E' morto Pino Ratto, un grande uomo e un grande produttore di Dolcetto di Ovada. Non ho mai avuto la fortuna di conoscerlo ma le parole di Mario Soldati (Vino al Vino, Terzo viaggio, Autunno) descrivono perfettamente lo spessore di questo uomo che ci mancherà.
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Foto:http://www.sorgentedelvino.it |
”Appuntamento alle dieci di mattina sulla piazza di Ovada… oggi deserta, nella mattina gelida, sotto un cielo chiuso e grigio. Eppure, scendendo dalla macchina, affacciandomi al parapetto dell’antico guado, e guardando verso i ripidi bricchi coperti da boschi e da vigneti che s’indovinano al di là, nella nebbia bassa, provo uno straordinario senso di sollievo, una giuliva certezza di ritrovare un’atmosfera aspra, montana, povera, indenne dagli eccessi consumistici. Capisco però che mi è difficile comunicare al lettore questa impressione, e il motivo è semplice: riferendo del mio lungo gironzolare tra Asti e Alba, ho evitato quasi sempre di affrontare direttamente i luoghi, le aziende, i personaggi di quegli eccessi: ne ho parlato solo per incidenza e per astratto, e mi sono sforzato di scegliere i miei incontri e di concentrare il mio interesse appunto nelle eccezioni artigianali o addirittura artistiche…Ho taciuto del peggio, di tutto il peggio che mi aggrediva da ogni parte: e non posso dunque comunicare al lettore il mio sobbalzo di gioia quando sulla piazza di Ovada vidi saltare fuori da una rossa Dyane, agile come un gatto, e corrermi incontro vispo come un folletto, il dottore in farmacia Giuseppe Ratto. Lavora solo ventiquattr’ore la settimana, ma tutte di filato, senza interruzione, e tutte nel più allegro posto di lavoro del mondo: la farmacia Pescetto, aperta giorno e notte, in piazza Acquaverde, davanti
alla Stazione di Principe. Dirò allora di lui che, capovolgendo i segni, copia l’algebra dal Padre Eterno perché il settimo giorno lavora e si riposa gli altri sei? Riposa, però occupandosi appassionatamente del suo vino.
Partiamo subito. Ci dirigiamo, neanche lo avessi sentito, proprio verso quei ripidi bricchi sottolineati da cirri nebbiosi al di là dall’Orba, a San Lorenzo: dove Ratto, coi risparmi di tutta la vita non ancora lunga, ha comprato due vecchie cascine coi loro terreni, gli Scarsi e le Olive: “Scarsi” perché sono insediamenti sparsi nell’impervio pendio, “Olive” perché tra le vigne ci sono anche degli uliveti… Fascino della collina ormai spoglia e fasciata di nebbia.
Silenzio profondo che rari, brevi, quasi intimoriti versi di uccelli fanno sentire ancora di più. Pace…
Attraversiamo le Olive, che è ancora comune di Ovada, e arriviamo finalmente agli Scarsi, che è già comune di Rocca Grimalda. Pioviggina. Le vigne sono piantate ancora alla Monferrina, uno dei più antichi sistemi: alberelli sostenuti da palo morto, e in fila, ma non collegati. Ciascun alberello è potato in modo che butta solo tralcio sullo sperone, e ciascun tralcio porta al massimo sette gemme: sistema Guyot semplice e corto. Vigne vecchie: ma Tatto le ripiante e le rinnova man mano, con regolare selezione di innesti e porta-innesti. La piegatura non avviene, come di solito, nel senso del filare, ma ortogonalmente al
filare…
Entriamo nella cascina, che Ratto ha restaurato. A parte l’aggiunta di una cantina spaziosa e razionale, l’esterno però è intatto. E l’interno è trasformato in un’abitazione moderna, fornita di tutti i confort, ma assolutamente non offensiva…Ratto dice che il vitigno da lui impiegato è una varietà a peduncolo rosso detto “zampa di pernice” perché ricorda la zampa della pernice rossa.
In cantina dalle botti, e poi da bottiglie e bottiglioni nella grande cucina al pianterreno della casa, assaggiamo due qualità: una del ’74, superiore, a 13 gradi; l’altra del ’75, comune, a 11 gradi. Non ha veramente nulla dei Dolcetto delle Langhe. Mi piace moltissimo, lo trovo un po’ duro, ma stranamente vivo e gustoso. E mentre assaggio, guardo Ratto, mi ricordo di quando l’ho conosciuto al Bibe, anni fa, e di quando l’ho rivisto col camice bianco alla farmacia: il volto pallido e magro, il ciuffo castano chiaro, i verdi occhi sfavillanti, il sorriso intelligente, i gesti nervosi e decisi, la rapidissima parlata dalla erre scrocchiante: e mi chiedo se a volte un vino, prima di gustarlo, non lo si possa immaginare dalla faccia e dai discorsi della persona che lo fa. Ma altre volte, dopo averlo gustato, accade addirittura che non lo si possa più ricordare se non pensando alla persona che lo fa. Una identificazione, una immedesimazione per sempre inscindibile tra la persona e il vino, come tra alcuni artisti molto spontanei e la loro opera.”