di Roberto Giuliani
Può un filosofo livornese avere uno stretto rapporto con il vino e la comunicazione? Oh yes! Vino e filosofia viaggiano con l’umano essere dalla notte dei tempi, lo sanno ben oltre il sistema solare. Sto parlando di un certo Riccardo Gabriele (in Ungheria o in Giappone si chiamerebbe Gabriele Riccardo, ma qui in Italia il nome e il cognome non si invertono, tranne negli elenchi e negli indici), che conosco da quasi vent’anni e stimo fortemente, perché la sua agenzia Pr-Vino funziona alla grande, e quando mi arriva un invito a un pranzo con un’azienda, faccio carte quarantotto per esserci. Cari pisani, fatevene una ragione, del resto stiamo parlando di vino, non di porti…
E così, quando Lisa Tommasini, responsabile rapporti con la stampa ed eventi, mi ha mandato l’invito per un pranzo al ristorante 53 Untitled di Roma con i vini di Cantine Garrone (di cui parlerò in altro contesto), non ho avuto alcuna esitazione, sia perché rivedere Matteo Garrone mi faceva un gran piacere, memore di un bellissimo tour in Val d’Ossola, sia perché non ero ancora stato in questo locale di recente apertura, sito in Via del Monte della Farina 53, alle spalle del Teatro Argentina e a due passi da Campo de’ Fiori.
Una doppia esperienza di cui è davvero valsa la pena, condivisa con un drappello di wine writers, tutte vecchie conoscenze, fra le quali Andrea Petrini, il più “giovane” di quel gruppo fondato da Carlo Macchi che si chiama IGP (I Giovani Promettenti) e di cui faccio parte anch’io.
Cecilia Moro |
Devo dire che l’Untitled è stato una piacevole sorpresa, gestito da due giovani donne che si sono incontrate a un evento bolognese e hanno capito che potevano fare qualcosa di grande insieme, Cecilia Moro (chef romana con lontane parentele orientali) e Mariangela Castellana (avvocato e sommelier di origini pugliesi). A onor del vero c’è anche una terza persona, il sous chef brianzolo Andrea Riva, ma venerdì 18 non era presente.
Mariangela Castellana |
Il locale è piccolino, massimo 24 posti, in un’atmosfera fine, di buon gusto, con un occhio moderno ma non privo di calore, merito dell’interior designer Adalberto De Paoli. All’arrivo ci ha accolto Mariangela, che è stata fondamentale per spiegarci i piatti proposti in abbinamento con i 4 vini portati da Matteo Garrone, azienda ossolana che amo profondamente, il suo Prünent, come viene chiamato il nebbiolo dalle sue parti, è pura poesia, sia nella versione giovane che in quella denominata “10 Brente”, più complessa e dalle notevoli capacità evolutive.
Cecilia, che da sempre ama le contaminazioni, forte delle sue numerose esperienze fra cui Pascucci al Porticciolo (Fiumicino), Guido di Ugo Alciati (Serralunga d’Alba), Don Alfonso a Sant’Agata dei due Golfi (NA), ha pensato di unire la cucina della tradizione romana con quella piemontese (e non solo), proponendo dei piatti davvero gustosi e di eccellente equilibrio.
Vitello tonnato |
Si parte con il “Vitello tonnato e fondo bruno” affiancato da un cucuncio (il frutto del cappero), quindi un piatto di origine squisitamente piemontese, si faceva già nel ‘700, probabilmente nel cuneese, non c’era il tonno, che qui è presente, né la maionese; tenerissimo e ricco di sapore, l’aggiunta del fondo bruno ne aumenta la profondità.
I formaggi |
Segue un “tagliere di tre formaggi”: comté, caciocavallo stagionato nelle vinacce di Primitivo Pioggia (fornitore di prodotti pugliesi) e Blu cremoso del Moncenisio; quindi un francese, un pugliese e un piemontese, consistenze e sapori diversi, personalmente ho perso la testa per il Blu cremoso…
Agnolotti del plin |
Arriviamo al primo: “Agnolotti del plin al tovagliolo ripieni di sugo all’amatriciana, accompagnati da crema al pecorino romano DOP”; questa volta il Piemonte si fonde con il Lazio, devo dire che il risultato è notevole, soprattutto perché il piatto non risulta per nulla pesante, ed è anche divertente intingere con le mani il raviolo nella crema, appena lo mordi esce il sugo e si fondono i sapori, davvero ottima preparazione.
Dumpling |
Un altro piatto che al 53 credo sia un must: “Dumpling coda alla vaccinara su crema di pecorino, fondo bruno e angostura”. Il dumpling, anche se tradotto in italiano è “gnocco”, di fatto è un raviolo cinese, altra contaminazione, ripieno con la romanissima coda alla vaccinara e aromatizzato con l’angostura, un bitter a base di erbe aromatiche amare, molto utilizzato in cucina. La cosa che ho maggiormente apprezzato, non solo in questo piatto, è la capacità che ha Cecilia Moro di trovare un equilibrio perfetto tra ingredienti non così semplici da unire, ottenendo preparazioni allo stesso tempo ricche, originali ma mai pesanti.
Uovo morbido 63° |
Chiusura in bellezza con un altro cavallo di battaglia: “Uovo morbido 63° funghi porcini, topinambur e spuma di formaggio bruno”. Qui si tocca l’apice, l’uovo si trova sotto la spuma, con il cucchiaio è bene unire le diverse componenti per sentirne l’effetto, a mio avviso esaltante; altro punto a favore della cucina di Cecilia è riuscire a creare sapori intensi senza che questi diventino eccessivi, stancanti, privi di armonia, non sono scoppiettanti ma avvolgenti; si gode senza sentirsi appesantiti, tanto che l’ottimo pane di Roscioli (che si trova a meno di 100 metri) si è esaurito per ripulire ogni piatto. Meglio di così!
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