di Andrea Petrini
Il colpo di fulmine esiste e,
senza dare preavviso, può cambiare radicalmente la tua vita sia che si parla di
una donna (o uomo), sia che si parli, come in questo caso, di vino.
Protagonista principale di questa mia improvvisa storia di “amore enologico” è
Piero Incisa della Rocchetta che nel 2001, durante un “blind tasting” di pinot
noir provenienti da tutto il mondo, balzò sopra la sedia dopo aver scoperto,
con suo grande stupore, che il più buono proveniva dall’Argentina e, in
particolar modo, era prodotto dalla storica azienda Humberto Canale
situata nella Rio Negro Valley, ovvero in quella lontanissima zona, almeno per
noi italiani, chiamata Patagonia.
Piero Incisa della Rocchetta |
Incisa della Rocchetta fu
talmente convinto dell’eleganza e le potenzialità di quel vino che nel 2004,
tre anni più tardi, acquistò in quella regione vitivinicola i primi vigneti,
tutti a piede franco (alcuni sono del 1932) fondando Bodega Chacra il
cui nome, in Patagonia, fa riferimento al terreno che viene dedicato alla
pomologia visto che la Rio Negro Valley, così come in tutta la Patagonia,
l’attività economica principale è la produzione di frutta come pere, pesche e,
soprattutto, mele che poi vengono trasformate in ottimo sidro esportato in
tutto il mondo. L’uva, e in generale l’attività vitivinicola, sono sempre state
viste come un qualcosa di accessorio anche perché il territorio, come
facilmente immaginabile a queste latitudini, non è proprio accogliente.
Il territorio |
Ovviamente, il clima è stato uno dei principali problemi che Incisa della Rocchetta ha dovuto affrontare quando acquistò le prime vigne nell’Alta Valle del Rio Negro, visto che in questa regione è molto diverso rispetto a quello che mediamente possiamo trovare in Europa. Questa zona, infatti, possiede un clima secco (meno del 30% di umidità), arido e , storicamente, la scarsità di precipitazioni (circa 150mm di pioggia all’anno) è stata combattuta dal 1820 quando i primi coloni britannici cominciarono ad irrigare la valle scavando una fitta rete di canali, circa 200 km, al fine di creare una vera e propria oasi nel deserto visto che rendono fertili e lavorabili più di 60.000 ettari di terra. Questa aridità, associata agli effetti della barriera naturale del deserto circostante e al vento che soffia incessantemente da sud-ovest, si traduce, fortunatamente, in una completa assenza di malattie fitosanitarie (fillossera in primis) per la vite che, pertanto, ha bisogno di pochissimi trattamenti. Se, poi, a queste condizioni aggiungiamo la notevole escursione termica tipica dei climi desertici (fino a 25° fra giorno e notte), un costante irraggiamento solare e un suolo giovane di origine alluvionale (in base alla vicinanza al rio ed al deserto è prima limoso, poi più arenoso e sabbioso ed infine ciottoloso e pietroso, di media profondità) capiamo come questo terroir sia abbastanza unico al mondo e decisamente interessante per la coltivazione di pinot nero di grande eccellenza.
Cantina |
Dopo circa 16 anni dalla sua
fondazione Bodega Chacra è una azienda che si estende per circa 45 ettari di
vigneti (di proprietà e in affitto) gestiti secondo i principi dell’agricoltura
biodinamica con l’obiettivo di evitare, sia in vigna che durante i processi di
vinificazione, ogni possibile intervento di meccanizzazione che possa essere
riferibile alla mano dell’uomo. La cantina, in particolare, è il regno del mio
amico Gabriele Graia, consulente enologo, che in linea con la filosofia
naturale dell’azienda cerca di preservare tutto il potenziale dell’uva
fermentando spontaneamente il mosto in vasche di cemento mentre il vino, una
volta affinato, non viene né chiarificato né filtrato ricevendo prima
dell’imbottigliamento solo una dose minima di solforosa anche se, come vedremo,
la gamma dei vini di Bodega Chacra si avvale anche di un Pinot noir senza
solfiti aggiunti.
Con Gabriele Graia, che ho
intercettato a Roma qualche tempo fa, ho avuto occasione di degustare alcune
annate di Bodega Chacra iniziando dal loro interessantissimo chardonnay.
Bodega
Chacra – Mainqué Chardonnay 2018: Piero Incisa della Rocchetta
per dar vita a questo bianco della Patagonia non ha chiesto la collaborazione
del primo consulente che ha trovano ma si è affidato, probabilmente, ad uno dei
più grandi produttori di Borgogna ovvero Jean-Marc Roulot. Chi si aspetta uno
chardonnay piacione e cicciuto dovrà ricredersi perché il vino ha eleganza,
sapidità e spinta minerale. Alla cieca non lo piazzerei assolutamente in Sud
America. Che roba! Nota tecnica:
fermentazione in legno senza malolattica svolta e successivo affinamento di 11
mesi tra barrique di primo (15%), secondo e terzo passaggio (85%).
Bodega
Chacra – Barda 2018 (100% pinot noir): iniziamo la batteria dei
pinot noir della Patagonia con questo vino di entrata, prodotto dalle vigne più
giovani, molto puro, leggiadro, succoso, carezzevole nel tannino, che ha il suo
punto di forza nella straordinaria bevibilità. Che inizio! Nota tecnica: fermentazione naturale in vasche di cemento con
successivo affinamento di 10 mesi in botti di rovere francese.
Bodega
Chacra – Lunita 2018 (100% pinot noir): prodotto da un vigneto molto
vecchio di circa 1,5 ha piantato su terreno misto tra calcare, sabbia, ciottoli
ed argilla, è un vino che, rispetto al precedente, si caratterizza per una
maggiore struttura e dinamicità olfattiva pur mantenendo le caratteristiche di
eleganza e bevibilità che fanno di questo Lunita un vino che in qualche modo
strizza l’occhio ai canoni di bellezza europei. Nota tecnica: fermentazione naturale in vasche di cemento aperto usando
grappoli interi. Successivo affinamento di 12 mesi in botti di rovere francese
usate.
Bodega
Chacra – Cincuenta y Cinco 2018 (100% pinot noir): il
vino, come riporta il suo nome, proviene da vigneti piantati nel 1955 su
terreno tipicamente alluvionale. Dal punto di vista olfattivo ha un corredo
aromatico davvero emozionante visto che gioca su ricordi di fiori rossi, peonia
e viola su tutti, fragola, a cui segue un sottofondo iodato davvero
consistente. Al palato torna di nuovo la
purezza e la coerenza del pinot nero di Chacra accompagnata da una persistenza
minerale che non avevo trovato nei precedenti vini. Nota tecnica: fermentazione naturale in vasche di cemento usando
grappoli interi. Successivo affinamento di 14 mesi in botti di rovere francese.
Bodega
Chacra – Sin Azufre 2018 (100% pinot noir): come mi spiega Gabriele
Graia, questo vino, che in italiano significa letteralmente “senza zolfo”, è un
progetto fortemente voluto da Piero Incisa della Rocchetta che ha voluto fare
un pinot nero in purezza senza alcun intervento tecnologico. Le uve, che
provengono dalla miglior parcella del vigneto Cincuenta Y Cinco, sono fermentate spontaneamente in botti da 600
litri per circa tre settimane. Il vino, successivamente, viene affinato in
barrique usate per 11 mesi prima di essere imbottigliato senza alcuna aggiunta
di solfiti. Il Sin Azure, cosi come l’ho degustato, è assolutamente diretto,
pulito, non c’è nulla in questo procedimento che faccia deviare questo pinot
nero dalle sue caratteristiche territoriali che, in questo caso, sono
rappresentate da un frutto rosso succoso e tanta mineralità.
Bodega Chacra – Treinta Y Dos 2015 (100% pinot
noir): il
vino di punta dell’azienda si concretizza in questo pinot nero ottenuto, come
dice l’etichetta, da vecchi vigneti piantati nel 1932 su terreno formato da
argilla, sabbia e ciottoli. Sin da subito si nota come questo pinot nero abbia
una marcia in più rispetto ai “colleghi” precedenti grazie alla sua
stratificazione aromatica composta da frutta rossa matura, spezie nere, radice
di liquirizia, genziana e scorci minerali. Al palato è ricco, morbido, dotato
di tannini setosi e raffinati, sapidità e lunghissima chiusura fruttata. Vino
completo che prende tutto il bello dei precedenti vini e lo integra
perfettamente grazie alla saggezza delle vecchie vigne. La Patagonia e il suo
pinot nero sorprendono davvero. Nota
tecnica: fermentazione naturale in vasche di cemento e successivo affinamento
di 12 mesi cemento
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