Il Colle Gaio di Casal Pilozzo alla prova del tempo

Di culto, secondo il dizionario, è un film, un libro o, nella fattispecie, un vino che, per particolari motivi, continua ad avere un pubblico di appassionati, seppur ristretto, anche per molto tempo dopo la sua uscita.

Prendendo come buona questa affermazione possiamo perciò affermare che il Colle Gaio di Casal Pilozzo è senza ombra di dubbio un vino cult anche perchè, aggiungo io, la sua fama è tutt'altro che dipendente dagli aspetti commerciali della piccola azienda laziale che sembra far di tutto per non apparire nel circo mediatico del vino italiano.


Casal Pilozzo,di proprietà della famiglia Pulcini, è situata nel comune di Monte Porzio Catone su una splendida collina, posizionata a nord/est che domina Roma e il suo hinterland.

Antonio Pulcini. Foto: Winesurf.it

Colle Gaio, in particolare, è un vero e proprio Cru di tre ettari di Malvasia del Lazio piantata sul classico suolo dei Castelli Romani ovvero un terreno di origine vulcanica ricco di potassio, fosforo ed altri microelementi.
Le uve, dopo la vendemmia manuale, vengono vinificate in acciaio e il vino, subito dopo l'imbottigliamento che avviene poco prima della vendemmia successiva, viene messo a maturare nelle grotte di tufo che si trovano sotto l'azienda per un periodo variabile che può raggiungere e superare anche i venti anni.

La prova, a quanto appena scritto, lo avuto qualche giorno fa durante la verticale storica di Colle Gaio tenuta da Marco Cum e dallo stesso Antonio Pulcini che, dalle proprie cantine, ha tirato fuori le annate 2004, 2001, 1998, 1997, 1994 e.... 1992.


Colle Gaio - Casal Pilozzo 2004: iniziamo la verticale dal più "giovane" al fine di comprendere, nel tempo, come questo vino evolve grazie alla sua lenta maturazione. Questa malvasia del Lazio si presenta subito come te l'aspetti, molto legata al terroir di provenienza, per cui largo spazio agli aromi di ginestra, frutta gialla non troppo matura e l'immancabile cornice minerale, che in questo caso prende la forma della grafite, che ci accompagnerà lungo tutta la degustazione anche se con profili diversi. Bocca piena, intensa, di struttura, che viene compensata da una importante vena sapida.


Colle Gaio - Casal Pilozzo 2001: opulento già dal ventaglio aromatico che regalo sensazioni di crema di limone, cedro, mela cotogna ed erbe aromatiche essiccate assieme ad un pizzico di miele di castagno. L'orizzontalità del vino emerge anche al sorso la cui parte fruttata, copiosa, viene (fortunatamente) raddrizzata da una nota fresca che, probabilmente, è maggiore rispetto alla 2004 anche se non è così intuibile dato lo spessoro del vino. 

Colle Gaio - Casal Pilozzo 1998: naso profondo ed enigmatico che inizia leggermente a svelare la terziarizzazione aromatica del Colle Gaio che vira verso effluvi che ricordano il cherosene e la ghisa e che, per certi versi, fanno somigliare la malvasia del Lazio al grande riesling tedesco. Al sorso il vino conferma la sua durezza e la sua aristocraticità ma, sopratutto, entusiasma per equilibrio e persistenza sapida. Qualcuno, durante la verticale, ha parlato di un play boy che, nonostante l'età, non rinuncia a sedurre e conquistare le sue prede...

Colle Gaio - Casal Pilozzo 1997: tornano le note di ghisa e cherosene che sono associate stavolta a sensazioni odorose di foglie autunnali e frutta bianca non matura. Un vino, pertanto, che sembra dipinto in chiaroscuro e che si connota anche per un sorso di grandissima finezza e sobrietà. Il suo perfetto equilibrio e la sua grande bevibilità fanno di questo Colle Gaio una malvasia "di pancia" che avresti dubbi a portare a tavola stasera con un bel piatto di fettuccine ai funghi porcini.


Colle Gaio - Casal Pilozzo 1994: l'annata e l'evoluzione lasciano esplodere, con tutta la loro severità, le note di idrocarburo che, metaforicamente, mettono la freccia alle sensazioni di mineralità vulcanica tipiche della annate più giovani. Vino maschio e difficile per eccellenza anche per via di un contorno aromatico che, via via col tempo, prende i contorni della gomma bruciata, del ferro arruginito, del fieno secco e delle erbe aromatiche (salvia e origano). La bocca è straordinaria per via di una freschezza e di una vivacità inaspettata che portano a rimorchio tutte le note sapide del vino determinando una persistenza lunghissima su note ferrose. 

Colle Gaio - Casal Pilozzo 1992: vino incantevole, un caleidoscopio di sensazioni minerali (cercatele tutte!!) che vengono letteralmente prese a sberle da una esuberanza acida, tipica dei grandi vini del nord, che rimescola e confonde ogni certezza gustativa donando alla malvasia di Antonio Pulcini non solo venti anni in più ma, soprattutto, tutta la dignità che merita un grande bianco dei Castelli Romani il cui territorio, diciamolo chiaramente, dal punto di vista vitivinicolo è stato spesso violentato da scelte quanto meno sbagliate. Piccola postilla elimina polemica: il Colle Gaio 1992 è ancora in vendita in azienda per cui no abbiate timore di contattare la famiglia Pulcini per acquistarlo.


Etichette di vino?????


Forever Amber  


Questo è un vino Sudafricano e l'etichetta mostra una donna che, a mio parere, a un sex appeal pari ad un cartoccio di alici fritte. L'etichetta è stata dipinta da George Paul Canitz, un artista degli anni '20 che pare si sia ispirato nel nome ad un famoso libro del tempo. Il vino è una sorta di moscato fortificato. Dalla serie bere per dimenticare l'etichetta...

Mad Housewife
Mad Housewife Cellars

C'erano una volta le Casalinghe Disperate, oggi invece abbiamo le Casalinghe Pazze che si mettono in testa di bere dello Chardonnay californiano del 2004 al sapore di Ikea, cioè legno..... Forse la pazzia è berlo?

Sogno uno
Savanna Wines

Ecco, forse questa è un'etichetta sexy e non poteva essere altro visto che il vino,70% Cesanese, 20% Sangiovese e 10% Montepulciano, è il "famoso" Sogno Uno prodotto dalla porno star Savanna Samson, un vino dicono ormai introvabile che ha ricevuto attenzioni, ben 91 punti, da quell'allupato di Robert Parker. Ah, volete sapere com'è Savanna Samson? Eccola!

Savanna Samson

Ed infine....

Tiny Bubbles 
Harper Hill

Mamma mia, dopo il vino della porno star arriva il vino della Buzzicona. La cantina produttrice è sempre l'americana Harper Hill's Oildale Winer che ci ha deliziato in passato gli occhi e (non) il palato con il White Trash White.   
Oggi la gamma dei vini di questa imbarazzante cantina si amplia con queste bollicine a base di Syrah e Zinfandel particolarmente consigliato per le feste perchè:"You can't have a party without Tiny Bubbles". Terribbbbile!!!!!!

Hollande bandisce lo Champagne: roba da ricchi!!!!

Niente Champagne, siamo francesi!

Sembrerebbe una presa in giro, un non senso considerato il loro livello di nazionalismo becero, ma la realtà è proprio questa.

Oggi, vari organi di stampa riportano la notizia che il presidente della Repubblica francese, Francois Hollande, ha deciso di bandire le bollicine dall'Eliseo durante le cerimonie ufficiali in quanto ritenuta è una bevanda da ricchi......

Foto: TGCOM

Ma chi ha spifferato tutto ciò? Ovviamente un produttore di Champagne cioè quel Pierre-Emmanuel Taittinger, presidente della celebre maison di champagne di Reims, che a distanza di due anni riporta le presunte dichiarazioni di Hollande avvenute a luglio 2012 durante la visita della cancelliera Angela Merkel che il presidente ha incontrato proprio a Reims, la capitale dello Champagne.

Ovviamente la presa di posizione non è piaciuta affatto ai produttori e anche parte della stampa francese di schiera contro le dichiarazioni di Hollande reo di ostacolare un comparto produttivo fondamentale per l'economia francese.

"Tassati e supertassati come se fossero un pericolo pubblico" - scrive Jean Nouailhac su Le Point prendendone le difese - sono loro ormai la Cenerentola di Francia. Impossibilitati a far pubblicità al prodotto di cui sono i primi esportatori al mondo e che ha portato nelle casse del Paese 7,6 miliardi nel 2012, i loro vini «controllati e supercontrollati come fossero prodotti da banditi e truffatori. Potete immaginare una pubblicità più negativa per i nostri vini all'estero?"

Come dargli torto?

Fonte: TGCOM, Il GIORNALE

Verticale storica del Chianti Classico Riserva dell'Agricola Monterinaldi

Dopo aver scritto dei vini di Castello di Monterinaldi un paio di anni fa (qua trovate gli appunti di degustazione), la mia seconda visita presso questa storica azienda raddese ha coinciso con l'organizzazione di una emozionante verticale storica del loro Chianti Classico Riserva partendo dal 2009 fino ad arrivare al millesimo 1968

Ad aspettare me e Stefania, come sempre, Daniele Ciampi, storico proprietario dell'azienda, e Fabrizio Benedetti, responsabile marketing ma, soprattutto, amico ed appassionato di vino. 

Le annate in degustazione, oltre alle sopracitate 2009 e 1968 sono 2008, 2007, 2005, 1999, 1995, 1988In totale otto vini, otto personalità diverse!


Castello di Monterinaldi - Chianti Classico Riserva 2009: solamente da tre mesi in bottiglia, ha materia davvero importante ma, purtroppo, ancora sconta un leggero odore di legno dato dal passaggio di parte del vino in tonneaux di primo passaggio. Resta comunque il fatto che il vino, passata questa fase giovanile, darà grandi soddisfazioni. Parte della critica già se ne è accorta per cui....


Castello di Monterinaldi - Chianti Classico Riserva 2008: giovanissimo ma senza alcun cenno di legno, è una spremuta di frutti rossi e fiori freschi a cui segue un'accennata nota fumè che, come vedremo, risulterà un "timbro di fabbrica" del Chianti Classico dell'azienda. Bocca ruggente, viva, caratterizzata da una decisa vena fruttata e da una persistenza lunga e molto sapida. Tornano per via retronasale gli aromi fumè.


Castello di Monterinaldi - Chianti Classico Riserva 2007: metti il naso nel bicchiere e capisci subito che le cose cominciano a farsi decisamente "serie". L'evoluzione del grande Chianti Classico di Radda ci mette davanti ad un vino elegante e, sulle prime, decisamente femminile visto che emana intense sensazioni di rosa e di mammola. La parte fruttata rimane un pò nascosta nella complessità aromatica e solo con l'ossigenazione e il giusto tempo nel calice, cominciano a sprigionarsi aromi di visciola a cui seguono ritorni di terra e di finocchio selvatico. La parte affumicata, leggerissima, fa da contorno. Al sorso è vibrante come deve essere un sangiovese che si rispetti, puro territorio che si allunga al palato con chiusura su toni sapidi e leggermente minerali. 


Castello di Monterinaldi - Chianti Classico Riserva 2005: l'annata abbastanza fredda si fa sentire dando vita ad un vino più timido dei precedenti e, forse, meno complesso anche se tutto ciò che esprime è di grande eleganza. Tornano in prima linea, rispetto al precedente millesimo, le sensazioni fruttate con accenni di cuoio, grafite, tè nero Lapsang Souchong. Le sensazioni floreale sono più nascoste e sembrano virare verso la viola essiccata. Sorso davvero interessante, dinamico, succoso, sempre teso e con la ormai "classica" chiusura a metà tra il fruttato e il sapido con ritorni retronasali fumè. 


Castello di Monterinaldi - Chianti Classico Riserva 1999: lo stacco dai vini precedenti, dal futuro di Monterinaldi è abbastanza netto visto che con questo Chianti si affacciano senza troppi indugi gli aromi terziari che forniscono al vino tutta una serie di complessità affascinanti e inedite per la verticale che fino ad ora aveva preso in considerazioni vini ancora scalpitanti e ricchi di fervore giovanile. Il '99 si apre con un complesso aromatico molto intenso dove la prima nota che sento è quel tono empireumatico che nelle precedenti annate faceva solo da contorno. Questa sensazione autunnale, da camino spento, è ben integrata da eleganti note di tabacco da pipa, prugna secca, spezie rosse e catrame. Bocca matura, di grande equilibrio, con un tannino perfettamente fuso e corroborato da una decisa spinta sapida e minerale.


Castello di Monterinaldi - Chianti Classico Riserva 1995: più austero del precedente grazie ad una maggiore ricchezza di sensazioni terziarie che vanno dal fungo alla terra bagnate fino ad arrivare alla frutta essiccata. Il tempo e l'ossigenazione non aiuta molto il vino che rimane un pò sulle sue, un pò troppo monocorde. Al sorso, invece, è tutt'altro che "andato" visto che le sensazioni dure e morbide del vino sono ancora perfettamente assemblate e tengono. Gli manca forse un pò di complessità e di spinta sapida ma, nonostante tutto, è un Chianti Classico di quasi 20 anni che si lascia bere senza troppi fronzoli.


Castello di Monterinaldi - Chianti Classico Riserva 1988: entrare nel mondo dei vini "invecchiati" è sempre un viaggio affascinante anche se sono pochi ad apprezzare certe sfumature grige. Questo Chianti è perfettamente didattico dotandosi di una complessità aromatica che spazia dalla terra umida al caffè, dal cacao amaro al torroncino fino ad arrivare al finocchio selvatico e all'inconfondibile nota di tè nero affumicato. Il sorso, così come abbiamo visto col precedente vino, veste panni decisamente meno austeri datosi che il Chianti è dotato di un tannino ancora capace di graffiare e di una struttura ben composta legata ancora una volta da una spina acida decisa e corroborante. Chiusura lunga, sapida, su toni di torrefazione e terra.


Castello di Monterinaldi - Chianti Classico Riserva 1968: è la seconda Riserva dell'azienda visto che la prima è stata la '67 la quale nella cantina storica di Monterinaldi è presente in unico esemplare. Colmo di emozione per via di una certa predilezione per le vecchie annate mi accorgono quasi subito che, nonostante venti anni di differenza col predente sangiovese, questa Riserva risulta essere già al naso quasi meno evoluta della precedente. Il ventaglio aromatico è da grande Chianti di razza invecchiato dove la parte ferrosa, minerale la fanno da padrone accanto a bellissime sensazioni di erbe balsamiche e pietra focaia. Col passare del tempo, parliamo di almeno due ore, il vino si apre e, a prescindere dai tanti riconoscimenti aromatici percepiti, quello che mi preme sottolineare è che questo Chianti durante tutta la degustazione non si è seduto nemmeno per un istante. Mai una sensazione brodosa, mai una sensazione di fungo e di tartufo. Mai! 
Il sorso, contro ogni previsione iniziale, non solo ha confermato ma addirittura ha amplificato la sensazione di freschezza del vino che al gusto è dotato di acidità da vino bianco altoatesino che tramuta questo sangiovese di quasi 50 anni di età in un ragazzino dalla schiena dritta e vigorosa. Certo, gli manca un pò di polpa per essere immenso, ma sapere che questo Chianti è stato vinificato senza alcun uso di legno presumibilmente da un mezzadro dell'azienda è davvero una bella storia troppo ghiotta per non essere raccontata su Percorsi di Vino.





Piccole note finali: le uve bianche, come prevedeva il vecchio disciplinare, sono state usate nelle annate '68, ''88, e '95. Il 1988, da una ricostruzione dei libri di cantina, risulta affinato in botti di rovere di Slavonia non tostate da 65 HL. Sia il '95 che il '99 sono stati affinati in botti di rovere di Slavonia da 50 HL. Il '05, '07, '08 e '09 sono stati affinati sia tonneau, parte di primo passaggio e parte vecchi, sia in vecchie barrique.

Le Miccine - Chianti Classico 2012

Sono sicuro che questo vino lo conosceranno in pochi e, a dirla tutta, se non fosse stato per Armando Castagno e il suo corso sul Chianti, fino a pochi giorni nemmeno il sottoscritto ne aveva consapevolezza.
Oggi parliamo di nuovo di Chianti Classico puntando il faro dell'attenzione verso una delle aziende meno comunicate di Gaiole in Chianti: Le Miccine.


Paola Papini Cook, canadese di nascita ma di origini italiane, è la giovane proprietaria ed enologa della piccola tenuta che si estende per circa 7 ettari di vigneto, esposizione sud sud-ovest, piantato prevalentemente a sangiovese, presente con sei cloni, e in via residuale a malvasia nera, colorino, merlot e vermentino. 

Paola Papini Cook - Foto: grandepassione.com
Paola, dopo aver studiato enologia in Francia, ha acquisito la tenuta nel 2008 e fin da subito, assieme alla sua famiglia, ha cercato di gestire Le Miccine nel modo più naturale possibile attraverso l'ausilio di pratiche colturali biologiche che, come scrive lei stessa, hanno il compito di tutelare le biodiversità del territorio, ridurre la perdita di terreno fertile, favorire la presenza e l'attività dei microrganismi che consentano al vigneto di vivere quasi come un sistema autosufficiente al fine di adattarsi, anno dopo anno, ai cambiamenti del clima e produrre così sempre la migliore uva possibile.

In cantina, ovviamente, si lavora costantemente per preservare la purezza e la qualità delle uve che vengono sempre vinificate in acciaio. Il vino, a seconda della tipologia, verrà poi affinato in tonneaux o botti grandi di rovere da 20 hl.


Paola Papini Cook produce un vino bianco a base vermentino, un rosè, un rosso a base merlot (Carduus) e due tipologie di Chianti Classico (annata e riserva).

Grazie ad Armando e all'AIS Roma ho potuto bere, scoprire e, di conseguenza, innamorarmi del Chianti Classico 2012 (85% Sangiovese, 5% Merlot, 5% Malvasia nera, 5% Colorino) de Le Miccine che in questa versione "basic", a mio parere, è in grado di leggere schiettamente le potenzialità del terroir di Gaiole in Chianti. 


Il colore rubino del vino, già così vivo ed brillante, premette e prometto un olfatto dove emergono intense fini sensazioni che hanno nella violetta e, in generale, nella florealità rossa la propria centralità che viene puntellata da una cornice formata da una marea di agrumi rossi e ricchi spunti speziati e minerali.
Al sorso non può che conquistare chiunque grazie ad un timbro tannico di razza e ad una freschezza quasi citrina che sembra amplificare, nel finale, la dimensione irradiante del vino al quale, se proprio vogliamo trovare un difetto, manca un pizzico di persistenza gustativa. Quella che resta, comunque, è un Chianti Classico tipicamente gaiolesco la cui beva, dirompente, rappresenta un ulteriore ed importante bonus per questo piccolo grande vino uscito dalle cantine di Paola Papini Cook. 

Piccolo dato tecnico: il vino, nel 2012, è stato affinato per circa 14 mesi in tonneaux e botti grandi di rovere da 20 HL a cui sono seguiti ulteriori 6 mesi di bottiglia.

La verticale storica del Faro Bonavita dal 2006 al 2012

Giuro, non sapevo come iniziare il post ma, scorrendo tra i tanti scatti della serata, questa foto mi è sembrata troppo emblematica per non partire da qui.


Un padre e un figlio, il primo che guarda il secondo con amore ed orgoglio perchè quel piccolo sogno, nato quasi per gioco nel 2004, è diventato realtà concretizzandosi in quelle sette bottiglie di Faro Doc che Giovanni Scarfone ha voluto personalmente aprire e coccolare assieme a suo padre Carmelo.

Da Bologna, dove si è laureato in agraria, a Faro Superiore, il passo non è certo breve soprattutto per quei pochi come lui che tornano e non scappano dalle sue radici ben piantate in quel lembo di terra a due passi dallo Stretto di Messina che accoglie vecchie e nuove vigne, circa due ettari, di Nerello Cappuccio, Nerello Mascalese e Nocera abbarbicate su una collina vista mare e protetti a sud da un bosco di querce e castagni secolari che proteggono l'uva dal caldo e umido Scirocco.

La famiglia Scarfone, da generazioni, da sempre in vigna ha avuto un approccio "naturale" che, al di là di certificazioni varie, significa grande rispetto per tutto l'ambiente circostante che viene tutelato bandendo erbicidi ed insetticidi ed utilizzando solo ramo e zolfo per difendersi dalle varie malattie della vite.


Comincio a servire i vino (eh sì' mi è toccato anche questo) mentre Giovanni continua a parlare come un fiume della vinificazione del suo Faro Doc le cui uve, ci spiega, vengono fermentate in acciaio separatamente attraverso medio/lunghe macerazioni che, in qualche caso, sono durate anche 40 giorni. L'affinamento, tradizionalmente, è avvenuto in vecchie barrique e tonneaux per circa 16 mesi anche se, ci confida Givanni, dall'annata 2013 i vini provenienti dal vecchio vigneto di Contrada Bonavita avranno un passaggio in botti grandi da 30 HL. Quattro mesi di bottiglia e il vino è pronto per essere commercializzato.


Il vino è pronto nei bicchieri, si parte!

Faro Doc 2012: è un'anteprima visto che verrà commercializzata solo tra qualche mese ma, nonostante questo, sembra avere ben presente quali dovranno essere i suoi compiti futuri ovvero riempire (per ora) il naso di aromi di macchia mediterranea e spezie e convincere il palato che questo non è un vino piacione ma bensì un liquido oscuro che ama essere svelato. Quando la giovinezza cederà il passo alla maturità scopriremo anche che questa, nonostante il caldo, sarà un'annata da ricordare per il Faro di Giovanni Scarfone.

Faro Doc 2011: ex post non capisco perchè questo vino non sia stato apprezzato come doveva visto che la maggior parte dei presenti alla degustazione non lo ha messo tra i preferiti. Eppure il mio Moleskine parla di una grande eleganza olfattiva giocata su note di iodio, tamarindo, frutta rossa di rovo e arancia sanguinella. Al sorso rivela freschezza, sapidità e un tannino ancora graffiante, basi tutte di una struttura il cui calore dell'annata si fa sentire solo in fase di chiusura ma, come dice Giovanni, è giusto che sia così perchè non si vuole nascondere nulla.


Faro Doc 2010: rispetto ai precedenti ma,in generale, rispetto a tutti i vini in degustazione, questo Faro si differenzia dagli altri per una maggiore luce a livello olfattivo che si compone di sensazioni balsamiche purissime accompagnate da vere e proprie "mitragliate" minerali accompagnate da lampi di fiori e piccoli frutti rossi. Il sorso è il grande preludio al Faro maturo dove tutte le componenti dure sembrano essere mirabilmente domate per regalare al degustatore un abito in pura seta rossa siciliana. Piccola annotazione: è la prima annata in cui entra a far parte del blend anche la nuova vigna del 2007.


Faro Doc 2009: dopo una 2010 così estroversa ed accattivante è difficile confrontarsi soprattutto se la fragranza dei profumi risulta tutta su toni molti bassi dove la sensazione ematica e di frutti neri derivano il vino in una inedita e scabrosa versione dark. Sorso di grande struttura e balsamicità che risulta leggermente sgradevole nel tannino non propriamente messo a fuoco. Finale come di consueto sapido con tratti salmastri.


Faro Doc 2008: come un novello stregone, Giovanni sembra aver creato questo vino gettando nel calderone magico tutte le componenti aromatiche che definiscono un grande Faro aggiungendo un tocco di eleganza e sostanza. In principio ha il profumo della brezza marina, poi, pian piano, svela il timo, la salvia, la menta, i fiori rossi selvatici, il tabacco, la frutta di rovo, il cuoio, le spezie nere, la mineralità e, infine, il rabarbaro e il ginepro. Al sorso è perfettamente equilibrato, succoso, goloso e dotato di quella espressività territoriale che fanno di questa annata la migliore in assoluto.


Faro Doc 2007: l'annata è stata davvero difficile e lo ammette lo stesso Giovanni che ci confida in estate le temperature hanno superato anche i 45° portando alla fine il vino ad avere un grado alcolico di circa 14°. Probabilmente la mia bottiglia non era al 100% ma la sensazione pseudocalorica che ho percepito, sia al naso che in bocca, era tale da confondere tutte le altre componenti del vino che stranamente poteva essere equiparato ad un surrogato del mon cheri. Dilemma: da aspettare ancora o da bere subito?

Faro Doc 2006: dopo due vinificazioni casalinghe di prova questa è stata la prima annata prodotta da Giovanni che parla di questo annata e di questo vino, lo ammette lui stesso, con una enfasi particolare visto il carico di ansia e sogni che lo accompagnavano. Il risultato dipende dalla bottiglia che era in degustazione. La mia, la prima di due, conteneva un Faro abbastanza ordinario e franco i cui aromi di tamarindo, tabacco e cuoio sembrano precursori di una evoluzione abbastanza repentina ed inaspettata che viene confermata anche al sorso la cui tessitura sembra tenuta in vita solo da uno scheletro acido ancora abbastanza pimpante che rende la beva comunque sicura e piacevole. La seconda bottiglia, quella del tavolo di amici a mio fianco, pare sia stata talmente performante che il voto più basso al vino è stato 90. 


Conclusioni: Giovanni Scarfone e tutta la sua famiglia, anno dopo anno stanno diventando sempre più bravi tanto che le possibili sorprese rispetto al Faro Bonavita potrebbero essere proprio le annate 2013 e 2014 che, ci confessa il vignaiolo, sono state più fresche e, pertanto, più nelle corde di un grande Faro Doc. 

Il  mio podio: 2008-2010-2012

Vignaioli di Langa e Piemonte 2014: piccolo report fotografico

L'evento, ideato e realizzato da Tiziana Gallo, è ogni anno sempre più interessante per via di un parterre di espositori di primo piano che Percorsi di Vino non poteva perdere. Domenica, perciò, a mezzogiorno e mezza, ero pronto all'interno dell'unica sala del The Westin Excelsior Roma per capire quale fossero i vini da consigliare ai lettori del blog. 

Senza dare molte descrizioni, ecco i vino che mi sono davvero piaciuti molto:

Perchè il Riesling da quelle parti è considerato di Serie A

Perchè Cieck con l'erbaluce di Caluso ha un rapporto di amore

Perchè il Boca è una cosa seria e questo lo sanno anche i piccolissimi produttori

Perchè il Boca è storia

Perchè ha dietro un progetto giovane ed è delizioso nei suoi profumi di porfido ed erbe aromatiche

Perchè questi vini ti raccontano un bel pezzo di Alto Piemonte. Grandissima gamma!

Perchè quando il Barolo chiama non puoi prescindere da loro

Chi ha detto che il Barbaresco è il fratello piccolo del Barolo? Chi???? 

Dietro le Case e la bellezza del tempo firmata Marilena Barbera

Era troppo ghiotta l'occasione e, nonostante la distanza, incontrare Marilena Barbera, ospite della Fisar di Manziana, era per me quasi un atto dovuto dopo avergli dato buca per la maledetta influenza dell'anno scorso.

L'occasione era ghiotta anche perché l'evento prevedeva una interessantissima verticale, dal millesimo 2007 al 2013, di Dietro Le Case ovvero l'inzolia in purezza di Cantine Barbera le cui vigne, piantate nel 1970 dal papà di Marilena, rappresentano oggi un vero e proprio patrimonio della Valle del Belice.



Dietro Le Case - Inzolia Menfi DOC - 2007: iniziamo dal più "vecchio" e appena metti il naso nel bicchiere capisci subito come l'inzolia di Marilena sia una "brutta bestia" da domare, sopratutto per via di quell'elemento salino/salmastro che, come vedremo, caratterizzerà profondamente il vino. Duro e deciso anche il sorso che non si irrigidisce troppo e sfocia in un oceano di sale e mare. Benvenuto terroir!

Dietro Le Case - Inzolia Menfi DOC - 2008: se la 2007 ci è sembrata dura, la 2008 possiamo dire che è maschia e anche bella cattiva a causa di un quadro aromatico estremamente complesso dove accanto al sempre presente odore di iodio e sale, si ritrovano intriganti tocchi di fiori gialli secchi, fieno e sensazioni fumè che rendono il registro olfattivo più oscuro e decisamente più enigmatico. Il sorso è come al solito sapido e la solida alleanza tra freschezza e struttura rendono la beva rilassata e di ottimo equilibrio. Mizzica che vino!



Dietro Le Case - Inzolia Menfi DOC - 2009: sarà che venire dopo la 2008 è dura per tutti ma a questa inzolia, nonostante una annata fresca simile alla 2007, è come se mancasse qualcosa. Il registro olfattivo, infatti, è centrato come sempre sulla mineralità che questa volta sembra un pò più scarna ed essenziale rispetto ai vini precedenti che godevano di maggiore complessità. Anche al gusto, l'inzolia è sorprendentemente più fresca che sapida cosa che, certo, potrebbe anche piacermi se non fosse per una leggera scollatura che rende il tutto un pò troppo....traballante. Ecco, qualcuno mi ha appena detto che sto cercando il pelo nell'uovo.


Dietro Le Case - Inzolia Menfi DOC - 2011: il santo temporale, grazie ad una 2010 terminata anche nelle segrete cantine di Marilena, ci porta al millesimo 2011 caratterizzato da importanti trasformazioni nello stile di vinificazione. Primo cambiamento: dal 2010 Marilena adotta solo fermentazioni spontanee controllate, con inoculo da Pied de Cuve di lieviti indigeni. Secondo cambiamento: in cantina si è iniziato a sperimentare la macerazione prefermentativa al fine di ricercare un maggiore equilibrio tra struttura e freschezza. Il risultato? Beh, per questo millesimo, parole della stessa Marilena, la macerazione è durata un po' troppo a lungo e ciò si vede anche da un inedito colore giallo dorato del vino. Il naso, come ovvio, risulta abbastanza seduto e marcato da note di frutta gialla matura e ginestra. Sorso rotondo, quasi masticabile ma di buona persistenza e sapidità. E' un altro vino e questo lo sa anche la nostra bella produttrice.

Dietro Le Case - Inzolia Menfi DOC - 2012: Marilena, essendosi accorta del piccolo problema. ha aggiustato il tiro ponendo in essere una macerazione di circa 36 ore. Il risultato è un Dietro Le Case molto vivo, scalpitante in giovinezza dove ritrovo un perfetto equilibrio tra la componente fruttata e la nota sapida che in precedenza era scomparsa. Sorso intrigante che fa salivare e bere, salivare e bere.....



Dietro Le Case - Inzolia Menfi DOC - 2013: come i grandi vini bianchi italiani, questa annata è quasi ingiudicabile per i tratti estremi di una gioventù che lo fa rendere quasi altoatesino in certe espressioni di aromaticità e freschezza che sembra ampliata da alcuni riconoscimenti di erbe aromatiche dove l'origano e la salvia, col tempo, diventano descrittori netti e precisi. Sorso come sempre molto sapido e corroborato da una freschezza vitale e giovanile che tende a smussare un finale di mandorla amara molto piacevole. 

Il mio personale podio, pertanto, è 2008 - 2012 - 2007. 

Piccola postilla finale: i miei ringraziamenti, per l'invito, vanno alla FISAR di Manziana e, soprattutto, a Marilena Barbera che ha voluto mettere in gioco il suo Dietro Le Case senza alcuna paura ma con l'orgoglio che solo lei, e pochi altri, possono vantare in Siclia un vino di questo carattere e longevità.


Il sor Frattari della Fisar Manziana

A presto

Pino Ratto ci ha lasciati...

E' morto Pino Ratto, un grande uomo e un grande produttore di Dolcetto di Ovada. Non ho mai avuto la fortuna di conoscerlo ma le parole di Mario Soldati (Vino al Vino, Terzo viaggio, Autunno) descrivono perfettamente lo spessore di questo uomo che ci mancherà.

Foto:http://www.sorgentedelvino.it

”Appuntamento alle dieci di mattina sulla piazza di Ovada… oggi deserta, nella mattina gelida, sotto un cielo chiuso e grigio. Eppure, scendendo dalla macchina, affacciandomi al parapetto dell’antico guado, e guardando verso i ripidi bricchi coperti da boschi e da vigneti che s’indovinano al di là, nella nebbia bassa, provo uno straordinario senso di sollievo, una giuliva certezza di ritrovare un’atmosfera aspra, montana, povera, indenne dagli eccessi consumistici. Capisco però che mi è difficile comunicare al lettore questa impressione, e il motivo è semplice: riferendo del mio lungo gironzolare tra Asti e Alba, ho evitato quasi sempre di affrontare direttamente i luoghi, le aziende, i personaggi di quegli eccessi: ne ho parlato solo per incidenza e per astratto, e mi sono sforzato di scegliere i miei incontri e di concentrare il mio interesse appunto nelle eccezioni artigianali o addirittura artistiche…Ho taciuto del peggio, di tutto il peggio che mi aggrediva da ogni parte: e non posso dunque comunicare al lettore il mio sobbalzo di gioia quando sulla piazza di Ovada vidi saltare fuori da una rossa Dyane, agile come un gatto, e corrermi incontro vispo come un folletto, il dottore in farmacia Giuseppe Ratto. Lavora solo ventiquattr’ore la settimana, ma tutte di filato, senza interruzione, e tutte nel più allegro posto di lavoro del mondo: la farmacia Pescetto, aperta giorno e notte, in piazza Acquaverde, davanti
alla Stazione di Principe. Dirò allora di lui che, capovolgendo i segni, copia l’algebra dal Padre Eterno perché il settimo giorno lavora e si riposa gli altri sei? Riposa, però occupandosi appassionatamente del suo vino.

Partiamo subito. Ci dirigiamo, neanche lo avessi sentito, proprio verso quei ripidi bricchi sottolineati da cirri nebbiosi al di là dall’Orba, a San Lorenzo: dove Ratto, coi risparmi di tutta la vita non ancora lunga, ha comprato due vecchie cascine coi loro terreni, gli Scarsi e le Olive: “Scarsi” perché sono insediamenti sparsi nell’impervio pendio, “Olive” perché tra le vigne ci sono anche degli uliveti… Fascino della collina ormai spoglia e fasciata di nebbia. 
Silenzio profondo che rari, brevi, quasi intimoriti versi di uccelli fanno sentire ancora di più. Pace…

Attraversiamo le Olive, che è ancora comune di Ovada, e arriviamo finalmente agli Scarsi, che è già comune di Rocca Grimalda. Pioviggina. Le vigne sono piantate ancora alla Monferrina, uno dei più antichi sistemi: alberelli sostenuti da palo morto, e in fila, ma non collegati. Ciascun alberello è potato in modo che butta solo tralcio sullo sperone, e ciascun tralcio porta al massimo sette gemme: sistema Guyot semplice e corto. Vigne vecchie: ma Tatto le ripiante e le rinnova man mano, con regolare selezione di innesti e porta-innesti. La piegatura non avviene, come di solito, nel senso del filare, ma ortogonalmente al
filare…
Entriamo nella cascina, che Ratto ha restaurato. A parte l’aggiunta di una cantina spaziosa e razionale, l’esterno però è intatto. E l’interno è trasformato in un’abitazione moderna, fornita di tutti i confort, ma assolutamente non offensiva…Ratto dice che il vitigno da lui impiegato è una varietà a peduncolo rosso detto “zampa di pernice” perché ricorda la zampa della pernice rossa.

In cantina dalle botti, e poi da bottiglie e bottiglioni nella grande cucina al pianterreno della casa, assaggiamo due qualità: una del ’74, superiore, a 13 gradi; l’altra del ’75, comune, a 11 gradi. Non ha veramente nulla dei Dolcetto delle Langhe. Mi piace moltissimo, lo trovo un po’ duro, ma stranamente vivo e gustoso. E mentre assaggio, guardo Ratto, mi ricordo di quando l’ho conosciuto al Bibe, anni fa, e di quando l’ho rivisto col camice bianco alla farmacia: il volto pallido e magro, il ciuffo castano chiaro, i verdi occhi sfavillanti, il sorriso intelligente, i gesti nervosi e decisi, la rapidissima parlata dalla erre scrocchiante: e mi chiedo se a volte un vino, prima di gustarlo, non lo si possa immaginare dalla faccia e dai discorsi della persona che lo fa. Ma altre volte, dopo averlo gustato, accade addirittura che non lo si possa più ricordare se non pensando alla persona che lo fa. Una identificazione, una immedesimazione per sempre inscindibile tra la persona e il vino, come tra alcuni artisti molto spontanei e la loro opera.”