Il corretto abbinamento del vino in Giappone?!?

 Notizia del giorno

Ha servito i suoi genitali in un banchetto 'esotico' organizzato a Tokyo, sfamando ben sei diversi gastronomi.
Il suo nome è Mao Sugiyama ed è un artista giapponese dalle idee sicuramente bizzarre.
"Offro i miei genitali maschili (pene, testicoli, scroto) come pasto per 100.000 yen. Li preparerò seguendo le preferenze del compratore" sono state le parole con cui lo chef ha presentato la sua offerta su Twitter.
Avrà un non so che di macabro, eppure sono stati in sei a presentarsi per consumare il singolare pasto.
Mao Sugiyama si descrive come "asessuato", visto che non si riconosce né con gli uomini né con le donne. Qualche giorno dopo il suo 22esimo compleanno, il ragazzo si è sottoposto a un'operazione per asportare i genitali. Poco dopo l'intervento, si è presentato al banchetto dove ha servito la sua cena.
Inevitabile è stato lo scoppiare della protesta. Pare che un portavoce della polizia si sia giustificato dicendo che gli agenti non sono potuti intervenire perché "il cannibalismo in Giappone non è illegale". 

DOMANDONA

 Il bravo sommelier che vino dovrebbe abbinarci? Io ho la risposta!!


P.S.: lo so, è il mio peggior post di sempre ma certe cose me le servono su un piatto d'argento...no, non quelle cose...

Francesco Guccione, sono dalla tua parte!

Proprio pochi minuti fa mi sono imbattuto nel post di Francesco Guccione, giovane vignaiolo naturale siciliano che ha raccontato nel suo nuovo blog le periperzie, chiamiamole così, legate alla sua (ex) azienda agricola. 
Al termine della lettura la prima cosa che ho fatto è stata dargli tutta la mia solidarietà con la speranza, ne sono certo, che il futuro gli regalerà grandissime soddisfazioni. Io, intanto, per i pochi lettori di Percorsi di Vino, copio ed incollo le sue parole...

Francesco Guccione - Fonte: Sorgente del Vino

Capita a volte che nella vita si debba ricominciare tutto da capo. E capita di dover ricominciare la stessa cosa che avevi fatto sino al giorno prima. Come in un brutto sogno, un giorno rientri a casa tua e ti trovi la porta della cantina chiusa e qualcuno che ti dice ‘Mi hanno detto di non farti entrare, tu sei fuori dall’azienda’. E’ una cosa a cui non riesci a credere, pensi che non sia vero e inizi a vivere una vicenda surreale che ti lascia l’impressione di essere stato cancellato dal giardino degli uomini, senti messo in discussione il tuo diritto ad esistere. Nonostante i disaccordi nella gestione e nelle finalità pensi sempre che alla fine qualcosa tenga tutto insieme o che ci si possa separare civilmente e ragionevolmente, dando a ciascuno la possibilità di continuare.
 
Ho lavorato sette anni per dare vita e impulso ad una azienda  che portava il nome della mia famiglia e che fino a quel momento aveva venduto le uve. Ho progettato una cantina nel 2000, nel 2005 abbiamo incominciato a vinificare e ho fatto nascere dei vini diversi che nella mia zona non esistevano, che portano in etichetta sin dall’inizio il mio nome, il nome dei miei amici più cari, persino quello di mio figlio. 

Ho accompagnato questi vini in giro per l’Italia, e poi per il mondo, spiegando a tutti quelli che incontravo come lavoravamo, come vinificavamo e cosa poteva nascere da Trebbiano, Catarratto, Perricone e Nerello in Contrada Cerasa. Ho conosciuto Nicolas Joly e nel 2005 ho cominciato a lavorare i vigneti in biodinamica, ho portato l’azienda in Renaissance des Appellations caratterizzandola nella serietà del lavoro naturale in vigna e in cantina. Ho lasciato il lavoro che facevo a Palermo per dedicarmi completamente ai vini di Cerasa, mi sono guadagnato la stima e la fiducia di importatori, rivenditori e clienti. L’azienda, attraverso la mia passione, stava crescendo e all’improvviso tutto questo si è polverizzato lasciandomi tra le mani i soli vigneti, senza nemmeno le attrezzature per lavorarli. Sono rimasto senza i vini, chiusi in cantina e valutati così poco a bilancio da far risultare l’azienda in perdita e togliermi la possibilità di averne una parte in proporzione al lavoro svolto , i vini su cui avevo lavorato sino a novembre 2011 sembravano, nella magia dei numeri, non essere nulla. L’annata 2011 che sono stato obbligato a lasciare non appena svinato, è un vino che non riesco più a riconoscere come mio. 

Sono rimasto senza una cantina, e se si riuscirà a portare a termine l’annata agraria, ancora non c’è un luogo dove vinificare. Sarà difficile ricostruire le cose in fretta, il vino ha tempi lunghi, ma io ho deciso di metterci tutte le mie forze perchè questo lavoro è la mia vita.
Con queste righe, che mi sentivo in dovere di scrivere per chiarire e spiegare la situazione  a chi mi ha seguito tutti questi anni, lo sguardo verso il passato però si chiude e si apre quello verso il futuro. Non c’è più tempo per recriminare, le cose da fare sono troppe.
 
Sono ripartito da capo dalle vigne e dal lavoro di vignaiolo,  e se riparti da una cosa che hai già fatto è più facile muoversi con consapevolezza nelle vicende di ogni giorno, riesci a trovare il modo di concentrare l’attenzione anche su cosa facilita un esperienza, quali sono i passaggi obbligati, quali le scorciatoie. Capisci che se non avessi mai fatto questo mestiere ci metteresti molto di più a districarti dalle difficoltà e allora ti viene voglia di raccontarlo a quelli che questo lavoro lo fanno per la prima volta, che iniziano e si sentono sperduti davanti a tutto ciò che c’è da fare.  Io sono ripartito e mi piace l’idea di poter raccontare a tutti quellli che in qualche modo hanno preso questa strada cosa significa fare vino da artigiani nella vita di ogni giorno, un po’ come sto facendo io. Raccontare le tantissime cose di cui questo lavoro è fatto. 

APPLAUSI

Se il Cile batte Bordeaux e Sassicaia....

Udite, udite, o appassionati di vino che spendete migliaia di euro per comprare grandi Bordeaux o per qualche bottiglia di Sassicaia e Tignanello. Quel vino, il vostro vino, non vale una cicca se confrontato al grande Seña, un cileno tutto pepe che a Londra, durante una verticale dal 1995 al 2010, ha battuto i grandi vini del Vecchio Mondo come Lafite, Margaux, Sassicaia e Tignanello.

In pratica un tavolo di "esperti" degustatori ha messo al primo e secondo posto del podio le annate 2008 e 2012 del Seña staccando di molto Sassicaia 2005 e Margaux 2001 che tutti, su carta, davano per favoriti. Ed invece....tiè!

Seña 2008

Ah, la classifica vede all'ultimo posto il Lafite 1995 che ha preso solo 31 punti, in pratica 50 punti in meno rispetto al Seña 2008. Visti i prezzi delle bottiglie, dove il cileno risulta essere meno cara di oltre 1/5 rispetto al Bordeaux, le cose sono due_ o le degustazioni alla cieca sono davvero rappresentative dell'oggettiva bontà del vino a prescindere dalla fama oppure meglio cambiare giurati per evitare bestemmie...

La classifica completa è comunque la seguente:

Seña 2008 – 81


Seña 2010 – 80

Sassicaia 2005 – 75



Margaux 2001 – 75

Seña 2001 – 73



Tignanello 2008 – 57


Seña 2005 – 52


Seña 1997 – 48


Seña 1995 – 43


Lafite 1995 – 31

Un Timorasso di nome Walter Massa

A Monleale quella domenica tirava tanto vento ma Walter, con la sua polo blu elettrico, ci aspettava lo stesso tra le vigne incurante dei vortici d'aria che tramutavano i Colli Tortonesi in una specie di nuvola di pollini e foglie e rami spazzati via da chissà quale arbusto.
Il vignaiolo Massa è un uomo schietto che bada molto al sode e non sta lì a raccontarti storielle. Un breve saluto e ci parla della storia di questi luoghi, dei problemi dell'agricoltura di oggi, delle sue speranze, della sua vita. Fortunatamente il video rende più di ogni singola parola che potrei scrivere.


"Venite con me, andiamo a vedere i mie Cru da vicino". Non facciamo in tempo a voltarci che ecco comparire Walter Massa con la sua Fiat Punto sgangherata che ci porterà a visitare le sue migliori vigne: "Costa del Vento" e "Sterpi". I due Cru aziendale sono all'interno di una bellissima valle scoscesa, tanto vicino quanto lontani a livello geologico: il primo giace su terreni calcarei argillosi mentre il secondo è poggiato principalmente su sassi.

Vigneti Massa
Ritorniamo e ci precipitiamo dentro casa di Massa che ha preparato una batteria di Timorasso niente male da farci bere prima della partenza per Roma. Iniziamo col Derthona 2010, bianco "base" da uve timorasso proveniente da quattro vigne "non cru" aziendali più da uve non selezionate dei vigneti "Sterpi" e "Costa del Vento". Il vino è puro gesso liquido, è calcare che invade le papille gustative seguito da abbondante e corroborande acidità. Forse manca di complessità ma è una lama verticale da primato. 
Passando al Derthona 2007, a livello olfattivo la frutta a polpa bianca matura inizia ad intrufolarsi tra le maglie della mineralità regalando un profilo complessivo più completo. In bocca, alla cieca, lo scambieresti per un grande riesling della Mosella. Cavolo, alla cieca potrebbe dare tante soddisfazioni!


Gli faccio la domanda del secolo:"Come ti è venuto in mente di credere al Timorasso?". Il video di seguito parla chiaro!


Il "Costa del vento" Colli tortonesi 2010 deriva dai uno dei vigneti CRU di Massa che, storicamente, è allevato a guyot con densità di 5.300 ceppi/H. Il Timorasso che ne esce è diverso dal Derthona sia per complessità che per espressione. Il "Costa del Vento" è meno minerale e più fruttato. Percepisco la frutta bianca leggermente matura, perfettamente fuso nella mineralità che stavolta funge da cornice del quadro olfattivo. In bocca è un'altra storia, è un vino tridimensionale, si allarga e si espande in ogni punto del palato e prosegue dritto inesorabile per la sua strada senza interruzioni.

Il "Costa del vento" Colli tortonesi 2008 è simile al precedente per olfatto e gusto anche se il tempo gli ha donato più incisività e una maggiore definizione. Equilibrio ottimale in struttura sontuosa. 

Il "Costa del vento" Colli tortonesi 2002 è un piccolo capolavoro di precisione in un'annata denominata "piccola". E' sontuoso, ricco, elegante, è la perfezione e l'evoluziona sana e completa dei primi due. La nespola, il cedro, l'acacia, la selce, le erbe di montagna sono qua alla massima espressione e donano al sorso sapidità ed austera eleganza. Un campione da avere in cantina per ora e per sempre.


Lo "Sterpi" Colli tortonesi 2010 rispetto al precedente CRU si apre al naso su toni più minerali, salini, quasi fumè. Accanto la solite cascata di frutta bianca e erbe. E' un vino che alla gustativo risulta di grande struttura, potenza, centrato sulla freschezza e sulla eleganza. L'ho soprannomianto un Derthona 2.0. Analiticamente Massa mi dice di essere più secco del "Costa del Vento".

Lo "Sterpi" Colli tortonesi 2005 ha una lieve nota idrocarburica in evidenza lo rende più teutonico che tortonese. Ad oggi sembra un vino del Nord, austero, concentrato, con un impianto gustativo di grande struttura e una nota lievemente salmastra nel finale che rende la beva armonica e appagante.


Piccola considerazione sui rossi di Walter Massa: tra i vari abbiamo degustato da botte una Freisa 2010 da sballo per un'eleganza floreale di fondo e un Barbera 2011 di grande profondità e persistenza. Altra vino da segnare in agenda: la Croatina Pertichetta 2005, un piccolo grande regalo ad un vitigno storico della Regione troppo spesso bistrattato da vignaiolo senza scrupoli. Ragazzi è veramente buona nei suoi toni di prugna e mirtillo e nei suoi sprazzi vegetali e balsamici.

Che altro dire? Solo due parole: grazie Walter!


Dalla Rete: il prezzo del Bordeaux va giù...

In principio è stato il blasonatissimo Château Lafite Rothschild fissando il prezzo del suo “grand vin” 2011 a 420 euro a bottiglia (-30% sul prezzo del 2010, che era di 600 euro), poi la corsa al ribasso, ad oggi, sembra non trovare più ostacoli, interessando il resto degli Chateaux, in una specie di “effetto domino” dalle proporzioni decisamente ampie. Ecco, in sintesi, quello che sta provocando anche nella zona vitivinicola più importante del mondo, la crisi globale. Una conferma a quello che Winenews aveva pronosticato come il “sussulto più importante della tradizionale campagna di vendita en primeur bordolese, preludio “ad un affaticamento della domanda per i prestigiosi premier cru di Bordeaux” (vedi articolo del 20 aprile 2012).


Fatto sta che oltre 40 chateaux (tra cui Haut Brion, Angelus, Calon Segur e Kirwan), in questi giorni, stanno fissando i prezzi dei loro vini più importanti al ribasso, causando a dir poco lo sconcerto dei negociants e degli operatori commerciali. Haut Brion insieme agli altri Premier Cru Classé Lafite e Margaux ha fissato il prezzo del suo “grand vin” a 360 euro, in calo del 45% rispetto allo scorso anno. In discesa anche l’azienda “sorella” Mission Haut Brion, -64% sul prezzo 2010, a 216 euro.
Un fenomeno che sta colpendo anche i vini che occupano una posizione secondaria nella classificazione del 1855, a riprova che a chiedere un ridimensionamento del prezzo potrebbero non essere soltanto i mercati interessati ai vini di prima fascia. Così, secondo www.decanter.com, Château Calon Segur costa 39,60 euro (-40%), Clinet 50 euro (-41,8%), Angelus 138 euro (-38,7%), Ferriere 19,60 euro (-14,04%), Langoa Barton 31,20 euro (-29,90%), e Château Kirwan 28,50 euro.
Una battuta d’arresto senza appello sui prezzi (stellari) spuntati dalle annate 2010, 2009 e 2005, che ha riportato il loro livello ai valori del 2008, e che potrebbe però rivelarsi una vera e propria inversione di tendenza. Berry Bros & Rudd di Londra, uno dei più antichi Fine wine merchants, ha evidenziato il fatto che etichette come Margaux, Palmer, Lynch Bages e altri valevano 8 milioni di sterline, quest’anno, invece, 1,2 milioni di sterline. Evidentemente, considerare il fatto che la 2010 si tratti di un’annata più economica, non spiega fino in fondo una differenza così importante.


Il problema è che questa tendenza sembra sempre più riflettere la domanda proveniente dall’Asia, che si è raffreddata. E negli Stati Uniti, nonostante che l’economia stia crescendo di nuovo, solo i collezionisti di lunga data dei vini di Bordeaux sembrano essere interessati a fare acquisti importanti.
Dal punto di vista dei futures sui vini dell’annata 2010, poi, le cose, evidentemente, potrebbero cambiare nei prossimi mesi. Gli ordini potrebbero aumentare, ma l’incertezza economica non aiuta. Haut-Brion, infatti, ha reso noto il prezzo del suo vino più importante proprio nel giorno in cui i mercati finanziari hanno segnalato una forte preoccupazione per le sorti della Grecia e delle altre economie europee in difficoltà. E la domanda più semplice è: e se l’euro va giù? Qual è l’incentivo per acquistare ora? 

Articolo tratto da Winenews.it

Quello che...il vino lo fanno bene
















Indovinato il loro nomi? 

Ovviamente alla lista mancano tantissimi altri nomi ma queste erano le foto che avevo all'interno della sim card della mia vecchia macchina fotografica.

 

Le stelle, il Brunello Montalcino, l'Espresso e l'onestà intellettuale

Tempo fa leggevo sul bellissimo blog dell'Espresso quanto segue:"secondo giorno di degustazioni a Montalcino, anche oggi dedicato ai Brunello 2007. Di solito non trascriviamo note di assaggio in questa fase. Prima vogliamo provare, riprovare, ririprovare i campioni: dalla stessa bottiglia a distanza di uno, due e anche tre giorni dalla stappatura; da una seconda bottiglia, nei casi interpretativamente dubbi; da una terza bottiglia fino a una centotrentaduesima bottiglia diversa, nei casi più aggrovigliati.

Le prime impressioni confermano tuttavia la sensazione avuta nel corso degli assaggi di Benvenuto Brunello, che si tratti di un’annata molto pronta. I vini sono in media caldi, percettivamente molto alcolici, a “maglie larghe”, piuttosto lenti nel percorrere l’arco gustativo.
Molto significativa, in questo senso, la riprova delle bottiglie a distanza di un giorno. Non pochi Brunello vivi, armoniosi, equilibrati appena aperti, si rivelano opachi, scomposti, slabbrati dopo ventiquattro ore di contatto con l’aria. La lotta – in certi casi accanita – dei produttori per dare freschezza e spina dorsale ai vini con ringiovanimenti assortiti (del tutto legali e spesso anzi utili, ricordiamolo) sortisce esiti alterni. In certi casi il vino regge la prova, in altri si sfilaccia, si scinde nelle componenti di partenza: da un lato la base 2007, statica e di forte spinta alcolica, dall’altro le voci più giovani, fresche e fruttate.
La generosa terra di Montalcino non tradirà comunque le attese dei suoi appassionati. I migliori vini sanno e sapranno farsi ben valere, come sempre.
E, a giudicare dai nostri risultati parziali, le sorprese in guida non mancheranno".

Rizzari e Gentili. Fonte: Pignataro wine Blog

Se andiamo sul sito del Consorzio all'annata 2007 sono state affibiate ben cinque stelle, la massima valutazione. I motivi che portano i geni del Consorzio ad attribuire certe valutazioni sono facilmente comprensibili

Al fine di evitare che il consumatore appassionato venga preso per il culo per i prossimi anni, volevo chiedere ufficialmente a Rivella se poteva ingaggiare Rizzari o Gentili come consulenti unici per la mappatura stellare del Brunello di Montalcino. Non sono proprio economicissimi però fanno evitare tante figura di merda e, di questi tempi, è una grande virtù.



I territori del Fiano con Luciano Pignataro e Slow Food


Il Fiano di Avellino, uno dei più grandi vini bianchi italiani, è stato al centro di un seminario tenuto da Luciano Pignataro in collaborazione con Slow Food Roma e Slow Food Ciampino. Il tema, impegnativo, era quello di capire le varie anime di questo vitigno che, a seconda del terroir di elezione, offre caratteri ed espressioni diverse, spesso anche in contrasto tra in loro, in un gioco che, alla fine, fa ritornare la mente del degustatore ad un unico grande concetto: il Fiano, quando fatto bene, è pura emozione.

Fonte: winesurf.it

I territori di elezione di questo vitigno sono stati studiati negli anni da molti giornalisti ed appassionati, Pignataro in testa, che in maniera più o meno empirica hanno individuato le seguenti zone: Lapio, Summonte, Cesinali e Montefredane.

Lapio

Questa è una zona storica del Fiano visto che già negli anni ’80 molti contadini hanno impiantato questo vitigno per contrastare la crisi del vino rosso a base Aglianico che in quel periodo stata soffrendo parecchio per via dello scandalo del metanolo.
Questa è una zona collinare, siamo sui 500 metri s.l.m. e i terreni sono prettamente argillosi. I vini che ne escono, pertanto, sono tutti di grande impatto e ben leggibili nelle loro caratteristiche di grande presenza di frutta dolce, succosa, suadente.
Il territorio è stato rappresentato da due produttori: Clelia Romano e Rocca del Principe.

Il Fiano della prima produttrice, annata 2010, esplode all’olfatto con un cesto di frutta gialla e bianca che non conosce confini. C’è rotondità ma, attenzione, non dolcezza perché il tutto viene smussato da una vena minerale semplice ma efficace. In bocca, invece, diventa austero e non concede quello che il naso prometteva. E’ una bella donna che seduce ma non porti a letto. Finale lievemente e tipicamente amarognolo.

Il Fiano 2010 di Rocca del Principe è più verticale di quello precedente, la vena minerale e acida si fa sentire in maniera netta come più intense sono le note di erbe aromatiche. E’ un Fiano meno pacioccone di quello di Cleria Romano, più sapido e meno diretto. Il mio preferito tra i due.


Summonte

Siamo all’interno del versante opposto a Lapio, alle pendici dal monte Partenio, sede del Santuario di Montevergine. I suoli, meno profondi, sono meno argillosi e più calcarei e dotati in superficie di uno strato di cenere vesuviana derivante da antiche eruzioni del vulcano. I vini, in questo territorio, sono dotati di maggiore componente minerale, fumè, e spiccate note vegetali e balsamiche. I produttori rappresentativi del territorio sono Ciro Picariello e Guido Marsella.

Il Fiano di Avellino di Picariello, anch’esso 2010, pur giovanissimo rivela la sua anima minerale ed affumicata che col tempo si amalgama con una vena agrumata e vegetale che completa il profilo olfattivo. In bocca è lui, intenso, equilibrato, ammandorlato e con un finale sapido che non termina mai. Promette benissimo.

Il Fiano di Guido Marsella, unico 2008 della degustazione, ti fa capire quanto evolva bene il vitigno nel tempo. Al naso si apre sapido, salmastro, si percepiscono note di idrocarburo, poi col tempo, aprendosi, il vino diventa più agrumato, muschiato. In bocca, dopo un attacco leggermente amaro, si distende e si “addolcisce” gestendo al meglio la sua anima affumicata mediata da sentori di crosta di pane. Un cavallo di razza da non perdere.

Fiano di Picariello in primo piano 

Cesinali

Questa fascia collinare ad est di Avellino è rappresentata da terreni più sciolti, sabbiosi con una dotazione, se scaviamo in profondità, di ciottoli e minerali. I vini che ne risultano sono di immediato impatto, leggibili e dotati di carattere tostato. Due le aziende scelte come rappresentanti del territorio: I Favati e Cantine del Barone.

Il Fiano Pietramara etichetta Bianca 2010 de I Favati sprigiona aromi agrumati, di gesso, erbe aromatiche, camomilla e frutta a pasta gialla. E’ morbido, casalingo, beverino, di buona freschezza e sapidità. Posso dire che, per certi versi, mi riporta nel territorio di Lapio?

La particella 928 di Cantine del Barone, altro Fiano 2010, è spiazzante, un vino totalmente opposto al precedente che fa traballare un pochino le mie convinzioni sulla perfetta leggibilità del territorio. Il vino di Luigi Sarno è di stampo (quasi) naturale: nel vitigno di quasi mezzo ettaro, infatti, non vengono usati sistemici e diserbanti e la vinificazione viene effettuata senza ausilio di lieviti selezionati. L’impatto olfattivo del vino è verticale, floreale, di fiori di acacia, erba, col tempo escono nel Fiano dei tratti crudi e inestricabili che rendono la componente olfattiva molto personale. Bocca tesa, austera, sapida, unica e dinamica. Bevendolo ho la sensazione di avere di fronte un vino ancora troppo in fasce per capire come sarà da grande. Sarei curioso di bere le vecchie annate.

La platea

Montefredane

La collina di Montefredane vanta un terroir per certi versi estremo come estremi sono i suoi vini. Da queste parti c’è tanta argilla e roccia e i Fiano che escono sono inconfondibilmente minerali, boisè, vulcanici. Due le aziende scelte in rappresentanza: Pietracupa e Vadiaperti.

Il Fiano 2010 di Pietracupa è inesorabilmente, indissolubilmente e visceralmente salato, salmastro, con tratti non troppo accennati di idrocarburo a cui seguono, col tempo, soffi di pera e agrumi.
In bocca è scontroso, dinamico, freschissimo, sapido, controverso e affascinante. Lunghissimo. Il mio preferito.

Il Fiano 2010 di Raffaele Troisi è meno estremo del precedente in tema di mineralità e boisè visto che il corredo olfattivo è in parte mediato e smussato da toni di nocciola ed erba di campo. Anche al gusto è meno sapido e salmastro pur mantenendosi freschissimo e di grande intensità. Chiude, lunghissimo, con un retrogusto autunnale che ricorda la brace spenta.




Fergie dei Black Eyed Peas lancia il suo nuovo vino

Ormai, per chi ha soldi e successo, il vino più che una passione è investimento e immagine. Fergie, voce femminile dei Black Eyed Peas non è altro che l'ultima star della musica che ha deciso di diventare "vignaiola" attraverso l'acquisizione di una tenuta in California, precisamente nella zona di Santa Ynez Valley (Santa Barbara).

Fonte:http://www.thedrinksbusiness.com

L'azienda, chiamata Ferguson Crest, produrrà un bianco da uve Viognier e due rossi da uve Syrah e Cabernet Sauvignon. Piccole quantità: 1000 casse di Syrah e molto meno per il Cabernet e il Viognier. Si attendono prezzi in linea con lo star system.

Fonte:http://www.thedrinksbusiness.com

Pare, comunque, che in America ultimamente molti cantanti stiano avvicinandosi a Bacco. Oltre a Fergie, anche Drew Berrymore ha cominciato a produrre pinot grigio mentre Dave Stewart degli Eurythmics, assieme all'australiana Mollydooker Winery, ha prodotto l'ennesimo Syrah maturato in legno nuovo chiamato Ringmaster General Shiraz 2010. Costo? 78 dollari a bottiglia.

Fonte:http://www.thedrinksbusiness.com

Riserva Ducale Oro, lo storico Chianti Classico di Ruffino compie 60 anni

I puristi dopo aver letto il titolo del post avranno storto il naso perchè Ruffino, ormai diventata di proprietà della multinazionale americana Costellation Brands, non dovrebbe rappresentare il target di riferimento di questo piccolo blog artigianale sempre pronto a dar spazio alle storie dei piccoli vignaioli.  
Forse, però, si dimentica che Ruffino e il suo Chianti Classico più prestigioso, la Riserva Ducale Oro, hanno fatto la storia del vino non solo in Toscana ma in tutta Italia. 
Perchè allora non festeggiare i 60 anni di un'etichetta che ha rappresentato un fulgido passato (italiano) che, speriamo tutti, tracci la via maestra (americana) anche per il futuro?


Un millesimo: 1947. Primo Levi pubblica "Se questo è un uomo", giura il quarto governo De Gasperi, la Spagna diventa stato monarchico, l'Assemblea generale delle Nazioni Unite vota la spartizione della Palestina tra arabi ed ebrei, nasce la CIA e la Polaroid inventa la fotografia istantanea.  

In Toscana, invece, Ruffino creava la Riserva Ducale Oro come evoluzione del Chianti Classico "Riserva Ducale" in produzione sin dal 1927.

Sono gli anni in cui il Chianti si faceva con uve a bacca nera e bacca bianca, pigiandolo coi piedi e infiascandolo in generosi recipienti avvolti nella paglia, per berlo giovane e trarne energia spesso necessaria ad affrontare una sudata giornata di lavoro nei campi.
Però, già ai tempi, era costume serbarne un poco - il migliore - per le occasioni speciali: la nascita di un maschietto, un compleanno, la visita di un parente da lontano, il Natale. 
Questa partita doveva anche migliorare con gli anni, grazie al lento riposo nelle umide e buie cantine delle case di una volta, per diventare ancor più buono e rendere così ancora più unico il solenne momento della decantazione. Vino come bene edonistico, non più solo prettamente alimentare: un concetto antesignano per una nuova idea di vino che ancora aveva da compiersi e che in Toscana, e in Italia, era ancora poco diffusa ma a cui Ruffino credeva moltissimo. 


E' da questo vissuto che era nato un Chianti Classico Riserva che negli anni è cresciuto a fianco delle grandi storie d’Italia, dal progresso della giovane Repubblica, all’alluvione di Firenze, dagli anni difficili del vino Italiano nella metà degli anni Ottanta fino alla grande rinascita che senza sosta ha attraversato tutto il territorio del Chianti Classico e la nostra migliore enologia. 

Qualche giorno fa, a Roma, Ruffino ha voluto festeggiare il sessantesimo anniversario del suo vino più importante attraverso una mini degustazione verticale di tre annate di Riserva Ducale Oro: 2007 (edizione speciale 60 anni), 2001 e 1990.

Il Chianti Riserva Ducale Oro 2007 (sangiovese 80% minimo più cabernet sauvignon e merlot) è ancora giovane, inquieto, ma ha profumi di grande eleganza dove prevale il lato fruttato composto da marasca e lampone. Seguono poi echi di tabacco conciato, essenza di violetta e cannella. Gusto segnato da una gradevole vena acida, da ritorni di frutta rossa croccante e tannini molto fini.
 

Il Chianti Riserva Ducale Oro 2001 (85% sangiovese, 15% vitigni complementari come da disciplinare di produzione), versato da magnum, si conferma figlio di una bella annata in Toscana dove la frutta rossa, ancora una volta, gioca un ruolo importante nel profilo olfattivo del vino anche se, rispetto alla 2007, si affacciano intriganti note di spezie orientali, cioccolato e soffi balsamici. In bocca è di grande equilibrio e morbidezza. Un grande classico. 

Il Chianti Riserva Ducale Oro 1990 rappresenta un punto di riferimento inequivocabile per Ruffino e per il Chianti Classico in generale. E' un vino vecchio stile che non passa mai di moda e che grazie al piccolo apporto di uve bianche (all'epoca si poteva) garantisce quel guizzo di freschezza e tradizionalità che ogni prodotto storico dovrebbe conservare nel suo DNA. 
All'olfatto è un mosaico di colori, un tavolozza dove si riconosce ancora il rosso del frutto, il marrone del legno di ebanisteria, il giallo del sottobosco autunnale e il nero delle spezie. Al gusto è sapido, ampio, lunghissimo, strepitoso. Gran vino, un monumento.
 


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Molti hanno visto la cosa come un segno premonitore, una sorta di anteprima della fine del mondo.

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Rosso Cesanese 2012: è tempo di cambiare!


Scrivere o non scrivere, questo è il problema. Lo scorso anno mi sono preso tutte le ingiurie dei produttori perchè avevo, secondo loro, mal interpretato il loro vino. Quest'anno, che la situazione è stata peggiore, mi domando: scrivere o non scrivere. Dirlo o non dirlo. La tensione, fortunatamente, un pò me l'ha stemperata il mio amico Fabio Cagnetti su Intravino che, senza giri di parole, ha scritto alla sua maniera quello che tutti abbiamo pensato ad Anagni.


E' stato cattivo ed offensivo? No, assolutamente, perchè gli offesi stavolta siamo noi che su oltre trenta vini ne abbiamo salvati cinque o sei mentre gli altri, e penso di parlare anche per le persone che mi erano accanto, erano senza anima o, peggio, difettati. In quest'ultimo caso non mi si venga a dire che c'erano molti campioni di botte perchè la scusa non regge. 

Cari produttori, proprio voi che nonostante tutto avete fornito il vostro vino al giudizio della stampa, perchè non vi fate un giro all'Anteprima del Chianti per verificare di persona come vanno le cose da quelle parti, soprattutto come sono i grandi vini spillati da botte. 

Abbiate coraggio e cambiate le vostre abitudini di cantina, parlate col vostro enologo (se lo avete) e mandatelo in giro per l'Italia a confrontarsi con realtà più dinamiche e qualitativamente migliori del Cesanese. Purtroppo, ad oggi, ce ne sono tante! Imparate dagli altri e dagli errori degli altri!


Uscite dal paesello, dalla logica del "chissenefrega tanto il vino lo vendo", cominciate ad amare il bello, l'estetica, perchè un produttore senza quel tipo di concezione non potrà mai fare un vino decente, nemmeno in una granda annata come la 2010 che, teoricamente ottima, siete riusciti a mal interpretare.

Insomma, datevi da fare perchè il prossimo anno non vogliamo più bere vini così, perchè il vostro "tirare a campare" pregiudica anche il lavoro di quei pochi produttori (peccato mancassero i Macciocca) che lavorano bene. Anche loro, mi chiedo, come fanno a crescere se devono confrontarsi con realtà del genere? Che senso ha dire che il loro vino è il migliore quando gli "sfidanti" non sono all'altezza di gareggiare?

In tutto questo bailamme, come ha scritto Macchi, salvo un paio Cesanese base 2010 come il Colleticchio di Corte dei Papi, molto fresco ed agrumato, e il Campo Novo di Casale della Ioria che rappresentano un punto iniziale discreto per approcciarsi al Cesanese di qualità.


Tra le DOCG 2010 Superiore, tra i tanti, troppi vini di scarso appeal, ho trovato più che discreti il Massitium di Pileum, Casale della Ioria e i due vini di Coletti Conti, Romanico ed Hernicus, con una leggere preferenza per quest'ultimo che risulta ad oggi davvero ben espresso e un vino dall'ottimo rapporto q\p.


Tra i DOCG 2009 Riserva, tra vini amaroneggianti e rifermentati, ho trovato un porto sicuro solo nel Torre del Piano di Casale della Ioria, davvero complesso e profondo, e nel Vajoscuro di Giovanni Terenzi che, rispetto alle annate precedenti, ho trovato felicemente ingetilito e smussato dei suoi angoli.


Abbiamo degustato in totale 31 campioni e me ne sono piaciuti circa un terzo. Questo fornisce la visione di insieme di una situazione da ribaltare. Subito.

Il Chianti è Rock, il Barolo è lento?

Dopo il vino rosso targato Motorhead che avrebbe venduto in Svezia circa 250.000 bottiglie, arriva dall'Italia un altro vino per uomini duri e cazzuti: il Chianti Rock!


L’idea è di Domenico Tancredi, direttore tecnico/cantiniere della Fattoria di Faltognano che, direttamente dalla Colline di Leonardo Da Vinci, ha realizzato il sogno di "mettere in comunicazione uno dei marchi del Made in Italy più famosi al mondo con il genere musicale che è sinonimo di libertà ed energia per eccellenza". "Questa - scrive testuale Tancredi - è l’idea alla base del Chianti Rock, che vuol essere un prodotto intorno al quale gli appassionati di musica e rock and roll si radunano e condividono eventi, passioni ed emozioni pure".


Il Chianti Rock è 100% sangiovese vinificato in bottiglia ed affinato in legno di rovere francese. Sempre sul sito si legge che "il Chianti Rock è un prodotto che si sviluppa sopratutto intorno al mondo musica, abbinato a meeting artistici, conferenze stampa informali o eventi ufficiali di promozione, personalizzando cosi ogni iniziativa.Si sviluppa ottimamente anche insieme ad eventi privati, mostre forografiche, presentazioni di libri e cortometraggi e tutto quello che è in effetti cultura. 

Domenico Tancredi può garantire la personalizzazione delle bottiglie trasformando un progetto personale in un progetto e un idea per tutti. Applicando infatti bollini sulle bottiglie, personalizzabili sia per dimensioni che per forme, potete rendere il vostro evento unico e senza dubbio originale".

Ora, a prescindere dal (più che lecito) progetto di Tancredi e da questo vino che non conosco ma che non dubito sia buono, mi chiedo perchè altre grandi denominazioni italiane, leggi Barolo, non adottino questo tipo di marketing. Sono meno avanzati commercialmente oppure da quelle parti cercano in ogni modo di tutelare il nome di una grande denominazione?  
Basta veramente avere una vigna nell'areale del Chianti e rispettare il disciplinare di produzione per poi fare come si vuole e trasformare, che ne so, un sangiovese in purezza nel vino ufficiale dei petomani toscani?

Buon rock a tutti!