Montegiachi e Contessa di Radda: vi presentiamo i due Chianti Classico Riserva degli Agricoltori del Geografico


di Lorenzo Colombo

Nel 1961 diciassette viticoltori dei comuni di Castellina in Chianti, Gaiole in Chianti e Radda in Chianti fondano la prima cooperativa del territorio chiantigiano, dandole il nome di Agricoltori del Chianti Geografico. Ben presto, a questo sparuto gruppo si uniscono altri soci portando il quantitativo di vino prodotto dagli iniziali 2.000 ettolitri ai 13.000 ettolitri/anno. 



Nel 1970 iniziano i lavori per la costruzione della cantina di vinificazione situata a Gaiole in Chianti e poco dopo viene prodotta la prima etichetta di vino con marchio Geografico. A fine anni ottanta la produzione supera abbondantemente il milione di bottiglie e nel 1989 la cooperativa acquisisce la Cantina di San Gimignano. 
L’apprezzamento dei vini prodotti, sia sui mercato nazionale come in quello internazionale ha garantito il successo agli Agricoltori del Chianti Geografico nei successivi anni, sino a che, a cavallo degli anni 2010 una profonda crisi economica ha portato la cooperativa a percorrere la via del concordato fallimentare. E’ a questo punto che entra in gioco la famiglia Piccini, che dapprima prende in gestione la cooperativa e nel 2018 acquisisce sia il marchio che le cantine di Gaiole in Chianti e di San Gimignano dandole nuova vita e nuovo nome “Geografico”.


Durante il press tour dedicato all’Azienda Piccini 1882 abbiamo avuto l’opportunità di degustare, in compagnia di Riccardo Cotarella e dell’enologo aziendale Alessandro Barabesi, responsabile tecnico dei vini prodotti qui prodotti, due dei vini più rappresentativi del marchio Geografico, ovvero i Chianti Classico Riserva Montegiachi e Contessa di Radda in una mini-verticale parallela di tre annate, 2018, 2016 e 2015.  Pur trattandosi di due linee di prodotto piuttosto diverse tra loro, si è subito notato il cambio di marcia tra i vini dell’annata 2015, prodotti sotto la vecchia gestione e quelli del 2016 e 2018. Con quelli del 2016, complice l’ottima annata, a nostro parere decisamente più eleganti e sottili e con buone prospettive per quelli del 2018, in questo momento ancora un poco giovani.


Ecco le nostre impressioni su quanto degustato:

Contessa di Radda Riserva

90% Sangiovese, 5% Cabernet sauvignon e 5% Colorino vanno a comporre questo vino le cui uve vengono selezionate dai vigneti situati nei comuni di Radda in Chianti e Gaiole Chianti, situati su suoli calcarei misti a marna. La vendemmia s’effettua tra fine settembre ed inizio ottobre, la fermentazione si svolge in vasche d’acciaio e l’affinamento per metà del vino in barriques e per l’altra metà in botti di grandi dimensioni. Prodotto per la prima volta nel 2012 va a completare la gamma.

2018 – Color rubino-purpureo, profondo e luminoso. Intenso e balsamico al naso dove presenta un bel frutto rosso speziato e note dolci. Strutturato, intenso, morbido e succoso, vi ritroviamo i sentori di frutta rossa matura uniti a note di liquirizia dolce.

2016 – Rubino-granato, profondo e luminoso.
Intenso ed elegante al naso, balsamico, floreale, con un bel frutto rosso nitido. Strutturato, morbido, elegante e delicato, bella la sua trama tannica, sentori di liquirizia dolce su lunga persistenza.

2015 – Color granato-rubino profondo.
Intenso al naso, speziato, presenta leggeri sentori di legno aromatico. Strutturato, succoso, piccante, accenni di legno usato in modo meno preciso rispetto ai vini precedenti, tannini leggermente asciuganti, sentori di liquirizia.


Chianti Classico Riserva Montegiachi

90% Sangiovese, 10% Merlot provenienti da vigneti situati su suoli argillosi e sabbiosi. L’affinamento, della durata di 18 mesi, si svolge per il 60% del vino in botti di grandi dimensioni e per il 40% in barriques.

2018 – Profondissimo il colore, unghia purpurea. Intenso al naso, balsamico, frutto rosso e spezie dolci. Strutturato e morbido, speziato con accenni piccanti, accenni di legno non fastidiosi, buona trama tannica, chiude su sentori di radice di liquirizia.

2016 – Color granato, profondo e luminoso. Intenso al naso, floreale, balsamico, note dolci, buona l’eleganza. Fresco, con bella trama tannica, lunga persistenza su note di liquirizia.

2015 – Granato di buona intensità. Mediamente intenso al naso, balsamico, sentori di legno dolce. Morbido e succoso, con bella trama tannica, buona la sua persistenza su sentori di liquirizia e radice di liquirizia.

InvecchiatIGP: Terlan - Alto Adige DOC Terlaner "Rarity" 2008


di Stefano Tesi

Sono sempre stato affascinato dai vini bianchi da lungo affinamento della Cantina di Terlano. Questo dell’annata 2008 è un Alto Adige Terlano Doc fatto con l’85% di Pinot Bianco, il 10% Chardonnay e il 5% Sauvignon Bianco (la Terlaner Cuvée), prodotto come sempre col metodo inventato da Sebastian Stocker, storico enologo della cantina.


Fu lui che nel 1979 decise, all’uso francese, di mettere da parte ogni anno piccole partite di vino, lasciate prima per dodici mesi in botti di rovere e poi messe in piccoli fusti d’acciaio, a contatto coi lieviti fini, per periodi lunghissimi, dai dieci anni in su. Fino al momento in cui, ritenuto che il vino abbia raggiunto la giusta evoluzione, si procede all’imbottigliamento. Passano però altre quattro o cinque primavere per la messa in commercio delle poco più di tremila bottiglie prodotte per ogni vendemmia.

E dunque eccoci al “Rarity 2008”.

Il colore, un oro pieno e brillante, è la caratteristica di gran lunga più trascurabile per un vino che è olfattivamente così esplosivo e mutevole da risultare difficile da descrivere. La sequenza si propaga a ondate e va dalle erbe officinali ai datteri, dalla frutta ipermatura e secca ai toffees, fino all’olio minerale, gli idrocarburi e l’acciarino (o voi boomers, avete presente l’odore delle scintille dei robot-giocattolo di una volta?), mantenendosi a lungo su un livello di intensità e di finezza estremo.


Dopodichè, ammesso di riuscire a staccare il naso dal bicchiere e di portare questo alla bocca, le sensazioni al sorso sono lunghissime e profonde, con una sapidità cangiante e lieve, ritorni oronasali di pietra focaia ed una tattilità densa e gentile al tempo stesso che fanno di questo 2008 un vino quasi da meditazione, o da abbinare a portate importanti. Personalmente, ad esempio, vorrei sentirlo su una sontuosa aragosta. 

Difetti? Uno solo, forse, e assai veniale: il nome “Rarity” è un po’ troppo anglofilo. Per il resto, chapeau è dir poco.

Terre de La Custodia - Montefalco Rosso Riserva DOC "Rubium" 2015


di Stefano Tesi

Bisogna sempre fidarsi delle stappature istintive. 


Coi primi freddi, questo rosso preso al volo in cantina, strutturato e polposo ma niente affatto noioso né invadente, dal gradevole aroma di resina, ha allietato una robusta cena e piacevolmente accompagnato la successiva conversazione.

Alla scoperta dei vini della Val di Cembra!


di Stefano Tesi

Ho un debole per la Val di Cembra, perché ha tutte le cose che mi piacciono. E’ in Trentino (e non è poco). E’ defilata, ma strategica. E’ montagnosa e collinare al tempo stesso. La gente è semplice, cioè non complicata ma vispa. Ha storie grandi e piccole da raccontare, personaggi e monumenti. I paesaggi sono splendidi e le vigne eroiche. Distillano bene la grappa. E’ pure la capitale italiana del curling, il bislacco sport di "bocce sul ghiaccio" (mi si passino le virgolette e i praticanti mi perdonino, è solo per farsi capire) a cui tutti si appassionano durante le Olimpiadi invernali e poi si dimenticano fino all’edizione successiva. 

Müller-Thurgau

Ed è la patria nostrana del Müller-Thurgau, visto che da 18 anni ospita il Concorso Internazionale e da 34 la rassegna dedicata a questo vitigno: “Vino di Montagna”, la chiamano.

Val di Cembra

Ci sono stato e ne ho approfittato per dare una vasta occhiata in giro, oltre che per assaggiare parecchie cose interessanti. Non solo di Müller-Thurgau, si capisce!

Eccole in un ordine volutamente random, anche se il suggerimento è di andare a verificare di persona.

Zanotelli Trentino Doc Superiore, Müller-Thurgau 2020

Oro chiaro con lievi riflessi verdastri, al naso arriva compatto per poi sciogliersi in erbe aromatiche e fiori, col Riesling che in seconda battuta affiora evidente. In bocca vibrante, con un finale leggermente amaro. Stuzzicante.

Simoni, Vigneti delle Dolomiti Igt, Müller-Thurgau 2020

Oro pallido, all’olfatto è asciutto e sobrio, quasi neghittoso, prima di rivelare note di radicchio tagliato e menta. In bocca è netto, pulito, diretto, piacevole ma non evanescente. Consistente.

Lavis, Trentino Doc, Ritratti 2020

Oro scarico, con un bouquet sobriamente minerale, fine, lungo ed elegante. Tale si ripete al palato, esprimendo con una pienezza setosa e durevole. Fascinoso.

Zeveri, Trentino Superiore 2020

Oro chiaro, al naso contempera in un’apprezzabile compostezza le note di mela e di frutti verdi e la giusta finezza. Al sorso rivela una bella sapidità che, in grande pulizia, lo sostiene fino alla fine. Tentatore.

Agricola MoS, Riesling 2019

Oro pieno, naso ricchissimo e screziato: fiori, fieno, erbe, pietra focaia, incenso. In bocca, ben sostenuto dall’acidità, è penetrante, elegante e molto lungo. Gratificante.


Zanotelli, Trentino Doc Superiore Valle di Cembra Pinot Nero 2019

Al colore ciliegia pallido fa riscontro un naso inevitabilmente varietale ma centrato, composto, fine e fragrante. In bocca ha una coerenza e levità che lo rendono apprezzabilissimo. Malandrino.


Nicolodi, Dolomiti Brut Cimbrus 2012

Di colore paglierino, con bolla fine e lenta, è un metodo classico di uve Lagarino in purezza, l’unico vitigno autoctono della Val di Cembra, 72 mesi sui lieviti. Al naso è fine, con marcate, pungenti note agrumate. Sentori che si ritrovano al palato nella grande acidità del sorso. Coraggioso.

InvecchiatIGP: Poggio al Tesoro - Bolgheri Vermentino DOC "Solosole" 2016


di Luciano Pignataro

Una scheda border line, perchè in fondo cinque anni per un bianco non sono poi così tanti. Probabilmente nel senso comune anche si, ma noi sappiamo che Fiano, Verdicchio, Vermentino, Carricante, Mantonico e tanti altri vitigni italiani regalano gioie indescrivibili agli appassionati dei bianchi invecchiati, di gusto per le spettacolari evoluzioni, ma anche di tasca visto che il rapporto fra prezzo e qualità gioca chiaramente a favore del compratore. E questo perchè la richiesta di vecchie annate di bianchi è ancora scarsa.


Eppure bisogna andare contro i luoghi comuni se si è davvero appassionati di vino. In questo caso due: il primo riguarda Bolgheri, famosa per i suoi rossi, capace invece di tirare fuori questa bottiglia minerale e sapida quasi in riva al mare. Il secondo riguarda appunto il Vermentino, in genere bevuto giovane dai consumatori con poche tracce di verticali. Ecco invece una splendida 2016, consumata in riva al mare, ma di Positano su piatti della tradizione marinara campana.  
In sostanza si tratta del bianco dell'azienda Poggio al Tesoro della famiglia Allegrini: il clone è un vermentino della Corsica, la lavorazione, solo in acciaio, prevede però una sosta prolungata sulle fecce per dieci mesi. 


Il risultato è un bianco robusto che inizia a distendersi adesso, dai sentori agrumati e di pesca con rimandi ancora floreali di ginestra. La beva è dominata da una freschezza immediata e dissetante, termina con una piacevole nota amara che chiude ricordi di pesca sciroppata e frutti esotici al palato. Una beva però non dolce come farebbe presagire il naso, ma sapida, salata, senza concessioni piacione. Il vino è ancora lontano, a nostro giudizio, dallo zenit. La vita è lunga, durerà almeno dieci anni a dire poco.

Cantine del Mare - Sorbo Rosso Riserva 2017


di Luciano Pignataro

Rosso il sorbo, rosso il piede, è Piedirosso! Dei Campi Flegrei, in tutta la sua magnifica verve fresca, la piacevolezza di beva regalata da una trama tannica leggera e moderna. 


Sul pesce, sulla carne, sulla
pasta. Ovunque tu sia in Campania, rosso rosso rosso: Piedirosso!

Cantine di Marzo presenta i suoi tre Cru di Greco di Tufo: Ortale, Serrone e Laure

di Luciano Pignataro

Dal 2016 Ferrante Di Somma ha lanciato i suoi tre cru di Greco di Tufo, una piccola grande rivoluzione nel mondo vitivinicolo irpino dove, nonostante la vocazione del territorio, queste scelte si contano sulle dita delle mani.
Ed è facilmente intuibile il motivo: per avere per più anni un grande da una sola vigna vuol dire che le viti sono veramente allevate su un terreno unico e particolarmente vocato. Molto più facile selezionare le uve da più vigneti per lanciare etichette importanti. Lavorando poi sul monovarietale, questa scelta diventa ancora più estrema e difficile da portare avanti con conseguenza.


Filippo di Somma e i suoi due figli, Ferrante e Maria Giovanna

Per Cantine Di Marzo, la cui storia risale al XVII secolo, si è trattato di una piccola rivoluzione. Da sempre intimamente legata al Greco, l’azienda si sviluppa all’inizio dell’800 contestualmente allo sfruttamento delle miniere di tufo, da cui il paese prende il nome e il vino l’odore. In questa area ristretta, fatta di colline avvolte dal freddo e dalla nebbia, un sali scende infinito di curve a gomito fra Avellino e Benevento lungo la valle del fiume Sabato, il Greco ha trovato la sua naturale vocazione nel territorio di otto comuni irpini (Tufo, Altavilla Irpina, Chianche, Montefusco, Prata di Principato Ultra, Petruro Irpino, Santa Paolina e Torrioni). Nel 1970 la doc, nel 1993 la docg che prevede un taglio del 15% di coda di volpe. Insomma, un territorio già ben caratterizzato e ristretto, tanto che le dimensioni produttive non hanno mai superato i due milioni di bottiglie. Il Greco è però un vino di pregio, straordinariamente fresco ed efficace sul cibo, quasi un rosso travestito da bianco come rivela il suo mosto arancione scuro prima del filtraggio e che si esprime al massimo delle sue possibilità fra i tre i sette, anche otto anni.

La Cantina

Cantine di Marzo è sempre stato il portabandiera di questo vino, prima come Filippo Di Somma e adesso con il figlio Ferrante si è accentuato l’interesse verso la qualità assoluta dei prodotti producendo spumanti da Greco molto interessanti sino a questi tre cru registrati nel 1915 nell’ambito di un primo piano di zonazione scientifico portato avanti in collaborazione con Vincenzo Mercurio, non nuovo a queste cineserie produttive. 
Siamo di fronte alla uscita dell’annata 2019 di tutti e tre, tutti con la dicitura di Greco di Tufo Riserva e l’esito è davvero molto interessante.

Vigna Ortale

Nasce nella frazione Santa Lucia: tre ettari fra i 420 e i 480 metri di altezza da vigne ancora giovani, non più di dieci anni, piantate su un terreo di zolfo, calcare e argilla. Non si tratta di un allevamento intensivo, siamo sulle 300mila piante per ettaro che danno una resa non superiore ai tre quintali.
Basta mettere il naso nel bicchiere per riconoscere subito il Greco di Tufo: note sulfuree, di cerino acceso, poi fumè e agrumate decisamente intense e persistenti, al palato la beva è segnata dalla freschezza incontenibile di un vino scalpitante, selvaggio, ancora da domare. Il sorso è lungo, infinito, termina con una nota amare ripulente.


Vigna Serrone

Siamo sempre nella frazione Santa Lucia, ad una quota leggermente più bassa, tra i 400 e i 450., la dimensione del vigneto raggiunge i cinque ettari, più o meno stessa resa. Ma la diversità fra i due vini è incredibile: nel primo il bicchiere va incontro al naso, nel secondo bisogna cercare i delicati sentori agrumati e il leggero ed elegante rimando fumè andando incontro al vino che al palato appare decisamente più equilibrato e pronto del primo. La beva è piacevole, ottima chiusura, finale senza scossoni che lascia pulito il palato. Il colore è invece leggermente più concentrato. Basta dunque spostarsi appena un po’ per avere risultati quasi opposti, anche se in questo caso gioca anche l’età delle piante, compresa fra i 20 e i 50 anni.


Vigna Laure

Qui siamo in un’altra frazione di Tufo, San Paolo, a quota 350 metri, vigne di vent’anni allevate sullo stesso tipo di suolo e con le stesse rese. Sul piano gustativo questo cru si colloca esattamente in mezzo ai primi due per intensità dei profumi e verve di beva. Si sente il carattere del Greco irruente ma un po’ più addomesticato. Se nel primo prevale la potenza, negli altri due si delinea una linea di eleganza decisamente marcata e interessante, molto fine e moderna che però non rinuncia al carattere e alla sua efficacia di abbinamento.


Siamo appena alle prime battute di un lungo percorso che attende questi tre vini. Sarà interessante assaggiarli nel corso degli anni per registrare in qualche modo l’evoluzione di ciascuno. Il protocollo è decisamente semplice, la lavorazione avviene solo in acciaio per tutti e tre, con sosta prolungata sulle fecce nobili. La strada intrapresa da Ferrante Di Somma è l’unica che può apprezzare le bottiglie di Greco il cui costo è sostanzialmente bloccato dalla crisi del 2008-2009. E’ il momento di dare reddito maggiore all’agricoltura alzando l’asticella e senza accontentarsi dei risultati sin qui raggiunti.

InvecchiatIGP: Sanlorenzo e il Rosso di Montalcino 2003!


di Carlo Macchi

La Famiglia Ciolfi fino al secolo scorso non era certo stata baciata dalla fortuna: tra tanti che a Montalcino vendevano i loro vini a peso d’oro i Ciolfi dovevano accontentarsi di vendere l’uva a destra e a manca, anche perché a quasi 500 metri e con rese non certo morigerate il sangiovese maturava maluccio. 


Con il nuovo secolo le cose sono cambiate drasticamente, merito di Luciano Ciolfi, che ha capito le reali potenzialità di quei vigneti a 500 metri e del signor clima, che ha pensato bene di rimescolare le carte. Così quelle vigne, ben seguite, ben curate e con un clima che permetteva alle uve di maturare perfettamente e con tempi lunghi (ancora oggi Luciano è uno degli ultimi a vendemmiare a Montalcino) hanno portato a vini di grandissimo pregio e di assoluta longevità. 

Ne ho avuta la prova provata durante una serata con Luciano, che ha messo in tavola alcuni suoi vini, bendati, da degustare. Erano quasi tutti Rosso di Montalcino, tipologia che io ancora non riesco a sdoganare completamente anche se la vendemmia 2019 ha dato un “duro” colpo alle mie remore. 


Ma i vini di Luciano mi sono sempre piaciuti e quindi ben vengano i suoi Rosso e anche (obviously) i suoi Brunello. 

Ma veniamo alla serata e agli assaggi. Mi mette nel bicchiere uno dei vini bendati. Ancora rosso rubino con una lievissima tendenza all’aranciato sull’unghia. Il naso è ampio, balsamico, con un legno perfettamente dosato e una complessità aromatica importante, da dove spuntano note di sottobosco ma anche sentori agrumati. 


Quello che mi colpisce è la freschezza, non un accenno di evoluzione verso il basso o di ossidazione. Visto che di un bel silenzio non si è mai scritto sentenzio: “Al naso mi sembra un Brunello di una grande annata non recentissima, diciamo 2010”. 

Luciano mi guarda senza muovere un ciglio (deve essere un ottimo giocatore di poker) e io continuo l’analisi assaggiandolo: potente è potente, con un tannino rotondo ancora ben vivo e dinamico. L’alcol non marca più di tanto, certo da non inficiare l’equilibrio generale anche perché una nota fresca aleggia al palato e accompagna il vino nella sua lunga chiusura. 


Mentre sono lì che elucubro e sono pronto alla sentenza il giocatore di poker mi spiazza “Guarda che è più vecchio del 2010”. I quattro neuroni che ancora difendono la postazione vengono sopraffatti dalla mia voglia di protagonismo e così mi sento dire “Ribadisco grande annata, anche al palato, quindi se è più vecchio deve essere un Brunello 2006”. (Luciano ha cominciato a imbottigliare nel 2003.n.d.r.) 

A quel punto Luciano ha pietà di me e scopre la bottiglia e l’arcano: Rosso di Montalcino 2003, la prima annata prodotta! 

Non posso rimanere a bocca aperta perché mi cadrebbe il vino ma penso alla 2003, annata caldissima, ad un Luciano alle “prime armi” con i suoi vini, a tanti 2003 (di tutta Italia!) cotti o squilibrati dall’alcol che ho assaggiato e invece di gridare al miracolo faccio l’unica cosa giusta della serata, mi verso un secondo e abbondante calice di questo grandissimo Rosso di Montalcino 2003 che, sono convinto, darebbe del filo da torcere a tanti Brunello (e Barolo e Barbaresco etc) della stessa annata. 

Viticoltori Lenza - Colli di Salerno Bianco "Ida" 2020


di Carlo Macchi

Guido Lenza, avvocato da famiglia di avvocati, non aveva bisogno di fare vino per campare. 


Invece lo fa e pure buono. Questo IDA 2020, falanghina e greco da vigne giovanissime, è piacevolezza pura sorretta da ottima struttura. Naso netto e ampio, bocca grassoccia quanto basta. Da provare! 

www.viticoltorilenza.it

Giulio Magnani, la fillossera e la scoperta dell’innesto su vite americana


di Carlo Macchi

I francesi ce la stanno menando da quasi 200 anni che solo grazie a loro la fillossera è stata compresa, affrontata e sconfitta che oramai lo diamo per scontato. Invece questo bel libro di Vincenza Papini fa entrare un bel po’ d’aria fresca e comunque fa capire che dalle nostre parti non si brancolava nel buio. Il libro narra la “non” storia di Giulio Magnani, nato in una famiglia di agiati borgesi commercianti nel 1839 e vissuto, fino alla sua morte nel 1891, tra i possedimenti di Montecarlo “di Lucca” e il suo palazzo fiorentino. 


Ho scritto “non” perché in realtà Giulio Magnani era un tipo talmente schivo che non solo non si sposò ma fu solo grazie alla sorella che, dopo la sua morte, accanto alla tomba venne messo un epitaffio. Come sappiamo la fillossera arrivò in Europa negli anni sessanta dell’ottocento e partendo dalla Francia distrusse praticamente l’intera superficie vitata europea.  Come giustamente fa notare il professor Fregoni nei suoi studi sull’afide, i vini che facciamo oggi sono figli del nuovo panorama vitato europeo creato dalla fillossera, dove oramai i vigneti durano 25/30 anni rispetto a quelli centenari del passato , dove poche decine di vitigni ne hanno soppiantato alcune migliaia, uniformando le caratteristiche organolettiche. 

Giulio Magnani visse il primo periodo di questa trasformazione, da quando ancora in Italia non si dava grande importanza al fenomeno a quando non si sapeva come porvi rimedio e si usavano rimedi spesso folkloristici. 

Nel 1875, quindi praticamente in sincrono con i ricercatori francesi, Giulio capì che la strada da seguire era quella dell’innesto e comincio a piantare semi di vite americana, tanto da crearsi nel 1881 un vivaio di quasi 10000 piante nella sua tenuta di Montecarlo. Nel 1885 indicò chiaramente come rimedio alla fillossera l’innesto della vitis vinifera su vitis riparia: la stessa cosa venne affermata da Viala in Francia, ma nel 1887. 


Il libro, oltre a mostrarci questo timido e ritroso personaggio ci presenta la sua famiglia e il momento agricolo, viticolo e storico tra fine settecento e fine ottocento, con anche i prodromi dell’unità d’Italia. 

Naturalmente il testo non vuole ribaltare la storia sulla lotta alla fillossera, attribuendo alla zona di Montecarlo una primogenitura, ma solo far comprendere che anche in Italia, in quegli anni, si era capito dove stesse il problema e si provava a correre ai ripari. 

Ripari che purtroppo non furono compresi e utilizzati perché Giulio Magnani era uno che correva da solo e non vide l’importanza di dare giusto risalto ai risultati delle sue intuizioni. 

Il libro è corredato di una prefazione e di una ponderosa postfazione sull’arrivo della fillossera in Europa di Mario Fregoni. 

Vincenza Papini, Il pioniere italiano della lotta alla fillossera – Giulio Magnani e la viticoltura a Montecarlo (copyright 2020 Comune di Montecarlo) 

Prezzo di copertina 20 Euro

InvecchiatIGP: Bisci - Verdicchio di Matelica “Vigneto Fogliano” 2011

Mi ricordo, quando anni fa ero titolare dell’Enoclub Roma, che quando si organizzava una degustazione sul Verdicchio di Matelica, a titolo di esempio rappresentativo del territorio, uno dei primi vini che inserivo in batteria era il “Vigneto Fogliano” prodotto da Bisci.



L’azienda agricola, che ho sempre stimato per la serietà e la costanza qualitativa, è il frutto del lavoro dei Fratelli Giuseppe e Pierino Bisci che nel 1972 acquistarono una proprietà di circa 25 ettari e la trasformano in uno dei fari qualitativi per il vino del territorio. Oggi Mauro e Tito, figli di Giuseppe, ne hanno preso le redini. La proprietà è situata tra le province di Macerata e di Ancona, conta una superficie di circa 25 ettari, di cui circa 18 ettari coltivati a Verdicchio e poco più di 2 ettari a Sangiovese e Merlot, tutti ubicati in collina ad altitudine variabile tra i 320 ed i 370 metri s.l.m., e coltivati secondo i dettami del regime biologico.


Durante l’ultimo press tour in terra matelicese, ho avuto la fortuna di partecipare ad una verticale storica del Verdicchio di Matelica “Vigneto Fogliano”, vero e proprio Cru, che Bisci produce solo nelle migliori annate attraverso una vinificazione in cemento vetrificato a cui segue un affinamento per 15 mesi, sempre in cemento, più almeno altri 4 mesi di bottiglia prima che il vino esca sul mercato.

Tra tutti i vini degustati, quello che mi ha entusiasmato di più, tanto da proporlo per InvecchiatIGP, è il Verdicchio di Matelica “Vigneto Fogliano” 2011.

L’annata, secondo quando riportato dallo stesso produttore, è stata ottimale fino a tutto luglio. Agosto è stato molto caldo e ventoso mentre a settembre e durante la vendemmia è stato buono. Nonostante non si siano state importanti escursioni termiche giorno/notte le uve erano molto sane grazie al clima asciutto. La produttività è stata molto bassa soprattutto per quello che riguarda il rapporto grappoli mosto.


Fatte queste opportune premesse tecniche, posso dire, anche a nome di altri colleghi intervenuti durante la verticale, che la 2011 a Matelica, in generale, stupisce per eleganza ed equilibrio. Prova ne è questo buonissimo Vigneto Fogliano che in maniera ampia e sinuosa regala intensi aromi floreali di acacia, ginestra, mimosa, a cui seguono tocchi di frutta gialla croccante. Un tocco erbaceo e lampi lontani di alga marina vanno a completare il quadro olfattivo. Al sorso è giovane e gioviale, intenso, e dalla trama acido-sapida di grande serbevolezza. Finale vibrante con richiami all’agrume e al salgemma. Sicuri abbia 10 anni? Grande annata!!!

Tenimenti D’Alessandro – Toscana Bianco IGT “Fontarca” 2018


100% Viognier selezionato nella vigna più vecchia, messa a dimora nel 1988. 


Naso dinamico ed elegante di pesca gialla, gelsomino, anice stellato e
sensazioni iodate. che si incontrano di nuovo al sorso che esplode gustativamente tra richami marini e di erbe mediterranee.

Cinque vini per scoprire il mio Bolgheri Divino

Mentre sto scrivendo questo articolo la mia timeline di Facebook è quasi invasa dalle bellissime immagini della cena che il Consorzio dei vini Bolgheri e Bolgheri Sassicaia DOC ha organizzato nuovamente presso i 5 chilometri di cipressi secolari del suggestivo viale che conduce a Bolgheri. L’evento, assolutamente glamour, si è inserito all’interno della prima edizione di Bolgheri Divino, manifestazione organizzata dai produttori della DOC per raccontare a che punto è il vino del loro territorio.

Credit: La Cucina Italiana

Bolgheri Divino, oltre alla cena di cui sopra, nella mattinata è stato scandito sia dalla presentazione en primeur, per la stampa italiana ed estera presso il Castello Della Gherardesca, dei Bolgheri Superiore DOC 2019, sia dalla c.d. “Degustazione Diffusa”, ospitata in 7 prestigiose location del territorio, dove tutti gli altri invitati potevano testare i vini delle 65 Aziende consorziate della Bolgheri DOC, con un focus particolare al debutto dell’annata 2020 del Bolgheri Rosso DOC, presentata in anteprima assoluta. Non avendo possibilità di partecipare né alla cena né alla presentazione presso il Castello della Gherardesca di Castagneto Carducci, mi sono imbarcato da Roma per buttarmi dentro la Degustazione Diffusa prevista all’interno di sette importanti cantine della DOC: Campo alle Comete, Guado al Melo, Donna Olimpia 1898, Michele Satta, Ornellaia, Tenuta Argentiera e Tenuta Guado al Tasso.


Visto le fasce orarie strettissime (un’ora max per location) ed una organizzazione del tasting per banchi d’assaggio, con almeno due o tre tipologie di vino per azienda compresi i campioni di botte, non sono riuscito ad andare dappertutto e, perciò, a bere il 100% dei Bolgheri DOC presenti.

La Doc Bolgheri - Credit: Lavinium

Prima di andare ai miei cinque migliori assaggi l’idea che mi sono fatto, in generale, è che col passare del tempo, e forse anche delle mode, i produttori di Bolgheri stiano prendendo sempre più consapevolezza della forza del loro territorio i cui caratteri mediterranei, costieri, vanno interpretati come punti di forza limitando al tempo stesso “goffagini” enologiche che, soprattutto in passato, avevano standardizzato la produzione dei vini bolgheresi verso una eccessiva opulenza, anche a livello di immagine, che probabilmente non ha totalmente pagato, per come la vedo io, secondo le aspettative.
Dei circa 40 assaggi che ho fatto sul totale di oltre 60 aziende presenti all’interno della Degustazione Diffusa, questi sono stati i miei preferiti!

Fabio Motta – Bolgheri Rosso DOC “Pievi” 2019: Fabio non lo scopro di certo io, ha iniziato la sua avventura di vignaiolo a Bolgheri nel 2010, a trent’anni dopo essersi fatto le ossa accanto ad un altro grande produttore del territorio come Michele Satta. Oggi, con tante vendemmie alle spalle e una cantina prossima ad essere terminata, Fabio è entrato nel periodo della sua maturità così come il suo “Pievi”, la sua prima etichetta mai prodotta, composta da un taglio di merlot, cabernet sauvignon e sangiovese. Il vino, succoso e balsamico, racconta molto dell’areale di Bolgheri ma lo fa in maniera misurata, mai gridata, grazie ad un magistrale equilibrio gustativo che, per questo territorio, non è affatto scontato. Non ho esperienza per dirlo ma penso che Motta, dopo tanto studio della sua materia prima e del terroir di appartenenza, abbia davvero preso consapevolezza delle sue capacità e ben presto diventerà uno dei “fari enologici” di Bolgheri.


Le Macchiole – Bolgheri Rosso DOC 2020: questo vino è la testimonianza più fulgida del processo di “alleggerimento”, che sta avvenendo da qualche anno, dei vini de Le Macchiole. Perché scrivo questo? Semplicemente perché questo Bolgheri Rosso, blend di merlot, cabernet franc e syrah, possiede una caratteristica che negli anni precedenti ritenevo leggermente offuscata: la luce. In questo millesimo la luminosità di questo vino è indiscutibile, è un rosso che regala vibrazioni positive, energia mediterranea, freschezza promettente e tannino didascalico. Più o meno cento mila bottiglie così sono un regalo a tutti noi appassionati!


Aldrovandi – Bolgheri Rosso Doc Superiore 2017: Federico Aldrovandi, già produttore nei Colli Bolognesi, si è appassionato di Bolgheri da tantissimo tempo e solo nel 2014 riesce a coronare il suo sogno di produrre qui dei vini acquisendo un ettaro di vigneto dal quale produce, esclusivamente nelle annate migliori, solo Bolgheri Superiore. Federico l’ho incontrato all’interno degli spazi dell’Ornellaia, accanto a tanti giganti nell’enologia, per cui la prima cosa che mi ha detto, appena mi sono avvicinato al suo banchetto, è stata:”Sono il più piccolo di tutti!!”. Fabio, con la sua simpatia emiliana, accanto ad una visione strategica molto bolgherese, è pura dinamite e in poco più di dieci minuti riesce a raccontarmi moltissimo della sua voglia di produrre vino di qualità cristallina partendo da un fazzoletto di vigneto con ceppi di cabernet franc (60%), cabernet sauvignon (30%) e petit verdot (10%) allevati ad alberello. In degustazione, oltre alla 2015, che ho trovato leggermente sotto tono, aveva la sua seconda annata prodotta, ovvero un Bolgheri Rosso Superiore 2017 che ho apprezzato moltissimo per la sua chiave di lettura, sia aromatica che gustativa, che si rifà molto al carattere del vignaiolo: schietto, equilibrato, affatto pesante e con un tocco naif che non fa mai male. Bravo Fabio!


Mulini di Segalari – Bolgheri Rosso Doc “Ai Confini del Bosco” 2020: Emilio, agronomo ed enologo, e sua moglie Marina, architetto, nel 2002 creano insieme l’azienda. Ispirandosi al primo vigneto di Mario Incisa a Castiglioncello, lato monte e in mezzo al bosco, anche loro decidono di puntare su queste caratteristiche e mettono a dimora le loro vigne in una piccola valle boscosa, utilizzando come locali di cantina i vecchi mulini del Castello di Segalari. Da che hanno iniziato, l’approccio di Marina ed Emilio è quello di sentirsi custodi del territorio e della sua biodiversità, un percorso che li ha condotti nel 2017 ad essere la prima azienda di Bolgheri ad essere certificata biodinamica. Il loro “Ai confini del Bosco”, blend di cabernet sauvignon, cabernet franc e merlot, prodotto in circa 3000 bottiglie, è un rosso schietto, diretto, profondo e succoso. Sono quei vini che per espressione fruttata, tipicamente mediterranea, sanno di festa tra amici e spensieratezza anche perché, cari signori, il vino raggiunge a malapena i 13 gradi di alcol. Ad avercene!


Santini Enrico – Bolgheri Rosso Superiore DOC “Montepergoli” 2016
: proveniente da una storica famiglia castagnetana, Santini dopo aver lavorato in un supermercato di zona, decide di investire soldi e speranze creando la sua azienda vitivinicola. Inizia nel 1998 piantando le prime vigne intorno alla sua casa, trasformando il garage e la cantina in locali idonei per la vinificazione e l’affinamento. Sin da principio Enrico punta sulla certificazione biologica ed è infatti il primo produttore di Bolgheri in questo senso arrivando a gestire, oggi, circa 12 ettari suddivisi in diverse parcelle lungo la zona dell’Accattapane. Durante la degustazione mi ha incuriosito positivamente il suo Bolgheri Superiore “Montepergoli”, blend di cabernet sauvignon, merlot, syrah e sangiovese che, nonostante una struttura importante, resta un vino dalla piacevolezza di beva disarmante capace di leggere le sfumature del terroir bolgherese con estrema leggiadria. Il prezzo importante, siamo a circa 50 euro a scaffale, vale assolutamente la spesa soprattutto se volete bere oltre i soliti nomi.



InvecchiatIGP: Franco M. Martinetti - Barbera d’Asti Superiore Montruc 1997


di Roberto Giuliani

Chi conosce Franco Martinetti sa bene che è un perfezionista, direi maniacale, tanto che se c’è una critica che gli si può fare è di esserlo troppo, al punto che a volte i suoi vini perdono qualcosa in spontaneità, mancano di anima. Opinioni, ovviamente, di parte del mondo della critica enologica. Un argomento che affiora anche con altri “perfezionisti” del vino, come ad esempio Luigi Moio.

Ma non siamo qui per addentrarci in discussioni filosofiche, il mio compito è raccontarvi un vino che testimonia la sua capacità di tenere il tempo, come richiesto dalla nostra rubrica InvecchiatIGP.


E questa Barbera d’Asti Superiore Montruc 1997 si fa davvero onore, devo dire che sono rimasto impressionato per la pulizia dei profumi, per una terziarietà appena accennata, mai si potrebbe immaginare che abbia la bellezza di 24 anni!

In tempi dove si discute accesamente sui vini naturali (spesso a sproposito), con vere e proprie fazioni pro o contro, dove il tema centrale è la pulizia, l’approssimazione, a volte a ragione, a volte meno, ecco che sentire un vino così pulito appena versato nel calice, dopo essere stato chiuso in bottiglia per così tanto tempo, non può che spingere verso l’applauso.

Franco Martinetti

Se poi pensiamo che questa è una Barbera, non un Barolo o un Barbaresco, che è figlia di un’annata calda che ha visto molti nomi blasonati cedere al tempo, allora chapeau bas per lo straordinario risultato.

Qui parliamo di frutta matura, non di confetture, non di frutta secca, non c’è alcuna traccia ossidativa; un equilibrio perfetto fra naso e bocca, un’acidità ancora vibrante e una succosità prepotente accendono tutti i sensi. In lontananza si afferrano note più tardive di tabacco, cuoio, ginepro e liquirizia, ma sono vive, non da vino “invecchiato”.


Fatico a immaginare quando arriverà il momento della sua discesa…

Assaggio e mi incanto, ogni sorso è una meraviglia, sinceramente non me lo aspettavo, non a questo livello. C’è sempre la possibilità di stupirsi, è questo il bello del mondo del vino.

Leonardo Bussoletti - Grechetto Colle Ozio 2014


di Roberto Giuliani

Sarà contento il narnese Leonardo Bussoletti di sapere che questo suo Grechetto del 2014, macerato a contatto con le bucce, ha tenuto benissimo questi sette anni. 


Profuma di nocciole, nespole, albicocche candite, mango; in bocca è ancora fresco, sapidissimo, lungo. Il tempo gli ha fatto un gran bene.

Lo Sparviere - Franciacorta Essetì Extra Brut Riserva 2006


di Roberto Giuliani

Qualcuno, leggendo l’annata in etichetta, potrebbe pensare che questo è un Franciacorta perfetto per la nostra rubrica InvecchiatIGP. Niente di più sbagliato, a meno che non si consideri “invecchiato” un vino che è rimasto a contatto con i lieviti per quasi 12 anni, dalla primavera del 2007 ai primi mesi del 2018! No, direi che non è questo il caso, per la nostra rubrica qualunque vino si considera “invecchiato” solo se ha trascorso un più o meno lungo periodo di vita dopo la sua messa in commercio.


Pertanto ci “accontentiamo” di inserirlo nel più classico Garantito IGP, perché, statene sicuri, merita di essere raccontato.

Entriamo nel merito…

Intanto diciamo che alla guida di questa storica azienda, Lo Sparviere, c’è una donna, ovvero Monique Poncelet Gussalli Beretta, che ha ereditato la passione per il vino e questo straordinario lembo di terra in Monticelli Brusati (BS) dal suocero Franco Gussalli. Da azienda agricola (ricavata da un’antica dimora di campagna del XVI secolo) a conduzione famigliare che produceva poco vino esclusivamente per amici e parenti, Monique l’ha progressivamente trasformata in una delle più interessanti realtà del territorio franciacortino, con 30 ettari vitati di proprietà a base chardonnay e pinot nero, condotti in biologico dal 2013.

Di quest’azienda abbiamo già raccontato a inizio anno qui.

Ma veniamo al vino. Si tratta di uno chardonnay in purezza, raccolto a partire dalla terza decade di agosto. Le uve sono state prima poste in celle frigorifere dove hanno raggiunto la temperatura di 10° C; a questo punto sono state pressati i grappoli interi fino a ottenere il 50% del loro succo. Il mosto fiore ottenuto è stato posto in vasche d’acciaio a temperatura controllata di 18° C per svolgere la fermentazione alcolica, a cui è seguita quella malolattica. A maggio è stata preparata la cuvée de tirage, ottenuta da due vigne storiche aziendali. Con giugno inizia la seconda fermentazione in bottiglia a contatto con i lieviti, che durerà fino a inizio 2018.


Il vino è stato prodotto solo in magnum in edizione limitata, a un prezzo non proprio per tutte le tasche, attorno ai 300 euro. Per i più curiosi Essetì sta per “Sboccatura Tardiva”. Personalmente trovo questo Franciacorta davvero straordinario, tralascio i soliti commenti su spuma e colonnine che sono esemplari per abbondanza e finezza; il colore oro chiaro brillante testimonia il lungo contatto con i lieviti.
Accostato al naso ci si sente subito immersi in un tripudio di profumi di notevole eleganza, non tanto per la tipologia dei riconoscimenti quanto per la loro esaltante purezza espressiva. Parliamo di ananas, pesca, susina disidratata, mallo di noce, fico secco, cedro candito, ma anche fieno, ginestra, selce e una ventata di pane tostato e pasticceria.


In bocca è avvolgente, la carbonica e una buona acidità trovano in risposta la grande morbidezza data dal frutto maturo, in un equilibrio sontuoso e di lunghissima persistenza. Più lo sorseggi e più ti piace e scopri nuove gioie espressive.

Il prezzo trova una sua giustificazione…

Nussbaumer 2004: il Gewurztraminer di Kellerei Tramin alla prova per InvecchiatIGP


di Lorenzo Colombo

Abbiamo più volte scritto che non siamo dei grandi appassionati del Gewürtraminer, vitigno in grado di dare vini opulenti, opulenza in tutti i sensi, dal grado alcolico decisamente elevato, alla notevole struttura, al residuo zuccherino spesso elevato, ai sentori, sia olfattivi che gusto-olfattivi decisi e riconoscibili, aromatici, con note di rosa, litchi e frutta tropicale a volte un poco invadenti e persino eccessivi.

Però…

Però quando questi vini invecchiano (non vale per tutti ovviamente, ma solamente per quelli di gran classe) la musica cambia. L’aggressività di profumi e gusti, in gioventù un poco eccessiva (ed a volte poco fine) si stempera, non si perdono certamente le caratteristiche del vitigno ma emergono sentori terziari che vanno a rendere assai più complessi questi vini donandogli spesso anche note “rieslingeggianti” che rimandano all’idrocarburo.


Questa premessa per arrivare all’Alto Adige Gewürtraminer “Nussbaumer” dell’annata 2004, della Cantina di Termeno che abbiamo aperto per il nostro turno dell’InvecchiatIGP.

Andiamo quindi a degustarlo: il colore è giallo-oro, luminoso. Intenso ed elegante al naso dove le note tipiche del vitigno sono ancora ben presenti, a cominciare dall’aromaticità e dai sentori di rose, emerge poi la frutta tropicale, con papaia e ananas maturo in primo piano ed a seguire accenni di pasticceria che rimandano alla complessità olfattiva di un panettone.


Strutturato ed alcolico , i 15 gradi riportati in etichetta si sentono, anche se sono ben integrati nell’insieme, il vino è morbido, ricorda un rosolio e si percepiscono gli accenni idrocarburici dati dal tempo, nuovamente emerge la frutta tropicale unita ad un sentore di mandorla, lunghissima la sua persistenza.