Il Fiano di Avellino, uno dei più grandi vini bianchi italiani, è stato al centro di un seminario tenuto da Luciano Pignataro in collaborazione con Slow Food Roma e Slow Food Ciampino. Il tema, impegnativo, era quello di capire le varie anime di questo vitigno che, a seconda del terroir di elezione, offre caratteri ed espressioni diverse, spesso anche in contrasto tra in loro, in un gioco che, alla fine, fa ritornare la mente del degustatore ad un unico grande concetto: il Fiano, quando fatto bene, è pura emozione.
|
Fonte: winesurf.it |
I territori di elezione di questo vitigno sono stati studiati negli anni da molti giornalisti ed appassionati, Pignataro in testa, che in maniera più o meno empirica hanno individuato le seguenti zone: Lapio, Summonte, Cesinali e Montefredane.
Lapio
Questa è una zona storica del Fiano visto che già negli anni ’80 molti contadini hanno impiantato questo vitigno per contrastare la crisi del vino rosso a base Aglianico che in quel periodo stata soffrendo parecchio per via dello scandalo del metanolo.
Questa è una zona collinare, siamo sui 500 metri s.l.m. e i terreni sono prettamente argillosi. I vini che ne escono, pertanto, sono tutti di grande impatto e ben leggibili nelle loro caratteristiche di grande presenza di frutta dolce, succosa, suadente.
Il territorio è stato rappresentato da due produttori: Clelia Romano e Rocca del Principe.
Il Fiano della prima produttrice, annata 2010, esplode all’olfatto con un cesto di frutta gialla e bianca che non conosce confini. C’è rotondità ma, attenzione, non dolcezza perché il tutto viene smussato da una vena minerale semplice ma efficace. In bocca, invece, diventa austero e non concede quello che il naso prometteva. E’ una bella donna che seduce ma non porti a letto. Finale lievemente e tipicamente amarognolo.
Il Fiano 2010 di Rocca del Principe è più verticale di quello precedente, la vena minerale e acida si fa sentire in maniera netta come più intense sono le note di erbe aromatiche. E’ un Fiano meno pacioccone di quello di Cleria Romano, più sapido e meno diretto. Il mio preferito tra i due.
Summonte
Siamo all’interno del versante opposto a Lapio, alle pendici dal monte Partenio, sede del Santuario di Montevergine. I suoli, meno profondi, sono meno argillosi e più calcarei e dotati in superficie di uno strato di cenere vesuviana derivante da antiche eruzioni del vulcano. I vini, in questo territorio, sono dotati di maggiore componente minerale, fumè, e spiccate note vegetali e balsamiche. I produttori rappresentativi del territorio sono Ciro Picariello e Guido Marsella.
Il Fiano di Avellino di Picariello, anch’esso 2010, pur giovanissimo rivela la sua anima minerale ed affumicata che col tempo si amalgama con una vena agrumata e vegetale che completa il profilo olfattivo. In bocca è lui, intenso, equilibrato, ammandorlato e con un finale sapido che non termina mai. Promette benissimo.
Il Fiano di Guido Marsella, unico 2008 della degustazione, ti fa capire quanto evolva bene il vitigno nel tempo. Al naso si apre sapido, salmastro, si percepiscono note di idrocarburo, poi col tempo, aprendosi, il vino diventa più agrumato, muschiato. In bocca, dopo un attacco leggermente amaro, si distende e si “addolcisce” gestendo al meglio la sua anima affumicata mediata da sentori di crosta di pane. Un cavallo di razza da non perdere.
|
Fiano di Picariello in primo piano | | |
Cesinali
Questa fascia collinare ad est di Avellino è rappresentata da terreni più sciolti, sabbiosi con una dotazione, se scaviamo in profondità, di ciottoli e minerali. I vini che ne risultano sono di immediato impatto, leggibili e dotati di carattere tostato. Due le aziende scelte come rappresentanti del territorio: I Favati e Cantine del Barone.
Il Fiano Pietramara etichetta Bianca 2010 de I Favati sprigiona aromi agrumati, di gesso, erbe aromatiche, camomilla e frutta a pasta gialla. E’ morbido, casalingo, beverino, di buona freschezza e sapidità. Posso dire che, per certi versi, mi riporta nel territorio di Lapio?
La particella 928 di Cantine del Barone, altro Fiano 2010, è spiazzante, un vino totalmente opposto al precedente che fa traballare un pochino le mie convinzioni sulla perfetta leggibilità del territorio. Il vino di Luigi Sarno è di stampo (quasi) naturale: nel vitigno di quasi mezzo ettaro, infatti, non vengono usati sistemici e diserbanti e la vinificazione viene effettuata senza ausilio di lieviti selezionati. L’impatto olfattivo del vino è verticale, floreale, di fiori di acacia, erba, col tempo escono nel Fiano dei tratti crudi e inestricabili che rendono la componente olfattiva molto personale. Bocca tesa, austera, sapida, unica e dinamica. Bevendolo ho la sensazione di avere di fronte un vino ancora troppo in fasce per capire come sarà da grande. Sarei curioso di bere le vecchie annate.
|
La platea |
Montefredane
La collina di Montefredane vanta un terroir per certi versi estremo come estremi sono i suoi vini. Da queste parti c’è tanta argilla e roccia e i Fiano che escono sono inconfondibilmente minerali, boisè, vulcanici. Due le aziende scelte in rappresentanza: Pietracupa e Vadiaperti.
Il Fiano 2010 di Pietracupa è inesorabilmente, indissolubilmente e visceralmente salato, salmastro, con tratti non troppo accennati di idrocarburo a cui seguono, col tempo, soffi di pera e agrumi.
In bocca è scontroso, dinamico, freschissimo, sapido, controverso e affascinante. Lunghissimo. Il mio preferito.
Il Fiano 2010 di Raffaele Troisi è meno estremo del precedente in tema di mineralità e boisè visto che il corredo olfattivo è in parte mediato e smussato da toni di nocciola ed erba di campo. Anche al gusto è meno sapido e salmastro pur mantenendosi freschissimo e di grande intensità. Chiude, lunghissimo, con un retrogusto autunnale che ricorda la brace spenta.