Ha naso e palato fresco questo storico rosso di Tasca d’Almerita nonostante sia figlio di una estate calda in una terra baciata dal sole quasi tutto l’anno. Ma a questi nove ettari piantati nel 1985 fanno bene i 450 metri di altezza e le escursioni termiche.
Un grande classico, un riferimento da sempre per la viticoltura di eccellenza italiana.
Il Mistero del Tintore di Tramonti e delle viti giganti
Tintore di Tramonti: il suo riconoscimento
ufficiale è avvenuto giusto dieci anni fa anche se coltivato da sempre nel
comune di Tramonti. Secondo le ricostruzioni scientifiche, si tratta di un
vitigno nato dall'incrocio dell'Aglianico con la Tintora avvenuto molti secoli
fa. Per comprendere la sua storia bisogna immaginare la Costiera Amalfitana
come un'isola che si poteva raggiungere solo via mare dall'inizio dei primi
insediamenti umani sino al 1800 quando i Borbone fecero costruire la prima
carrozzabile unendo vari pezzi, una strada che è ancora oggi la stessa che
percorriamo in auto da Vietri a Positano.
Vigne di Tintore a Tramonti |
Questo isolamento, particolarmente catastrofico dopo
il crollo della Repubblica Marinara di Amalfi, ha però consentito di preservare
in campagna un immenso patrimonio di biodiversità, dai frutti ai legumi ancora
oggi ci troviamo sempre di fronte a qualcosa di particolare quando entriamo
nelle case. Una agricoltura povera, poverissima, che ha spinto la maggioranza
della popolazione a scappare dalla fame emigrando nel Nord Italia e in America.
Il cuore dell'agricoltura è il comune di Tramonti, un comune che non c'è, nel
senso che è solo l'unione amministrativa di tredici frazioni, ciascuna delle
quali ricche di storia, monumenti e resti di antiche chiese rupestri.
Solo l'apertura del Valico di Chiunzi, un tempo
confine della Repubblica Amalfitana a 880 metri di altezza, al traffico
veicolare alla fine dell'800, ha consentito di ridurre l'isolamento della zona.
Tramonti è dunque un vero e proprio paradiso ampelografico dove il Tintore si è
affermato nel tempo come unico vino rosso, coltivato a piede franco perchè il
Vesuvio ha soffiato tanta cenere e materiali vulcanici nel corso dei millenni
sino a ricoprire il primo stato del terreno roccioso. Confuso con l'Aglianico
per tutti questi anni grazie alle caratteristiche sostanzialmente simili in
campagna come nel bicchiere (tannini e acidità a go go): ha grappoli conici,
dall’aspetto spargolo e allungato, con una foglia dal profilo increspato e una
pelosità della pagina inferiore che al tatto si presenta assai vellutata. È
un’uva tardiva, vista l’altitudine, vigorosa, ricca di antociani (da cui il
nome), con un’invaiatura precoce rispetto alle altre varietà rosse presenti in
zona, in particolare l’Aglianico, ma con un periodo di vendemmia che parte
dalla terza decade di ottobre in poi.
Ecco le testimonianze letterarie sulla Tintora da cui
ha avuto origine il Tintore:
Giuseppe dei Conti di Rovasenda (1877) cita nel suo
“Saggio di una ampelografia universale” unaTintiglia Nera di provenienza
napoletana, una Tintora di Ischia e una Tintora di Lanzara o VernacciaNera
originaria di Salerno. Ma la Tintora descritta da Bordignon (1964) non corrisponde
al Tintore di Tramonti, poiché la Tintora descritta possiede solo fiori
femminili, caso rilevato solo nel 4% dei vitigni coltivati (dati INRADomaine de
Vassal, Francia) e oggi giorno rarissimo. Ciò la rende facilmente
distinguibile dal Tintore di Tramonti, suo diretto discendente. Infine la
Tintora descritta da Pierre Galet (2000) è quella presente nella Collezione di
Vassal, a fiorifemminili e che corrisponde geneticamente alla madre della
pianta da noi analizzata in questo studio.
Le condizioni pedoclimatiche sono ben distanti da
quelle che si potrebbero supporre: siamo al Sud, certo, e la luminosità non
manca. Ma le escursioni termiche sono molto accentuate, l'agricoltura e la
viticoltura si volgono su terrazzamenti faticosamente strappati alla roccia che
sono sempre a rischio durante le piogge. Non è rara, siamo nel cuore dei Monti
Lattari, la nebbia e persino la neve negli inverni più rigidi. Possiamo dunque
tranquillamente definire la viticultura di Tramonti una viticultura del freddo.
I venti di mare e di terra si alternano in continuazione lungo le vallate che
risalgono al Valico di Chiunzi e questo consente una viticoltura faticosa sul
piano logistico, ma abbastanza favorevole da punto di vista della sanità delle
uve e del terreno.
Nelle verticali sin qui eseguite (soprattutto quella
completa della 'A Scippata nel 2016 ea Ravello) , il Tintore di Tramonti
dimostra una longevità incredibile: non bastano dieci anni a far rientrae
l'acidità ed è per questo che lo si consiglia su piatti solidi e robusti della
tradizione contadina.
Il Tintore ha quattro piccoli grandi protagonisti e
taglia il traguardo dei 20 anni di produzione.
Giuseppe Apicella
Il Vino in questione si chiama 'A Scippata Costa
d'Amalfi doc, ed è la prima etichetta realizzata da Prisco Apicella dopo
aver studiato Enologia ad Alba e rientrato nell'azienda fondata dal padre Giuseppe
negli anni '70. Nasce nel 2000. La prima ad imbottigliare il vino che
altrimenti veniva venduto sfuso ai mediatori napoletani che lo facevano
diventare Gragnano. Qui il Tintore è insieme al Piedirosso, secondo un blend
classico che rende più leggeri tannino e acidità. Dopo la vinificazione in
acciaio si eleva in botti grandi e poi fa un anno in vetro. L'ultima produzione
è di appena 2700 bottiglie a 30 euro circa in enoteca.
Giuseppe Apicella |
Monte di Grazia
Come Apicella, anche questa piccola azienda nel suo
Monte di Grazia Rosso assembla tintore e piedirosso. 3300 bottiglie a 20 euro
circa.
Alfonso Irpino - Monte di Grazia |
Reale
Il vino si chiama Borgo di Gete ed è stato il
primo Tintore in purezza, realizzato da Gigino e Gaetano Reale in
collaborazione con l'enologo Fortunato Sebastiano. Matura in legno grande e
vetro. La prima vendemmia è del 2005 Solo 1700 bottiglie a 40 euro circa in
enoteca.
Gaetano Reale - Foto: Roberto Sammartino |
Tenuta San Francesco
E' Iss Prefilloxera il secondo Tintore in
purezza prodotto nell'areale di Tramonti. Così chiamato per le viti giganti
tipiche di questo vitigno che sono ancora a piede franco e che coprono interi
versanti delle colline. Prima annata 2003. In questo caso sono 4000 bottiglie
a 35 euro in enoteca.
Pur nella diversità di interpretazioni il Tintore
mantiene delle caratteristiche molto chiare anche con il passare degli anni. Il
colore rosso rubino tiene perfettamente, così come l'acidità che resta scissa a
lungo, soprattutto quando è in purezza.
Vigne di Tenuta San Francesco: che vista!! |
Cascina degli ulivi - Monferrato Dolcetto DOC "Nibiô" 1998
di Carlo Macchi
Incredibile e commovente! Un dolcetto del 1998(!) dal particolare clone grasparossa fatto da Stefano Bellotti.
Oggi, Stefano non c’è più, la vigna è stata ripiantata, ma voglio immaginare che la sorprendente struttura, finezza e complessità aromatica di questo vino siano un messaggio da lui per tutti noi. Grazie Stefano.
La Lupinella - Chianti Lupinella Rossa 2017
Di Roberto Giuliani
Nel marasma dei Chianti in circolazione, non è facile
selezionarne uno meritevole. A Vinci c’è quello della Lupinella, sangiovese in
cemento, tonneau e legno grande, dai profumi invitanti di rosa, viola, ciliegia
fresca, lampone e melagrana.
Piacevolissimo in bocca, sapido, succoso, pura
goduria!
Podere Paganico - Rosso di Montalcino 2013
di Roberto Giuliani
Quando ho conosciuto Anna Maria Buzdon e il marito
Andrea, quindici anni fa, ebbi subito l’impressione di trovarmi a contatto con
due persone che, pur non provenendo dal mondo del vino, ne erano pazzamente
innamorate. L’azienda si trova fra l’altro in un punto fra i più belli del
territorio di Torrenieri, a stretto contatto con la via Francigena, una frazione
tranquilla che guarda a Montalcino con aria serena, senza alcun timore
reverenziale.
Anna Maria è un vulcano, sempre attiva, dinamica, a
volte un po’ apprensiva ma con il sorriso che fa capoccella molto facilmente, a
evidenziare il suo carattere permeato di positività.
Anna Maria Buzdon |
Dei tre vini prodotti, il Brunello, il Rosso e
l’Abelardo, ho voluto dedicare uno spazio particolare a questo Rosso di
Montalcino 2013, quindi non quello in commercio ora, che credo sia il 2017,
perché ritengo che troppo spesso la tipologia venga sottovalutata o,
quantomeno, poco considerata quando si parla di Montalcino, mentre molto spesso
può dare notevoli sorprese.
Vista dell'azienda |
Nel caso poi dei vini di Podere Paganico, l’attesa è
sempre benefica, ne esalta tutte le qualità e li rende molto più stimolanti ed
equilibrati.
Qui abbiamo un vino davvero aperto e generoso, con
sentori che denunciano subito la grandezza del sangiovese ilcinese, la materia
espressiva si espande man mano che passano i secondi e affiorano belle note di
frutta appena matura, tanta ciliegia e prugna, ma anche un tabacco elegante,
raffinato, poi sbuffi di liquirizia ed erbe aromatiche essiccate, a sprazzi si
manifesta ancora una bella nuance floreale.
L’assaggio rivela proprio quell’equilibrio di cui
parlavo, il tannino è setoso e ben amalgamato con il frutto, c’è freschezza e
l’alcol non aggredisce in alcun modo, il sorso è godibilissimo, gioioso, mette
in moto l’appetito, un valore non così scontato, privilegio di quei vini che
hanno tutto al punto giusto, senza iperboli o picchi, ma piuttosto progressivi
e mai stancanti.
Cascina Mogliasacco – Dolcetto d’Asti 2018
Grazie all’amico Gianluca Morino, produttore di Nizza DOCG, ho potuto scoprire questa piccola chicca prodotta da Sara Benzi in quel di Sessame (AT). Dolcetto assolutamente godurioso, lucente di frutta rossa e viole.
Al sorso è nitido, ha grande scorrevolezza e grinta da vendere grazie alla stretta territorialità di questo dolcetto che invita continuamente alla beva. Bellissima scoperta.
P.s: l’azienda non ha ancora un sito web ma ha un account Instagram molto dinamico ( @cascina_mogliasacco )
Sorpasso: a Carema va di scena la viticoltura eroica di Martina e Vittorio
Di Andrea Petrini
I principali problemi del vino
di Carema, fino a qualche tempo fa, erano sostanzialmente due: l’estrema
frammentazione dei vigneti, spesso suddivisi in piccolissime parcelle sparse per
il territorio, e il progressivo abbandono della viticoltura visto che, tranne rare eccezioni,
le vigne sono gestite o dagli anziani del paese che conferiscono per la maggior parte alla cantina sociale oppure, per eredità, appartengono a famiglie che non hanno nessuna intenzione di continuare a coltivarle.
Martina e Vittorio |
Se è vero che il primo problema, oggi, rimane ancora in piedi, anche perché insito
nel DNA di questo territorio, è vero anche che Carema e
il suo vino, fortunatamente, stanno vivendo una sorta di seconda giovinezza perché da qualche
tempo tanti ragazzi stanno investendo tempo e risorse in
questa DOC dando vita a quella che chiamerei senza dubbio la Nouvelle Vague del Carema.
E’ il caso, ad esempio, di Vittorio
Garda e Martina Ghirardo, nati e cresciuti nel Canavese e nel comune di Carema,
che invece di fuggire via dai luoghi natii, come tante coppie della loro età,
hanno deciso di rimanere nel loro territorio cercando di costruire proprio là
il loro futuro fondando nel 2012 l’azienda Sorpasso il cui nome si ispira
ad una favola di Esopo.
La lepre un giorno si vantava con gli altri animali: Nessuno può battermi in velocità – diceva – Sfido chiunque a correre come me.
-La tartaruga, con la sua solita calma, disse: – Accetto la sfida.
-Questa è buona! – esclamò la lepre; e scoppiò a ridere.
-Non vantarti prima di aver vinto replicò la tartaruga. – Vuoi fare questa gara? -Così fu stabilito un percorso e dato il via.
-Questa è buona! – esclamò la lepre; e scoppiò a ridere.
-Non vantarti prima di aver vinto replicò la tartaruga. – Vuoi fare questa gara? -Così fu stabilito un percorso e dato il via.
La lepre partì come un fulmine: quasi non si vedeva più, tanto era già lontana. Poi si fermò, e per mostrare il suo disprezzo verso la tartaruga si sdraiò a fare un sonnellino. La tartaruga intanto camminava con fatica, un passo dopo l’altro, e quando la lepre si svegliò, la vide vicina al traguardo. Allora si mise a correre con tutte le sue forze, ma ormai era troppo tardi per vincere la gara.
La tartaruga sorridendo disse: “Non serve correre, bisogna partire in tempo.“
Come nella favola di Esopo, noi crediamo che non sia la velocità a dare i risultati. Servono tenacia e forza, le stesse che noi ogni giorno mettiamo nel nostro lavoro.
Vado a trovare Martina (Vittorio era in vendemmia) una
mattina di ottobre, durante la festa del vino di Carema. Ci diamo appuntamento
ad Airale dove ha parte dei suoi vigneti ed è inoltre situata
anche al piccola cantina aziendale ricavata da una vecchia casa dell’800 di
recente ristrutturazione.
Da qua, con grande fatica, cominciamo ad arrampicarci sui ripidi pendi che
portano in cima alla collina (siamo più o meno a 500 metri) da dove dominiamo
la vallata sottostante. Non stanco mai di ripetermi: solo calpestando queste vigne, incastonate
nella roccia, possiamo capire quanta fatica facciano questi ragazzi a
gestire le loro bellissime vigne di nebbiolo (si trovano anche varietà autoctone
come Neretto e Ner d'Ala) che in totale, sparse in tantissime parcelle, si "estendono" per circa un ettaro. I vigneti, per ora quasi tutti in affitto, sono per 2/3 allevati a pergola tradizionale e 1/3 a spalliera.
Riscendiamo
verso la cantina, ultimata nel 2016 per cui, come mi spiega
Martina, architetto prestato al mondo del vino, le prime due annate prodotte del loro vino, ovvero 2014 e 2015, sono state
vinificate a Montestrutto, fuori dalla DOC Carema, ma comunque appartenenti
alla DOC Canavese.
Entriamo,
la struttura è piccola ma ordinatissima, tutto sembra fatto su misura per lavorare al
meglio anche in un pochi metri quadri.
"Tutti i vini che produciamo hanno una base al 100% nativa, dalla quale cerchiamo di estrarre quanto più possibile le caratteristiche del nostro territorio" - esordisce così Martina mentre mi spiega la loro filosofia di vinificazione proseguendo che "il vino viene fatto fermentare sempre in
acciaio attraverso un pied de cuve dove il lievito proviene direttamente dal
nostro vigneto. Dopo la fermentazione, il vino rimane sulle bucce per circa 3
mesi dopodiché, una volta torchiato, rimane per alcuni mesi in acciaio
inox, a cui seguono mediamente 12 mesi di affinamento in botti di legno (barrique e tonneau) esauste prima di
essere infine imbottigliato, senza filtrazioni né chiarifiche, in nemmeno 2000
unità".
Nella testa di Vittorio e Martina c’è anche futura produzione di
un metodo classico e di un bianco a base riesling ed erbaluce ma tutto è ancora
in divenire.
La
degustazione parte con alcuni assaggi dalla botte e Martina mi fa:” Andrea,
questo è il vino proveniente dalle vigne dove siamo stati prima, è il vino di
Airale, che nelle nostre intenzioni, anche se ora non ha senso vista la
quantità, potrebbe diventare un Cru di Carema”. Ha ragione, il vino seppure
ancora in affinamento, è già espressivo, luminosissimo, più spostato sul
floreale che sul fruttato, e con una bocca talmente calibrata che già ora
potrebbe incantare più di qualche palato allenato.
Ci sediamo, ancora frastornato per la sorpresa
precedente, e mi viene versato il
Canavese DOC Nebbiolo "Suflin" 2015 (85% nebbiolo, 15% Neretto e
Ner d'Ala) il cui nome, in termini dialettali, significa pignolo, preciso, così
come tutto il lavoro dei nostri giovani vignaioli di Carema. Pur essendo la
loro seconda vinificazione, capisco che Vittorio e Martina hanno già le
idee ben chiare su cosa cercano in un vino ovvero personalità associata a territorialità e questo Suflin ne è l'esempio lampante: fruttato, minerale, fresco,
ammalia il palato per ritmo ed intensità sapida.
Il
Carema 2016 (85% nebbiolo, 15% Neretto e Ner d'Ala), prima annata vinificata
nella nuova cantina, è figlio di un millesimo più equilibrato ed ha un profilo
olfattivo inizialmente terroso che poi si apre svelando una freschissima viola
a cui seguono sensazioni di lampone e leggera speziatura. La mineralità di
fondo spiega la sua longevità che la forza del sorso ribadisce. Finale
rigoroso, rigoroso, col senso del tempo che fornirà ancora più sfaccettature al
vino.
Seguite Martina e Vittorio, sono giovani, bravi, giustamente ambiziosi e non potranno che migliorare col tempo. Un po' come il loro vino!
Giacomo Borgogno – Barolo Cannubi 2010
di Lorenzo Colombo
E poi ti capita di assaggiare (di bere in realtà) un vino
così e ti rendi conto che le 300 battute previste per il VINerdì IGP non
possono assolutamente bastare, tante sarebbero le cose da scrivere per poter
raccontare la miriade di sensazioni che un simile Barolo ti trasmette.
In realtà non è così, alla fine basta un singolo aggettivo:
GRANDIOSO.
Alla scoperta della Malvasia passita dei Colli Piacentini - Garantito IGP
di Lorenzo Colombo
Sono ben 19 le varietà di Malvasia iscritte al Registro
Nazionale delle Varietà di Vite e la Malvasia di Candia Aromatica è stata tra
le prime ad essere inserita in questo catalogo, nel maggio del 1970. Nel censimento del 2010 se ne contavano poco meno di 900
ettari.
Nonostante il vitigno sia autorizzati in cinque vini a
denominazione ed in 21 ad Igt, tra Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Molise ed
Emilia Romagna la sua diffusione è prettamente localizzata in quest’ultima
regione, dove se ne trova(va)no 716 ettari (sempre in base al censimento del
2010). Nello specifico è localizzata principalmente nella provincia
di Piacenza, ed in minor misura in quelle di Parma e Reggio Emilia.
Durante l’ultima edizione del Mercato dei vini FIVI, a
Piacenza, abbiamo avuto l’opportunità di partecipare ad una degustazione dal
titolo “La Malvasia Passita dei Colli Piacentini”,
ovvero la versione nella quale il vitigno dà (probabilmente) il meglio di sé.
La conduzione era affidata a tre produttori, Stefano
Pizzamiglio, titolare dell’Azienda La Tosa, un cui vino “L’Ora Felice” era in
degustazione, Rita Babini dell’azienda romagnola Ancarani e Mario Pojer
dell’azienda trentina Pojer e Sandri.
La maggior parte dei vini erano classificati come Colli Piacentini
Doc Malvasia Passito, frutto quindi di uve Malvasia di Candia Aromatica, che
debbono essere utilizzate per almeno l’85%, nei vini degustati (anche in quelli
non a denominazione) se non diversamente specificato, il vitigno è utilizzato
in purezza. Eccovi le nostre impressioni su quanto assaggiato (i vini
sono elencati in ordine si servizio):
Loschi – Colli Piacentini Doc “L’Arte Contadina” 2016
Uve provenienti da vigneti situati nei pressi di
Castell’Arquato, su suoli con alta percentuale sabbiosa.
Color oro antico. Intenso al naso, ciliegia sotto spirito (sembra un vino
liquoroso), pesca ed albicocca sciroppata. Strutturato, morbido,
sentori di miele, canditi, scorza d’arancio, panettone. Molto mediterraneo.
Valla – Igt Emilia Malvasia Passito “Boccadoro” 2015/2016
I vigneti si trovano nel comune di Ziano Piacentino,il
particolare metodo vendemmiale ne fa una via di mezzo tra un vino passito ed
uno da vendemmia tardiva.
Giallo-oro luminoso. Molto intenso al naso, fresco, decisamente agrumato,
elegante, alcolico, accenni di botritis. Fresco ed agrumato, erbe officinali, timo, salvia. Decisamente particolare ed interessante. E’ il vino che in
assoluto abbiamo preferito.
Terzoni – Colli Piacentini Doc Passito “Sensazioni d’inverno”
2014
Da vigneti situati a Becedasco.
Color ambra, luminoso. Molto interessante al naso, intenso, alcolico, sentori di Calvados e di liquore
d’albicocca.
Di buona struttura, alcolico, morbido, pesca sciroppata,
albicocca, lunghissima la sua persistenza.
Marco Cordani - Colli Piacentini Doc Malvasia Passito “Sulì”
2015
Iniziamo col dire che il vino non è in commercio. Peccato,
poiché c’era molto piaciuto.
Infatti la 2015 è stata l’unica annata (sperimentale) di
produzione di questo vino, tra l’altro mai messo in vendita. Avrebbe dovuto essere prodotto nuovamente quest’anno, ma un
grandinata ha distrutto il 90% delle uve a bacca bianca.
I vigneti sono situati a Celleri, frazione di Carpaneto
Piacentino, a 190 metri d’altitudine con esposizione sud-est, allevati a Guyot
su suoli argillosi-sassosi. Le uve vengono appassite al sole, in cassette, la
fermentazione si svolge in acciaio e l’affinamento in anfora per un anno.
Color topazio. Intenso ed elegante al naso dove presenta leggeri accenni
ossidativi, ricorda a tratti uno Sherry. Strutturato, elegante, fresco, con
bella vena acida, dolce/non dolce, sentori di fichi secchi e datteri.Vino
notevole, e molto mediterraneo.
Lusenti – Colli Piacentini Doc Malvasia Passito “Il Piriolo”
2012
I vigneti si trovano a Ziano, in Località Casa Piccioni a 230 metri
d’altitudine, i suoli sono di natura argillosa-limosa, il sistema d’allevamento
è in parte a Guyot ed in parte a Casarsa con densità da 3.200 a 3.800
ceppi/ettaro.Ventiquattro i mesi di affinamento in botte ed altrettanti di
bottiglia.
Color ambrato luminoso. Bel naso, intenso, sentori di miele, datteri, fichi secchi,
ricorda a tratti un distillato. Morbido e pastoso, leggermente pungente, albicocca
disidratata, tornano alla bocca i sentori di distillato, buona la persistenza.
Elevata la percezione della dolcezza.
Tollara – Colli Piacentini Doc Malvasia Passito “L’Angelico”
2011
Le uve provengono dalle colline di Becedasco, in Val d’Arda,
il sistema d’allevamento è il Guyot. Appassimento per circa quattro mesi, affinamento in
barriques per dodici mesi.
Color topazio, intenso e luminoso. Mediamente intenso al naso, sentori di fichi secchi, miele di castagno, caramella
all’orzo. Buona la struttura e bella la vena acida, leggermente
bruciante, ritroviamo la caramella all’orzo, buona la sua persistenza.
La Stoppa – Emilia Igt Malvasia Passito “Vigna del Volta”
2007
Da vigneti gestiti in biologico, allevati a Guyot con densità
di 6.000 ceppi/ettaro, su suoli di natura argillosa-limosa. Fermentazione con lieviti indigeni, affinamento in barriques
francesi usate.
Color topazio intenso, presenta numerosi sedimenti nel
bicchiere. Buona l’intensità olfattiva, elegante, caramella al
rabarbaro, frutta secca. Di buona struttura, asciutto, note tanniche, tornano sia la
frutta secca che la caramella al rabarbaro, lunga la sua persistenza.
La Tosa – Colli Piacentini Doc “L’Ora Felice” 2009
Le uve provengono da tre distinti vigneti, situati su suoli
argillosi-limosi (terre rosse antiche), ad altitudini variabili tra i 185 ed i
210 metri slm. Sostituita la prima bottiglia che presentava qualche
problema (dieci anni sono tanti), la seconda si presentava con un color oro
antico, simile a quello dell’olio.
Fieno di montagna al naso. Fresco e mentolato al palato, con bella vena acida,
agrumato, sentori di miele, lunga la sua persistenza.
Barattieri – Vin Santo Doc dei Colli Piacentini “Albarola”
2008
Trattandosi di un Vin Santo la metodologia produttiva e lo
stile del vino sono completamente diversi rispetto ai precedenti. Non cambiano le uve, che vengono sempre poste in
appassimento, l’affinamento invece si svolge in caratelli di rovere per nove
anni.
Color ambra, intenso e luminoso. Intenso al naso, alcolico, sembra un vino liquoroso, ricordi
di Rhum. Di buona struttura, pastoso, leggermente pungente, un poco
bruciante, miele di castagno su lunga persistenza.
Cantine Leonardo da Vinci - S.to Ippolito 2016 Igt Toscana
di Stefano Tesi
Temendo il peso del vetro, del vinone e del produttore, ho lasciato la bottiglia a candire in attesa di stagioni freddissime e di cibi tenacissimi.
Invece questo taglio di Sangiovese, Merlot e Syrah fatto nel cuore delle terre leonardesche mi ha sorpreso per eleganza e piacevolezza: legno sotto controllo, frutti rossi morbidi e beva profonda, ma senza maschere.
Pruneti Extra Gallery a Greve in Chianti è il posto più cool per l'olio della Toscana?
Le sfide sono belle quando sono difficili. Ma sono ancora
più belle quando, oltre che difficili, anziché da un accurato piano di
battaglia prendono le mosse da un’intuizione che si prova a mettere a fuoco in
corso d’opera, con le scariche di adrenalina e gli smarrimenti che ne
conseguono.
Facciamo un
esempio: che si vuol intendere se si usa l’espressione “Extra Gallery”?
Soprattutto se è il nome dato a qualcosa che è a metà strada tra un negozio
gourmet, un bar-caffè, una stuzzichineria, uno spaccio aziendale, un cenacolo
per appassionati, un ritrovo per gaudenti, un punto di riferimento per amanti
della natura, un polo didattico, una bottega, un’accademia, una biblioteca e
financo una provocazione?
Accademia |
Ecco, quello
che i fratelli Gionni (scritto proprio così: Gionni) e Paolo Pruneti,
chiantigiani di schiatta chiantigiana che di più non si potrebbe (cru San
Polo), hanno aperto a Greve, proprio sul fondovalle e sul lungostrada
principale, dove scampare alla vista del viandante, anche per via
dell’architettura biancheggiante, è impossibile, è una cosa che si chiama
(appunto) Pruneti Extra Gallery: minimalista e di design, come si
direbbe oggi.
Ora, è vero che
la famiglia è famosa in Toscana come titolare di un ottimo frantoio e per la
produzione di molti, eccellenti extravergini. Non a caso, alla Gallery abbondano
l’olio novo 2019 e tanti prodotti a base d’olio: dagli ovvi
condimenti in nove diverse tipologie a varie cose mangerecce, inclusi
accostamenti arditi e sfiziosità non risapute, che si possono sia consumare al
banco, sia asportare. Ma fin qui
sarebbe tutto molto normale.
Già un po’ meno
normale e che al bancone del bar si possano assaggiare cocktail fatti a regola
d’arte ma sempre “sporcati” creativamente con l’extravergine della casa: il
famosissimo Negroni diventa così, con l’aggiunta di un monocultivar di
Moraiolo, un piccante “Twist di negroni in EVO”, mentre da quella che i
creatori definiscono “la massima espressione delle tecniche della mixology”
prende origine un cocktail “Oliveto”, di nuovo a base di monocultivar di
Moraiolo della casa. Dal connubio il rum bianco e vino Gallo Nero (Pruneti Bio,
è ovvio) ecco infine un inaspettato “Chianti Classico Mojito”.
Sì perché, come
si sarà capito, i Pruneti oltre che olio producono pure vino, tutto ovviamente
biologico.
Ma se solo così
fosse, sarebbe ancora un giochino troppo facile.
Una delle
attività storiche della famiglia, anzi quella da cui risale la sua gloria più
antica e che naturalmente viene tuttora portata avanti con successo tra le
colline chiantigiane è la coltivazione dell’Iris, del Giaggiolo insomma, ovvero
di quel fiore simbolo di Firenze che molti scambiano, incomprensibilmente, per
un giglio. Gli utilizzatori normali, in tutto il mondo, ne ricavano l’essenza
per fare profumi.
Poteva tale
fondamentale branca del Pruneti family business restare
fuori dalla Gallery?
Nemmeno a
pensarci. Ed ecco così, al posto della prevedibile acqua di colonia, saltare
fuori una spumeggiante, delicata, invitante birra artigianale stile blanche
belga all’aroma, appunto, di Iris. Eccellente, va detto. Con aromi floreali che
ben si sposano con l’amarognolo di fondo, rendendo la bevuta oltremodo
godibile.
E con questo,
sull’allegro buglione della Gallery forse potrebbe bastare. Ma non è ancora
tutto.
Per digerire, o
come cordiale, ecco il liquore allo Zafferano, made in Pruneti estate si
capisce, che i palati più raffinati riconosceranno anche come ingrediente delle
polibibite – per dirla coi futuristi – di cui sopra.
Il tutto in
questo grande, luminoso, spigliato ambiente ove si può anche sedere e
rilassarsi, oppure fare piccole sessioni didattiche di assaggio e di
abbinamento di extravergine. E dove i due fratelli e il loro staff si aggirano
accogliendo i clienti, dando spiegazioni, offrendo assaggi.
Il buon
cronista a questo punto non può più trattenersi e lancia l’ingenerosa domanda:
“Ma il progetto finale qual è? E dove volete arrivare?”.
Paolo Pruneti
non si turba. Scrolla le spalle e con un sorriso disarmante ammette: “Non lo
sappiamo nemmeno noi. Volevamo creare un posto in cui si potesse andare per
parlare dei prodotti della nostra terra e soprattutto si potesse capirli, ma
senza annoiarsi né limitarsi a una cosa sola. Il primo obbiettivo era facile da
raggiungere, il secondo niente affatto.
A chi viene qui noi vorremmo
semplicemente offrire gli strumenti per riuscirci. E il migliore ci sembra
quello di assaggiare, ragionando in compagnia. Giornalisti compresi,
beninteso”.
Extra Gallery Experience |
Benvenuti alla
Pruneti Extra Gallery, la galleria che non si capisce cos’è, ma che per fortuna
c’è.
Pruneti Extra Gallery
Piazza Trento 1, Greve in Chianti
Tel. 055 8555091
www.pruneti.it
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