Oggi mi trasformo in food blogger e vi parlo un po’ delle delizie enogastronomiche della provincia di Trapani.
Iniziamo il viaggio da Erice, città mitica, si dice fondata da esuli troiani, posta sulla vetta dell’ omonimo Monte Erice, il nome deriva da Erix un personaggio mitologico, figlio di Afrodite e di Boote, ucciso da Ercole.
Ad Erice la visita comincia dalla Chiesa Madre, dedicata alla Vergine Assunta, che venne fatta costruire da Federico d’Aragona nel XIV sec. a scopo difensivo, come si può ben notare dalle forme massicce e dai merli che la decorano. La facciata presenta un rosone e un portico gotico aggiunto più tardi. L'interno è in stile neogotico. La torre campanaria si erge solitaria sulla sinistra, suddivisa in diversi livelli aperti da feritoie e belle bifore in stile chiaromontese.
Chiesa Madre |
La torre |
A qualche centinaia di metri dalla Chiesa, su Via Vittorio Emanuele, sorge uno dei tempio del gusto siciliani: la pasticceria Maria Grammatico.
Questa piccola grande donna ericina, classe 1940, ha una storia tutta particolare che vale la pena di far conoscere: all'età di undici anni entra al San Carlo, un istituto religioso di monache di clausura, che per sopravvivere ai duri anni del dopoguerra, produceva e vendeva dolci e biscotti preparati secondo antiche ricette. Maria rimane a lungo nel convento e nel frattempo, spiando le monache al lavoro, impara la loro antica arte pasticcera.
Maria Grammatico |
Abbandonato il convento Maria decide di utilizzare quanto appreso e crea dapprima un negozietto provvisto soltanto di un forno a legna e, dopo lunghi anni di sacrifici, apre l’attuale pasticceria in via Vittorio Emanuele, seguita dopo qualche tempo dall'apertura della "Antica pasticceria del Convento", situata all'angolo della Piazzetta San Domenico.
Il suo piccolo laboratorio di pasticceria è rimasto quello di un tempo e, all’interno delle antiche vetrine in legno, c’è da perdersi tra frutta di marturana, mostaccioli, agnelli pasquali, dolci al liquore, cannoli e dolci di badia.
I dolci più popolari di Maria, e il mio palato ha capito ben presto perché, sono le Genovesi appena sfornate. Alla vista sembrano mini dischi volanti ripieni di crema pasticcera anche se i più esperti dicono che siano molto simili ai “minni di virgini” palermitani o le Panarelline di Genova che altro non sono se non tortine simili a queste (non solo nell’aspetto) ripiene di crema allo zabaglione.
La storia della vita di Maria Grammatico è stata raccontata in alcuni libri come "Bitter Almonds", scritto da Mary Taylor Simeti (pubblicato da William Morrow and Company Inc. di New York) e tradotto in italiano con il titolo di "Mandorle Amare" pubblicato da Flaccovio Editore, oppure in "Le Siciliane" di G. Pilati. All’interno di questo prezioso libro possiamo trovare ricetta interessante come quella per fare in casa le Genovesi.
Prendete carta e penna.
Riscaldare il forno a 220° C.
Con le mani rotolare la pasta in salsicce di due cm di diametro. Tagliare in pezzi lunghi 8 cm, e stendere ciascuno con il matterello per formare rettangoli di 15 x 10 x ½ cm circa. Mettere 2 cucchiai di crema su metà d’ogni rettangolo, ripiegare l’altra metà, e premere tutto attorno ai bordi con le dita. Tagliare a cerchietto con uno stampino, un bicchiere o un tagliapasta. Posare su una teglia a distanza di circa 2,5 cm. Dorare nel forno circa 7 minuti.
Trasferire su una griglia e spolverare con zucchero a velo. È preferibile mangiarle mentre ancora tiepide.
Resa: circa 16 paste.
Trasferire su una griglia e spolverare con zucchero a velo. È preferibile mangiarle mentre ancora tiepide.
Resa: circa 16 paste.
Per la pasta frolla
La pasta frolla varia da cuoco a cuoco, soprattutto per quanto riguarda la quantità del grasso impiegato e la leggerezza o pesantezza che ne consegue. Quella di Maria, ricca senza essere pesante, si presta sia alle genovesi che alla crostata con ottimi risultati.
250 g di farina di grano duro
250 g di farina tipo 00
200 g di zucchero
200 g di burro o margarina, tagliato a pezzi
4 tuorli d’uovo
Qualche cucchiaio di acqua fredda
250 g di farina tipo 00
200 g di zucchero
200 g di burro o margarina, tagliato a pezzi
4 tuorli d’uovo
Qualche cucchiaio di acqua fredda
Mescolare le due qualità di farina e lo zucchero in una terrina grande. Aggiungere i pezzetti di burro e incorporare con una lama da pasticceria o con due coltelli. Incorporare i tuorli uno alla volta, e aggiungere tanta acqua quanto basta perché la pasta si riprenda. Versare su una superficie infarinata e formarne una palla. Maneggiare la pasta il meno possibile, altrimenti la pasta verrà dura. Avvolgere la palla con la pellicola e lasciarla riposare in frigo per almeno 30 minuti prima di stenderla. La pasta cruda si mantiene per una settimana nel frigo o per un mese nel freezer. Questa ricetta è sufficiente per foderare una teglia di 28-30 cm in diametro.
Per la crema pasticcera
Questa crema, semplice e delicata, serve soprattutto come ripieno per le genovesi, ma Maria l’adopera anche per crostate.
2 tuorli d’uova
150 g di zucchero
40 g amido (di grano o di mais)
½ litro di latte
Buccia di mezzo limone, grattugiata
150 g di zucchero
40 g amido (di grano o di mais)
½ litro di latte
Buccia di mezzo limone, grattugiata
In un tegame pesante, sbattere insieme i tuorli e lo zucchero con una frusta. Sciogliere l’amido in mezzo bicchiere del latte, poi aggiungerlo al latte rimanente, mescolando bene. Versare il tutto lentamente nel tegame con i tuorli, mescolando bene con la frusta.
Cuocere a fiamma bassa, mescolando continuamente, per 10-12 min. finché non diventi molto spesso, come un budino. Incorporare la buccia grattugiata.
Versare in una terrina e coprire con la pellicola, facendo si che la pellicola posi direttamente sulla crema, e lasciare raffreddare. Conservare in frigo per un massimo di 3 giorni. Se si dovesse separare, lavorare con la frusta finché non torni omogenea.
Resa: mezzo litro circa.
Cuocere a fiamma bassa, mescolando continuamente, per 10-12 min. finché non diventi molto spesso, come un budino. Incorporare la buccia grattugiata.
Versare in una terrina e coprire con la pellicola, facendo si che la pellicola posi direttamente sulla crema, e lasciare raffreddare. Conservare in frigo per un massimo di 3 giorni. Se si dovesse separare, lavorare con la frusta finché non torni omogenea.
Resa: mezzo litro circa.
Se non vi sentite troppo appesantiti dalla grande abbuffata di dolci ericini potete continuare la vostra passeggiata fino ad arrivare al Castello di Erice dal quale si può godere una splendida veduta che spazia dalla città di Trapani e le sue saline all’arcipelago delle Egadi ed attraverso l’agro ericino fino a Capo San Vito. Il castello venne fatto costruire nel XII secolo dai Normanni sulle vestigia di un preesistente tempio dedicato a Venere Ericina.
Il maniero è protetto da possenti mura e da torri più avanzate, note come Torri del Balio, e i numerosi rimaneggamenti che lo hanno interessato nei secoli non hanno purtroppo conservato la costruzione fortificata originaria. Nel recinto del tempio ancor oggi esistente, divenuto coi Normanni la sede del Governatore, si riunivano i naviganti e tutti coloro volessero ingraziarsi Venere.
Il cortile, o Themenos, è oggi tornato alla luce dopo il crollo di parte della fortezza normanna. Molto suggestiva anche la cordonata a gradoni della parte alta della roccaforte, da attribuirsi ad Antonio Palma nel Seicento.
Fonti: www.civiltaforchetta.it, www.mariagrammatico.it, www.wikipedia.it