6 anni hanno ricevuto 300 menzioni”, dichiara Vadim Drobiz, direttore del Centro di ricerca dei mercati federali e regionali degli alcolici (Tsifrra).
A detta di Drobiz, i vini russi possono tranquillamente competere con quelli stranieri, inclusi quelli europei, e anche nel segmento dei vini di alto livello. Tuttavia, rileva l’esperto, ai produttori vinicoli russi occorreranno almeno altri 10 anni per lanciarsi sul mercato globale.
“In Europa ora si guarda con molta attenzione alla regione del Mar Nero, come territorio per l’incremento della produzione vinicola e quindi alle coste della Bulgaria, della Georgia e della Russia. La Georgia ha ottenuto, tra l’altro, una buona affermazione sul mercato con il vitigno Saperavi”, dice Kovalev. Le coste del Mar Nero, spiega l’esperto, si caratterizzano per il loro clima prevalentemente assolato e l’eterogeinità dei terreni, grazie ai quali si ottengono, per esempio, dei buoni rossi secchi, utilizzando vitigni Cabernet, Sauvignon, Syrah, Grenache, Pinot nero. 
I territori russi del vino
I vini russi vengono prodotti nel distretto di Krasnodar, in Crimea, a Sebastopoli, nella regione di Rostov e nelle repubbliche del Caucaso.
L’associazione di  viticoltori e produttori di vino russi ha attribuito la denoninazione di origine protetta ai vini “Kuban” (distretto di Krasnodar), “Dolina Dona” (regione di Rostov), “Stavropol”  (distretto di Stavropol), “Daghestan” (Repubblica del Daghestan), “Dolina Tereka” (Repubblica di Cabardino-Balcaria), “Nizhnyaya Volga” (regioni di Astrakhan e Volgograd), “Krym (repubblica di Crimea”.