Ca’ Ferri e il fascino dei Colli Eugani declinato in tre annate di Taurilio


di Roberto Giuliani

Come scrivevo giorni fa, il mondo del vino è affascinante anche perché spesso è frutto di scelte improvvise, di cambiamenti di percorso che testimoniano come chiunque possa essere colto da improvvisa passione, non importa se non ha esempi famigliari, né se fino a un attimo prima faceva tutt’altro lavoro.
È quello che è accaduto a Gian Paolo Prandstraller, dopo una vita da avvocato, invece di godersi la meritata pensione, una quindicina di anni fa decide di “osare” l’esperienza di produttore di vino.


Siamo nel Padovano, nel cuore dei Colli Euganei e Gian Paolo punta a due zone ben precise, una nell’area settentrionale nel comune di Torreglia e l’altra più a sud nel comune di Casalserugo.
Torreglia è situata ai piedi del Monte Rua, in un ambiente spettacolare nel cuore del Parco dei Colli Euganei. Si pensa che il nome del comune possa essere dovuto alle numerose torri erette nella zona dopo la caduta dell’Impero Romano, ma altre testimonianze riferiscono di tradizionali lotte fra tori organizzate dal fondatore di Padova, Antenore, come ringraziamento agli Dei.

Vigneti - Fonte: Euganamente

Dopo anni di produzione di due linee ben distinte, la famiglia Prandstraller ha deciso di concentrarsi sui vigneti di Torreglia; le uve sono quelle che da tempo si utilizzano in queste zone, ovvero merlot e cabernet franc, da cui nasce il Colli Euganei Rosso Taurilio, non c’è interesse a espandersi ma a raggiungere la massima qualità possibile, tutti gli sforzi sono concentrati su questo vino, ottenuto da 8000 piante per ettaro che non raggiungono il chilo d’uva ciascuna.
Dopo una macerazione di due settimane, a fine fermentazione il vino matura in barrique nuove e di secondo passaggio per un anno, poi gode di almeno 6 mesi di affinamento in bottiglia. “Siamo una piccola cantina, ma mettiamo molto lavoro e molto amore nel fare un prodotto che pensiamo di qualità”, mi dice Andrea Prandstraller, amministratore dell’azienda.

Le annate che andiamo a raccontare sono 2013, 2015 e 2016.

Colli Euganei Rosso Taurilio 2016, uve merlot e cabernet franc, gradazione 14% vol.
Nonostante le basse rese e la ovvia concentrazione di zuccheri e materia colorante delle uve, non ci troviamo di fronte a un vino dalle tonalità scure e impenetrabili, tipo buccia di melanzana per intenderci, ma piuttosto a un bel rubino vivace che si lascia comunque attraversare dai raggi luminosi.
Accostato al naso rivela una bella intensità di frutto, vibrante e carnoso, di prugna, mora, marasca, ma a dare lustro e conforto alle sensazioni odorose arrivano presto la menta e la liquirizia, venature d’inchiostro e ginepro su una base piacevolmente minerale, ferrosa.
La bocca racconta di una freschezza da grande annata, tannino fine e vellutato, pregevole ritorno di frutta e spezie che si mantengono a lungo, vaghi richiami boisé e di vaniglia che presto spariranno. In divenire ma già decisamente promettente e ben inquadrato, lo attende un lungo futuro.


Colli Euganei Rosso Taurilio 2015, stesse uve e stessa gradazione
Non mi ripeto sulle formalità estetiche da sommelier, il colore del vino è più o meno identico, il cambio di tonalità avviene al naso e al palato; nel primo troviamo un’espressività appena più reticente, un frutto meno espresso sebbene freschissimo (ribes nero e ciliegia), una speziatura elegante e garbata, un legno ben integrato, particelle di terra vulcanica, cioccolato, nessuna presenza vegetale a sentenziare come il cabernet franc maturi molto bene.
Al palato è quasi più giovane del 2016, dal nerbo pimpante, vitale e diretto, senza per questo avere un tannino più rigido, la levigatura è perfetta, nel complesso è finissimo ma tutto in prospettiva, ora godibile ma meno ampio e profondo, sicuramente effetto di un’annata diversa che dovrà fare il suo percorso per mostrare tutte le sue indiscutibili qualità.


Colli Euganei Rosso Taurilio 2013, stesse uve e stessa gradazione
China e cenere, le prime sensazioni che mi sono arrivate appena “sniffato”, liquirizia e cacao poi, prugna sotto spirito; man mano che si ossigena sembra convogliare ciascun sentore in un unico, ben fuso, “suono”, un bel suono che sa anche di sottobosco, muschio, felce, radici, senza però esagerare sui terziari, niente funghi o pelli conciate, il vino è ben eretto, senza cedimenti.
Lo conferma al gusto, dove esprime una ricchezza e una beata solidità, profondo e ben sorretto da un’acidità sotterranea e fondamentale, di quelle che senti solo dopo, quando ti viene voglia di berne ancora… e di mangiarlo con una gallina padovana imbriaga.

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