Alla scoperta del Nebbione, il Metodo Classico 100% nebbiolo. Voi lo conoscete?

di Roberto Giuliani

Che il Piemonte sia una delle regioni che dànno lustro alla spumantistica italiana non ci sono dubbi, non solo ma è forse quella che più di ogni altra non si ferma mai e non si accontenta di ciò che ha già raggiunto. Ci sono sempre più aziende che si cimentano nella produzione di spumanti e un sempre maggior numero sta puntando sul nebbiolo, dal Novarese al Cuneese, ma nessuno aveva ancora pensato a dare vita a uno spumante metodo classico rigorosamente a base nebbiolo con un proprio disciplinare condiviso. 


L’idea è venuta nel 2004 a Sergio Molino, uno degli enologi più affermati che ben conosce questo straordinario vitigno e che, dopo opportune sperimentazioni, si è reso conto che la punta del grappolo, tagliata in fase pre-vendemmiale, contiene l’acidità ideale per produrre spumanti metodo classico, dosaggio zero (sono tollerati fino a 3 g/l) e con una sosta sui lieviti di almeno 40 mesi; non parliamo di grappoli qualsiasi, beninteso, ma di quelli provenienti da una vigna destinata a produrre un grande vino rosso da nebbiolo, certamente una novità assoluta, chi potrebbe mai immaginare che dalle stesse uve del Barolo, del Barbaresco o del Gattinara, si può far nascere anche uno spumante metodo classico? Questo tipo di operazione sul grappolo offre un vantaggio anche al futuro rosso aziendale, infatti, privato della punta - le cui caratteristiche sono più simili a quelle di un’uva bianca, più acida e con la buccia dal colore più tenue - il nebbiolo continuerà il suo percorso di maturazione con la parte migliore, immaginate questo lavoro ripetuto su tutto un vigneto!


Il progetto è piaciuto così tanto che nel 2010 sei produttori hanno deciso di aderire, costituendo un gruppo con obiettivi comuni, Enzo Boglietti (La Morra), Massimo Travaglini (Gattinara), Franco Conterno (Cascina Sciulun, Monforte d’Alba), Enrico Rivetto (Rivetto dal 1902, Serralunga d’Alba), Giorgio Viberti (Cascina Ballarin, La Morra) e Ivo Joly (La Kiuva, Arnad), unica cantina valdostana. 
Nel 2017 il gruppo ha fatto un ulteriore passo avanti costituendo l’Associazione Nebbione, con sede a Barolo in via Vittorio Emanuele 4, “per tutelare e valorizzare il vino spumante di qualità a base nebbiolo vinificato in bianco con il metodo classico, trasformato e imbottigliato nell’ambito territoriale di produzione del Nebbiolo”.

Ma cosa dice il disciplinare del Nebbione? 

La denominazione “Nebbione” (marchio registrato) è riservata al vino spumante bianco o rosato ottenuto esclusivamente con il metodo della rifermentazione in bottiglia (metodo classico) che risponde alle condizioni e ai requisiti stabiliti dal presente disciplinare di produzione; attraverso questo documento si strutturano le regole base e si forniscono le linee guida per la produzione del Nebbione. Sottoscritto da tutti i produttori di Nebbione, è garante dei seguenti principi fondamentali: 

• solo aziende agricole o cooperative agricole 

• serietà nella coltivazione e attenta selezione delle punte dei grappoli 

• uve di provenienza: esclusivamente da vigneti iscritti negli albi doc e docg 

• vitigno di origine: Nebbiolo 100%, solo la punta sana dei grappoli (eventuali punte affette da disseccamento del rachide vanno scartate) 

• pressatura soffice delle punte: resa massima uva/mosto 50%, molto consigliato ridurre la resa al 35/40% destinando il restante ad altri vini 

• per la base bianca eventuale decolorazione del mosto tramite iperossigenazione 

• utilizzo del metodo della rifermentazione in bottiglia 

• prolungato contatto con i lieviti (minimo 40 mesi) 

• sboccatura pas dosé o con limitatissimo dosaggio (max 3 g/l) per rimanere nella tipologia extra brut 

• maturazione del prodotto finito (tappo in sughero) per almeno 3 mesi, consigliato un periodo minimo di 6 mesi. 
La permanenza sui lieviti è prolungata rispetto a prodotti simili sul mercato ad esclusivo vantaggio della qualità finale di ogni singola bottiglia di Nebbione. 


Si tratta di un disciplinare a uso interno, ma non per questo meno importante, poche regole ben delineate, il cui scopo principe è ottenere spumanti metodo classico di elevato livello, esclusivamente da nebbiolo.  Il progetto ha riscosso sempre più successo, tanto che hanno aderito nuove aziende anche da altre aree dove dimora il nebbiolo, ma dovremo aspettare ancora un po’ per degustare i loro spumanti, al momento sono tutti “work in progress”. Ma intanto posso raccontarvi quelli delle 6 aziende fondatrici, tanto per farvi un’idea…

Metodo Classico Extra Brut Traverse Rosé - La Kiuva; gradazione: 13,5% vol.

Parte del vino trascorre 6 mesi in legno. Ben 60 mesi sui lieviti. Il colore è del tutto particolare, non richiama sfumature rosate ma più l’oro che vira verso l’arancio. Profuma di lieviti, pane, albicocca, pesca, ciliegia, fragolina di bosco e arancia candita, cannella; al palato è intenso, molto stimolante, con un frutto vivo ben sorretto dall’acidità, lungo e avvolgente, aromatico, davvero piacevole.


Metodo Classico Extra Brut Punte dei Tre Ciabot - Cascina Ballarin; gradazione: 13,5% vol.

Oltre 48 mesi sui lieviti. Ha un colore che punta al dorato, brillante grazie all’ottima serie di colonnine che si formano nel calice. Interessante trama olfattiva, più dolce, richiama la liqueur, è giocato su una sottile vena ossidativa nella quale si fonde il frutto, in parte anche agrumato, su uno sfondo di lieviti. In bocca conferma una decisa rotondità che addolcisce le sensazioni fruttate, non manca di vena sapida e di lunghezza. Uno stile indubbiamente particolare.


Metodo Classico Extra Brut na Punta - Franco Conterno Cascina Sciulun; gradazione 12,5% vol.

Vino base parzialmente maturato in legno. Sosta sui lieviti variabile da 50 a 60 mesi. Da segnalare che in realtà questo è un metodo ancestrale, ovvero della doppia fermentazione, senza ulteriore aggiunta di zuccheri; questo permette di mantenere la gradazione alcolica su livelli contenuti. Paglierino intenso, profumi floreali di ginestra, biancospino, poi ginseng, cedro, susina, una punta di mallo di noce, lieve tostatura. Bocca generosa ma con quell’austera indole nebbiolesca che non lascia dubbi, si percepisce persino una sottile vena tannica, mentre l’acidità spicca dando al sorso una dinamica verticale.


Metodo Classico Dosaggio Zero Kaskal - Rivetto; gradazione 13,5% vol.

La bottiglia in mio possesso ha sostato sui lieviti 45 mesi, con sboccatura a fine 2019, ma so che in cantina Enrico Rivetto ha altri Kaskal con svariati anni in più di permanenza sui lieviti, non so se sia già arrivato a 120 mesi, ma l’obiettivo è sicuramente quello. Per ora “accontentiamoci” di questo, un dosaggio zero dal colore paglierino medio (a testimoniare l’assenza di liqueur) e profumi di grande eleganza, un gioco bellissimo di fiori, mandorle, agrumi maturi, crosta di pane, venature minerali, che ritroviamo fedelmente al palato, in un ambiente magnificamente equilibrato, con l’acidità ben fusa con il frutto, una persistenza notevole e un allungo sapido che invoglia a berne ancora.


Metodo Classico Brut Nature - Enzo Boglietti; gradazione 12,5% vol.

Esisteva già un Metodo Classico Rosé in casa di Enzo, Linda e Matteo Boglietti, ora abbiamo anche questo Brut Nature, rigorosamente nebbiolo, un'anteprima che ha fatto "solo" 34 mesi di permanenza sui lieviti, si tratta di un 2016 che ha subito un dégorgement piccolo di prova, quindi non definitivo, infatti in cantina ci sono ancora sui lieviti 3000 bottiglie che usciranno il prossimo anno. Questo ha un perlage fitto e colore paglierino intenso, un bouquet particolare che richiama il fieno, il pane sfornato, la frutta agrumata parzialmente candita, mista ad erbe aromatiche, l’albicocca, sfumature di pera Williams; bocca che rivela un delicato gioco ossidativo che esalta la nota fruttata e dà una falsa sensazione evoluta, in realtà è un brut rigoroso, austero, ma con una punta giocosa che lascia tracce di miele e una sensazione avvolgente, con una chiusura piacevolmente sapida. Una bolla di nebbiolo, senza dubbio.


Metodo Classico Dosaggio Zero Nebolé 2014 - Travaglini; gradazione 12,5% vol.

Ci spostiamo a Gattinara, nel nord Piemonte, da una delle aziende storiche del territorio; il Nebolé subisce la fermentazione con un ceppo di lieviti raro, il Castelli, proveniente da Epernay, un’alternativa a quei pochi ceppi che vengono utilizzati solitamente per il metodo Champenoise. La durata a contatto con i lieviti è di almeno 46 mesi (ma si stanno sperimentando anche 60, 72, 84, 92 e 108 mesi…). Ha colore paglierino tenue, trama olfattiva elegante e fortemente minerale, il frutto è meno “sparato”, gioca sottile e pulito, parliamo di pesca bianca, ananas, cedro, richiami al fogliame, all’humus. Al gusto è più aperto, finissimo nell’incedere fruttato, puntuale e preciso in ogni suo aspetto, intriso di una bella energia che viene saggiamente dosata, l’eleganza è proprio data da questo equilibrio di microelementi, senza sbavatura. Un bel bere davvero.



Riccardo Gabriele: le pubbliche relazione del vino al tempo del Covid-19 - Delivery IGP

di Lorenzo Colombo

Nella rubrica Delivery IGP, che ha visto la sua nascita solamente un paio di settimane fa, con lo scopo di sentire dalla diretta voce degli interessati le problematiche e le soluzioni adottate per sopperire alle difficoltà causate dalla pandemia dovuta al Covid, avete sinora letto interviste fatta da noi Giovani Promettenti a produttori di vini e ristoratori. 


Ci pare giusto far sentire anche la voce di un’altra categoria interessata al mondo del vino, quella degli Uffici Stampa e di tutti coloro che si occupano di comunicare il vino ai vari operatori di settore. 
Cosa ci poteva essere di meglio se non iniziare con una persona che conosciamo da molti anni, da quando in pratica ha iniziato il suo percorso professionale nel mondo del vino. Stiamo parlando di Riccardo Gabriele, fondatore e titolare dell’agenzia PR – Comunicare il vino. 


Ciao Riccardo, raccontami quando e come hai iniziato questa tua attività. 

Verso la fine degli anni novanta ero caporedattore in un mensile della provincia di Livorno, agli inizi degli anni 2000 si stavano preparando degli articoli di economia riguardanti i SEL (Sistemi Economici Locali), un comparto importante dell’economia livornese era data dal vino e precisamente da una denominazione che ormai da qualche anno stava facendo parlare di se in tutto il mondo, ovvero la Doc Bolgheri.
Ebbi così l’occasione di approcciarmi in modo professionale al mondo del vino che già, per la verità m’interessava molto anche se dal punto di vista di puro consumatore e la prima intervista la feci proprio con il Marchese Incisa della Rocchetta.

Poi?

Decisi così di approfondire l’argomento, frequentando dapprima i corsi di Slow Food e quindi quelli per diventare sommelier e nel 2006 decisi di dedicarmi completamente al mondo del vino aprendo una mia agenzia.

Com’è strutturata l’agenzia PR – Comunicare il vino e praticamente di cosa si occupa?

La cosa è molto semplice, in pratica PR - Comunicare il vino è un’agenzia con uno staff specializzato nei vari campi della comunicazione. Dai rapporti con la stampa all’organizzazione d’eventi; della preparazione di cartelle stampa e storytelling, alla grafica, dalla fotografia a quant’altro serva alla realizzazione di uno specifico progetto. La nostra è una Media Relation Agency, ovvero ci occupiamo di Relazioni pubbliche: in parole semplici far conoscere e riconoscere l’azienda nostra cliente ed i suoi vini agli operatori ed ai professionisti del settore, stampa specialistica e buyers. Il nostro lavoro non riguarda invece il consumatore finale. 

Posso sapere quanti clienti hai in portafoglio e di quali settori?

Essendo un’agenzia specializzata gestiamo la comunicazione di 42 clienti, tutte aziende vitivinicole, a parte un’azienda produttrice di bicchieri per la quale però ci occupiamo unicamente dell’estero.


Veniamo ai problemi legati all’epidemia da Coronavirus. Cosa è cambiato nel Tuo lavoro? Quali strumenti e strategie hai dovuto applicare?

In effetti è cambiato moltissimo il modo di lavorare, ricordo che sono rientrato dagli Stati Uniti lo scorso 5 marzo e dopo pochi giorni c’è stata la chiusura totale. Abbiamo quindi dovuto rivedere tutta la comunicazione, studiando nuove strategie adatte al particolare momento di crisi, con un approccio digitale. Abbiamo, ad esempio, messo a punto un groupage con relativo magazzino dove raccogliere le campionature delle varie aziende. Altre considerazioni sono rivolte ai tradizionali pranzi con la stampa con la presenza dei produttori, eventi che ben conosci. Questi sono stati sostituiti da pranzi virtuali, ovvero i vini vengono inviati a casa dei vari giornalisti/blogger e la degustazione viene svolta in remoto ed a seguire tramite delivery il pranzo viene consegnato direttamente dal ristoratore a casa dei partecipanti.

Come sono state le risposte da parte dei Tuoi clienti per questa nuova modalità di comunicazione?

Ottime direi, tanto che dal mese di dicembre, queste presentazioni con pranzi in remoto, verranno messi in atto non solamente a Milano e Roma, com’è stato sinora, ma anche a New York, Singapore e Hong Kong. 

Quali altre soluzioni hai trovato? 

Abbiamo effettuato molte presentazioni virtuali di aziende e vini, utilizzando le varie piattaforme disponibili ed anche molte degustazioni sono state effettuate in questa nuova modalità. 

Hai avuto altre richieste particolari da parte della tua clientela? 

In molti ci hanno chiesto di sviluppare e gestire la parte Social dell’azienda, abbiamo sviluppato ed in alcuni casi creato i siti Internet aziendali, ci siamo occupati di implementare o realizzare siti di e-commerce.

Quando sarà passato questo difficile momento cosa cambierà per quanto riguarda il Tuo lavoro? 

Io ritengo che il contatto diretto con i vari attori della filiera sia importantissimo, quindi nell’ambito del possibile tornerò a viaggiare molto per incontrare le persone, senza però trascurare la parte digitale che reputo sarà sempre più importante.

Ultima domanda, durante questo periodo di forzata reclusione hai pensato di diversificare o ampliare la Tua attività?

Per prima cosa ho approfittato del maggior tempo a disposizione per rimettermi a studiare, frequentando -in remoto- i corsi WSET, inoltre ho trasformato la mia passione per i distillati in una nuova branca del mio lavoro dedicata agli Spirits.

Radikon: oltre il mito


11 Settembre 2016

Questa data non è casuale, quel giorno noi tutti appassionati abbiamo perso una grande personaggio del mondo del vino, un gigante della viticoltura italiana che solo una malattia infame poteva portarci via. 

Il suo nome? Stanko Radikon

Stanko Radikon - Foto: Decanter.com

Da quel giorno in poi Saša, suo figlio, ha preso in mano le redini dell’azienda agricola con molto coraggio perché, se è vero che già affiancava da anni suo papà, è anche vero che l’eredità è di quelle pesanti e bisogna avere spalle grandi, in tutti i sensi, per continuare e, possibilmente, migliorare ciò che all’apparenza potrebbe sembrare inscalfibile. Per mille motivi, perciò, ero ansioso di passare a trovare Saša, nella sua Oslavia, là dove la ribolla gialla trova il suo terroir di elezione e dove lavora un altro mito del vino italiano: Josko Gravner. 

Padre e Figlio

Saša mi aspetta nel vigneto storico della proprietà, che ha una superficie di circa tre ettari, acquistato nel 1923, assieme all’annessa casa colonica, dal suo bisnonno Franz Mikulus (papà di suo nonna) che al tempo coltivava prevalentemente ortaggi e alberi da frutto. Il vino, allora, era ancora una produzione marginale e bisogna aspettare suo nonno Edoardo Radikon, originario di Podsabotin (Slovenia), un paesino a tre chilometri da Oslavia, affinché si iniziasse a coltivare vigna e produrre vino seriamente anche grazie alla creazione della prima cantina a nome Radikon. Nel 1977, ad Edoardo, succede suo figlio Stanko che imbottiglierà il suo primo vino una decina di anni dopo riscoprendo, a partire da metà anni ‘90, le lunghe macerazioni sulle bucce, contestualmente all’abbandono della chimica, dando vita assieme ad altri vignaioli del territorio ad un nuovo corso del vino italiano.


I 3 ettari di una volta oggi sono diventati quasi 18, tra proprietà e affitto, dove sono piantate viti di ribolla, friulano, sauvignon blanc, pinot grigio, chardonnay, merlot e pignolo. 

Vigna storica - Foto: Luciano Pignataro

I terreni vengono lavorati in maniera semplice, quasi arcaica: l’erba viene sfalciata e i sarmenti e le vinacce sono gli unici nutrimenti per la ponca, terreno composto da marna e arenaria, ricco di sali e macroelementi, tipico di questa zona del Collio. Anche in vigna si cerca la massima naturalità possibile e i trattamenti, a base di solo rame e zolfo, vengono effettuati solo quando strettamente necessario. 

La casa colonica e la cantina esterna- Foto: Luciano Pignataro

Visto che dal punto di vista agronomico, rispetto al passato, nulla è apparentemente cambiato, ho domandato a Saša se anche in cantina tutto era rimasto immutato o se, dopo la morte di suo papà, c’erano state delle evoluzioni in modo che i vini, come giusto che sia, somigliassero più alla sua personalità e al suo modo di interpretare il territorio. 

La sua risposta è stata eloquente: ”Da quando papà è mancato faccio il vino nella stessa maniera ma non nello stesso identico modo. Io e lui, fortunatamente, avevamo gusto ed idee simili sul concetto di vino ma io penso che bisogna sempre evolversi nel nostro lavoro altrimenti rimaniamo semplici esecutori di ricette. Nel dettaglio, perciò, rispetto al passato, ho cambiato le barrique con botti più grandi da 6 HL, minori follature durante la fermentazione ma, soprattutto, i tini vengono chiusi per evitare il contatto con l’ossigeno. Questo, vorrei sottolineare, era già condiviso da mio papà ma per vari motivi non era mai stato messo in atto”. 


Da un punto di vista strettamente tecnico, ­una volta in cantina le uve, vendemmiate manualmente e pigiodiraspate, svolgono fermentazione spontanea e macerazione per 3/4 mesi in tini troncoconici di rovere chiusi. A termine fermentazione, per i bianchi, segue svinatura e affinamento in botti di rovere dai 25 ai 35 hl per 36 mesi con alcuni travasi se necessari. Per i rossi, invece, l’affinamento in barrique usate può durare almeno 5 anni a cui seguono ulteriori 5 anni di maturazione in bottiglia prima di uscire sul mercato. 


Questo vale per la linea Blu mentre per la linea “S”, che nasce con l’obiettivo di avvicinare per gradi i consumatori al mondo dei vini macerati senza catapultarli subito nei loro “eccessi”, i tempi di macerazione (8\10 giorni) ed affinamento (12 mesi di botte grande più altri 4 di bottiglia) sono ovviamente più ristretti al fine di far prevalere in questi vini la fragranza fruttata rendendo l’approccio gustativo più amichevole e simile a ciò che mediamente già si conosce. 


Con Saša, dopo un giro nella cantina privata dove sono conservate tutte le annate storiche dell’azienda, ci dirigiamo verso la sala di degustazione che incanta l’ampia vetrata con affaccio panoramico sui vigneti. E cominciamo a stappare… 



Radikon – Slatinik 2018
(chardonnay e friulano): Saša lo considera come l’approccio più immediato e didascalico al mondo dei suoi vini macerati. E’ un vino di spessore ma al tempo stesso conserva proporzione ed eleganza. Sa di agrumi canditi, resina e ferro ed incanta per un sorso sinuoso, vibrante, che sfuma in ricordi di salgemma. 


Radikon – Pinot Grigio “Sivi” 2018 (pinot grigio): dallo splendido color ramato questo pinot grigio in purezza indossa senza problemi la casacca di un grande rosato il cui boquet olfattivo passa dai piccoli frutti rossi al rabarbaro fino ad arrivare al pepe rosa e alla terra rossa. Sorso vigoroso, graffiante, declinato con eleganza in quanto privo di ossidazioni e sbavature. Il tannino c’è, graffia leggermente e fa da sponda ad un finale dove il frutto croccante e la maestosa sapidità si fondono rendendo questo vino un perfetto jolly a tavola. Saša dice di provarlo col coniglio cotto al forno. 


Radikon – Oslavje 2013 (chardonnay, sauvignon e pinot grigio): vino simbolo di un territorio e della filosofia Radikon, è un orange wine dalla complessità e dalla personalità davvero importanti. E’ estremo, fa gare a sé, non ha la pretesa di entrare nelle corde di tutti i degustatori, difficile, come ammette lo stesso Saša, trovarsi davanti ad un vino capace di coniugare sanzioni olfattive e gustative che sono agli opposti. Difficile trovare un vino elegante ma vigoroso, verticale ma al tempo stesso voluminoso e avvolgente, nervoso ma equilibrato. L’impianto olfattivo è un costante richiamo alla mela cotogna, all’albicocca disidratata, al burro di arachide, alle spezie gialle orientali, al timo, alla terra rossa bagnata dalla pioggia. Sorso sorprendente per bilanciamento tra le durezze acido-sapide e la percezione tannica. Inutile parlare di lunghezza gustativa poichè il vino, grazie alla sua veemente mineralità, ha una beva interminabile con costanti richiami di frutta gialla matura. 


Radikon – Ribolla Gialla 2013 (ribolla gialla): se chiedi a cento appassionati quale è il vino simbolo dei Radikon, probabilmente il 90% prenderà la ribolla gialla come punto di riferimento. Ed è normale, perché questo vitigno ed Oslavia sono un tutt’uno, sono radicati a vicenda in un rapporto quasi simbiotico che col tempo e la giusta consapevolezza si è spinto ai margini di una orgogliosa rivendicazione di unicità qualitativa dato che, da un paio di anni, sei produttori della zona, tra cui Radikon, hanno proposto di elevare la ribolla di Oslavia a DOCG. Questa Ribolla Gialla, una delle ultime prodotte ancora da Stanko, si esprime su suadenti sensazioni di pasticceria da forno, nocciola, nespola, purea di mela, miele di castagno, burro di arachidi, iodio. Al gusto l’avvolgenza e il morbido abbraccio iniziale del vino sono subito equilibrati dai toni freschi e minerali del vino. Indescrivibile il finale lungo, corrispondente, elegante di questa ribolla che esplode nel retrogusto in maniera vigorosa con i suoi ricordi di frutta esotica e sensazioni salmastre. 


Radikon – RS 2018 (merlot, pignolo): se volete un approccio ai grandi rossi di Radikon, dovete allora iniziare da questo blend ricco di richiami aromatici di frutta rossa croccante, viola appassita, china, terra umida e sbuffi ematici. Sorso di grande piacevolezza in cui un corpo ben proporzionato si concede una lunga chiusura che richiama le sensazioni fruttate e floreali.


Radikon – Merlot 2003 (merlot): i grandi rossi di Radikon, per quanto ho capito io, hanno una caratteristica stilistica abbastanza importante che, probabilmente grazie al lungo tempo di affinamento prima in botte e poi in bottiglia, ha a che fare con un aggettivo molto conosciuto da noi sommelier: etereo. Tale parola, declinata nel merlot di Radikon, nulla ha a che fare con l’etere composto chimico, con rimandi perciò a sensazioni di vernice o solventi, ma ha una connessione diretta al concetto di etere per gli antichi ovvero sia alla parte più alta, pura e luminosa dello spazio che nella fisica aristotelica costituiva l’incorruttibile quinto elemento di cui sono costituiti le sfere e i corpi celesti, dal cielo della luna a quello delle stelle fisse. Pertanto, se questa è la mia interpretazione, scordavi di esser davanti ad un vino muscoloso e scalpitante in quanto questo merlot 2003 ha più le caratteristiche della purezza, della spiritualità e dell’astrattezza sia aromatica che gustativa. Ci sono solo soffi aromatici di frutta rossa disidratata, solo echi di erbe officinali e risonanze salmastre. Prendete un sorso, chiudete i vostri occhi e resettate le vostre convinzioni sui grandi rossi da invecchiamento. 


Radikon – Pignoli 2008 (pignolo): il pignolo è come una orchestra un po’ caotica e ribelle alla quale serve un grande direttore per dare armonia ed eleganza alla sinfonia complessiva. Il vino, prodotto solo nelle annate 2004, 2007 e 2008, ha un bouquet aromatico che ricorda le marasche macerate, il tabacco da pipa, il macis, il pepe nero, la grafite, la noce. Una appagante vena fresca va ad equilibrare magistralmente gli sbuffi alcolici del vino creando una fusione gustativa unica dopo il tannino, perfettamente fuso, accarezza il palato. Il finale, dotato di eleganti e suggestivi effluvi minerali, è praticamente infinito. 

Enoteca Bruni: il virus porta anche opportunità - Delivery IGP

di Stefano Tesi

Fino a qualche tempo fa l’Enoteca Bruni di Firenze (già nota come Enoteca Fiorentina) era un negozio per happy few internazionali di giorno e un ristorante gourmet di sera, con oltre 2500 etichette di piccole e ricercate produzioni e la carta dei vini naturali più ampia d’Europa. 


Alla guida, i fratelli
 Stefano e Alberto Bruni. Il primo appassionato di vini rari e consulente enoico, il secondo sommelier, cortador specializzato nel taglio a mano di prosciutti di pregio ed esperto di formaggi. Ai fornelli il giovane Daniele Nuti, esperienze con Heinz Beck a Londra e già executive chef all’Hotel Valadier di Roma. “Era” nel senso che il Covid ha costretto anche loro ad adeguarsi cercando nuove piste. Ma non tutto il male è venuto per nuocere.


Siete un wine restaurant con la cantina zeppa di vini dei vignerons e per il quarto anno consecutivo inclusi tra i 10 “tre bottiglie” della Guida del Gambero Rosso: come e con quali differenze sono stati affrontati, da una struttura del genere, il primo e il secondo lockdown?

Nel primo lockdown abbiamo chiuso il ristorante con due giorni di anticipo rispetto alle direttive nazionali, con molto rammarico visto che gennaio e febbraio stavano andando molto bene. Con il secondo blocco siamo stati aperti per il servizio nel solo orario consentito, ma abbiamo notato come il centro storico di Firenze sia stato svuotato dall’emergenza sanitaria e risulti pressochè disabitato. Spariti i professionisti, i manager e i viaggiatori gourmet che compongono la nostra clientela tipica del pranzo. Una situazione pessima. 

Avete valutato se fare delivery e asporto? Che tipo di clientela si rivolge adesso a un luogo di elite come il vostro, di norma frequentato da un pubblico straniero o comunque extratoscano?

Ovviamente non abbiamo potuto effettuare delivery dei piatti cucinati da Daniele, portate sofisticate e pensate per un consumo immediato in abbinamento coi vini, quindi del tutto inadatti sia all'asporto che al trasporto. Mancando l’ambiente, le temperature, il servizio, i profumi e parole che secondo noi rendono il piatto completo, soprattutto quando lo si abbina ad un vino di vigneron dai sapori dimenticati, magari sconosciuto ai più, tutto il “gioco” viene a cadere.
Abbiamo però rafforzato molto il sito internet con la vendita online di vino, consolidando così la clientela storica italiana e creandone di nuova un po’ in tutto il mondo, soprattutto nei paesi del nord Europa e in Giappone, paesi all’avanguardia nella ricerca enogastronomica.

La vostra offerta è frutto di una scelta radicale: solo vini di piccoli e fidati produttori. In che modo viene promosso in questi mesi un assortimento così particolare?

E’ il lato buono, anzi diciamo il meno peggiore, della faccenda. Questi mesi ci hanno dato infatti la possibilità di trovare l’introvabile. Da produttori che solitamente potevano destinarci solamente 12 bottiglie l’anno siamo riusciti in alcuni casi a comprarne anche il doppio, complici sicuramente le disdette di altri clienti assegnatari. In sostanza, nel 2020 abbiamo aumentato di circa 2000 bottiglie la nostra cantina. Questo siamo convinti ci porterà grande richiamo al momento delle riaperture, poiché la carta dei vini sarà ancora più ampia, profonda e variegata. Il pratica, durante il lockdown abbiamo investito nel futuro.


Quest’esperienza, a parte gli ovvi disagi e danni economici, vi ha dato qualche sorpresa o occasioni di crescita commerciale o professionale?

Durante i lockdown abbiamo utilizzato il tempo per rinnovare completamente molte cose, come la nostra "mise en place” e ottimizzare i dettagli. Abbiamo anche creato un orto che ci permettesse di utilizzare frutta e verdura autoprodotta e, insieme a Daniele, studiato piatti che esaltassero i vegetali e la loro stagionalità. Abbiamo pure stretto rapporti con piccoli allevatori locali per massimizzare la sostenibilità della nostra cucina.

Si può sapere qualcosa in più sull’opzione della Mystery Box, la cassetta delle meraviglie da ordinare online per ricevere a casa sei bottiglie a sorpresa? Qual è il meccanismo?

Le Mystery Box sono studiate per facilitare la scelta di 6 bottiglie tra la miriade di etichette a disposizione. Il cliente ordina e noi selezioniamo per lui. Ci sono quattro fasce di prezzo. Tutte scontate del 20% rispetto al prezzo originale, per incentivare i nuovi clienti ad avvicinarsi a questo mondo, dato che una volta provato non lo lasciano più. Ci teniamo a sottolineare che, una volta ricevuto il box, i clienti possono chiederci abbinamenti e ulteriori informazioni sulle bottiglie ricevute. Noi siamo ben lieti di rispondere. Il meccanismo è semplicissimo: si accede al sito www.enotecabruni.it nella sezione shop e si ordina in pochi click effettuando il pagamento comodamente online.

Il Covid-19 non ci abbatterà: intervista a Fabrizio Bindocci, Presidente del Consorzio del Vino Brunello di Montalcino - Delivery IGP

Di Andrea Petrini

Oggi, per la rubrica Delivery IGP, ho avuto il piacere e l’onore di intervistare Fabrizio Bindocci, direttore generale dell’azienda Il Poggione e, dal 2019, Presidente del Consorzio del Vino Brunello di Montalcino. Con lui abbiamo parlato di vino, di emergenza Covid-19 e futuro…. 

Buongiorno, prima di farla parlare in veste di Presidente del Consorzio, volevo sapere come avete affrontato a Il Poggione questa brutta pandemia. 

Siamo fortunatamente una azienda organizzata dove l’85% delle nostre vendite va all’estero e, al di là di tutto, quelli sono mercati che hanno sempre abbastanza tenuto e ancora oggi, in piena seconda ondata, stiamo ancora spedendo. Per Il Poggione è andata benissimo negli Stati Uniti che, come facilmente immaginabile, è il mercato estero più importante per il Brunello di Montalcino. Sa che dobbiamo ringraziare anche Trump per questo? 

Trump? Davvero? 

Già, agitando da tanto tempo lo spettro dei dazi doganali alla fine, come azienda, già il 4 gennaio avevamo spedito negli USA tutto il vino che avremmo venduto durante l’anno!!! Alla fine abbiamo giocato di anticipo, involontariamente anche con la pandemia, e le cose sono andate bene anche grazie ai nostri importatori che sono stati giustamente premiati anche con importanti dilazioni di pagamento. Negli affari bisogna essere contenti sempre in due... 

Fabrizio Bindocci

In Italia, invece, per Il Poggione come è andata? 

Fortunatamente non ci possiamo lamentare, abbiamo qua un unico distributore nazionale che è riuscito a vendere tutta la sua assegnazione. Bravo lui! 

Come Presidente del Consorzio ha avuto percezione di come sono andate le cose a livello generale? Il Brand Montalcino ha tenuto? 

A livello di Consorzio abbiamo visto che il numero dei contrassegni di Stato consegnati è stato come sempre importante e questo ci fa molto piacere perché è un ottimo risultato. Sappiamo che normalmente circa il 70% del nostro prodotto va all’estero, ma nel dettaglio, è chiaro che non possiamo sapere esattamente se il vino è stato venduto sui mercati internazionali o in Italia. Immagino che se una azienda del territorio ha come mercato di riferimento l’Italia e, in particolare i ristoranti e le enoteche, allora avrà sicuramente riscontrato dei problemi. Ciò che importa, lo ripeto, è il dato generale circa le “fascette” che nei primi nove mesi dell’anno sono state circa il 20% in più rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente Siamo assolutamente soddisfatti e vedo il bicchiere mezzo pieno. 

Possiamo dire che un altro grosso traino alle vendite dei vostri vini sono state le tante recensioni positive scritte dai giornalisti di tutto il mondo? 

Assolutamente sì, i vini del nostro territorio sono da sempre al centro della critica enologia mondiale e spessissimo, fortunatamente, abbiano avuto valutazioni positive. Le confesso una cosa: io ho 45 vendemmie alle spalle, non sono un ragazzino, ma mai come quest’anno ho visto tante recensioni positive. Questo aiuta moltissimo in tempi bui come quelli correnti. 

Si è fatto un’idea dei motivi di queste recensioni positive? 

I nostri vini crescono sempre più di qualità grazie sia al cambio generazionale che si sta avendo in molte aziende familiari, sia al miglioramento tecnologico generale che molte cantine stanno portando avanti anche relativamente alla gestione dei vigneti. Non sono punteggi che vengono per caso quelli dati dai giornalisti! 

A livello di Consorzio di Tutela avete avuto, a livello politico ed istituzionale, un confronto per tutelare i vignaioli? Secondo lei è stato fatto tutto il possibile dal nostro Governo per limitare i danni? 

Nel momento in cui sono usciti i ristori e, in particolar modo, quando si è parlato di distillazione di emergenza mi permisi di esprimere a caldo che 24 euro ad ettolitro per vini da tavola o Igt per il vignaiolo era come offrirgli un tozzo di pane! L’agricoltore, colui che è la vera sentinella del territorio, ha diritto a vivere una vita dignitosa e allora, se da un lato è giusto togliere del vino dal mercato, dall’altro si devono avere giuste contromisure economiche. I francesi hanno dato a compensazione 78 euro ad ettolitro. Questa è una cifra più dignitosa. 

Ha avuto modo di esprime il proprio dissenso alla Ministra Bellanova? 

Certo, ho espresso le mie perplessità quando l’ho incontrata. Loro, le istituzioni, dovrebbero confrontarsi più spesso con i Consorzi di Tutela per capire come stanno davvero le cose. In Toscana abbiamo Avito, il Consorzio dei Consorzi, con cui dialogare per capire se le scelte da mettere in campo sono corrette. Come accaduto, se non c’è dialogo, alla fine si prendono decisioni inique che non danno sostegno all’agricoltura che rappresenta, in Italia ma soprattutto in Toscana, la colonna portante dell’economia visto che fa da volano anche al turismo, altro settore fondamentale da queste parti! 

Cosa chiederebbe perciò al Governo? 

Di investire in questo settore, anche a livello di immagine, anziché disincentivare la produzione agricola. Dobbiamo essere orgogliosi di essere italiani e dobbiamo girare il mondo valorizzando sempre di più i nostri prodotti e, in particolare, i nostri vini. In questo anche noi produttori dobbiamo fare un passo avanti, andare agli eventi esteri compatti sotto la bandiera italiana e capire che il gioco di squadra è vincente. 

Per il 2021 cosa si aspetta? 

Fare manifestazioni, finalmente, tornare presto alla normalità promuovendo i nostri vini. Andremo come Consorzio – Covid permettendo - negli Stati Uniti per mantenere il focus sulla denominazione e anche per dare un segnale di ripresa e vicinanza agli operatori di settore e ai Brunello lovers statunitensi. C'è anche in programma Benvenuto Brunello “OFF”, a Montalcino, nei fine settimana 6-8, 13-15, 20-22 e 27-29 marzo  dedicate a stampa, blogger ed esperti, organizzate nel rispetto delle attuali normative anti-assembramento. Poi dovrebbero esserci le Anteprime Toscane, previste a Maggio, e il Vinitaly a Giugno. 

Non farà caldo per i vostri vini? 

Abbiamo già scritto all’Ente Fiera che deve dotarsi di grossi impianti di condizionamento. Ho ricordi di Vinitaly a ridosso di Pasqua dove faceva già molto caldo nei padiglioni e a Giugno rischieremmo di far soffrire troppo vino e partecipanti. 

Ultima domanda: a Montalcino meglio l’annata 2015 o la 2016? 

Due annate diverse, la prima è più calda e ha dato vita a vini di grande struttura ed esplosività. La 2016 è più equilibrata e i vini che ne derivano sono fini ed eleganti. Diciamo che le due annate accontentano palati e gusti diversi e sono ambedue tra le più grandi degli ultimi anni, la conferma dell’elevato livello qualitativo raggiunto dai nostri produttori. 

Badia di Morrona - Terre di Pisa Sangiovese DOC “Vigna Alta” 2017

di Andrea Petrini

Nelle Terre di Pisa, la famiglia Gaslini Alberti gestisce dal 1939 la bellissima azienda Badia di Morrona. Il Vigna Alta rappresenta il Sangiovese più importante dell'azienda, quello di massima espressione di un territorio fuori dai soliti schemi. 


Cosa aspettarsi perciò? Null'altro che un vino di grande intensità, dal gusto caldo, fruttato e compatto, sostenuto da tannini maturi e persistente scia sapida. 

Tenuta di Saragano, una perla umbra ancora tutta da scoprire!

Saragano è un piccolo ma delizioso borgo in provincia di Perugia, disperso tra le bellissime colline della campagna umbra dove si arriva, nonostante le strade tortuose, solo se si ha un obiettivo preciso e il mio ha a che fare col il Sagrantino di Montefalco e, più in generale, con la Tenuta di Saragano. La Tenuta ha origini che risalgono al XIV secolo e si estende per 220 ettari incontaminati nei quali troviamo 10 ettari di vigneti localizzati a circa 500 metri s.l.m., ovvero la massima altitudine di tutto il comprensorio di Montefalco. 

Il Conte Riccardo Pongelli Benedettoni e Ivan Vincareti

Tenuta di Saragano è di proprietà del Conte Riccardo Pongelli Benedettoni e di Ivan Vincareti (imprenditore ed enologo) i quali, pure provenendo da mondi diversi, hanno messo in comune la loro passione per l’agricoltura biologica e il vino di qualità realizzando un progetto comune ovvero valorizzare le uve dei vigneti del Sagrantino nelle loro rispettive aziende confinanti. 


Ritornando alle vigne, vero cuore pulsante dell’azienda agricola, i 10 ettari sono suddivisi in 5 parcelle ovvero: 

Segreta (1 ha di riesling) 
Piantata (1,5 ha con piante di sagrantino, sangiovese e merlot), 
Palmira (4,5 ha con piante di sangiovese, merlot, grechetto di Todi e trebbiano spoletino) 
Palazzo (2 ha con piante di sagrantino, sangiovese e merlot) 
Le Torri (1 ettaro con piante di sagrantino, sangiovese e merlot) 


In cantina, di recente ristrutturazione, tutti i vini sono fermentanti in acciaio e poi, a seconda della tipologia, vengono fatti maturare in bottiglia o in barrique prima di essere successivamente imbottigliati ed uscire sul mercato. Su questo punto è importante spendere due parole: Riccardo Pongelli Benedettoni e Ivan Vincareti non hanno assolutamente fretta di vendere il loro vino. 


Anzi, i due proprietari sono assolutamente consapevoli che tutti i loro prodotti, soprattutto il Sagrantino di Montefalco, hanno bisogno del giusto tempo di maturazione per smussare quelle spigolature, soprattutto di carattere tannico, che limiterebbero le potenzialità gustative di un grande vino italiano immesso prematuramente in commercio. 


Tutta questa filosofia, nella pratica, si di traduce semplicemente portando il vino, imbottigliato come da disciplinare nell’areale di produzione della DOC\DOCG, dalla cantina di Saragano a quella di Frontignano dove il Montacchielo, il Montefalco Rosso e il Sagrantino di Montefalco maturano ulteriormente fino a quando non sono considerati veramente pronti per essere degustati al meglio dagli appassionati. 


Un esempio pratico? Beh, il Sagrantino di Montefalco attualmente in commercio è relativo all’annata 2014….. 

Con Matteo De Paoli, blogger di Radiobottiglia e ottimo Cicerone durante la mia visita in azienda, abbiamo degustate le ultime annate: 

Segreto di Famiglia (100% riesling): questo spumante metodo charmat, proveniente da un vigneto di 45 anni di riesling, come dice l’etichetta stessa rappresenta il classico vino che i Pongelli Benedettoni usavano bere in famiglia come aperitivo. Uno spumante “intimo” che pian piano, vista la sua gradevolezza, è stato usato anche per allietare gli ospiti dell’Agriturismo di Charme La Ghirlanda, sempre di proprietà del Conte, e che oggi possiamo trovare sul mercato in modeste quantità. A me è piaciuto moltissimo per la sua schiettezza e per non essere “piacione” visto che parliamo, vivaddio, di un extra brut. 


Montacchiello 2017
(100% grechetto di Todi): il colore giallo paglierino, quasi dorato, potrebbe fare pensare ad un bianco passato in barrique ma basta mettere il naso nel bicchiere per capire che di legno questo grechetto non ne vede proprio. La tonalità intensa deriva da uve colte leggermente sovramature e questa scelta, ovviamente, la ritroviamo nel bicchiere dove il vino si presenta aromaticamente complesso grazie ad intense sensazioni di acacia, pesca nettarina, erbe aromatiche e spunti minerali. Al sorso aspettatevi un vino rock, strutturato ma di grande equilibrio e sorretto da vivace acidità citrina. L’ultima annata in commercio è la 2017. Tempo al tempo…. 


Montefalco Rosso 2015
(sangiovese 60%, merlot 25%, sagrantino 15%): il vino rosso di entrata (!!!) di Tenuta Saragano, la cui prima produzione risale al 2002, elargisce un bel ventaglio di profumazioni dove ritrovo l’amarena sciroppata, il mirtillo, la liquirizia, il tabacco aromatico, le spezie dolci. Al sorso è ovviamente di impatto, generoso nel dichiararsi grazie ad una saporosità tannica ancora vibrante che assieme ad una elegante scia sapida finale fanno di questo Montefalco Rosso un vino espressivo e di primo approccio alla filosofia di Tenuta di Saragano. 


Montefalco Rosso Riserva 2016
(sangiovese 60%, merlot 25%, sagrantino 15%): dalle migliori uve del Cru “Palazzo” nasce questa Riserva che, grazie anche alla grande annata di riferimento, risulta rispetto al precedente vino decisamente più pronto e complesso. Al naso ha profumi di more e mirtilli neri, alloro, tabacco da pipa, humus, spezie nere, legno di cedro e rabarbaro. Al gusto il suo impero alcolico è magistralmente modulato da una importante spalla acida. I tannini sono vividi ma ben fusi all’interno della struttura del vino che scorre rapido verso una persistenza fruttata interminabile. 


Sagrantino di Montefalco 2014
(sangrantino 100): lo confesso, in passato sono stato un fan del Sagrantino di Montefalco, molte filosofie produttive basate sulla potenza, spessa incontrollata, mi hanno fatto allontanare da questa tipologia di vino che merita ben altra sorte. Tenuta di Saragano propone di una versione diversa dalle solite note, complice magari una annata, la 2014, fresca e magari più sottile, il vino versato nel bicchiere mi entusiasma anzitutto per il suo quadro olfattivo elegante e poco gridato dove, con aristocratica complessità, si odono lampi odorosi di ciliegia nera, sottobosco verde, humus, scatola di sigari, incenso, pepe nero, eucalipto e cacao. Al gusto la vera sorpresa perché si coglie subito la solidità e l’armonica omogeneità dell’impalcatura tannica e alcolica, il tono grintoso e il corpo vigoroso ma, vivaddio, al tempo stesso elegante. E’ un rosso di grande stoffa, nobile, elitario, che si concede senza mai stufare il palato con masse tanniche ed alcoliche di indecorosa tessitura.



Cantine Botromagno: la pandemia ci ha insegnato che piccolo è bello! - Delivery IGP

di Luciano Pignataro

Beniamino D’Agostino, alias Botromagno a Gravina di Puglia, suoi alcuni fantastici vini dal rosato Lulù al magico bianco Poggio al Bosco, uno dei migliori in Italia secondo il mio modesto parere, e il rosso Pier delle Vigne.
A lui ho deciso di dedicare il primo Delivery Igp 

Beniamino D'Agostino

Beniamino l’anno prossimo fate 30 anni. Raccontati un po’ la storia della tua azienda. 

Tutto iniziò a settembre 1991 un giovane avvocato (io) fu chiamato al capezzale della Cantina Cooperativa di Gravina in Puglia. In breve coinvolsi anche mio fratello Alberto in quella che a tutt’oggi è la più grande storia di amore della mia vita dopo mia figlia e mia moglie. Trasformare una cooperativa in un’azienda modello dedita alla produzione di vini di qualità con grande attenzione all’ambiente è una sfida vinta, COVID permettendo. La Botromagno oggi produce 250mila bottiglie da 45 ettari vitati di proprietà tutti condotti in regime biologico. Gestiamo l’azienda in regime di sostenibilità ambientale compensando le emissioni di Co2 grazie a 35 ettari di bosco ed ai pannelli solari che ci forniranno, entro il 2022 tutta l’energia di cui abbiamo bisogno. 

Prima di questa crisi, qual è stato il momento per voi più difficile? 

Due le scosse più forti l’11 settembre e la crisi economica dei mutui subprime. Il nostro mercato più importante è quello americano e queste due crisi, capitate peraltro nel nostro massimo momento di espansione, ci misero in grave difficoltà. Però voglio dire una cosa fuori dal coro che pochi sottolineano. Il mercato Italiano quindi quello interno è il più importante per quasi tutte le aziende che producono vino di qualità in Italia e nessuno dice che oggi il COVID può essere considerato un colpo di grazia ma la crisi viene da lontano ed è endemica legata alla crisi economica in cui l’Italia si è avviluppata per causa di una classe politica non all’altezza del tessuto produttivo. Si ha un bel dire che ognuno ha la classe politica che si merita, la verità è che le eccellenze imprenditoriali in Italia non mancano ma a causa di un sistema burocratico-politico che non si vuole innovare ed è sostanzialmente parassitario, appena una azienda ha successo va a pagare le tasse altrove e questo a causa di un sistema legislativo-politico-giudiziario non più sostenibile per un paese moderno.
Ovviamente i piccoli come noi non potendo scappare muoiono in patria. 


Cosa vi ha insegnato questa pandemia: c'è qualche errore di cui non vi eravate accorti?

Ci ha solo mostrato quella che è la vita. Banale da dire ma assolutamente concreto. Nulla è per sempre! La pandemia ci ha insegnato che non si può mai dare nulla per scontato o acquisito. Per me poi, che sono un convinto assertore del rispetto della natura senza essere un talebano ambientalista, tutto ciò non è una sorpresa, prima o poi doveva accadere. In realtà, anche se posso sembrare troppo radicale, il vero errore di cui non ci accorgiamo mai è l’essere umano sul pianeta terra, provate ad immaginare che paradiso sarebbe senza l’uomo.  In realtà quello che davvero ho imparato da questa pandemia è che “piccolo è bello” non diventi ricco rimanendo piccolo a meno che non ti chiami Quintarelli o Romanèè Contì, ma da piccolo sei più flessibile e puoi affrontare più rapidamente e forse più efficacemente crisi come quella attuale. 

Che peso può avere l'e-commerce in questo momento? E può avere un futuro quando tutto ciò sarà finito?

L’e-commerce è già il futuro, i lockdown in tutto il mondo hanno accelerato questo processo avvicinando anche consumatori anziani al mondo dell’e-commerce che non soppianterà mai il piacere di andare per botteghe artigiane o mercatini delle pulci ma che per il resto soppianterà sempre più le vendite tradizionali, ovviamente per un ciclo, che io penso lungo, ma poi si tornerà indietro piano piano, Giambattista Vico non sbagliava, la storia è fatta di corsi e ricorsi, e questo per me vale anche per il commercio. Non dimenticate che già prima di questa crisi i centri commerciali in particolare in USA erano già in difficoltà e stava tornando il pizzicagnolo sotto casa. Però non credo tanto all’e-commerce frammentato aziendale e fai da te, i prossimi anni saranno delle piattaforme in grado di offrirti dallo spillo all’elefante (stile Harrods) 

La gdo considerata una linea distributiva di seconda fascia... E' ancora giusto pensarla così? 

Così com’è ancora oggi lo è ancora, troppa roba sugli scaffali e 2||3 dei consumatori hanno bisogno di essere guidati. Vent’anni fa Esselunga mi chiamò, avevano intenzione di organizzare gli scaffali del vino come una vera e propria enoteca con tanto di training per il personale dedicato, con consigli su cosa bere, consigli per gli abbinamenti. Poi tutto abortì. Mi auguro che qualcuno rispolveri questo progetto, solo allora la GDO sarà una vera opportunità per tutto il mondo del vino e non solo per chi fa politica di prezzo ed i grandi marchi. 

Infine: cosa è più utile per la conoscenza dei tuoi vini? Le guide tradizionali, quelle straniere, il web? 

Nel mio caso rispondo senza dubbio giornali stranieri e canali social sono quelli che ti danno immediatamente la percezione se le cose funzionano oppure no. Le guide italiane dal punto di vista commerciale sono morte da tempo nel senso che non ti danno più nulla. Poi molto importante, è inutile essere ipocriti, è produrre buoni vini ed avere un buon rapporto personale con le penne “influenti” godere della stima non solo produttiva ma anche personale di critici qualificati fa ancora la differenza.