Il
vino del Lazio tra passato, presente e futuro. Così possiamo chiamare la bella
iniziativa messa in piedi da Antonio Ciminelli, patron dell’Osteria FontanaCandida, che attorno ad un tavolo ha riunito alcuni produttori, da lui stesso
selezionati, per cercare di capire se e come si sta evolvendo il vino della
nostra Regione.
Parte della tavola riunita |
L’incredibile
macchina del tempo si è messa in funzione attorno ai bianchi dell’azienda
Fontana Candida che per l’occasione ha voluto proporre due annate del suo Santa
Teresa: 2001 e 2011. Dieci anni sono tanti e le differenze, ovviamente,
notevoli. Il primo sa di frutta gialla matura e miele ed è dotato di un sorso
rotondo anche se manca quella spina acida che potrebbe conferire maggiore persistenza e freschezza di
beva. La 2011 è un po’ il contrario, il vino è fresco, dinamico, citrino, con una bocca
snella alla quale però manca un po’ di “ciccia” per essere completa. Nonostante
queste piccole “imperfezioni”, il Santa Teresa ci dimostra che il vino di
Frascati c’è e vale la pena puntare su di esso.
"vecchi" Santa Teresa |
Santa Teresa 2011 |
Il
primo rosso che ci viene presentato è un tuffo al cuore, parliamo dell’Atina
Cabernet delle Cantine Palombo, un vino importantissimo perché in tempi non
sospetti, quasi inconsapevolmente, ha dato nuova luce ad un territorio che fino
ad allora stava cercando la sua identità. L’annata 1997, presentata da Matteo
Rugghia e dallo stesso Ciminelli, è un piccolo grande regalo per tutti noi, è
un vino talmente virtuale ed introvabile che averlo davanti è un regalo
commovente. Dal punto di vista organolettico appena versato il vino sembra contorcersi, vibrare come la corda di un
violino, cerca di offrire tutto se stesso in pochi minuti, come un fuoco di artificio che, sparato in aria, crea immediatamente giochi di luce per poi esplodere e svanire subito dopo.
Riesco a percepire note di peperone, pomodoro secco, frutta rossa appassita,
finocchio, anice stellato, poi tutto muore in un lento ed inesorabile odore di
dado da brodo. La bocca racconta la sua storia,
la sua passata grandezza. Peccato averlo bevuto con qualche anno di
ritardo. L’annata 2001 è meno emozionante anche se di maggiore gioventù, soprattutto
in bocca dove acidità e tannini ancora graffiano.
L'Atina Cabernet Palombo |
L'Atina Cabernet Palombo..di dietro |
E’
l’ora di Armando di Mauro e del Vigna del Vassallo di Colle Picchioni, uno
degli storici tagli bordolesi del Lazio di cui ricordo un 1985 da brividi. La
prima annata che ci presenta è la 2000 che, inizialmente, gioca a chiudersi nel
bicchiere per poi aprirsi su note scure, quasi terrose. Bocca dosata, di grande
equilibrio, forse manca un filo di grip ma è comunque un sorso piacevole. La
2010 è l’ultima annata in commercio e il vino ovviamente è ancora in fase di
evoluzione, ora è tutto un intreccio di frutta a bacca nera e spezie. La
gioventù si sente maggiormente in bocca dove il tannino ruggisce
prepotentemente. Da aspettare.
Piccolo appunto: mi sarebbe piaciuto degustare il Vigna del
Vassallo dell'era Giorgio Grai, ex enologo dell'azienda che ha passato la mano a Riccardo Cotarella. Forse tra i due vini ci sarebbe stato maggiore stacco stilistico.
Con
Damiano Ciolli, giovane e bravo vignaiolo di Olevano Romano, entriamo in zona
Cesanese. Due le annate di Cirsum presentate: 2005 e 2009. La prima ci offre un
vino fantastico, la giusta evoluzione del cesanese di Olevano Romano crea un
profilo olfattivo magnetico con un ventaglio di aromi che vanno dalla
mineralità rossa al floreale viola fino ad arrivare alle erbe aromatiche. Bocca
di grande espressione, sapida, intensa, persistente. Grande prova. L’annata
2009, invece, è forse più scontrosa nei profumi che si fanno leggermente più
austeri visto che percepisco nettamente le note di rabarbaro, terra ed erbe
selvatiche amare. Sorso elegante, irrompe al gusto la mineralità vulcanica del
terreno. Finale iodato. Damiano, se continua così, avrà un grande futuro.
Paolo
e Francesco Trimani ci presentano un reale ed autentico pezzo di storia
dell’enologia del Lazio, il Torre Ercolana, mix di cesanese, cabernet e merlot,
che ci viene proposto in due annate epiche: 1980 e 1990 (da magnum).
Il primo
millesimo, dove ancora il vino era prodotto da Colacicchi, è un colpo al cuore
e all’anima di ogni appassionato. Il colore, come vedete dalla
foto in basso (bicchiere sinistro), è baroleggiante, un granato affatto ossidato che dice molto
sulla sensibilità di chi ha prodotto quel vino. Appena metto il naso nel
bicchiere arriva la scossa, intensa e viscerale, davanti ai miei sensi ho un
vino pazzesco, commovente, penso che no, non può essere vero, non nel Lazio.
Eppure era là, davanti a me, un taglio bordolese "made in Anagni" di assoluta
integrità che trasuda mineralità, che cresce nel bicchiere con avvincente
progressione liberando sensazioni di viola, scorza di arancia, torrefazione,
timo, terra. La bocca risponde in maniera armonica, è ancora proporzionato al
sorso, ha un tannino fittissimo e una superba sapidità nel finale. Il Torre
Ercolana 1980 è un vino che ti fa ripartire da capo, ti convince che forse nel
Lazio si può giocare un’altra partita, magari erano altri tempi, un altro clima,
ma si può tentare.
Torre Ercolana. 1980 a sx e 1990 a dx |
Con l’annata 1990 siamo già in un’altra epoca, Marco Trimani
ha preso le redini dell’azienda e anche il vino, forse, è mutato. Il colore si
fa notevolmente più scuro, intenso, anche il naso gioca in profondità con le
sue note di caffè, cioccolato, prugna secca, castagnaccio. La bocca è
equilibrata, di personalità, ma a mio avviso manca quel quid in più che
trasformerebbe questo vino in un capolavoro senza tempo.
Torre Ercolana 1990 Magnum |
Tra due giorni la seconda parte di questa fantastica degustazione