Due belle trattorie da scoprire se passate in Lunigiana!


di Lorenzo Colombo

La Lunigiana è una regione storicamente divisa tra Emilia, Toscana e Liguria, dopo l’unità d’Italia e la creazione delle varie province il suo territorio è stato un poco smembrato ed attualmente per Lunigiana s’intende l’insieme di alcuni comuni situati lungo il corso del fiume Magra, suddivisi tra le province di La Spezia e di Massa Carrara.

Dal punto di vista gastronomico le preparazioni più conosciute sono gli Sgabei, pasta lievitata (la stessa del pane), tagliata a strisce e fritta in olio d’oliva, che vengono solitamente abbinate a salumi vari ed utilizzati come antipasti, famosi inoltre sono i Panigacci ed i Testaroli.

In realtà tra i due non è ci si sia molta differenza, si tratta sempre di un impasto simile, ovvero una pastella di farina, acqua e sale, leggermente più densa per quanto riguarda i Panigacci, per entrambi la cottura di questa pastella avviene in testi, di ghisa o terracotta. Ciò che cambia è l’utilizzo, infatti i testaroli, che si ottengono tagliandi in quadrati di circa 4 centimetri di lato il disco cotto, vengono bolliti per pochi minuti in acqua e quindi conditi in genere con pesto di basilico, ma anche con altri sughi, mentre i Panigazzi vengono in genere serviti caldi (sembrano delle piccole piadine) accompagnati da salumi o formaggi.


Ma veniamo ai nostri locali: sei giorni in Lunigiana e sei trattorie visitate, in tutte abbiamo mangiato più che bene, assaggiando a volte diverse versioni degli stessi piatti, qui andiamo a riferire dei due luoghi dove ci siamo trovati meglio, sia per quanto riguarda l’accoglienza, ma soprattutto per quanto riguarda il cibo e non ultimo il prezzo pagato.

Il primo locale è Da Fiorella, situato a Nicola, frazione di Luni, in provincia di La Spezia. Situato a 180 metri d’altitudine, ci si arriva affrontando alcuni tornanti dopo aver lasciato l’Aurelia in prossimità del sito archeologico di Luni. Ci siamo stati domenica 12 luglio a pranzo. Visto dal di fuori non è che ci abbia fatto una grande impressione, le cose però cambiano appena entrati Un’ampia sala luminosa arredata in maniera moderna, con ampie finestre che spaziano sulla Val di Magra, sino al mare. I numerosi ed interessanti piatti in carta ci costringono ad una non facile scelta, optiamo quindi per un Antipasto misto, composto da torta di verdure, torta di riso e cipolla, caponata, polenta incatenata e verza ripiena e per un Gatzpacho e vaporata di mare. Buonissimo quest’ultimo piatto, anche se ce lo immaginavamo diverso.

Antipasto misto

Tra i primi piatti scegliamo il Bis di Panigacci (con olio e parmigiano e con pesto fatto in casa), Pappardelle all’amatriciana di polpo e pecorino e Tagliolini cacio pepe e cozze. I Panigacci sono dei pani non lievitati a forma di cerchio (ricordano nella forma la piadina) cotti a fuoco vivo in un testo di terracotta, gli ingredienti sono semplicemente farina, acqua e sale. Vengono poi serviti con varie pietanze, soprattutto salumi e formaggi, ma anche in maniera più semplice, ma non meno gustosa, come nella versione assaggiata da Fiorella.

Panigacci

Difficile la scelta anche per quanto riguarda i secondi piatti, alla fine decidiamo per dei gustosissimi Muscoli di Spezia ripieni e, mentre chi è più tradizionalista opta pe Filetto di manzo e Chips di patatine fritte.

I muscoli!

Un gelato alla crema e due caffè chiudono il nostro pasto che è stato innaffiato con un Trento Doc “Salísa” Millesimato 2016 di Villa Corniole e, per bere locale, un Vermentino “Vigne Basse” 2019 di Terenzuola, vini scelti in un’ampia carta che comprende sia vini locali che di altre regioni, il tutto con ricarichi più che onesti. 


Notevole la soddisfazione, sia per quanto riguarda il palato come pure per il portafoglio.


Il secondo locale di cui andiamo a scrivere, si trova invece a Fosdinovo, in provincia di Massa Carrara, proprio ai piedi del Castello Malaspina, si tratta del castello più grande e meglio conservato di tutta la Lunigiana, famoso per aver ospitato tra gli altri anche Dante Alighieri.


Ma torniamo al nostro locale, ovvero la Trattoria Quinta Terra, una sala a volte in pietra e pochi tavoli all’esterno ci accolgono mercoledì sera, 15 luglio, all’interno i tavoli sono ben distanziati, il menù si trova su un paio di lavagne, c’è pure il QR Code per scaricarlo, come può essere scaricata la carta dei vini.
Delicato il Flan di cavolfiore con salsa al gorgonzola che scegliamo tra gli antipasti; proseguiamo poi con i primi piatti, ovvero Orecchiette, cozze, pecorino e cannellini e Zuppa di farro con calamari al rosmarino.
Entrambi piatti assai deliziosi e saporiti.

Orecchiette, cozze, pecorino e cannellini

Tra i secondi piatti tortino di acciughe, melanzane, pomodoro e mozzarella e baccalà alla ligure gratinato al forno. Il tutto innaffiato da Breganze Vespaiolo Doc “Angarano Bianco” 2018, di Villa Angarano, un vino che con la sua acidità s’è sposa più che bene con i piatti scelti. 


Non molte le etichette nella carta dei vini caratterizzata da un ricarico onesto, l’azienda ha anche una propria produzione, abbiamo assaggiato per curiosità il loro Vermentino “Tziveta” trovandolo molto interessante. Conto finale onestissimo, con notevole rapporto qualità/prezzo.


The Court, il mio Cocktail Bar a Roma con esclusiva vista Colosseo

Drink con vista al The Court, l'esclusivo cocktail bar di Palazzo Manfredi aperto 7 giorni su 7, dalle prime luci del tramonto alle 2 del mattino. A quasi un anno dalla sua inaugurazione, sono diverse le novità che verranno svelate in occasione della riapertura ufficiale della location con meravigliosa vista Colosseo. Dietro l'inconfondibile bancone di marmo lungo 7,5 metri c'è sempre Matteo Zed, bartender di fama internazionale che proprio nel 2019 ha consacrato il suo successo con l'uscita della pubblicazione “Il grande libro dell'Amaro Italiano”, un appassionante itinerario made in Italy che ha riprodotto anche nella nuova drink list di The Court.


In un ambiente completamente sanificato in cui le sedute rispettano il distanziamento sociale, le necessarie misure di sicurezza non hanno in alcun modo impattato sulla raffinata eleganza e magica atmosfera del luogo. Ci sarà un ingresso dedicato differente da quello di uscita, per godere anche quest'anno di una delle viste più esclusive al mondo, l'Anfiteatro Flavio, sorseggiando uno dei cocktail della rinnovata carta firmata a cura di Zed. Oltre alle classiche sedute che assicurano privacy e intimità, c'è la proposta al bancone da cui si potrà ordinare dietro una protezione in plexiglass, attraverso cui osservare ogni passaggio della preparazione del proprio cocktail.

Il bar program offre grandi novità agli ospiti del The Court, come l'originale cocktail list a base di drink sorprendenti, preparati attraverso tecniche di ri-distillazione, fermentazione, chiarificazione ed estrazioni inedite in fat-washing. Tra i signature l’Expression Martini, un espresso Martini totalmente trasparente guarnito in modo minimale attraverso una foglia d’argento ed un chicco di caffè, oppure il Methamorphosis Negroni, un ri-distillato che mentre viene sorseggiato torna magicamente alla sua forma originale grazie allo scioglimento delle materie residue alla distillazione, racchiuse in uno skull di ghiaccio posto al suo interno. Sorprendente e gustoso anche l’Amaretto Colada, il famoso Amaretto di Saschiria, non del classico colore; la miscela viene accompagnata da un Cordial all’ananas, rum invecchiato e una soda all’acqua di cocco.


Non mancano Forgotten e Unforgattable Classic che insieme agli Evergreen e agli Intoccabili hanno accompagnato la brillante carriera di Matteo. Il Purple Sea è uno di quelli che lascia il segno: a base di Gin, Blu Tea e uno sciroppo di Fiori o lo spettacolare Golden Mai Tai con due Rum differenti e uno sciroppo tropicale preparato secondo un’antica ricetta. Ad Oriente guarda, invece, il Rising Sun, un omaggio al Giappone creato con Matcha Tea, miele e succo di yuzu per finire con lo Spicy Paloma, quest’ultimo un classico base tequila miscelato con il nuovo amaro al peperoncino di casa Caffo, il Vecchio Amaro del Capo Red Hot Edition, succo fresco di lime e pompelmo rosa e infine soda al medesimo flavor. Grande attenzione dedicata anche ai cocktail alcohol free, ispirati a viaggi tra le bellissime terre nel mondo.

Il The Court si rivela luogo privilegiato per gli amanti dell'alta miscelazione non solo per l’aperitivo ma anche l’after-dinner da assaporare immersi in un’atmosfera incantevole con vista mozzafiato. Altra novità è “In Suite Liquid Experience”, un’esperienza unica ed autentica che offre la possibilità di degustare magnifici cocktails (e non solo..) in un’altra location esclusiva, quale la terrazza della Grand View Gallery Suite di Palazzo Manfredi con servizio dedicato a due persone per 90 minuti di open bar a soli 120 euro.


Caratteristica di tutte le proprietà del Gruppo, incluso il The Court, è “The View” ossia la vista. Fanno parte della Manfredi Fine Hotels Collection (www.manfredihotels.com), di proprietà dei conti Goffredo e Leonardo Ceglia Manfredi, Palazzo Manfredi Small Luxury Hotel a Roma con il suo ristorante stellato Aroma sul RoofTop Una Stella Michelin proprio difronte al Colosseo, Punta Tragara Small Luxury Hotel, Le Monzù e Mammà Restaurants entrambi Una Stella Michelin a Capri. Altra novità sono gli appartamenti nel centro storico della capitale e il nuovo Palm Suite Manfredi. Una realtà imprenditoriale con radici antiche, che si distingue come brand d’eccellenza nell’arte dell’ospitalità e dell’accoglienza italiana.

The Court
c/o Palazzo Manfredi Small Luxury Hotel
Via Labicana 125 - 00184 Roma
Tel. 06 69354581
Aperto tutti i giorni dalle 18.00 alle 2.00


Il World’s Best Vineyards 2020 e i suoi vincitori!

di Chiara Giorleo

Il World’s Best Vineyards è il concorso intercontinentale organizzato dalla William Reed a Londra che premia le migliori 50 destinazioni al mondo rispetto all’offerta enoturistica. Siamo alla seconda edizione e la tanto attesa Top 50 è stata finalmente svelata nel corso di una cerimonia virtuale tenutasi su YouTube lunedì 13 luglio.

Conquista la prima posizione, per il secondo anno consecutivo, Zuccardi Valle de Uco (Argentina) che si aggiudica anche il premio di migliore destinazione del Sud America. Resta invariato anche il secondo posto con Bodega Garzón (Uruguay), mentre al terzo posto si posiziona Domäne Wachau (Austria) che si assicura, così, anche il premio di migliore destinazione in Europa.
L’Italia ha guadagnato 3 posizioni con aziende ben note al pubblico internazionale: Gaja (Piemonte) al 36esimo posto, Ceretto (Piemonte) al 21esimo e Antinori nel Chianti Classico (Toscana) che balza dal 18esimo posto dello scorso anno nella top 10: al nono posto. Aziende di prestigio che, ancora una volta, raccontano il brand Italia nel mondo.


La Top 50 del 2020 include, per la prima volta, vincitori in India, Bulgaria e Giappone.
Ulteriori premi di rilievo sono i seguenti: Robert Mondavi Winery in Napa, California (5° e Migliore destinazione in Nord America); Rippon in Nuova Zelanda (13° e Migliore destinazione in Australasia); Delaire Graff Estate in South Africa (14° e Migliore destinazione in Africa). Château Mercian Mariko Winery rappresenta il primo ingresso in classifica per il Giappone (30° e Migliore destinazione in Asia).

L’edizione 2020 è stata organizzata in partnership con Sonoma County Winegrowers. Durante la premiazione del concorso sia Andrew Reed, il fondatore, sia la presidente della Sonoma County Winegrowers, Karissa Kruse, hanno sottolineato quanto siano stati colpiti “dalla capacità di adattamento delle aziende vitivinicole alla situazione corrente”. Ed ecco che, proprio in questo strano momento, un’iniziativa come questa assume un valore ulteriormente stimolante e, ci si augura, di supporto.
Come responsabile del panel Italia non posso che testimoniare il prestigio di una competizione di tale portata. L’augurio è che possa crescere sempre più al fine di esaltare quella diversità che ciascun Paese e ciascuna singola realtà sono in grado di sviluppare anche grazie al confronto internazionale.

Antinori nel Chianti Classico

Ecco la classifica completa:

1 The World’s Best Vineyard & The Best Vineyard in South America: Zuccardi Valle de Uco (Argentina)          
2 Bodega Garzón (Uruguay)
3 & The Best Vineyard in Europe: Domäne Wachau (Austria)
4 Montes (Chile)
5 & The Best Vineyard in North America: Robert Mondavi Winery (United States)
6 Bodegas de los Herederos del Marqués de Riscal (Spain)
7 Château Smith Haut Lafitte (France)
8 Quinta do Crasto (Portugal)
9 Antinori nel Chianti Classico   (Italy)
10 VIK Winery (Chile)
11 Catena Zapata (Argentina)
12 Fürst von Metternich- Winneburg’sche Domäne Schloss Johannisberg (Germany)
13 & The Best Vineyard in Australasia: Rippon (New Zealand)
14 & The Best Vineyard in Africa: Delaire Graff Estate (South Africa)
15 Weingut Dr. Loosen  (Germany)
16 Ridge Vineyards Monte Bello (United States)
17 Craggy Range (New Zealand)
18 González Byass – Bodega Tio Pepe (Spain)
19 Château Pichon Baron (France)
20 Opus One Winery (United States)
21 Ceretto (Italy)
22 CHÂTEAU MARGAUX (France)
23 Bodegas Salentein (Argentina)
24 Penfolds Magill Estate (Australia)
25 Henschke (Australia)
26 Bodega Bouza (Uruguay)
27 Clos Apalta (Chile)
28 Champagne Taittinger (France)
29 Champagne Billecart-Salmon (France)
30 & The Best Vineyard in Asia: Château Mercian Mariko Winery (Japan)
31 Château d’Yquem (France)
32 Bodegas RE (Chile)
33 Château Mouton Rothschild (France)
34 d’Arenberg   Australia
35 Viña Errázuriz (Chile)
36 GAJA (Italy)
37 DOMAINE SIGALAS SA (Greece)
38 Château Oumsiyat (Lebanon)
39 Wine Cellar Villa Melnik (Bulgaria)
40 Viña Casas del Bosque (Chile)
41 BODEGAS VIVANCO (Spain)
42 Familia Torres (Spain)
43 VIU MANENT (Chile)
44 Maison Ruinart (France)
45 Domaine Marcel Deiss (France)
46 KRSMA Estates (India)
47 Stag’s Leap Wine Cellars (United States)
48 Château Heritage (Lebanon)
49 Quinta do Noval (Portugal)
50 Trapiche (Argentina)

Per ulteriori dettagli: www.worldsbestvineyards.com

Pardi - Montefalco Rosso Riserva DOC 2016

di Stefano Tesi

E’ da pazzi bersi un rosso strutturato, e per di più di Montefalco, quando fuori ci sono 35°? 


No, se è servito alla giusta temperatura e se, come questo, al naso caldo e traboccante di note di ciliegia sovramatura si somma un palato lungo e ampio ma composto, gradevole, quasi severo.

Butussi, qualcosa di buono dai Colli Orientali del Friuli!

Durante i difficili giorni del lockdown ho avuto l’opportunità di assaggiare con calma parecchi campioni dei vini più disparati. Difficile, in effetti, trovare circostanze più favorevoli per una degustazione: forzata tranquillità ed isolamento, pochi telefoni e campanelli che suonano, minime distrazioni e incombenze.
La pace forzata indotta dal virus mi ha consentito insomma di mettere a frutto e a fuoco, con la massima concentrazione, molte cose.

Eppure mancava spesso qualcosa.

Ci ho pensato su a lungo e alla fine ho presto scoperto che cosa: mancava la gioia di individuare belle bottiglie e, conclusa la parte tecnica della seduta, di potersele godere in compagnia, di bersele tutte, in definitiva di far fare al vino la parte del vino.
Allora, in attesa di tempi migliori, ho esso da parte le bocce che, assaggiate con cura solitaria, mi sarebbe piaciuto però riassaggiare in compagnia, in un contesto cioè a metà strada tra il confronto coi colleghi e la bevuta tra amici.
Detto fatto: appunti buttati e note riprese da capo col metodo “simposiale”.


Cominciamo la rassegna con due gran belle etichette di un produttore storico dei Colli Orientali del Friuli, l’ultracentenaria Valentino Butussi, oggi guidata dal figlio Angelo e dai nipoti Filippo, Tobia, Matia e la sorella Erika. Eccole.

La Famiglia Butissi - credit: Cronache di Gusto

Valentino Butussi, Sauvignon Blanc “Genesis” 2018, Colli Orientali del Friuli DOC

Appena 1.275 bottiglie da una particella-cru di soli seimila metri con una vigna (biologica, come tutta l’azienda) di trent’anni sopra. Frutto di uno dei tanti esperimenti condotti negli anni e imbottigliato secondo il calendario lunare è un vino che di liscio ha solo il colore, d’un elegante paglierino. Al naso è invece esplosivo e intenso, che rilascia a ondate, in sequenza, ma senza sbavature né imprecisioni, note di pesca e di frutta a polpa bianca, biancospino, un accenno finale di buccia interna di agrumi. Al palato è sapido e lunghissimo, pulito, con una coda piacevolmente amarognola che invita alla ribeva. Elegante ma godibile. Amici contenti.


Valentino Butussi, Pinot Grigio Ramato 2018, Colli Orientali del Friuli DOC

Quella del ramato sarebbe una storia tutta da raccontare, anche per far capire meglio il “senso” di questo vitigno che nasce né bianco e né rosso e quindi si presta a molteplici interpretazioni. La meno diffusa, commercialmente meno redditizia ma senza dubbio più affascinante è quella adottata per produrre questo vino: il 25% dell’uva viene vinificata in bianco, mentre il 40% viene messo a macerare 36 ore, per estrarre la componente rosata; il restante 35% viene pigiato, raffreddata e lasciato anch’esso a macerare. Il macerato viene torchiato in modo soffice e il mosto messo a fermentare in botti tradizionali. Un mese prima dell’imbottigliamento le tre diverse vinificazioni vengono riunite.
Ne risulta un vino dal colore singolare, che definirei rosa antichissimo. Al naso è netto, diretto, con richiami alla polpa della frutta appena affettata e variegate note floreali in appassimento. In bocca è secco e deciso, verticale, con una prolungata nouance amara e bella persistenza. Col polpo grigliato è finito subito.

Colli di Lapio - Fiano di Avellino DOCG 2010

Ha riposato davvero a lungo in cantina, dieci anni. E avrebbe potuto restarci per almeno altri dieci tanto è uscita viva, profumata, energica, questa magnum stappata per una occasione speciale.


Frutta piena, toni fumé, chiusura piacevolmente amarognola, beva tonica e fresca. La conferma, ormai non più necessaria, della straordinaria longevità di questa uva bianca.

Terre del Principe - Le Serole Pallagrello Bianco 2015


La stragrande maggioranza dei bianchi è pensata per essere stappata nell'arco di un anno, massimo due. Nonostante questo, la maggioranza dei vini bianchi italiani presenta straordinarie evoluzioni nel tempo a cui pochi, pochissimi produttori si sono dedicati con cura e con passione, soprattutto nell'areale del Verdicchio e del Fiano di Avellino.
Gli esempi sono innumerevoli, potremmo citare un incredibile Priè Blanc 2008 bevuto di recente, o un Efeso di Librandi da uve mantonico, o un grecanico di Cantina Marilina 2006 provato in Sicilia, e ancora tanti, tanti vini in tutte le regioni. Un altro esempio, calzante, è sicuramente questo Pallagrello Bianco pensato da Luigi Moio per Terre del Principe, l'azienda fondata nel 2003 da Manuela Piancastelli e Peppe Mancini. 

credit: ima festival

Giornalista lei, avvocato lui, si incrociano nell'Alto Casertano nella vecchia azienda familiare di lui e iniziano un'avventura straordinaria, raccontata mille volte ma sempre bella da ripetere: con Moio avviano il rilancio di tre uve sino a quel momento praticamente sconosciute ovvero casavecchia, pallagrello nero e pallagrello bianco, spesso confuse dai contadini e dagli stessi produttori di zona rispettivamente con l'aglianico e la coda di volpe, altro bianco campano diffuso lungo la dorsale appenninica.


Nasce una avventura straordinaria che porta alla fondazione di questa azienda, ben presto seguita da altre, che punta alla valorizzazione di un territorio puro e libero nel nord della Campania, ricco di biodiversità e di personaggi che lo hanno fatto grande.
Le Serole è uno dei due bianchi aziendali, quello affinato in barrique. L'altro, lavorato in acciaio, è il Fontanavigna. Nel corso degli anni il protocollo de Le Serole cambia sino alla decisione di farlo uscire con un anno di ritardo rispetto alla vendemmia e riducendo l'influenza del legno che, comunque, a nostro giudizio, ha regalato grandi bianchi da meditazione nel primo decennio di questo vino.

Cantina di affinamento

Le Serole resta la migliore espressione mai raggiunta da questa uve figlia di un Bacco minore come si diceva qualche anno fa per i vini ottenuti da uve poco conosciute. Una assoluta verità del territorio di cui è figlio, con vini che riescono ad evolvere in maniera molto interessante conservando intatta la freschezza. 


Come questo millesimo 2015, aperto, pensate un po', dopo il Taurasi Campoceraso 2001 di Struzziero. Il bianco esprime subito al naso sentori di albicocca e zafferano, piacevoli note balsamiche e un lieve accenno fumé tipico dei vini da terre vulcaniche (qui l'influenza del vulcano spento di Roccamonfina si fa sentire molto precisamente). 
Al palato colpisce per la sua verve, la sua vivacità quasi giovanile, con rimandi ai sentori olfattivi impreziositi dalle note speziate, frutto e legno in ottimo e convincente equilibrio. Finale lungo, interessante. leggermente amaro. Il palato resta pulito e la voglia di ripete la beva è comune a tutti. Un bianco di alto lignaggio, elegante, affidabile, incapace di tradire le aspettative perchè si va a colpo sicuro.
Un piccolo grande miracolo di una viticultura italiana ancora troppo legata esclusivamente alle performance dei rossi e che invece nei bianchi e nei loro tempi di maturazione ha potenzialità assolutamente infinite e tute da scoprire ancora. Credo che sia questa la nuova frontiera di un movimento iniziato dopo la crisi del metanolo e che adesso ha bisogno di nuovi stimoli, che non sia solo la spumantizzazione.

La Vigna di San Martino ad Argiano - Vin Santo del Chianti Classico DOC 2012


Giampaolo Chiettini, enologo toscano, da qualche anno ha creato La Vigna di San Martino ad Argiano, da dove viene questo Vinsanto da salto sulla sedia. 


Trebbiano e malvasia, classicissimo, con quasi 300 gr. di zuccheri residui mostra un’armonia e una freschezza impressionanti. Non buonissimo, di più!

Lo Scoglietto a Rosignano: un posto del cuore adatto anche ai nonni come Carlo Macchi!


di Carlo Macchi

Fare il nonno è una cosa meravigliosa, farlo allo Scoglietto a Rosignano, in una calda (ma non troppo) giornata d’estate ti porta direttamente nel Nirvana gastronomico del nonno.
Non penso di dire niente di nuovo se affermo che Claudio Corrieri abbia creato non un locale ma uno dei posti più goduriosi della costa toscana. Siamo circondati da una località di mare anni ‘60 del secolo scorso ma Lo Scoglietto sembra (forse lo è) un’astronave che guarda verso il mare e si lascia alle spalle ogni cosa.


Credo che il locale, aperto solo nei mesi primaverili e estivi, abbia avuto milioni di recensioni, ma nessuna dal punto di vista del nonno fornito di nipotina di 21 mesi e qui cercherò di rimediare.
Per prima cosa l’ingresso con il passeggino è comodo e agevole, c’è tanto spazio, sia nella sala “classica” quella coperta dalle stuoie che è sempre benedetta da un vento fresco, che in quella a sinistra, leggermente più “in muratura” ma con grandi finestroni che permettono all’aria di mare di fare il suo lavoro. Tavoli, larghi, ben spaziati e ben apparecchiati ti aspettano, ma riesci appena ad arrivarci perché la nipotina, che ha adocchiato il mare, vuole provarlo.
Nessun problema: lasci tutto al tavolo, prendi la belvetta scatenata e vai in spiaggia, che è tutt’uno col ristorante (non per niente si chiama Lo Scoglietto). Ci sono tanti begli ombrelloni e potresti anche sederti all’ombra ma la nipote punta dritta verso l’acqua e tu devi, nell’arco di un millesimo di secondo toglierle  scarpine, maglietta, pantaloncini e pannolino per poi farle incontrare la prima onda. Nel frattempo c’è chi lavora per te: Claudio ti porta un calice di bianco, la nonna e la figlia ordinano il pranzo e tutto si svolge con una calma che ti apre il cuore (in realtà anche lo stomaco visti i buoni odori che girano).

La Spiaggia

Espletato il “ciaf-ciaf in mare” il tavolo, immerso in una brezza piacevolissima, ti attende. La cucina è puntata sul pesce, con cotture semplici e saporite. Visto che la bambina mangia tutto quello che mangiano mamma e nonni ci buttiamo su piatti classici: spaghetti alle vongole (ma è in questi piatti che si vede la maestria dello chef), calamarata, sauté di cozze e vongole, e per secondo frittura mista. Il servizio è “veloce nella lentezza” nel senso che ha atteso il ritorno dalla spiaggia per far arrivare i primi piatti in tavola. La nipotina agguanta gli spaghetti e, modello idrovora, li succhia che è un piacere, mentre io mi tolgo il cibo di bocca (siete autorizzati a piangere) per dare tutte le vongole del mio sauté alla nipote, che gradisce.

Interno

Il piacevole rumore del mare e delle persone in spiaggia (che giunge attutito) permette a Clara di esternare il suo gradimento con una serie di paroda (fusione artigianale tra “parole e grida”) che in qualche locale più attento alla forma sarebbero stati stigmatizzati da occhiate taglienti. Ma qui tutto scorre sui giusti binari, grazie anche ai consigli enoici (non per la nipote, almeno per adesso) che Claudio ti mette in tavola. In effetti allo Scoglietto non solo si beve bene ma si riesce sempre a degustare qualche novità o, ancor meglio, qualche chicca a prezzi veramente convenienti. Del resto quando Lo Scoglietto è chiuso il compito principale di Claudio è girare per cantine, in particolare estere, alla ricerca di vini da proporre.
Nel frattempo il pranzo è andato avanti, infatti la nipotina ci ricorda che a quest’ora lei fa il riposino e quindi, munito di passeggino esco per addormentarla: sarà l’aria di mare, saranno le vongole o le buonissime alici fritte che non ha per niente disprezzato ma l’operazione si svolge nell’arco di un amen e quindi rientriamo al tavolo in pochi minuti, con la bella addormentata che ci lascia concludere in santa pace, grazie a una cassatina e a un buon gelato.


Ormai si sono fatte le 15 e, visto che la dormiente insiste nel dormire, noi ci lasciamo cullare dal venticello e dall’ultimo calice di vino.
Il bello dello Scoglietto è proprio questo! L’ospite può stare a tavola quanto vuole, rilassarsi in spiaggia o in tutti e due i luoghi, senza alcun problema. L’uovo di Colombo dell’ospitalità. Il conto sarà tranquillo, anzi tranquillissimo: diciamo sui 35/40 euro per due piatti e naturalmente il vino. Da andarci, con o senza nipote!

Lo scoglietto
Via Lungomare Monte Alla Rena 13-15 - 57013 Rosignano Solvay - Rosignano Marittimo (LI)
Tel. 0586 767962 - Cell. 333 7502256 / 335 6653080
info@loscogliettorosignano.it

Podere Conca - Bolgheri Rosso Agapanto 2018


Ha fatto bene Silvia Ricci, medico di professione, a insediarsi a Bolgheri e lavorare in biologico vigne e vini con totale dedizione. 


I risultati sono eccellenti, questo rosso da cabernet e ciliegiolo ha profumi ammalianti di prugna, ciliegia, liquirizia e cacao e una bocca intensa ma scorrevolissima, succosa, di puro godimento.

Giovanni Scarfone: 10 anni d'amore tra Bonavita e Faro DOC


di Roberto Giuliani

Ho conosciuto Giovanni Scarfone nel 2008, allora la doc Faro era salita alla ribalta grazie a Salvatore Geraci, che ha indubbiamente contribuito a evitare che venisse cancellata per assenza di aziende vinicole attive. Quando ho assaggiato il Faro 2006 di Bonavita sono rimasto folgorato, amore al primo naso, tanto che decisi di andare a trovare la famiglia Scarfone insieme al mio amico e collega Alessandro Franceschini. Fu un’esperienza bellissima che porterò sempre nel cuore, Carmelo ed Emanuela, genitori di Giovanni e Francesco (che è un bravissimo pittore), furono deliziosi, un’accoglienza garbata e allo stesso tempo calorosa, diretta; il paesaggio intorno era bellissimo, si poteva vedere lo stretto di Messina, Faro Superiore si trova sulla punta a nord-est dell’isola, a un’altitudine sufficiente per poter ammirare il paesaggio marino circostante. Ricordo le fantastiche marmellate di Emanuela, fatte con la loro frutta, qualcosa di sublime che non può che darti una piacevolissima dipendenza!

Papà Carmelo e Giovanni. 

Purtroppo papà Carmelo è recentemente scomparso, ho un grande rimorso di non essere più tornato negli anni successivi, mi sarebbe piaciuto conoscerlo più a fondo.
Giovanni mi dette alcune bottiglie di quel 2006, ogni tanto ne ho aperta una, questa è l’ultima e devo dire che una parte di me vorrebbe custodirla come una reliquia, ma il vino va bevuto, la vita è troppo breve perché abbia senso accumulare bottiglie in cantina e rischiare di andarsene prima di averle bevute.
Così ho preso una decisione, se devo aprirla voglio almeno confrontarla con la 2016, può essere interessante, visto che si tratta di due annate con caratteristiche diverse sia per l’andamento stagionale, sia per l’età delle viti, sia per l’esperienza maturata in vigna e cantina. Un’esperienza che ha portato Giovanni a non utilizzare concimi chimici, erbicidi e insetticidi, e nutrire il terreno con il classico sovescio di leguminose e graminacee. Solo rame e zolfo quando strettamente necessario e in dosi molto moderate, puntando principalmente su una potatura verde molto attenta.


Faro 2006 (nerello mascalese, nerello cappuccio, nocera) – 12,5%: come riporta il sito aziendale l’anno è iniziato con un inverno piuttosto freddo e molto piovoso nei primi mesi, di conseguenza il germogliamento è partito a fine marzo per il nerello mascalese e nella prima decade di aprile per nerello cappuccio e nocera. Primavera fresca con precipitazioni regolari, estate asciutta ma senza eccessi di temperatura. A settembre si è avuto un periodo piovoso che ha rallentato la maturazione delle uve, portando la raccolta al 13 di ottobre, che ha garantito uve sane con una buona acidità (5,80 g/l) e una gradazione zuccherina non elevata, che si è tradotta in 12,5 gradi di alcol nel vino.


Nei vari assaggi effettuati con il passare degli anni ho visto questo vino continuare a crescere, mantenendo quelle promesse che avevo previsto nel 2008, questa volta sembra voler ingannare l’olfatto, poco dopo averlo versato nel calice spara con decisione un terziario marcato di funghi, polvere da sparo, cuoio conciato, caffè, sottobosco, fumo di pipa. Passano i minuti e l’ossigenazione lo risveglia sempre più, tornando a raccontare di frutti, maturi certo ma non ossidati, c’è anche il cacao, l’arancia rossa, il fico, il cardamomo, la menta e la liquirizia, segno che il vino è ancora molto vivo, sebbene abbia ormai superato la vetta, ma il manto odoroso è ancora magnifico e complesso.
All’assaggio conferma quell’impressione, c’è ancora tanta poesia e fascino, una profondità non comune, ma viaggia su toni più scuri e austeri, meno articolati, unico segnale di iniziale discesa di un grande vino, che credo fosse integralmente lavorato da papà Carmelo. Tanto di cappello…


Faro 2016 (nerello mascalese, nerello cappuccio, nocera) – 12,5%: in questo caso l’inverno è stato più mite, sebbene decisamente generoso nella piovosità; anche in primavera è piovuto ma in modo più regolare e non dannoso, mentre l’estate è stata fresca fino ai primi di settembre, quando ha ripreso a piovere in maniera insistente, mettendo in difficoltà la scelta vendemmiale. Alla fine si è raccolto prima il nerello cappuccio, intorno alla fine del mese, mentre il mascalese e il nocera sono stati vendemmiati nella prima decade di ottobre. Anche in questo caso l’alcol svolto ha portato la gradazione a livelli pressoché identici di quella del 2006.
Il colore del vino appare ovviamente più giovane ma con maggiore trasparenza, al naso i profumi ci portano verso la frutta rossa fresca e leggermente in caramella, ciliegia e lampone in primis, a cui fa seguito la susina rossa, piacevoli sfumature di rosa accompagnano un bouquet di bella finezza e pulizia, con uno sguardo verso l’agrume, l’alloro e altre erbe aromatiche.
Al palato c’è energia, freschezza e una materia misurata a tutto vantaggio di un’eleganza d’insieme tutt’altro che trascurabile. Il tannino sta integrandosi già molto bene, il sorso è piacevolissimo e l’alcolicità moderata lo rende davvero godibile. Non so se avrà la longevità del 2006, ma forse in eleganza gli è superiore, c’è una più raffinata precisione, segno di quell’esperienza maturata di vendemmia in vendemmia a cui accennavo prima.

Bravo Giovanni!

Tenuta di Artimino – Vin Ruspo “Barco Reale di Carmignano” Rosato 2019


Un perfetto blend di sangiovese, cabernet sauvignon e merlot dà origine a questo rosato dal DNA toscano ma che strizza l’occhio alla Provenza per eleganza e leggerezza. 


Vino diretto, non da competizione, che finisce in un amen a tavola. Provatelo sul crudo di gamberi. Slurp!!