Robert Mondavi Private Selection Cabernet Sauvignon 2011

Degustato ieri durante un evento privato da Romeo.

Già le note di degustazione che si trovano sul sito internet non promettono bene

Aromas: Red cherry, red plum, and blackberry with a hint of spice
Flavors: Cherry and blueberry with smoky oak and vanilla
Texture: Smooth with a long finish


Il colore, a dire il vero, non era malaccio, un bel rubino chiaro molto brillante.

Il vero incubo non è stato tanto odorare il vino ma berlo. Ho in mente solo un sentore. Questo!


Niente, è più forte di loro, sò Ammericani!! 

Il Barolo Otin Fiorin Piè Franco-Michet 1999 di Teobaldo Cappellano


A chi di Guide si interessa:

Nel 1983 chiesi al giornalista Sheldon Wasserman di non pubblicare il punteggio dei miei vini. Così fece, ma non solo, sul libro Italian Nobile Wines scrisse che chiedevo di non far parte di classifiche ove il confronto, dagli ignavi reso dogma, è disaggregante termine numerico e non condivisa umana fatica. Non ho cambiato idea, interesso una fascia ristretta di amici-clienti, sono una piccola azienda agricola da 20 mila bottiglie l'anno, credo nella libera informazione, positiva o negativa essa sia. Penso alle mie colline come una plaga anarchica, senza inquisitori o opposte fazioni, interiormente ricca se stimolata da severi e attenti critici; lotto per un collettivo in grado d'esprimere ancor oggi solidarietà contadina a chi, da Madre Natura, non è stato premiato.
E' un sogno? Permettetemelo".

Un produttore che scrive questa parole sulla retro etichetta del suo vino farebbe sicuramente clamore ma, se si scopre che a volere quelle frasi è stato un grande vignaiolo di Langa come Teobaldo Cappellano, la presunta boria lessicale muore soffocata da ogni sua sillaba e tutto rientra nei canoni di un orgoglio contadino ormai desueto, lontanissimo dalle luci di una ribalta che non si pretende ma si conquista giorno dopo giorno con la Terra e il sudore.

Foto di quel gran Beone di Andrea Federici
Di questo Barolo esistono due tipologie: quella da vigne a piede franco chiamata Piè Franco-Michet (nebbiolo varietà Michet) e la versione da vigne a piede americato denominata Piè Rupestris-Nebioli 

Il Barolo Piè Franco-Michet 1999, per il degustatore più sensibile, è ad alto rischio Sindrome di Stendhal perchè dopo il secondo bicchiere, così come è successo a me, è facile provare gli stessi sintomi provati dallo scrittore francese che così descrisse il suo stato d'animo di fronte di fronte alle opere d'arte:"Ero giunto a quel livello di emozione dove si incontrano le sensazioni celesti date dalle arti ed i sentimenti appassionati. Uscendo da Santa Croce, ebbi un battito del cuore, la vita per me si era inaridita, camminavo temendo di cadere".

Il Barolo Piè Franco-Michet 1999 è profondo come gli abissi della nostra (in)coscienza, intenso come il rosso di un tramonto estivo, armonico come il suono di un violino d'orchestra ed elegante come un vestito sartoriale.


Foto di quel gran Beone di Andrea Federici
Sorso dopo sorso, attraversando descrittori e sensazioni infinite, il ricordo va ancora una volta a Baldo Cappellano, un uomo immenso, senza etichetta, che non ho fatto in tempo a conoscere se non per la sua eredità morale che prende sostanza e forma del suo grande nebbiolo di Langa. Grazie di cuore

Navelli, naturale come il verde di Abruzzo

Navelli vale il viaggio, da qualunque parte di Italia voi siate quell'angolo verde di Abruzzo è un piccolo paradiso che vale la pena scoprire non solo per un week end "a tutto vino" come questo passato.
Palazzo Santucci ci accoglie in tutta la sua bellezza e maestosità, chissà cosa penserebbe oggi Camillo Caracciolo, feudatario, vedendo la sua residenza trasformata per qualche giorno in un rifugio di enoappassionati di vino naturale.




Entriamo attorno alle 12 e siamo già affamati per cui la prima tappa, d'obbligo, la facciamo da Gregorio Rotolo che anche questa volta ha portato con sé dei formaggi strepitosi.




Iniziamo a bere. Prima di tutto gli spumanti dove, tra i vari, mi colpisce il Colfòndo di Casa Belfi che non tradisce le aspettative su questa tipologia ancestrale di Prosecco che avevo avuto modo di degustare varie volte in passato. Fresco, con sentori di mela verde e crosta di pane, è un ottimo compagno durante le torride serate estive.


Il "giro dei bianchi" dura almeno un paio di ore, non amo moltissimo i c.d. macerati ma due perle le ho trovate. Trattasi del Vermentino Colli di LuniPoggi Alti2011 di Casa Caterina e della Malvasia 2007 di Franco Terpin.


Il primo è un esempio di come il mare e le erbe aromatiche possano trasformarsi in vino mentre la Malvasia di Terpin è la dimostrazione di come un grande vino bianco possa celarsi al mondo solo dopo setti anni.
Interessante, cambiando stile di vinificazione, è stato l'assaggio del Pecorino 2010 di Emidio Pepe che, pur nella sua gioventù, colpisce per struttura e tipicità. Certo, il prezzo attorno alle 40 euro non è che giochi a suo favore...


Ultima segnalazione per i bianchi: con un pizzico di orgoglio non posso non elogiare Casale Certosa, piccola cantina del Lazio in conversione biodinamica, che ha una gamma di vini dal rapporto q/p davvero strepitoso. L'Alborea 2011, mix di grechetto e malvasia del Lazio, è un bianco davvero buono che ai profumi erbacei e fruttati unisce grande rotondità ed eleganza. 


Per quello che concerne i rossi, visto che siamo in Abruzzo, vorrei distinguere tra assaggi di Montepulciano e tutto il resto.
Il rosso più importante della Regione era declinato in tante espressioni e filosofie produttive caratterizzate da un unico comune denominatore: struttura e potenza gustativa.

Durante la manifestazione l'ennesima conferma è venuta dal Prologo 2010 di De Fermo che incanta sempre per sapidità e profondità gustativa. 


Se la bontà delle vecchie annate del Montepulciano di Abruzzo di Emidio Pepe non sono più una novità per i curiosi del vino, un certo stupore, almeno per me, è arrivato dalla Riserva 1999 di Praesidium che si presenta di grande balsamicità e con una nota salmastra di fondo a dargli carattere. Bocca, come al solito, lunga e carnosa.
Tenace e di buona prospettiva anche il Montepulciano di Nuvole e Pane anche se deve trovare ancora la strada dei migliori.

Altra sorpresa, sempre da montepulciano anche se in veste marchigiana, è venuta dall'Erasmo Castelli 2005 dell'azienda Maria Pia Castelli. Parlando con il responsabile commerciale (?) ho potuto capire perchè, già dal primo assaggio, questo vino mi è sembrato un "piccolo Kurni". Rese ridicole (35 quintali per ettaro) lunghe fermentazioni in tini di rovere ed affinamento in barrique nuove per circa due anni danno vita ad un piccolo mostro di concentrazione e profondità che si svilupperà solo nel corso dei prossimi anni. Proprio come il vino di Casolanetti.....


Tra gli altri rossi presenti a Navelli (non da vitigno montepulciano) grande goduria è arrivata grazie alla barbera di Nicoletta Bocca e Fabrizio Iuli.

L'Austri 2006 di San Fereolo, bevuto durante il bel seminario tenuto da Emanuele Giannone dal titolo Il Canto della Terra, dimostra come la barbera può diventare tutto meno che un vino semplice da bere nell'arco di un anno. Grande eleganza, complessità, austerità sono i tre aggettivi che mi sono venuti in mente appena ho bevuto il primo sorso. Un grande vino che conferma come la seta venga bene anche a Dogliani.


Foto: Andrea Federici
Fabrizio Iuli, così come Nicoletta Bocca, ha una gamma di vini di primo piano a larga maggioranza di barbera. Tra i vari mi ha impressionato per sostanza e profondità il Barabba 2007, barbera in purezza da vigne storiche impiantate dal nonno negli anni '30. Anche in questo caso, come detto per Nicoletta Bocca, parliamo di un vino godibilissimo ora ma che ha tutti i crismi per andare avanti ancora per moltissimo tempo. Fossero così tutte quelle che bevo....


L'ultimo assaggio lo dedico al Barrosu 2010 di Giovanni Montisci, un cannonau riserva che porta tutta la mediterraneità nel bicchiere. Anno dopo anno sempre più buono. Grazie a Riccardo La Ginestra che ce lo ha fatto degustare!


Foto: Vinoir.com


Alla prossima cara, verde e naturale Navelli!



VinNatur analizza i vini delle cantine associate e......

VinNatur sul proprio sito internet ha pubblicato, per il quinto anno consecutivo, i risultati delle  140 analisi effettuate sui vini delle cantine associate.

Da questa indagine interna è emerso che"nell’anno 2013, su un totale di 140 campioni analizzati 128 sono risultati completamente esenti da ogni tipo di pesticida, mentre i restanti 12 presentano residui di pesticidi. Un risultato già molto buono ma che non attende le nostre più positive aspettative.

L’analisi dell’anidride solforosa totale invece evidenzia che 52 vini hanno meno di 10 mg/l di anidride solforosa(la legge permette in questi casi di apporre in etichetta la dicitura “NON CONTIENE SOLFITI AGGIUNTI”), mentre i restanti 88 vini sono al di sotto dei 60 mg/l. Solo cinque casi, superano questo livello, rimanendo comunque sotto i 90 mg/l. Risultati che di anno in anno vedono una graduale diminuzione dell’uso della solforosa come conservante, grazie alla crescente cura ed attenzione nelle vinificazioni spontanee.

Questi sono nel dettaglio i risultati delle analisi:
- Totale campioni analizzati: 140
– Totale vini aventi residui di pesticidi: 12, di cui 9 italiani, 2 sloveni ed 1 francese.
– Numero di principi attivi riscontrati sui 12 campioni: 8 vini aventi un solo pesticida, 4 vini aventi 2 pesticidi.
– Media di mg/kg di residui riscontrati sui 12 campioni: 0,052 mg/kg (la normativa europea prevede in media un limite di 0,800 mg/kg)".


La notizia, se da una parte è da applaudire visto il bisogno di maggiore trasparenza che noi consumatori chiediamo di soddisfare, dall'altra non può lasciarmi del tutto indifferente perchè, nonostante la scarsa rilevanza statistica, il dato ci informa che il problema dei pesticidi nel vino, anche in Associazioni serie come questa, rimane. 

A freddo, mi vengono in mente due possibilità, entrambe disarmanti. La prima, tremenda ma possibile, è che tra questi produttori di vino c.d. naturali ci siamo degli impostori. Non sarebbe certo una novità, la moda richiama certe figure professionali camaleontiche.

La seconda possibilità, dolorosa, riguarda l'impossibilità da parte dei produttori di tenere pulite le loro vigne nonostante tutti gli sforzi. Se hai un vicino che lancia pesticidi con l'aereo, dico tanto per dire, difficilmente il tuo vigneto, magari in una giornata ventosa, non riceverà parte di quella merda.

Ovviamente, non ho la ricetta per risolvere il problema, come consumatore finale mi sono solo un pò tradito perchè non riesco ad essere tranquillo nemmeno in certi contesti. Vorrei essere maggiormente garantito, anche a livello giuridico, ma le fratture tra le varie Associazioni Naturali e l'incompetenza dei nostri politici non mi danno molto affidamento per il futuro.

Una richiesta, l'ultima: vorrei sapere quali sono i vini che hanno avuto questi problemi. Se li avessi in cantina saprei cosa farne...

P.S.: come previsto dalla Statuto di VinNatur, qualora si riscontrino residui di pesticidi all'interno dei vini di un associato per tre anni, questi verrà irreversibilmente allontanato dall'Associazione stessa.

L'Amarone della Valpolicella è salvo! Il Consorzio chiarisce gli equivoci...


Verona, 15 maggio 2013
 
“Nessun ampliamento della zona di produzione dell’Amarone e degli altri vini della Valpolicella,  nessuna apertura ad illegittime produzioni di pianura”: a dirlo Christian Marchesini, presidente del Consorzio Tutela Vini Valpolicella. La modifica al disciplinare di produzione proposta e approvata a larga maggioranza in assemblea dei soci il 10 maggio scorso, infatti, riguarda il comma 2 dell’articolo 4, mentre i confini della zona di produzione sono definiti nell’articolo 3 che mai nessuno ha pensato di cambiare.
 
Con la modifica adottata il Valpolicella, l’Amarone e il Recioto della Valpolicella docg continueranno ad essere prodotti esattamente dove vengono prodotti oggi; senza modifica circa 2/3 delle produzioni avrebbero corso il rischio di non essere più certificate.
 
Questo perché nella vecchia versione del comma 2 dell’articolo 4 si leggeva che “… sono da escludere, in ogni caso, ai fini dell’idoneità alla produzione …, i vigneti impiantati su terreni freschi, situati in pianura o nei fondovalle”. Quindi la modifica si è resa necessaria per correggere un vizio di forma del disciplinare, e per dare una maggior coerenza fra lo stesso e la fotografia reale dei vigneti da sempre esistenti in Valpolicella.
 
Finora la discrepanza, che era presente fin dal 1968 nel disciplinare di produzione dei vini Valpolicella dop, non era più che un refuso,  presente peraltro nei disciplinari di produzione di molti altri vini.
 
“La modifica al disciplinare, quindi – spiega Marchesini -, è stata deliberata all’unanimità dal Consiglio di Amministrazione perché necessaria per salvaguardare una situazione produttiva consolidata negli anni, ribadendo l’appartenenza di quelle aree alla zona di produzione riconosciuta. La maggiore vocazionalità, espressione di specifici terroir, è un’altra cosa, che dovrà essere discussa nel tavolo interprofessionale che è stato chiesto durante l’assemblea dei soci, e che vedrà la partecipazione di tutte le componenti della filiera, anche i piccoli produttori. Lì potrà essere fatta una discussione ampia, serena e ragionata sulla denominazione, che è patrimonio di tutti”.
 
“Allo stato attuale, tra l’altro – conclude il presidente del Consorzio - nessuno con onestà può negare che la qualità espressa dall’Amarone della Valpolicella nell’ultimo decennio è fortemente legata al territorio di origine nel suo insieme; merito di una vocazione diffusa di tutte le aree, ad una tradizione produttiva storicamente condivisa e alla riqualificazione dei vigneti portata avanti dai vitivinicoltori. Una situazione che ha avvantaggiato tutti, grandi e piccoli, famosi e non, sia dal punto di vista economico che d’immagine nel mondo”.
 
La modifica al comma 2 dell’articolo 4 di tutti i disciplinari di produzione delle quattro Doc/Docg non è stata l’unica approvata dall’assemblea dei soci. Periodicamente tutte le denominazioni vengono riviste per valutare incongruenze e obsolescenze frutto del passare del tempo o per introdurre elementi di attualità che le rendano adeguate ai nuovi contesti economici. In questa ottica, sono state introdotte sia altre modifiche al disciplinare dell’Amarone, sia variazioni a quelli del Valpolicella, del Ripasso della Valpolicella e del Recioto della Valpolicella docg.
 
Tra queste: l’introduzione della possibilità di utilizzare il tappo a vite per il Valpolicella Classico, Superiore e Valpantena, richiesto dai nuovi mercati e dagli stessi produttori; l’obbligo del 4° anno d’età del vigneto per poter produrre Amarone e Recioto della Valpolicella; la possibilità di procrastinare l’immissione al consumo dell’Amarone in casi eccezionali e limitatamente all’annata; la facoltà lasciata alle aziende di utilizzare nel Valpolicella Ripasso piccole percentuali di Amarone della Valpolicella a scopo migliorativo, salvo casi eccezionali in cui tale pratica si renda necessaria. 
 
 
Il Cda del Consorzio di Tutela Vini Valpolicella è costituito da Christian Marchesini, Daniele Accordini, Sergio Andreoli, Romano Dal Forno, Emilio Pedron, Marco Sartori, Lucio Furia, Luca Degani, Giannantonio Marconi, Giuseppe Nicolis, Vittorio Zardini, Luca Sartori, Bruno Trentini, Flavio Tezza, Dario Tommasi, Aleardo Ferrari, Maurizio Fumaneri, Franco Puntin.

L'Amarone della "pianura" della Valpolicella

In Toscana, zona di Montalcino, la battaglia ha come oggetto la quantità di sangiovese all'interno del disciplinare di produzione del Brunello. I puristi vogliono lasciare tutto così mentre i "progressisti" vogliono ampliare ad altri vitigni.
In Veneto, invece, la battaglia che vede distinti i nuovi guelfi e ghibellini del vino vede da oggi la distinzione tra viticoltori di collina contro quelli di pianura.


La notizia è di pochi giorni fa e ha fatto grande scalpore: il Consorzio lo scorso 10 maggio, a maggioranza e dopo un'accesa assemblea, ha modificato il vecchio disciplinare di produzione dell'Amarone, datato 1965, allargando la possibilità di produzione ANCHE alle uve provenienti da vigneti di pianura e fondovalle.

Le polemiche, ovviamente, non sono mancate. Quelle più motivate e sentite sono arrivate dall'Associazione delle Famiglie dell'Amarone d'Arte, che riunisce 12 produttori storici come Masi e Allegrini, la quale ritiene la modifica come di una sorta di condono tombale per chi purtroppo già pratica, indisturbato, una produzione mai consentita dal regolamento. La verità – sostiene Sandro Boscaini – è che, nonostante le nostre rivendicazioni, la politica di gestione non tiene più conto delle zone vocate e si adegua solo a minimi parametri di legge, a tutto svantaggio della riconoscibilità di uno dei vini simbolo del made in Italy nel mondo".

In sostanza, secondo l'Associazione, aver consentito di produrre Amarone anche da vigneti al di sotto dei 300 metri significa cambiare visione di lavoro passando da un approccio qualitativo, basato sulla vocazione del vigneto, ad uno quantitativo che vede il mercato come il principale obiettivo da soddisfare ad ogni costo.



La proposta, come riporta l'Arena, è stata rinviata al mittente visto che la maggioranza dell'Assemblea, che rappresenta l'80% della filiera, ha dato parere favorevole alla modifica del disciplinare che, secondo alcuni, non è altro che un atto formale con cui si mette in regola una pratica che già in tanti esercitavano.

In ogni caso, maggiori chiarimenti arriveranno dalla prossima conferenza del Consorzio che dovrebbe tenersi a giorni, forse oggi stesso.

In tale ambito una risposta adeguata se l'aspetta anche la Federazione Vignaioli Indipendenti della Valpolicella che, oltre ad aver chiedo un rinvio della votazione, chiede "delucidazioni sulla costituzionalità dell'articolo 16 dello Statuto del Consorzio su deleghe e voti, e che di fatto rischia di creare un "cartello" rendendo impossibile alle piccole cantine come le nostre di decidere del futuro delle nostre denominazioni."

La battaglia è solo all'inizio!



Lo Chenin Blanc della Loira alla corte dei TDC

Siamo a Gennaio e, forse, parlare di vini bianchi a qualcuno farà venire freddo ma, credetemi, possiamo fare un'eccezione per lo Chenin Blanc, uno dei grandi vitigni autoctoni francesi che in Italia, purtroppo, è ancora poco conosciuto.
Lo Chenin Blanc, vitigno originario dell'Angiò dove pare fosse coltivato già nel IX secolo, deve sicuramente il suo nome al lavoro di ricerca di Denis Briçonnet, abate di Cormery, che nel XV secolo nella proprietà di Mont-Chenin, sulle pendici dell’Echaudon, piantò alcune varietà di viti tra cui il Plant d’Anjou che ben presto si acclimatò con successo e che, verosimilmente, prese il nuovo nome di Chenin.
Oggi lo Chenin Blanc nella Loira è coltivato nelle zone di Anjou e Saumur e Touraine.
L’Anjou e Saumur hanno una AOC di ricaduta (Anjou), delle AOC territoriali come Coteaux-de-l’Aubance, Anjou Coteaux-de-la-Loire, Savenniéres, Coteaux-du-Layon, Saumur, Saumur-Champigny e tre AOC comunali (solo per vini dolci) denominate Bonnezeaux, Chaume e Quarts-de-Chaume.

Le denominazione Bonnezeaux e Quarts-de-Chaume sono famose per produrr grandi vini muffati grazie all'incontro dei fiumi Layon e Loira che creano le condizioni ideali per la formazioni delle nebbie propedeutice alla formazione della Botrytus.
Nella zona del Savennières, la più famosa per lo Chenin Blanc, si trovano i maggiori Cru: la Roche-aux-Moines e il Coulée-de-Serrant.
Piccola curiosità: la zona, geologicamente, vede suoli sono divisi in due categorie: “Anjou Noir” ovvero scisti e rocce primarie del Massicio armoricano e “Anjou Blanc” composto da rocce ricche di calcare. 

AOC Anjou e Saumur

La Touraine ha una AOC regionale Touraine divisa in nove AOC comunali: Bourgueil, Saint-Nicolas-de-Bourgueil, Chinon, Montlouis, Vouvray, Touraine-Azay-le-Ridéau, Touraine-Amboise, Touraine-Mesland, Touraine Noble Joué.
Zone di grande qualità per lo Chenin Blanc sono Vouvray e Montlouis
I suoli sono caratterizzati dalla presenza maggioritaria di tufo, con intrusioni di argilla, sabbia e talvolta silice.

AOC Touraine

Tornando a cose più "pratiche", assieme ad un nutrito gruppo di TDC abbiamo bevuto e, conseguentemente, scoperto le seguenti chicche:

Saumur Blanc Breeze 2001 - Clos Rougeard: iniziare la batteria con questi vino è un pò imparare a guidare una macchina partendo dalla Ferrari. Ha 13 anni ma non li dimostra, nè al colore che si mantiene vivissimo, nè all'olfattiva dove questo chenin blanc sembra appena svinato. Nettissima è la nota citrina, agrumata del vino a cui seguono i caratteristici aromi di mela, in questo caso grattata,  e acacia. Forse l'età viene tradita da una piccola sensazione di pasticceria ma si tratta di poco. Col tempo il vino si apre, muta, e diventa floreale, mettere il naso nel bicchiere significa entrare in un campo primaverile di fiori gialli. 
Al sorso il vino è teso, vibrante, ha tutta l'anima del vitigno e progredisce da manuale. Che volere di più?

Montlouis Les Choisilles 2010 2000 - François Chidaine: ci spostiamo a Vouvray ed in particolare nella piccola AOC Monlouis. Questo produttore, biodinamico dal 2003, coltiva solo chenin blanc con piante che vanno dai 40 agli 80 anni.  Questo vino, che non fa parte dei suoi Cru, ha un naso e uno stile che a qualcuno di noi ha ricordato quello di Gravner, sembra un vecchio Collio macerato con le classiche sensazioni di miele, castagna, camomilla. Questo naso "grasso" e un pò stanco si scontra con una bocca totalmente diversa, il sorso è acido, affilato, minerale.


Vouvray sec Clos Naudin 1998 - Philippe Foreau: sempre nella zona di Vouvray troviamo questp importante produttore che ha uno stile molto puro e scarsamente interventista. Naso intrigante e ancora giovanile, la purezza del frutto si intreccia con una fervida mineralità che a tratti si trasforma in salinità. Il tempo fa uscire una strana mediterraneità nel bicchiere visto che percepisco il cappero e l'oliva. Il miele esce col tempo. Al sorso il vino è leggermente seduto ma rimane comunque minerale ed ampio. Bella la persistenza finale.


Savennieres Coulee de Serrant 1989 - Nicolas Joly: ohhhhhhhh Joly, tutti ad aspettare il vino di questo importante produttore biodinamico e..............il vino è talmente strano ed evoluto che tanti decidono di dargli un bel NG. Non giudicabile da chi lo ha bevuto spesso e pensa che questo chenin blanc possa dare molto di più. Ok, ma come era sto vino? Colore oro quasi ambrato, naso tostato, caffettoso, qualcuno ha esordito dicendo che era un ottimo Caffè Borghetti. Col tempo evolve, sa di pan di zenzero, caramella d'orzo, futta secca per arrivare ad sentori da whisky torbato. Bocca leggermente slegata ma bella piena a compressa. Bottiglia sfigata? Boh, non so, dicono di sì e mi fido.

Foto: Andrea Federici
  
Saumur blanc L'Insolite 2009 - Domaine des Roches Neuves: Thierry Germain, giovane vignaiolo bordolese trapiantato in Loira dal 1991, conduce la sua azienda con metodi biodinamici. L'Insolite nasce da un piccolo vigneto di chenin blanc di circa 75 anni. L'uva trasportata in cantina subisce una fermentazione in botti di legno da 400 e 250 litri, un terzo di un anno e due terzi di due anni. Segue affinamento in botti grandi da 1200 litri per circa un anno. Il vino, a dire il vero, non mi ha entusiasmato moltissimo, ha grande verticalità, è acido e agrumato, teso, affilato ma, forse, un pò troppo monocorde. Sicuramente è giovanissimo, aspetteremo!

Foto: Andrea Federici

Lo spumante contro l'Alzheimer? Speriamo! Nel frattempo faccio scorta.....


Bellissimo!! Forse, se fosse vero, è l'unica malattia alla quale potrei scampare!!! 

Grattatio pallorum fugatio malorum

Buone notizie per gli amanti delle bollicine: i vini spumanti e lo Champagne, se bevuti regolarmente, pare possano migliorare la memoria spaziale, scongiurare l’insorgere di demenza, o deficit cognitivo, e l’Alzheimer.


Questo quanto suggerito da uno studio pubblicato sulla rivista Antioxidants & Redox Signaling e condotto dei ricercatori britannici dell’Università di Reading: Giulia Corona, Jeremy Spencer, David Vauzour, Justine Hercelin e Claire M. Williams.
Corona e colleghi hanno scoperto che un composto presente nelle uve a bacca nera, come il Pinot Nero e Pinot Meunier, è attivo nel contrastare i disturbi del cervello. Queste uve – in particolare il Pinot Nero – sono utilizzate nella produzione di Spumante e Champagne.


«La demenza – spiega il prof. Spencer nella nota Reading – probabilmente inizia intorno ai quarant'anni, prosegue verso gli ottant'anni. Si tratta di un declino graduale, per cui più precocemente si assumono questi composti contenuti nello Champagne, meglio è».

Il merito di questi effetti benefici sul cervello e la memoria sarebbe dovuto a una sostanza antiossidante chiamata acido fenolico.
Gli antiossidanti – come i polifenoli – contenuti nelle uve avevano mostrato in un precedente studio del team di Reading di essere attive nel ridurre l’azione nociva dei radicali liberi e contro l’ossidazione del corpo.

Il recente studio è stato condotto su modello animale, e ha mostrato che l’acido fenolico ha migliorato in modo significativo la memoria spaziale nei topi. I test, condotti dopo aver somministrato nella dieta lo Champagne, hanno rivelato che i topi invecchiati ricordavano l’ubicazione del cibo all’interno di un labirinto in due momenti diversi.
Quando invece non erano presenti le uve nella dieta le cose andavano diversamente.

Con l’apporto dello Champagne, prima dei test, i topi avevano un tasso di successo del 70 per cento nel ricordare dove si trovava il cibo nascosto nel labirinto; senza l’apporto dello Champagne, il successo era del 50 per cento.
L’azione sulla memoria spaziale era dunque significativa, per i ricercatori, i quali ipotizzano che se nei topi tutto questo si è verificato dopo 6 settimane di somminstrazione dello Champagne, per ottenere gli stessi risultati nell’uomo ci vorrebbero circa tre anni.

Il prossimo passo dei ricercatori sarà quello di condurre uno studio clinico sull’uomo, coinvolgendo persone in età pensionabile per osservare gli effetti del vino sulla memoria spaziale e la prevenzione della demenza.
Nel frattempo, ricordando che l’alcol è comunque una sostanza da assumere con moderazione, possiamo brindare alla salute mentale non solo nelle occasioni di festa, ma anche nei giorni normali.

Fonte: LA STAMPA

Les vins de Sancerre...pour moi

Nonononononoo, non aspettatevi un articolo in francese perchè tutte le mie conoscenze sulla lingua sono state espresse nel titolo di questo post che, oggi, vuole tributare tutti gli onori ad una delle zone "bianchiste" più importanti del mondo: Sancerre!


Ci troviamo a duecento km a sud di Parigi, sulle colline della Loira ma, a differenza della scorsa volta dove ho parlato dello Chenin Blanc coltivato nella zona dell'Anjou-Saumur e di Touraine, oggi vorrei approfondire un altro vitigno storico della zona, il Sauvignon Blanc che, a detta di moltissimi appassionati, viene molto bene all'interno dell'AOC Sancerre istituita nel 1936!



Attualmente l'AOC Sancerre si estende per oltre 2700 ettari all'interno di 14 comuni del dipartimento del Cher. I vigneti, situati sulla riva destra della Loira, hanno un'altezza che varia tra i 200 e i 400 metri s.l.m. e sono piantati su terreni che, dal punti di vista geologico, si dividono:
  • Terres Blanches: terreni ricchi di calcare ed argilla. La caratteristica di questo terroir è quella di rallentare la maturazione dell’uva con la conseguente possibilità di vendemmie tardive. I vini hanno una evoluzione lenta, subito sono un poco nervosi e necessitano di almeno un anno di maturazione. Gli aromi sono floreali e fruttati e solo leggermente vegetali. In bocca sono rotondi di corpo, molto fini ed equilibrati. Reggono un grande invecchiamento;
  • Les Griottessuolo calcare tenero, su questo terreno troviamo La Côte des Monts Damnés, l’appellation più conosciuta e i suoi vini prodotti solo da una dozzina di produttori sui quattrocento dell’area sono difficilissimi da reperire. Vini di grande personalità richiedono pazienza perché riescono a esprimersi solo dopo parecchi anni. Equilibrati e rotondi offrono una gamma olfattiva in continuo divenire;
  • Les Caillottes: suolo calcareo composto di pietre.  I vini di questa zona sono molto aromatici con sentori di bosso e di agrumi e sono subito pronti al consumo.
  • Silicio terreno più giovane, situato nelle zone più vicine alla riva della Loira, è un suolo pietroso comunemente chiamato "cailloux. Su questo terreno che ha una grande capacità ad accumulare il calore, le uve maturano molto in fretta. Gli aromi sono su note speziate molto forti nel primo periodo e spesso si riscontra un eccesso di durezza. Dopo un periodo di invecchiamento i vini si aprono ed esprimono in pieno la loro potenza. Reggono bene l’invecchiamento.
Les Caillottes
Terres Blanches
Les Griottes
Silex
Assieme al gruppo TDC, sì sempre lui, abbiamo cercato di approfondire il discorso sui principali produttori di Sancerre. Ovvio, è solo l'inizio di un lungo percorso conoscitivo.

La Grande Côte 2001 - Pascal Cotat: la Grande Côte è uno dei due Cru di Cotat (l'altro è il  Mont Damnèe) ed è composto da una vigna di circa 60 anni di età piantata all'interno del terroit di Chavignol. Pascal Cotat è un produttore tradizionale, vinifica con lieviti autoctoni in botte di rovere vecchie. Nientre filtrazione, niente barbatrucchi, solo pura espressione del terroir che dopo oltre un decennio dà vita ad un vino dal profilo ancora giovanile con la sua nota di mela grattata, pompelmo, erbe fresche e ficcante mineralità. Sorso tridimensionale, elegante, lunghissimo su note citrine. Grande vino senza se e senza ma.


Les Monts Damnes 2000 - Francois Cotat: l'altro Cru della famiglia Cotat, una vigna piantata su Terres Blanches all'interno delle "montagne dannate", colline talmente ripide e difficoltose che la vendemmia rappresenta sempre una sfida entusiasmante. Il vino, come al solito, ha una durezza di fondo che non lascia scampo a chi cerca in questo sauvignon ritratti da gentildonna. Ha un naso che somiglia all'odore dell'asfalto di estate, è idrocarburico, duro e asettico come il calcare che si trova nel suolo della collina da cui nasce. Bocca di grande freschezza e dinamicità, è ancora giovane, si tenderà ancora per anni. Granitico.

Clos la Neore 1997 - Edmond Vatan: da uno dei grandi vignaioli di Sancerre nasce un vino intramontabile e mitico, apparentemente semplice come la bottiglia da cui sgorga. Ha complessità da vendere, il naso cambia ogni dieci minuti, può prendere la forma del fieno bagnato, del limone, del tiglio, dell'acacia, dell'erba di campo. Rispetto a Cotat noto una maggiore rotondità, l'acidità e l'anima minerale sono meno taglienti e più inglobate nella struttura che rimane imponente ma al tempo lineare e proporzionata. Grande vino da un grande uomo che dovrò sbrigarmi a conoscere.


Generation XIX 2000 - Alphonse Mellot: la famiglia Mellot produce e commercia vino a Sancerre da oltre cinqucento anni e questa cuvée, Generation XIX, ci ricorda che Alphonse, attualmente, rappresenta la diciannovesima generazione della famiglia. Questo vino nasce da una vigna di circa un ettaro di quasi 90 anni piantata su terreno di tipo "caillottes". Rispetto ai colleghi precedenti questo sauvignon blanc è più facile, è un bel cesto di frutta gialla che aspetta di esser bevuta. Bocca esile che finisce troppo presto. Lasciato nel bicchiere per oltre due ore il vino comincia a trasformarsi, almeno nell'odore, ad un whisky torbato. Scendiamo di livello, senza dubbio.

Les Romains 2006 - Domaine Vacheron: biodinamici dal 2005 (certificazione BIODYVIN ), si caratterizzano per il fatto che i loro vini sono espressione dei vari tipi di terreni presenti nell'AOC Sancerre. Al naso sfilano sensazioni di pera, marmellata di limoni ed una certa "fumosità" che dà al vino carattere e spessore. In bocca è caldo, maturo, sapido, è sicuramente ottimo ma, rispetto al Sancerre di Cotan e Vatan, come nel caso precedente, il vino sembra avere qualcosa in meno in termini di emozione. Il progetto è comunque interessante e sono curioso di degustare le nuove annate del Domaine.


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Prosecco contro Prosek. Dopo il Tocai perderemo anche questa battaglia?

Interessante questo articolo a firma Francesco Tortora uscito sul Corriere della Sera. 

E' il primo banco di prova per il nostro ministro De Girolamo?

Il prossimo 1 luglio la Croazia entrerà nell'Unione Europea diventando ufficialmente il ventottesimo Stato membro. Tuttavia sembra che per festeggiare l'evento i cittadini del paese balcanico non potranno brindare con una delle loro bevande più tradizionale, il Prosek. Secondo le norme dell'Ue il nome di questo vino è troppo simile a quello del Prosecco italiano e non può essere venduto nei confini continentali. Da parte loro i viticoltori croati non ci stanno e promettono battaglia per difendere uno dei loro prodotti più antichi.

DIFFERENZE - L'ironia di questa vicenda che divide per l'ennesima volta l'Italia e la Croazia è che le due bevande sono completamente diverse. Il Prosek croato è un vino dolce da dessert, mentre il Prosecco italiano, come ben sanno i produttori veneti e friulani, è un vino bianco, simile allo champagne. Nonostante le grandi differenze, il vino italiano è un prodotto a Denominazione di origine controllata e secondo la normativa europea il nome Prosecco può essere utilizzato solo per quei vini le cui viti sono coltivate in Veneto e Friuli Venezia-Giulia.


BATTAGLIA LEGALE - La Croazia ha negoziato per otto anni il suo ingresso nell'Unione Europea, ma i politici del paese balcanico hanno fatto ben poco per registrare alcuni dei loro prodotti tipici. La vittima principale è proprio il Prosek, che salvo retromarce improvvise dell'Ue, dovrà cambiare nome se vuole restare sul mercato continentale: «Se vogliono la guerra del vino, la otterranno - spiega Andro Tomic, uno dei maggiori produttori vinicoli croati - Abbiamo avuto tanto tempo e avremmo potuto fare molto di più per tutelare i nostri prodotti, ma il ministero non ci ha consultati». L'imprenditore che produce il suo vino principalmente a Jelsa, sull'isola meridionale di Hvar, afferma che i viticoltori croati sono pronti a rivolgersi a un tribunale continentale per far valere i propri diritti: «Il Prosek è prodotto nelle nostre terre da oltre 2.000 anni ed è nato molto prima dello Stato italiano. Prosek è semplicemente una parte della nostra tradizione. E' come se ci dicessero che vogliono una parte del nostro mare».

IL PUNTO DI VISTA ITALIANO - Sulla diatriba che divide Italia e Croazia, ha fatto sentire la sua voce anche il Presidente della regione Veneto Luca Zaia, che nella scorsa legislatura è stato anche Ministro delle politiche agricole e alimentari. Il mese scorso, durante una visita a Vinitaly, l'esponente leghista è stato netto: «La Croazia a luglio vuole entrare in Europa e se vuole entrarci deve farlo con le regole europee. Noi vogliamo la Croazia in Europa, vogliamo che gli istriani che sono nostri fratelli di sangue continuino nella sfida dell'Euroregione con Carinzia, Friuli Venezia Giulia, Slovenia e Veneto; però la Croazia deve rinunciare all'utilizzo del nome «Prosek», perché altrimenti saremo noi a fare ricorso contro questa cosa».