Vignaioli Naturali a Roma 2014: piccoli pensieri ed appunti di degustazione

Alle 13.50 di sabato 22 Febbraio la hall del Westin Excelsior Rome è quasi monopolizzata da un'orda di appassionati di vino che, grazie a Tiziana Gallo, come al solito bravissima padrona di casa, per un pomeriggio hanno avuto l'occasione di entrare nello sfarzoso albergo di Via Veneto 125 per soddisfare il loro bisogno di "naturale". 

"Perchè non possiamo esporre qua?"

"Siamo davvero indegni di questa location?"

Queste erano le domande che i produttori si facevano prima di prendere posto dietro i banchetti inseriti stavolta in tre grandi sale ben condizionate. Paure ed ansie infondate che ho cercato di sdrammatizzare, a chi me lo chiedeva, rispondendo semplicemente con un:"Perchè, scusate, se uno produce in regime biologico, biodinamico o, semplicemente, naturale, deve per forza proporre i suoi vini all'interno di una stalla assieme al bue e all'asinello?!!".


Un sorriso e via, tutti ai nastri di partenza, col calice che ben in vista e il taccuino pronto a prendere appunti!

Pronti, via, e tutti a dirigersi velocemente verso gli Champagne di Beaufort con l'ansia di chi non crede possa esserci un domani. Il grande vigneron francese e sua moglie erano senza dubbio gli ospiti speciali della manifestazione anche se, a mio giudizio, sembravano più due alieni sbarcarti sul pianeta Terra. Beaufort : eventi mondani = Peppa Pig : film porno. Di lui e dei suoi Champagne ho sentito opinioni diverse, tutto e il contrario di tutto, che erano indecenti, che erano magnifici, che erano troppo pochi o semplicemente troppo. Basta però degustare il suo demi-sec per capire che, in fondo in fondo, forse è vero che quest'uomo è di un altro mondo.
Tra gli spumanti metodo classico l'altra sorpresa è arrivata dagli Champagne Dufour importati da Sarfati. Tra il  Brut Nature Blanc de Blancs "Avalon"(100% chardonnay), il Brut Nature Blanc de Blancs "Le Champ du Clos" (100% pinot bianco) e l'Extra-brut "Bulles de Comptoir" (Pinot noir 55%, chardonnay 35%, pinot blanc 10%) ho trovato molto interessante il secondo che sprizzava linearità e dinamicità da tutti i pori con un bel finale minerale. 


Ora bisogna passare ai bianchi ma, in questo caso, devo fare opportuna premessa visto che non in poche ore non ho potuto degustare tutto. Anzi, mi manca moltissimo, e per sopperire devo integrare  i miei giudizi con quelli degli amici più affidabili. Si fa per dire eh, non vi montate la testa.
Per cui, mentre devo obbligatoriamente segnalare i "rumors" di grandi prove dei bianchi di Zidarich, Valcerasa, Frick, Picariello e Pepe (il suo 2010, il suo 2004 e non il 2011), un discorso a parte meritano due bianchi ancora in affinamento come lo Chardonnay di De Fermo, per nulla omologato e difficile da individuare alla cieca, e il Caroline (chardonnay, viognier, manzoni bianco e sauvignon) di Pranzegg, blend molto caratteriale ed incentrato sui fiori e la frutta bianca il quale, non essendo distribuito a Roma, faticherò purtroppo a trovare quando verrà messo in commercio. 
Durante la manifestazione peròp è scoppiato il caso Sauvignon Blanc: quale è il suo vero aspetto? Quale la sua vera anima? Bisogna prendere come pietra di paragone, ad esempio, quello di Franco Terpin macerato 12 giorni sulle bucce, tannico e di struttura alla Mike Tyson, oppure quello di Hervé Villemade, simpaticissimo produttore della Loira, che con la sua Cuvée Sauvignon 2013 mi ha portato in un campo primaverile fatto di fiori bianchi, agrumi ed eterea mineralità? 


Chi indovina cosa ho preferito vince una bevuta!!

Passiamo ai rosati e in questo caso non ho dubbi!!! Il primo che voglio segnalare, e questa è una conferma, è il grandissimo Rosato Bonavita 2013 che, complice anche un'annata abbastanza favorevole, ci regala un vino dal respiro mediterraneo come pochi altri.


Passando ai rosati di Abruzzo, grandissima prova anche del Cerasuolo Le Cince 2012 di De Fermo che passato un anno dall'ultima degustazione si dimostra in grande crescita e degno del suo territorio. Loreto Aprutino Rules!!


Per i rossi, per una volta, vorrei giocare una partita Lazio Vs Resto del Mondo. Chiaramente, come ho sottolineato in precedenza, penso di aver degustato nemmeno la metà dei vini presenti per cui quanto seguirà non vuole essere una classifica definitiva. Anzi! Per la squadra resto del mondo posso solo dire che sono rimasto ammaliato dal Syrah 2010 di Stefano Amerighi, cuvéè di 15 microaree della sua vigna a Cortona, dal Faro Bonavita 2011 di Giovanni Scarfone che, come sempre, ha bisogno di tempo e "bottiglia" per tirare fuori tutta la grinta mediterranea e salina del vino.


Foto: www.vinoir.com
Altre cinque maglie da titolari della squadra del Resto del Mondo le dò a Cantine del Castello Conti, Grifalco, Cavallotto, Podere Sanguineto e AR.PE.PE. con la seguente motivazione: tutta la loro gamma di vini vale da sola il prezzo del biglietto, sono vini fatti col cuore e con il cuore sono serviti. Grandi prodotti creati da grandi persone.






Per il Lazio, invece, finalmente una bella notizia che ha un nome ed un cognome: Damiano Ciolli. Sì, proprio lui, il vignaiolo di Olevano Romano l'ho lasciato giocare da solo questa partita perchè, come quando esce Totti dal campo di gioco dell'Olimpico, si merita da solo tutto il palcoscenico compresi i meritati applausi. Il motivo, oltre ad un bellissimo Silene 2007, si chiama Cirsum 2004, uno dei migliori vini rossi del Lazio e, senza ombra di dubbio, uno dei migliori vini rossi della mia Regione degli ultimi dieci anni. Non se lo aspettava neanche lui ma questo Cesanese di Olevano Romano non solo ha una complessità ed una profondità inedite per il Lazio, ma essendo ancora giovanissimo, nonostante 10 anni, potrà emozionare ancora tanto nel prossimo futuro. Damiano è il capitano solitario della sua squadra, gioca da solo una partita che molti hanno il dovere e il diritto di condividere. C'è speranza e ne sono fiero!



Termino la degustazione con due grandi vini dolci: la sempre travolgente Malvasia delle Lipari di Paola Lantieri (Punta dell'Ufala) e il sempre ottimo Passito di Pantelleria di Ferrandes. Due esempi di come la Sicilia può produrre grandi vini da dessert senza cadere nell'omologazione da supermercato.

Foto: gustodivino.it 
Foto: www.lazioexportsolution.it

Al prossimo anno, con una speranza: evitare la contrapposizione con Benvenuto Brunello. Prosit!

L'Aglianico per eNOI

Col mio gruppo di degustazione, chiamato Enoi, abbiamo organizzato una bella ricognizione alla cieca sull'Aglianico, grande vitino del sud Italia che, a seconda del territorio, prende forme ed espressioni diverse. Abbiamo organizzato apparentemente alla rinfusa tutte le varie zone di produzione e, di seguito, trovate ciò che ne è scaturito.

Prima Batteria

Azienda Agricola Case Bianche - Cupersito Aglianico del Cilento 2008: Naso molto semplice, fruttato. Bocca coerente, abbastanza evanescente il finale.


Torre del Pagus - Aglianico del Sannio 2008: Rispetto al precedente sento molto più alcol ed un olfatto sempre fruttato, semplice, ma leggermente più "sporco". Sorso che non mi affascina, lo trovo squilibrato e poco persistente.


Seconda Batteria

Mastroberardino - Taurasi Radici Riserva 2000: olfatto solare composto da frutta rossa sotto spirito, prugna, pomodori essiccati e tratti balsamici. Il sorso evidenzia una struttura ben robusta sorretta da un tannino, almeno per me, troppo ruvido e graffiante. Finale caldo, speziato. Il vino del Maestro stavolta non mi ha particolarmente impressionato ma, forse, aveva bisogno di tempo nel bicchiere.


D'Angelo - Aglianico del Vulture Caselle Riserva 2003odorare il bicchiere significa entrare all'interno di una stanza con un bel camino appena spento sullo sfondo. Chiudi gli occhi e senti la cenere, il calore che ti scalda l'anima senza impossessarsi di lei. Tutto sembra ben mediato, anche il sorso che è di grande equilibrio, sapidissimo, con timbro tannico ben definito ma allo stesso tempo austero. Lungo. Dopo aver scartato la bottiglia mi sono meravigliato esclamando:" Ah, un 2003?!!?"


Perillo - Taurasi Riserva 2001: naso estremamente elegante dove ad un incipit di grande austerità con predominanza di sensazioni di mineralità scura, humus e tabacco, si contrappone col passare del tempo un bella risonanza di frutta rossa di rovo e spezie. Ha grande equilibrio, tannini serrati, bella spina acida che avvolge senza indurire i tratti del vino che chiude lungo e sapido.


Terza Batteria

Masseria Felicia- Falerno del Massico 2008: Naso accattivante, speziato, mediterraneo, ci sento il timo, il dragoncello, la salvia, poi tanta frutta rossa croccante seguita da un bel mazzo di fiori secchi. Bocca di grande impatto e struttura, tannino graffiante forse un filo slegato dal resto dell componenti del vino che sembra soffrire di questo mancato legame sopratutto in termini di bevibilità che non risulta così dirompente. Da abbinare più che da bere da solo.


Elena Fucci - Aglianico del Vulture Titolo 2008: aromaticamente è senza dubbio un vino del Vulture, sono ben riconoscibili le note "vulcaniche" di questo vino che più di altri mi sembra contemporaneo, immediato, di grande equilibrio tra la parte minerale e la parte fruttata. Sorso bilanciato in maniera virtuosa, l'acidità è ancora irradiante e il tannino quasi bordolese. Chiusura di esemplare nitore e sapidità.


Taurasi "Poliphemo" 2007 - Tecce: come può accadere in amore, anche per un vino può scattare un colpo di fulmine immediato che viene generato da una scintilla che ha il profilo intrigante della terra irpina e la classe innata di un produttore talmente controcorrente che probabilmente nemmeno sa quanto grande è diventato questo vino. E' un Taurasi viscerale, dall'equilibrio circense dove ogni componente, dura e morbida, sembra essere perfettamente inserita in un mosaico che prende il viso di Luigi Tecce. 


Quarta Batteria

Aglianico del Vulture Damaschito 2009 - Grifalco: davanti a me ho un Aglianico di grande presenza fisica, caldo, avvolgente, di decisa profondità grazie alle sensazioni minerali contornate da tocchi di prugna secca e visciole a cui seguono sprazzi di tabacco e timo. Bocca di notevole impatto, tutte le componenti della struttura sono decise e in divenire. Persistenza che vive di tante sensazioni, dai ricordi minerali a quelle di humus e frutta nera. Giovanissimo ma al tempo stesso intrigante come una donna matura.


Taurasi Nativ 2009 - Azienda Agricola Nativ: eccolo, per ultimo, l'aglianico che spiazza tutti con un profili quasi da Amarone della Valpolicella tanto sono evidenti le sue note dolci e suadenti. Bocca molto piaciona, morbida, sensuale. Ho altre idee dell'Aglianico, per fortuna o...purtroppo!


Conclusioni: beh, posso dire che sono contento dei risultati ottenuti con questa degustazione alla cieca visto che, tranne rare eccezioni, sono riuscito a individuare senza alcun dubbi le aree di origine dell'Aglianico, segno questo che il concetto di territorialità per questa uva sta emergendo molto bene grazie soprattutto all'impegno dei produttori, presenti al tasting o meno, che stanno cercando di trovare una loro strada senza facili scorciatoie. Avanti così!

Alla prossima!


Vaticano e vino: storia di un amore solo apparente?

Il Vaticano conquista un nuovo record, anche se molto particolare, e forse in maniera inconsapevole: secondo uno studio del California Wine Institute, nel 2012 è stato il paese dove si è bevuto più vino a testa, con un consumo incredibile di 74 litri a persona, molto di più delle nazioni dove tradizionalmente il mercato enologico è forte, come Francia, Italia, Usa, Germania, Cina, Spagna, Gran Bretagna. Certo, spiega il sito winenews.it che ha riportato lo studio, le funzioni religiose avranno avuto una discreta rilevanza, specie in uno Stato in cui vivono solamente 836 persone, ma il gap con Andorra, al secondo posto, è enorme: gli 85.000 abitanti del Paese sui Pirenei, infatti, hanno bevuto nello stesso anno 46 litri di vino a testa, seguiti, al terzo posto, dall'unico grande Stato sul podio, la Francia, con 44 litri.


Il "trucco", spiegano gli esperti di "vino vaticano", sta forse nell'analisi dei dati fatti dall'istituto californiano, che non tiene conto del fattore "tasse": il vino, e i liquori, venduti nel supermercato vaticano, il cosiddetto "spaccio dell'Annona" usufruiscono di una tassazione speciale, molto più bassa di quella praticata in Italia.

Tasse che sul costo finale dei prodotti alcolici influiscono molto, specie in questo periodo. Va considerato, inoltre, che l'offerta dei vini proposti negli scaffali del supermercato vaticano è spesso particolarmente accattivante, con prodotti di tutti i prezzi e con cantine anche importanti. Tutti elementi che evidentemente invogliano i consumatori con diritto di accesso all'Annona (tramite tessera personale con tanto di fotografia) a riempire i loro carrelli con le bottiglie di vino che, presumibilmente, non verranno tutte bevute Oltretevere. 

Fuori dal podio dello studio californiano, un altro "piccolo stato", St. Pierre et Miquelon, territorio francese sula costa est del Canada, dove si consumano 43,5 litri di vino pro capite, quindi la Slovenia, a quota 43 litri, la Croazia, a 42 litri, la Macedonia, a 41,5 litri, il Portogallo, a 41 litri, la Svizzera a 38 e, a chiudere la top 10, le Norfolk Island, con 37 litri. E gli altri? Tutti dietro, compresa l'Italia che, nel 2011, era, con 37,6 litri di vino consumati a testa, alla posizione numero nove. Ma il dato italiano, forse, dovrebbe tenere conto anche del "vino vaticano".

Fonte: Ansa

Vignaioli Naturali a Roma 2014

Manca davvero poco! Il 22 e il 23 febbraio avrà luogo la sesta edizione di Vignaioli Naturali a Roma, la manifestazione organizzata da Tiziana Gallo, che riscuote ogni anno sempre maggior successo e ormai è diventata un appuntamento imprescindibile per tutti gli appassionati di vino.
Come ogni anno, l’evento romano richiamerà centinaia di ristoratori, enotecari, intenditori e appassionati che avranno la possibilità di incontrare i più importanti produttori naturali, di farsi raccontare la loro storia e di assaggiare le migliori bottiglie.


Con due novità, come ci comunica la stessa Tiziana Gallo: “La prima riguarda la scelta dei produttori. Oltre ad aziende che avete già avuto modo di conoscere nelle precedenti edizioni, quest’anno saranno presenti dei vignaioli italiani e francesi che non hanno mai presentato i loro vini a Roma; dal francese Jacques Beaufort, famoso per il suo Champagne, alla piccola azienda campana I Cacciagalli che produce in biodinamica. E ancora altri produttori, poco conosciuti al vasto pubblico dei consumatori, con le loro storie di vita, di terra e di vino.

Inoltre ho compreso il desiderio di alcuni di voi di acquistare le bottiglie del vino appena degustato e che, per motivi organizzativi, non ho finora potuto esaudire. Quest’anno, quattro enoteche di Roma, Beccaria, Bulzoni, Les Vignerons e  Wine Concept Bibenda per tutta la settimana successiva all’evento venderanno i vini di alcuni produttori partecipanti, scontati del 5% rispetto al prezzo di scaffale.”.

Il pubblico della manifestazione avrà la possibilità di degustare vini di un numero elevatissimo di produttori: in tutto ai banchi d’assaggio saranno presenti 97 cantine, 3 birrifici e 3 aziende alimentari.  Inoltre, grazie all'accordo tra Vignaioli Naturali e Servabo, laico di parte, i possessori del biglietto di ingresso alla manifestazione potranno acquistare a 12 euro, invece che 18, il libro Vini 'naturali'. I numeri, gli intenti e altri racconti.

Rispetto alle scorse edizioni cambierà anche la location: l’appuntamento è presso il prestigioso The Westin Excelsior Rome, nella suggestiva cornice di Via Veneto e gli orari saranno sabato 22  febbraio dalle 14 alle 20 e domenica 23 febbraio dalle 12 alle 20.
Anche quest’anno, come nelle cinque edizioni precedenti, Vignaioli Naturali a Roma sarà un evento unico, a cui nessun amante del vino potrà mancare!

Per informazioni:
Tiziana Gallo – 338/8549619
tizianagallo@libero.it

Pietracupa e quel Greco prodotto da Sabino Loffredo

Fino ad un mese fa, e lo dico con grande sincerità, pensavo che Pietracupa facesse rima solo ed esclusivamente con Fiano di Avellino, un vino amo visceralmente fin dalle prime annate e che, come tutti i grandi bianchi, offre il suo meglio solo dopo qualche anno. 
Il Greco di Sabino Loffredo, invece, l'ho sempre inspiegabilmente evitato vuoi perchè al mondo ci sono più "fianisti", vuoi perchè il Greco per certi versi beneficia di un impatto mediatico inferiore rispetto al suo "collega" Fiano che in questi ultimi anni è in piena rinascita qualitativa grazie a vignaioli come Picariello, Gaita, Troisi e lo stesso Loffredo (ovviamente ne mancano tanti altri che mi scuseranno se non li cito). 

Fatto sta che dovevo aspettare Alessio Pietrobattista e la degustazione TDC (non vi dico che significa) per capire quanto fino ad ora mi ero perso pur immaginandolo.

Sabino Loffredo - Fonte:www.chevsky.com

Prima di entrare nel dettaglio della verticale comprensiva delle annate 2003, 2006, 2008 e 2010, qualche dettaglio tecnico: il vino viene prodotto a partire da uve provenienti in maggior misura dal terroir di S. Paolina a cui Sabino aggiunge qualcosa proveniente dall'areale di Prata. In cantina pochi fronzoli: solo acciaio e il vino, generalmente, esce un anno dopo la vendemmia. Prevista, in ultimo, anche una selezione speciale di questo bianco, il Greco "G" che Sabino Loffredo fa uscire solo nelle annate considerate particolarmente favorevoli.

Pietracupa - Greco di Tufo 2003: sono sempre convinto che il "manico" del produttore si veda soprattutto nelle annate estreme come è stata questa vista che il caldo da quelle parti non ha dato molta tregua. Al naso il vino si presenta con la giusta morbidezza, con pennellate di miele e frutta gialla, a cui seguono sensazioni di curry e note minerali che virano verso la polvere pirica. E' al sorso, sopratutto, che il vino entusiasma per via della sua rotondità che mai inverte la rotta scontrandosi contro gli scogli della grassezza e della pesantezza. Tutto ancora è perfettamente integrato e il Greco, navigando sempre più veloce, prosegue la sua strada con un persistenza davvero avvincente. Loffredo con questo vino ha interpretato al meglio l'annata, che altro chiedere?

Pietracupa - Greco di Tufo 2006: prendete la precedente annata, spogliatela delle forme sferiche celate da abiti piuttosto larghi, rivestitela con gusto sartoriale di squisita raffinatezza e avrete il Greco di Tufo 2006 di Sabino Loffredo. La frutta gialla matura e il miele in questo vino si trasformano in un vaso di ginestre accarezzato da polline e pappa reale. Tutto è misurato, più femminile, come la bocca che ritrova il carattere minerale, quasi sapido, che accompagna tutta la beva senza mai stancare un minuto. Per chi ama le emozioni delle basse frequenze.

Foto: larcante.com

Pietracupa - Greco di Tufo 2008: c'è il Greco esuberante (2003), quello raffinato (2006) e poi, come in questa annata, esce fuori un'altra personalità del vino di Loffredo, quella ribelle e spiazzante che o la ami o la odi con tutte le tue viscere. La 2008, infatti, è un concentrato di idrocarburi e fervida mineralità che, se non stai ben attento, potrebbe portarti verso lidi ben più a nord di Montefredane. La durezza del naso, la sua aromaticità che col tempo si dispone verso toni anche torbati, al gusto viene solo leggermente scalfita da una iniziale nota di frutta secca perfettamente inglobata in una struttura dove tutto è in perfetto equilibrio e la scia salina finale, a tratti grafitica, non fa altro che donare ulteriore carattere ad un Greco che a mio modo di pensare potrà evolvere ancora per molto anni togliendosi da dosso questa corazza da guerriero e mostrando, se ce l'ha, la sua anima più "pacioccona". Chissà...

Foto:www.cellartracker.com

Pietracupa - Greco di Tufo 2010: c'è il figlio esuberante, il raffinato, il ribelle ma una famiglia come si deve, per poter trovare il suo equilibrio, deve dotarsi anche di un discendente che metta d'accordo tutti con il suo carattere stabile, armonioso e simmetrico. Se un figlio così metterebbe d'accordo tutti come può un vino con queste caratteristiche non esaltare anche il più diffidente dei degustatori? L'equilibrio lo si avverte fin dal naso dove ogni minimo sentore sembra cesellato da un fine artigiano che gioca a mettere in fila bouquet dai timbri ora minerali, ora agrumati fino ad arrivare al floreale di margherita e biancospino. Al gusto la struttura assorbe in maniera calibrata la veemente acidità, la sapidità e la rotondità del Greco che conclude su irrefrenabili rimandi quasi salmastri. La 2010 sarà anche l'annata del Greco "G" di cui si dice davvero un gran bene. In Campania, attualmente, tra Fiano e Greco ho comprato quasi di tutto. Voi non aspettate che questi vini finiscano, capito?



Rassegna stampa: il vino segreto del governo inglese

Londra. Il governo inglese è carico di debiti al punto da arrivare ad affittare le sale di Westminster. Ma sotto Lancaster House, nel cuore di Londra, c’è un vero e proprio tesoro: è la cantina del governo, amministrata dal Foreign Office e usata per conservare vini pregiatissimi da servire nelle cene con dignitari da tutto il mondo.

L’Independent on Sunday è riuscito a carpire una serie di segreti di questo patrimonio di oltre 36 mila bottiglie, che oltre al vino contengono anche pregiatissimo champagne e cognac: valore totale, 3,2 milioni di sterline (3,8 milioni di euro).

Foto: Decanter.com

Il domenicale ha visto le note di degustazione, quelle che i sommelier ufficiali - che formano il Wine Committee del governo - hanno scritto negli anni per indicare quale vini servire e in quali occasioni.

Ad esempio il Corton del 1961, vino francese quotato intorno alle 500 sterline a bottiglia, viene definito come un “tesoro nazionale”», da riservare quindi ai vertici più importanti. Al contrario la nota del Meursault Charmes, che costa `solo´ 40 sterline, è lapidaria: “da non usare”.

Le etichette francesi fanno la parte del leone anche se il 17% dei vini serviti l’anno scorso erano inglesi. Nonostante sia una cantina molto ben assortita non è esente dall’austerità voluta dal premier David Cameron. Nel 2010 è stato deciso che deve autofinanziarsi vendendo i suoi `pezzi´ pregiati e comprandone di nuovi.

Foto: Decanter.com
L’anno scorso 54 bottiglie hanno portato nelle casse dello Stato ben 63 mila sterline. Di queste ne sono state usate 49 mila per nuovi acquisti, che verranno bevuti nel corso di feste e ricevimenti.

Il Soave "Contrada Salvarenza" di Gini

Sandro Gini da Monforte d'Alpone l'ho conosciuto la stessa sera in cui alcuni illuminati produttori della DOC Orvieto avevano organizzato un'interessante wine tasting presso la Rimessa Roscioli.
Era l'ospite più silenzioso della serata e, da persona modesta e schiva qual'è, ha lasciato che il suo Soave fosse degustato per ultimo, tanto per non interferire col tema principale della serata.

Sandro Gini e suo fratello, ultimi discendenti di una famiglia di vignaioli presenti nel territorio fin dal 1600, iniziano ad occuparsi personalmente dell'azienda di famiglia attorno agli anni '80 e oggi gestiscono circa 25 ettari di vigneto, con piante anche centenarie, piantato su terreni sia a matrice vulcanica sia a matrice calcarea.


Foto: http://www.online-wine.it/

I Gini potrebbero definirsi vignaioli naturali, più di altri, prima di altri, ma non lo fanno perchè certe scelte, semplici quanto sincere, non vanno di certo sbandierate anche se oggi il consumatore attento sarebbe molto contento di sapere che nei loro vigneti non si usa chimica così come non si usa anidride solforosa in vinificazione dove, tra l'altro, vengono utilizzati sono lieviti propri della cantina.

L'azienda produce due Cru di Soave: il Froscà e il Salvarenza. Entrambe appartengono allo stesso versante collinare (per un’estensione totale di circa 12 ettari), nel cuore della zona classica di Monteforte: nonostante l’uno sia il naturale prolungamento dell’altro, generando oltretutto due distinte etichette, esistono tra le due parti sensibili variazioni pedo-climatiche. La Froscà occupa infatti la parte più alta della collinetta (sommità più versante), a un’altitudine di circa 150 metri, con pendenza del 20/30%, esposizione sud/sud-est, impianto a pergola veronese e terreno formato prevalentemente da tufo vulcanico. 
Il Salvarenza, invece, si estende nella parte più bassa del vigneto, verso il piede del versante, dove il terreno è più calcareo, la temperatura più fresca (correnti di aria fredda attraversano tutto l’appezzamento, proteggendolo dagli eventuali stress climatici dell’estate e favorendo la formazione di profumi spiccati) e le viti decisamente più vecchie, alcune delle quali addirittura franche di piede e dunque quasi centenarie (l’età media si situa invece tra i 50 e gli 80 anni). 

La famiglia Gini. Foto: http://www.soavecru.it

Il Contrada Salvarenza - il cui nome pare debba imputarsi alla leggenda della giovane Renza che fu tratta in salvo da una banda di briganti grazie all’intervento di un nobile cavaliere - effettua invece fermentazione ed elevazione in legno: nove mesi in pièces da 228 litri a contatto con i propri lieviti naturali.

Durante la serata abbiamo degustato:

Gini - Soave "Contrada Salvarenza" 2010: nonostante quattro anni di età il vino si presenta con un corredo aromatico giovanissimo visto che il calice sprigiona aromi di erbe aromatiche e vivida mineralità tufacea. Col tempo, aprendosi, il ventaglio odoroso si arricchisce di note di biancospino, pompelmo, pesca bianca, pera kaieser. Al sorso è tutto un gioco di sapidità e freschezza abilmente regolate in modo tale che il Soave possa "martellare" per un tempo quasi infinito regalando equilibrio e finezza davvero sorprendenti.


Gini - Soave "Contrada Salvarenza" 2006 : il naso nel bicchiere, gli occhi chiusi, e la netta sensazione che accanto a te ci sia un mercato dove più venditori ambulanti offrono ai bambini torroncino, cioccolato bianco, croccante di nocciole, marroni, frutta secca. Un Soave godurioso con tratti autunnali a cui non  mancano le importanti e fervide sensazioni calcaree. Al sorso è ancora vivo e vegeto, sapido, a tratti salmastro, e con una progressione prorompente che termina con note quasi fumè. Soave di grande personalità!

Gini - SoaveSoave "Contrada Salvarenza" 2004 : rispetto alle precedenti annate il vino vira decisamente verso note fumè che mi fanno ricordare alcuni vecchi Silex di Dagueneau. Non solo. La lieve ossidazione del vino sprigiona ricordi di spezie orientali, foglie secche, mou, mela cotogna. Bocca vibrantissima, tridimensionali, ritornano le eleganti note affumicate assieme ad una spinta acida prorompente che rappresenta il vero timbro di fabbrica di questo Soave. Chiusura lunga, finissima, leggiadra, un cavallo bianco che corre.

Romagna Sangiovese: breve panoramica e spunti di riflessione

Degustare e testare più di venti Sangiovese di Romagna non è cosa facile soprattutto quando il 20 gennaio, giorno X per la tavola rotonda, viene etichettato come "blue monday" cioè come il giorno più triste dell'anno.
Per tirarci un pò su di morale e, soprattutto, per cercare di capire un pò di più sul territorio (i vini erano divisi per zone di produzione) eravamo tutti muniti dell'indispensabile articolo a firma Francesco Falcone pubblicato su Enogea - II serie - n°37 dal quale estrapolerò alcune parti per contestualizzare la degustazione anche su Percorsi di Vino (se violo qualche copyright me ne scuso e sono pronto ad eliminare tutto).

Scrive Falcone:"La zona di produzione del Sangiovese di Romagna (denominazione d'origine controllata a partire dal 1967) interessa una vasta area collinare che si sviluppa a sud della via Emilia toccando (da nord-ovest a sud-est) una cinquantina di comuni delle province di Bologna (l'Imolese), Ravenna (Il Faentino), Forlì-Cesena (Il Forlivese e Il Cesenate) e Rimini (Il Riminese). Il disciplinare di produzione prevede come vitigno principale il sangiovese, la cui percentuale minima nel vino non deve essere inferiore all'85%. Sempre più spesso viene vinificato in purezza, ma non mancano bottiglie che dichiarano l'aggiunta di altre uve complementari. E se in passato era l'ancellotta la varietà più utilizzata, in epoca più recente è stata affiancata e in molti casi sostituita da merlot, cabernet sauvignon e syrah. L'età media dei vigneti è di poco superiore ai 20 anni e la forma di allevamento più utilizzata è il cordone speronato basso. Non di rado, però, compare l'alberello, reintrodotto negli ultimi due decenni sulla scorta di una tradizione viticola precedente agli anni '50. Assai più raro è invece il Guyot, così come marginali sono i pochi impianti di vecchia concezione (GDC, capovolto e cordone libero). Si può affermare che la fetta più significativa della viticoltura si sviluppa su colline di matrice sedimentario-argillosa, mai troppo elevate, la cui quota altimetrica oscilla tra i 150 e 300 metri s.l.m. Anche se una larga parte dei vigneti si sviluppa a non grande distanza dall'Adriatico (mare troppo ristretto per influire significativamente sulle condizioni termiche della regione), il clima è prevalentemente continentale, con estati molto calde e afose, e inverni freddi e prolungati (rappresentano due eccezioni alla regola il Riminese e alcune zone del Cesenate, dove l'influsso delle brezze è più netto). Le precipitazioni sono in genere contenute nelle prime due fasce collinari del territorio viticolo (circa 700 mm in media per anno), mentre via via che si passa nelle zone più alte i valori aumentano rapidamente fino a superare i 900 mm nelle località prossime all'Appennino. Poco più di 7000 sono gli ettari vitati rivendicati dalla doc, sedici milioni le bottiglie che ogni anno sono immesse sul mercato e tre le principali tipologie prodotte. La versione d'annata (con o senza la dicitura “Superiore”), fruttata, polputa e godibile da bere in gioventù, maturata sempre in vasche di cemento e/o di acciaio e posta in commercio la primavera successiva alla vendemmia. La “selezione” (quasi sempre commercializzata come “Superiore”), di maggiore struttura, intensità e vigore, di tanto in tanto elevata per qualche mese in barrique o tonneaux (più rara è invece la presenza della botte grande) e venduta dopo un breve periodo di affinamento in bottiglia. E infine la Riserva: un vino più potente e profondo, in genere austero nei primi anni di vita ma dotato di buona propensione all'invecchiamento (tra i 10 e i 15 anni)".


Romagna Sangiovese Doc - Fonte: Lavinium

Il nuovo disciplinare, in vigore dal 2011, ha introdotto due novità importanti: la prima è che dovremmo chiamarlo non più Sangiovese di Romagna ma Romagna Sangiovese. L'altro cambiamento sostanziale riguarda l'istituzione delle sottozone (menzioni geografiche aggiuntive) che sono: Bertinoro, Brisighella, Castrocaro-Terra del Sole, Cesena, Longiano, Meldola, Modigliana, Marzeno, Oriolo, Predappio, San Vicinio, Serra. La sottozona Bertinoro è utilizzabile solo ed esclusivamente per il “Romagna Sangiovese riserva”. Sono escluse da tutto ciò le zone del Riminese e dell'Imolese che hanno una loro Doc provinciale: Colli d'Imola e Colli Riminesi.
Rimane invariata, invece, la possibilità che all'85% di sangiovese possano concorrere fino ad un massimo del 15% altri vitigni a bacca nera idonei alla coltivazione per la Regione Emilia Romagna.

Dodici le aziende in degustazione in rappresentanza delle varie sottozone indicate nel disciplinare (unica eccezione il Cesenate di cui non ci sono stati forniti i vini):

Azienda Agricola Stefano Berti
Sangiovese di Romagna 2011 “Bartimeo”
Sangiovese di Romagna sup. 2009 riserva “Calisto”
Sangiovese di Romagna sup. 2010 “Ravaudo”

Azienda Agricola Marta Valpiani
Sangiovese di Romagna sup. 2010 “Castrum Castrocari”
Sangiovese di Forlì 2011
Sangiovese di Forlì 2009 vendemmia tardiva “Castrum Castrocari”

Azienda Agricola Villa Papiano
Sangiovese di Romagna sup. 2011 “Le Papesse di Papiano”
Sangiovese di Romagna 2010 riserva “I Probi di Papiano”

Azienda Agricola Costa Archi
Sangiovese di Romagna 2011 “Assiolo”
Sangiovese di Romagna sup. 2009 riserva “Monte Brullo”

Azienda Agricola Gabellini
Sangiovese di Romagna sup. 2009 riserva “P. Onorii”
Sangiovese di Romagna sup. 2011 “Il Colombarone”

Azienda Agricola Giovanna Madonia
Sangiovese di Romagna sup. 2009 riserva “Ombroso”
Sangiovese di Romagna sup. 2011 “Fermavento”

Azienda Agricola Cà di Sopra
Sangiovese di Romagna sup. 2010 riserva “Cadisopra”
Sangiovese di Romagna sup. 2011 riserva “Crepe”

Azienda Agricola Casetto dei Mandorli
Sangiovese di Romagna 2010 riserva “Vigna del Generale”

Azienda Agricola Drei Donà Tenuta La Palazza
Sangiovese di Romagna sup. 2008 riserva “Pruno”

Tenimenti S. Martino
Sangiovese di Romagna 2010 riserva “Torre – Vigna 1922”

Azienda Agricola Tre Monti
Sangiovese di Romagna sup. 2009 riserva “Thea”

Azienda Agricola Vigne dei Boschi
VDT “Poggio Tura”

La degustazione, devo essere onesto, è stata lunga e certamente non facile visto che, tirando le somme e con le dovute cautele, ho apprezzato solo cinque vini su ventuno e, di questi, solo uno ha preso un punteggio di 86/100. Gli altri, purtroppo, sono dietro, oppure quel giorno non li ho capiti io.
Le cause sono tante ma, in generale, ho notato che molti Romagna Sangiovese peccano di abbondanza di alcol, scarsa acidità (vabbè questo magari è il territorio) e un uso non proprio felice del legno piccolo che spesso dona al vino un eccesso di amaro abbastanza sgradevole al palato. Poi, in ultimo, ci sono i vini della serie "ma che li fai uscire a fare" ma quello è un discorso a parte...



Nella Top 5 di Percorsi di Vino metterei:

Azienda Agricola Stefano Berti - Sangiovese di Romagna sup. 2009 riserva “Calisto”: gli altri due vini in degustazione non mi hanno particolarmente colpito ma questo Romagna Sangiovese Riserva (90% sangiovese e 10% cabernet sauvignon) si fa apprezzare per un frutto deciso seguito da toni speziati e da una bocca abbastanza equilibrata che forse paga pegno in un finale caldo, deciso ma un pò troppo amarognolo. La materia c'è eccome, bisogna cercare di esaltarla al meglio.


Azienda Agricola Marta Valpiani - Sangiovese di Romagna sup. 2010 “Castrum Castrocari”: ho conosciuto i loro vini due anni fa durante un curioso tasting panel e, devo dire, che i suoi vini, prodotti assieme ad Elisa Mazzavillani, stanno assumendo uno stile ben definito caratterizzato da sentori di frutta rossa croccante, fiori rossi, terra e cola. La bocca è estremamente equilibrata e ben disegnata. Chiusura sapida, calda. 

Azienda Agricola Costa Archi Sangiovese di Romagna 2011 “Assiolo”: il fratellino "piccolo" del "Monte Brullo" riesce ad incantare (quasi) tutti per una maggiore complessità olfattiva giocata su richiami di ciliegia, rosa canina, pizzico di china in una cornice balsamica e minerale. Bocca intrigante, tesa, convince il tannino e la progressione. Persistenza lunga e sapida. Il Monte Brullo 2009 è più profondo e austero ma avrà bisogno di bottiglia per sprigionare tutto il suo valore.



Azienda Agricola Drei Donà Tenuta La Palazza - Sangiovese di Romagna sup. 2008 riserva “Pruno”: il sangiovese più blasonato di Romagna fa la sua sporca figura e si fa apprezzare per una sensazioni scure, profonde, di prugna secca, humus, dattero, viola macerata. Bocca di impatto, progressiva, di sostanza. Bernabei marca bene il vino.


Azienda Agricola Vigne dei Boschi VDT “Poggio Tura”: l'ultimo vino in batteria, da agricoltura biodinamica, è prodotto da Paolo Babini nella zona di Brisighella. Nonostante sia un vino da tavola molti sono rimasti entusiasti di questo Sangiovese che, rispetto alla media generale, è risultato dotato di grande freschezza (le vigne sono a 450 metri s.l.m.), solare, dinamico con un palato la cui struttura, per una volta, ben sostenuta da acidità e sapidità. Ha ancora un tannino ruvido ma se il tempo farà la sua parte avremo in futuro un bel cavallo di razza. Produttore da segnare in agenda.




Gianfranco Fino e il Rosé Pas Dosé "Simona Natale" 2009

La presentazione ufficiale è stata fatta poco tempo fa durante lo scorso Sangiovese Purosangue ma chi li conosce bene sa che da anni i coniugi fino avevano in mente di produrre un grande Metodo Classico pugliese. 
Loro, amanti sfegatati dello Champagne francese, stavano solo aspettando l'occasione giusta per dar vita al progetto che, come mi spiega la stessa Simona Natale, ha preso il via nel 2009, anno poco fortunato per il loro negroamaro:"in vasca lo Jo 2009 non aveva le caratteristiche necessarie per diventare grande come ce lo aspettiamo ma, sicuramente, aveva tutte le qualità in termini di struttura, colore e acidità per diventare un grande rosato. L'idea, come ti ho detto, era già nell'aria da tempo per cui, aggiungendo un pizzico di follia e con il conforto di Alessio Dorigo che ci ha spronati e consigliati, abbiamo realizzato con lo Jo 2009 non prodotto la nostra base spumante".

I Fino hanno fatto tutto in casa anche grazie alle conoscenze enologiche di Gianfranco che, fin dai tempi della scuola di agraria, è un grande studioso del mondo della spumantistica mondiale.

Il vino base, tecnicamente un  Rosé de Saigné, si ottiene con la macerazione e il contatto delle bucce da 36 a 48 ore prima della fermentazione. L dopo aver fatto fermentazione e malolattica in barrique usate, ha passato 44 mesi sui lieviti ed è stato sboccato a Settembre 2013.

Simona, porgendomi il calice, un pò emozionata, mi sussurra che questa è la sua pazzia e il suo sogno. Conoscendola non posso non crederle.

Il bellissimo colore dello spumante con Simona sullo...sfondo

Come possiamo vedere dalla foto il "Simona Natale" 2009 ha un colore davvero bello, un buccia di cipolla brillante con riflessi corallo che difficilmente ho potuto riscontrare in altri prodotti simili.

Il naso non tradisce l'anima del negroamaro di Manduria coltivato a poche centinaia di metri dal mare donando un naso mediterraneo incastonato all'interno di una cornice di pura mineralità. Gli aromi, infatti, evocano fragranze di corbezzolo, rosa canina, pompelmo rosa, succo di pomodoro, ginepro che, col passare del tempo, si aprono ad ulteriori sentori di polvere pirica, iodio e paprika.


All'assaggio rimango subito colpito per il finissimo perlage che rende il sorso fin da subito elegante e dalla grande cremosità. Tutto è in assoluto controllo, il contributo del legno è già perfettamente assimilato e le impressioni olfattive ritornano elegantemente anche se con meno intensità e vigore. Finissimo e quasi sussurrato è lo scatto finale, mantenuto teso grazie alla sapidità del vino che lascia impressa nel palato una scia di seta rosa intrisa di aria di mare. 

Ho la netta sensazione che questo spumante, così come accade per tutti i vini di Fino, debba ancora crescere, maturare col tempo. La strada è tracciata, il loro obiettivo è competere con i grandi Rosè della Champagne e non ho dubbi che, anche grazie all'esperienza di questo primo spumante, il  loro numero zero, l'obiettivo sarà perseguito in brevissimo tempo.

Non gli diciamo che già questo è un grande spumante italiano, altrimenti si montano la testa!