di Roberto Giuliani
Se non ricordo male ho degustato questo Barolo di Angelo Gaja 22 anni fa, ricordo che ne fui impressionato, grande eleganza, profondità e una complessità davvero esemplare. Allora c’era ancora la nostra moneta e lo pagai circa 70mila lire. Oggi si trova online a prezzi decisamente diversi, da un minimo di 290 a oltre 420 euro, cifre non astronomiche per un suo vino, ma figlie anche di un’annata non straordinaria in Langa, anche se personalmente continuo a ritenere sbagliato sentenziare in modo generalizzato qualsiasi millesimo, tante sono le variabili in un Paese davvero eterogeneo come il nostro.
Di certo aprirne un’altra bottiglia oggi, a 29 anni dalla vendemmia, mi provoca qualche brividino, per fortuna il tappo ha retto bene, umido per un terzo ma del tutto integro una volta estratto.
Non mi soffermo a parlare di un mito dell’enologia come Angelo Gaja, conosciuto in tutto il mondo e personaggio fondamentale sul piano della comunicazione in un’epoca in cui non esistevano internet, cellulari, social e via discorrendo; ricordo solo che, non senza aver ricevuto numerose critiche dai più duri e puri, fece di tutto per far cambiare i disciplinari di Barolo e Barbaresco; senza arrivare agli estremismi di Rivella a Montalcino, quello che gli interessava era introdurre la possibilità di una percentuale di altre uve a fianco del nebbiolo (3%), barbera in particolare, motivandone a lungo le ragioni. Ovviamente non è importante la percentuale, ma il fatto di consentire anche se di pochissimo l’ingresso di altre uve in questi due storici vini. Una volta effettuata la modifica, non è poi così difficile intervenire gradualmente per aumentarla o meno. La faccenda non è andata a buon fine, così Mr. Gaja ha preferito declassare il Barolo DOCG Sperss in Langhe DOC Sperss, forte del suo nome e dell’eccellente apprezzamento dei suoi vini all’estero. Il Langhe Sperss, infatti, vede al fianco del nebbiolo una quota variabile di barbera secondo l’annata, tra il 5 e il 10%.
Questo invece è proprio un Barolo, senza discussioni, lo si capisce già dal colore, un granato dall’impressionante lucentezza, premessa di una probabile ottima salute del vino. E in effetti, una volta versato e atteso qualche minuto di rito per farlo ossigenare, sbaraglia subito qualsiasi dubbio sulla sua integrità, sentire ancora la presenza di viola e rosa dopo quasi trent’anni è già di per sé un fatto straordinario. Ma quello che più mi ha impressionato è la perfezione del frutto, senza alcuna sbavatura ossidativa (né all’inizio, né dopo un’ora dall’apertura), frutto bellissimo, ancora “fresco”, tanto da ricordare molto bene la ciliegia, non candita e non in confettura ma solo matura, al punto giusto. Poi la liquirizia, una deliziosa venatura balsamica, fatico a cercare tracce di un terziario spinto, di goudron, funghi, cuoio, cenere ecc.
Davvero impressionante, potrebbe essere un Barolo di meno di 10 anni, impossibile ipotizzarne di più. Ma vediamo se al palato è altrettanto sorprendente: niente, inutile tentare di sentire quello che non c’è, l’unica traccia un po’ più evoluta, ma parliamo di quisquilie, è nella lunga persistenza retrolfattiva, un accenno, come a dire “sto pensando di mettermi la canottiera, c’è qualche spiffero…”. Per non parlare del tannino, un velluto sotto un cesto di frutta, pura poesia! La speziatura è raffinata, amplessi fra ginepro e pepe rosa, una punta di chiodo di garofano e solo sul finale un afflato di goudron. Che vino…
Ma oggi, con i mutamenti climatici e le nuove tecniche di viticoltura e vinificazione, siamo ancora in grado di fare vini così longevi e in salute? Lascio alle nuove generazioni di enopatiti il compito di scoprirlo.
Nessun commento:
Posta un commento