14 Gennaio 2018 - Taste Alto Piemonte a Roma


Erano anni che provavo a far venire a Roma Lorella Zoppis Antoniolo e il Consorzio Tutela Alto Piemonte. Finalmente ci sono riuscito e grazie ad Enoroma e a Marco Cum proveremo a far conoscere i grandi vini di questo splendido territorio. Non vi nascondo un po' di emozione. Vi aspetto. 

All’interno delle sale del Radisson Blu Hotel di Roma, i produttori vinicoli delle quattro province di Biella, Vercelli, Novara e Verbano-Cusio-Ossola si riuniranno per presentare alla stampa e al pubblico i grandi vini dell’Alto Piemonte.

Attraverso banchi di assaggio e seminari tematici, operatori e appassionati di tutto il mondo potranno scoprire le eccellenze vinicole dell’Alto Piemonte approfondendo, grazie al contatto diretto con produttori ed esperti, la conoscenza delle 10 denominazioni: Boca, Bramaterra, Colline Novaresi, Coste della Sesia, Fara, Gattinara, Ghemme, Lessona, Sizzano, Valli Ossolane.

Domenica 14 gennaio 2018, dalle 11:00 alle 19:00 operatori e appassionati potranno accedere a TASTE ALTO PIEMONTE “Rome Edition” dove si potranno degustare oltre 100 vini presentati da 21 aziende aderenti al Consorzio. Due i seminari guidati in programma con iscrizione obbligatoria: un focus sui terroirs dell'Alto Piemonte e un approfondimento sulle capacità evolutive del nebbiolo dell'Alto Piemonte.

L'Evento è organizzato dal Consorzio Tutela Nebbioli dell'Alto Piemonte in collaborazione con Riserva Grande e Percorsi di Vino

Sede dell'Evento:
Es Hotel Radisson Blu
Via Filippo Turati 171 (adiacente Stazione termini)
Roma

Programma Domenica 14 Gennaio 2018 

Ore 11:00 - Apertura banchi di assaggio 
Ore 14:30 - Seminario. Le zone e i terroirs dell'Alto Piemonte. A cura di Marco Cum
Ore 17:00 - Seminario. Le capacità evolutive del nebbiolo dell'Alto Piemonte. A cura di Andrea Petrini.
Ore 19:00 - Chiusura banchi di assaggio

AZIENDE PRESENTI AL BANCO DI ASSAGGIO

Antoniolo Azienda Vitivinicola
Az. Agr. Castaldi Francesca
Az. Agr. Gilberto Boniperti
Az. Agr. Mazzoni
Az. Agr. Platinetti
Azienda Vinicola Barbaglia
Azienda Vitivinicola Pietro Cassina
Azienda Vitivinicola Nervi
Brigatti Francesco 
Cantina Comero
Cantine Garrone
Cascina Cà Nova
Cantina Delsignore 
Colombera & Garella
Crola Enrico 
Filadora Azienda Vitivinicola
La Palazzina
Le Pianelle
Poderi ai Valloni
Tenute Sella
Torraccia Del Piantavigna
Vallana
Vigneti valle Roncati
Vini Ioppa

Modalità di accesso alla manifestazione

•Ingresso alla manifestazione (non occore prenotazione): costo 20€ 
•Convenzioni:
-Sommelier: 15€ (Previa dimostrazione con tesserino valido anno corrente)
-Soci Riserva Grande 15€
•Seminari di degustazione:
- Seminario. Le zone e i terroir dell'Alto Piemonte. A Cura di Marco Cum 35€
- Seminario. Le capacità evolutive del nebbiolo dell'Alto Piemonte. A cura di Andrea Petrini 35€ 
Per accedere ai Seminari occorre la prenotazione obbligatoria.
Con l'iscrizione ad almeno un seminario si ha diritto all'accesso gratuito ai banchi di assaggio. 

•All'ingresso della manifestazione è richiesta una cauzione di 5€ per il calice di degustazione. Tale cauzione verrà restituita al termine della degustazione, previa restituzione del calice.

•Acquisto on-line:
Tramite la pagina SHOP del sito sarà possibile acquistare tutti i seminari e il biglietto di ingresso al prezzo speciale di 16€, fino alle 24:00 di sabato 13 gennaio 2018.

Facciamo presente che per questo evento non sono previsti accrediti gratuiti. Gli operatori del settore, quali enotecari, ristoratori giornalisti possono richiedere il proprio accredito a eventi@riservagrande.com

I Veroni - Chianti Rufina Riserva 2014 è il Vino della Settimana di Garantito IGP

di Andrea Petrini

Perchè I Veroni sono una azienda seria. Perchè bisognerebbe bere molto più Chianti Rufina visto la qualità che esprime. Perchè la 2014 non è stata una annata nefasta come tutti pensano. 


Perchè questa Riserva viene da uno splendido ed antico vigneto di sangiovese arroccato attorno all'Antica Pievi di San Martino a Quona. Perchè sto vino ha una bevibilità micidiale. Ecco perchè è il mio vino della settimana ed è Garantito IGP!

www.iveroni.it

Alla scoperta del Nero d'Avola di Cantine Fina - Garantito IGP

Di Andrea Petrini

Ho conosciuto Federica Fina su uno dei tanti social network che un po' tutte le aziende, con un minimo di lungimiranza, ormai usano per far conoscere i loro prodotti. Un breve scambio di opinioni sulle bellezze della Sicilia e subito è nata la curiosità di provare i vini della sua azienda situata tra Marsala e Trapani ovvero all'interno di un territorio vitivinicolo unico visto che le meraviglie circostanti come la Riserva naturale dello Stagnone, Mozia, fino ad arrivare al Monte Erice dal quale ammirare l’Isola Lunga e le tre Isole Egadi (Favignana, Levanzo e Marettimo).


L’azienda, di carattere famigliare, è gestita dal suo fondatore ed enologo Bruno Fina che, così mi racconta Federica, iniziò ha lavorare nel mondo del vino negli anni ’80 presso la cantina sociale di Racalmuto anche se la svolta definitiva per la sua carriera arrivò solo una decina di anni dopo quando, entrato come enologo presso l'Istituto Regionale della Vite e del Vino, cominciò a collaborare con un certo Giacomo Tachis che in quegli anni stava svolgendo uno studio sperimentale sul territorio siciliano che, successivamente, proclamerà la Sicilia come continente vitivinicolo. 

La collaborazione con Tachis, proseguita poi per anni, ha fornito a Fina le energie sufficienti per dare il via al suo progetto di vita che, nel 2003, lo ha portato a produrre ed imbottigliare i suoi primi vini anche se la svolta definitiva si ha solo due anni dopo quando, nel 2005, realizzò il suo sogno più grande ovvero la costruzione della propria cantina aziendale la cui forma somiglia ad un antico baglio siciliano, riprendendo un architettura arabeggiante che va a sottolineare l’influenza che la cultura araba ha avuto su quella parte di Sicilia Occidentale.

La cantina

Bruno Fina è oggi coadiuvato nelle sue attività dai suoi tre figli: Marco (commerciale ed amministrativo), Sergio (enotecnico) e Federica (marketing, comunicazione ed enoturismo) che, come dicevo all'inizio, aveva interesse a farmi conoscere i suoi prodotti tanto da mandarmi in degustazione la campionatura di tutta la gamma dei vini aziendali suddivisi in ben 14 etichette dove possiamo trovare, tra i vari, un bianco a base sauvignon blanc e traminer aromatico o un grande rosso da taglio bordolese.

La famiglia Fina

Non ci vuole molto, perciò, a capire che Cantine Fina è una realtà moderna, a tratti spiazzante, le cui parole chiave sono sperimentazione, innovazione e tradizione tanto che il loro motto è Conoscere il terroir siciliano, per personalizzare i vitigni internazionali” anche se, e questo lo aggiungo io, l'azienda non trascura affatto la valorizzazione dei vitigni autoctoni siciliani visto che vengono prodotti vini a base grillo, zibibbo, perricone e nero d'Avola.

Vigneti

A partire da quest'ultimo vitigno vengono prodotti due vini davvero interessanti ovvero il Terre Siciliane IGP Nero d'Avola 2015 e il più blasonato Terre Siciliane IGP Nero d'Avola "Bausa" 2013.


Il primo, 100% nero d'Avola proveniente da vigneti situati a circa 300 metri s.l.m., mi è piaciuto anzitutto per la sua purezza espressiva della sua componente aromatica e, se penso alle ciofeche che sono state commercializzate in questi ultimi anni per soddisfare le richieste di Nero d'Avola "alla moda", dire che i presupposti iniziali sono sicuramente positivi. Anche al sorso il vino si conferma decisamente tipico, di vitale freschezza e, pur nella sua semplicità di impostazione, ha tannini finissimi che ben accompagnano un finale sapido e di buon equilibrio. Se dovessi dare un voto da 1 a 10 alla beva di questo vino direi sicuramente...11. Bottiglia tra amici finita in un amen. Nota tecnica: il vino fermenta in acciaio ed affina in botti da 3 hl per circa 6 mesi.


Il Terre Siciliane IGP Nero d'Avola "Bausa" 2013 prende il nome dalla contrada (Bausa) dove si trova la cantina che è il cuore dell'azienda così come lo è questo Nero d'Avola, fratellone del vino precedente, rispetto al quale aggiunge complessità e profondità grazie ad un bouquet aromatico caratterizzato da eleganti sensazioni di mora, ciliegia, viola, muschio e tabacco. La bocca è solida, energica, avvolgente, modellata da tannini levitati da un finale caldo di piacevole sapidità. Anche in questo caso, nonostante una struttura maggiore del precedente, il vino a tavola ha fatto un figurone sia tra appassionati come me sia tra neofiti del vino. Nota tecnica: il vino fermenta in acciaio ed affina in tonneau per 18 mesi.

Baglio del Cristo di Campobello - Terre Siciliane Bianco C'D'C’ 2016 è il Vino della settimana di Garantito IGP

Di Angelo Peretti

Avete presente il melone bianco, quello che si mangia d’inverno? Ecco, questo vino sa di melone bianco, e poi anche di sale e di mare e un poco pure di agrumi. 


Fatto con uve di grillo, chardonnay, inzolia e catarratto, tre autoctone e un’internazionale, si fa strabere sopra a un piatto di pasta al pomodoro. 

Ho bevuto il Blanc di Sanzuàn 2016 Emilio Bulfon, un vino fatto col cividin, ed è buonissimo – Garantito IGP

di Angelo Peretti
Ebbene sì, ho bevuto un vino fatto con un’uva che si chiama cividin. Non so quanti siano al mondo a fare un vino con il cividin, ma io l’ho bevuto, quel vino, ed è un vino bianco che mi è veramente piaciuto tanto tanto.
A fare il vino col cividin è un vignaiolo che si chiama Emilio Bulfon e sta a Valeriano, dalle parti di Pordenone, nel Friuli, e se ci fosse un Nobel per i vignaioli lo meriterebbe lui, perché da anni si è messo in testa di recuperare le vecchie varietà di vigna che si coltivavano un tempo da quelle parti e le ha tirate fuori dai boschi e dai rovi e le ha riprodotte e coltivate e ci fa dei vini che sono unici (non so quanti altri coltivino il cividin, oppure l’ucelut, il piculit-neri, lo sciaglin e il forgiarin, che sono le altre uve cui ha ridato dignità) e che sono buoni, a volte anche molto buoni, come in questo caso.


Era da anni che non ribevevo i vini di Emilio Bulfon. Li ho ritrovati per caso qualche giorno fa. Ero a Pordenone per un convegno e parcheggiando, a sera tarda, ho visto che nel negozio in fianco all’albergo dove alloggiavo c’era un negozio che aveva in vetrina proprio i suoi vini. La mattina, alle 8.30 in punto, orario di apertura, mi sono presentato in bottega per comprarli. Volevo i rossi, che mi ricordavano interessanti. Siccome i rossi erano cinque e la confezione per trasportarli era da sei, ci ho fatto mettete anche un bianco. Ora sono qui a benedire il fatto che la confezione fosse da sei e che ci abbia dovuto mettere anche un bianco, questo bianco, il Blanc di Sanzuàn, il bianco di san Giovanni.
Ecco, appena l’ho versato, annusato, assaggiato, ho preso in mano la bottiglia e l’ho guardata perché credevo di essermi sbagliato. Accidenti, se me l’avessero servito alla cieca l’avrei scambiato per un bianco della Valle del Rodano, tutt’al più della Languedoc.


Eh, sì. Polposo di frutto maturo senza però essere grasso, e poi freschissimo e vibrante, perfino salato, secco (bene!), di lunga persistenza nel palato. Una meraviglia, uno di quei bianchi che piacciono e me, e perfino senza l’eccesso alcolico di troppi bianchi che si fanno oggi in certe parti bianchiste d’Italia. Uno di quei vini che non parlano le lingue consuete dell’enologia contemporanea, che non hanno qualcosa, a mio avviso, che gli si possa paragonare in altre zone viticole nazionali e neppure, permettetemelo, nella sua area d’origine, nei vigneti friulani. Un unicum, ma un unicum proprio, proprio buono, che sa di antico e che è dunque modernissimo, e non sto giocando con le parole.
A proposito, sul sito di Bulfon leggo che la vigna è nel comune di Pinzano al Tagliamento, provincia di Pordenone, la zona del Friuli Grave, per capirci (ma questo è un “vino bianco”, che una volta si sarebbe detto un “bianco tavola”, fuori denominazione), colline dell’area pedemontana del Friuli Occidentale. Il sito dice anche che è un “uvaggio di uve bianche con prevalenza di uva da vitigno cividin”. Io ripeto che va bevuto.
Ho solo un problema, ora, ed è che chissà quando ci torno a Pordenone per comprarmene ancora. Se vi capita, provatelo, fate il possibile per provarlo, ché ne vale la pena. Almeno, io penso che ne valga la pena.
A proposito: i vini di Bulfon li ho pagati, in negozio, 8 euro l’uno. Vedete voi.

Santa Barbara - Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico “Le Vaglie” 2015 è il Vino della settimana di Garantito IGP

Di Lorenzo Colombo

Tra i numerosi Verdicchio prodotti da Stefano Antonucci abbiamo scelto questo “Le Vaglie” 2015.


Un vino caratterizzato dalla grande freschezza e pulizia, sapido ed elegante, che presenta sentori di frutta a polpa bianca e note floreali, con accenni d’agrumi e d’erbe officinali e dove si percepisce l’ormai tanto abusata “mineralità”. Persistente e dalla piacevolissima beva.

Appius 2013, Sanct Valentin e… tre compleanni alla cantina di San Michele Appiano - Garantito IGP

Di Lorenzo Colombo

L’occasione ufficiale era quella di presentare alla stampa, l’annata 2013 di Appius, ma in realtà il 2017 è l’anno in cui si festeggiano almeno altre tre ricorrenze:
·    - 110 anni dalla fondazione della cantina
·    - 40 di lavoro per Hans Terzer presso la medesima
·    - 30 anni dalla commercializzazione del primo vino della linea Sanct Valentin

Cinque vini bianchi, altrettanti rossi più un vino passito costituiscono questa linea di prodotti, la più prestigiosa della Cantina di San Michele Appiano, vini dove Hans Terzer riesce ad esprimere al massimo le caratteristiche dei vigneti più vocati del comune di Appiano.
Le bottiglie prodotte per questa linea sono circa 450mila/anno (su una produzione totale di 2,5 milioni), provenienti dagli ottanta ettari dedicati a questa specifica gamma di prodotti, dov’è il Sauvignon a dominare con 140.000 bottiglie prodotte a partire da 25 ettari a lui riservati.

Hans Terzer

Il nome deriva dalla Tenuta Sanct Valentin, dai cui vigneti, nel 1986, è stato prodotto il primo vino, anche se ormai i vigneti sono sparsi sul territorio di Appiano. Si tratta in genere di piccole parcelle la più grande delle quali –destinata al Pinot nero- è di appena due ettari.
L’età dei vigneti non è molto vetusta, essendo stati rimpiantati a partire dalla fine degli anni ’80, ritenendo i precedenti non  adatti a fornire vini di qualità eccelsa.
Contrariamente al resto della produzione della cantina, commercializzata per il 70% in Italia, della linea Sanct Valentin nel nostro paese se ne vende unicamente il 20%, tutto il resto viene esportato e tra i primi paesi si colloca il Giappone.
La presentazione dell’Appius 2013 è avvenuta durante una cena nella barricaia della cantina, con piatti preparati da Herbert Hintner del Ristorante Zur Rose di San Michele Appiano. Anche per i vini serviti durante la cena si festeggiava un compleanno, infatti avevano dieci e vent’anni d’età, a parte ovviamente l’Appius.
Ecco quindi quanto abbiamo avuto il piacere di assaporare:

Alto Adige Sauvignon “Sanct Valentin” 2007

Un vino pluripremiato nel corso degli anni da praticamente tutte le guide dei vini.
Diciamo subito che si è trattato del vino che maggiormente abbiamo apprezzato -e pensare che non siamo degli appassionati di sauvignon- ma un’eleganza, una freschezza ed una complessità simile, in un vino di dieci anni l’abbiamo trovata raramente.
Prodotto per la prima volta nel 1989, le uve provengono da vigneti dai dieci ai ventotto anni d’età, situati a San Michele e ad Appiano Monte, ad altitudini tra i 450 ed i 600 metri, esposti a sud-est, su suoli ghiaiosi con buona componente calcarea, il sistema d’allevamento è a Guyot. Sia la vinificazione che l’affinamento avvengono in acciaio per il 90% del prodotto, mentre il rimanente 10% viene lavorato in legno.


Elegante al naso, presenta i tipici sentori del vitigno senza però gli eccessi dati dalla gioventù, si colgono quindi sentori vegetali che rimandano alla foglia di pomodoro come pure note fruttate di pesca gialla e frutti tropicali.
Fresco alla bocca, fruttato, agrumato (pompelmo rosa), minerale, dotato di grande finezza ed eleganza, lunga la sua persistenza.

Alto Adige Pinot Grigio “Sanct Valentin” 1997

Nato nel 1986,è il capostipite della linea Sanct Valentin (assieme a Chardonnay e Gewürztraminer), le uve  provengono da alcuni vigneti situati ad Appiano Monte vinificate ed affinate in barriques. I vigneti hanno un’età variabile dai quindici ai trent’anni, si trovano su suoli ghiaiosi con buona componente calcarea ad un’altitudine tra i 420 ed i 600 metri, con esposizione sud-est, sud-ovest. La vinificazione e l’affinamento avviene tra barriques e tonneaux, il vino subisce la fermentazione malolattica.


Color dorato luminoso, i vent’anni d’età si notano nel bicchiere. Intenso al naso, con note terziarie, idrocarburiche, balsamiche, di legno vanigliato. Dotato di buona struttura, fresco e decisamente sapido, frutto giallo ancora ben presente, legno in evidenza con netti sentori tostati, lunga la persistenza.

Alto Adige Pinot Nero “Sanct Valentin” 2007

Si tratta del vino rosso più importante della cantina, prodotto per la prima volta nel 1995 con uve provenienti da vigneti situati in Appiano e dintorni, ad altitudini tra i 400 ed i 550 metri con esposizioni sud, sud-est, con resa di 45 ettolitri/ettaro, i suoli sono composti da depositi morenici con ghiaia e buon apporto calcareo.
La fermentazione avviene in acciaio, mentre la malolattica e l’affinamento per un anno in barriques, dopo l’assemblaggio il vino riposa in botti grandi per sei mesi.


Profondo il colore, rubino intenso. Bel naso, intenso, balsamico, con sentori di spezie dolci, vaniglia, caffè. Dotato di buona struttura e bella vena acida, si percepiscono sentori di frutto rosso speziato e note pepate, il legno è ancora in evidenza e dona al vino aromi tostati-affumicati ed accenni di tizzone nel camino spento.

Passito “Comtess” Sanct Valentin 2007

90% Gewürztraminer, 5% Riesling e 5% Sauvignon. Questa la composizione del vino, i cui vigneti sono situati appena sotto il Castello Valentin, a 600 metri d’altitudine, con esposizione sud-est su suoli ghiaiosi-calcarei, la resa è di 20 ettolitri/ettaro.
Le uve vengono raccolte a metà dicembre (durante la nostra visita del 10 novembre erano quindi ancora in pianta – vedi foto). Dopo l’appassimento vengono vinificate e fermentate parte in acciaio e parte in barrique.


Color ambrato brillante. Intenso al naso, che si presentava con un’esplosione di canditi, albicocca e pesca sciroppata. Strutturato, quasi grasso, morbido, mieloso, con bella vena acida che gli donava freschezza, albicocca sciroppata in evidenza e note piccanti che rimandavano allo zenzero.

Abbiamo lasciato per ultimo l’Appius, giunto con la 2013, alla sua quarta annata di produzione. E’ il vino a lungo pensato da Hans Terzer e finalmente prodotto per la prima volta nel 2010. Si tratta di un blend di chardonnay, pinot bianco, pinot grigio e sauvignon, le percentuali delle quali variano di anno in anno e le cui uve provengono da vigneti di 25-35 anni d’età situati in Appiano. Nell’annata 2013 la composizione è data da: chardonnay (55%), sauvignon (25%) ed il rimanente diviso tra pinot grigio e pinot bianco.
La resa è stata di  35 ettolitri/ettaro, la vendemmia è stata effettuata tra la seconda metà di settembre e la prima d’ottobre, fermentazioni ed affinamenti  si sono svolti tra barriques e tonneaux, l’assemblaggio tra i diversi vini e avvenuto dopo un anno e la massa è rimasta sui lieviti per tre anni in contenitori d’acciaio. L’etichetta del vino varia ogni anno.


Interessante e piacevole il naso, intenso, vanigliato, con un bel frutto (pesca gialla matura). Fresco al palato, leggermente vanigliato e con un accenno piccante che rimanda allo zenzero, frutta tropicale in evidenza, accenni di canditi, bella la vena acida e lunga la persistenza.


Le degustazioni dei vini della linea Sanct Valentin non si sono limitate ai vini sopra descritti, ma hanno interessato tutta la produzione, infatti, il giorno seguente, presso il Castello Valentin abbiamo potuto assaggiare il frutto dell’ultima annata in commercio, dove nuovamente, almeno secondo noi, il Sauvignon aveva una marcia in più rispetto a tutti gli altri seppur molto buoni vini.

Alla scoperta del Sangiovese di Brisighella

L'edizione senese di Sangiovese Purosangue 2017 è stata ricca di seminari tra i quali spiccava quello tenuto da Francesco Falcone sul Romagna Sangiovese di Brisighella. Di questa tipologia di vino scrissi già nel 2014 prendendo spunto proprio dalle parole dello stesso Falcone che, in qualità di collaboratore di Enogea, pubblicò un interessante articolo su questa meravigliosa rivista (II serie - n°37) dal quale estrapolerò alcune parti per contestualizzare la degustazione che seguirà (se violo qualche copyright me ne scuso e sono pronto ad eliminare tutto)


Scrive Falcone: "La zona di produzione del Sangiovese di Romagna (denominazione d'origine controllata a partire dal 1967) interessa una vasta area collinare che si sviluppa a sud della via Emilia toccando (da nord-ovest a sud-est) una cinquantina di comuni delle province di Bologna (l'Imolese), Ravenna (Il Faentino), Forlì-Cesena (Il Forlivese e Il Cesenate) e Rimini (Il Riminese). Il disciplinare di produzione prevede come vitigno principale il sangiovese, la cui percentuale minima nel vino non deve essere inferiore all'85%. Sempre più spesso viene vinificato in purezza, ma non mancano bottiglie che dichiarano l'aggiunta di altre uve complementari. Si può affermare che la fetta più significativa della viticoltura si sviluppa su colline di matrice sedimentario-argillosa, mai troppo elevate, la cui quota altimetrica oscilla tra i 150 e 300 metri s.l.m. Anche se una larga parte dei vigneti si sviluppa a non grande distanza dall'Adriatico (mare troppo ristretto per influire significativamente sulle condizioni termiche della regione), il clima è prevalentemente continentale, con estati molto calde e afose, e inverni freddi e prolungati (rappresentano due eccezioni alla regola il Riminese e alcune zone del Cesenate, dove l'influsso delle brezze è più netto). Poco più di 7000 sono gli ettari vitati rivendicati dalla DOC, sedici milioni le bottiglie che ogni anno sono immesse sul mercato e tre le principali tipologie prodotte. La versione d'annata (con o senza la dicitura “Superiore”), fruttata, polputa e godibile da bere in gioventù, maturata sempre in vasche di cemento e/o di acciaio e posta in commercio la primavera successiva alla vendemmia. La “selezione” (quasi sempre commercializzata come “Superiore”), di maggiore struttura, intensità e vigore, di tanto in tanto elevata per qualche mese in barrique o tonneaux (più rara è invece la presenza della botte grande) e venduta dopo un breve periodo di affinamento in bottiglia. E infine la Riserva: un vino più potente e profondo, in genere austero nei primi anni di vita ma dotato di buona propensione all'invecchiamento (tra i 10 e i 15 anni)".


Il nuovo disciplinare, in vigore dal 2011, ha introdotto due novità importanti: la prima è che dovremmo chiamarlo non più Sangiovese di Romagna ma Romagna Sangiovese. 
L'altro cambiamento sostanziale riguarda l'istituzione delle sottozone (menzioni geografiche aggiuntive) che sono, partendo da nord-ovest per arrivare a nord-est, quella di Serra, di Brisighella, di Marzeno e di Modigliana. Quella di Oriolo e di Castrocaro, di Predappio, di Bertinoro e di Meldola, di Cesena, di San Vicinio e, infine, di Longiano.


Ponendo il fuoco dell'attenzione sulla sottozona "Brisighella", circa 1000 ettari vitati che si estendono lungo la valle del torrente Lamone, è opportuno anzitutto dire che questo comprensorio, molto famoso anche per la produzione di olio, dal punto di vista geologico è composto da terreni ricchi di calcare e gesso, prossimi alla linea dei calanchi (150-400 metri s.l.m.) e da terreni più tenaci ed argillosi, prossimi al Monte Coralli, che di tanto in tanto si alternano a conformazioni sabbiose (sabbia gialla) del Messiniano. 

Calanchi

Queste differenze, ovviamente, si riscontreranno anche all'interno vini prodotti all'interno dell'areale che, grazie anche alle specifiche di Falcone, cercherò di descrivere nel migliore dei modi iniziando dal Romagna Sangiovese Brisighella Riserva DOC "Corallo Nero" 2015 di Gallegati. L'azienda, che si sviluppa su 20 ettari di cui 10 piantati sulle colline di Brisighella, è condotta dai fratelli Antonio e Cesare Gallegati, entrambi laureati in scienze agrarie e specializzati in campo agronomico ed enologico, che da circa 15 anni hanno ripreso in mano l'attività di famiglia per produrre vino di qualità. Questo vino, 100% sangiovese, è il classico Romagna Sangiovese, ma di qualità, che ti aspetti di trovare sopra la tavola delle feste. E' ricco, pacioccone, ciliegioso e dotato di un finale amaricante, quasi da erbe medicinali, che smorza la carica alcolica del vino rendendo tutto molto più equilibrato e gaudente.


Il secondo vino degustato è stato il Romagna Sangiovese Superiore "Millo" 2011 di Roberto Monti la cui azienda, incentrata attorno al Podere Samba, è nata nel 1982 estendendosi oggi per circa 12 ettari di vigneti piantati su terreni calcareo-argillosi, a 200 metri s.l.m, all'interno dei quali è possibile trovare principalmente sangiovese e cabernet sauvignon assieme a piccole percentuali di merlot, centesimino, malvasia, pignoletto e trebbiano. Il vino è un sangiovese in purezza proveniente da un millesimo abbastanza caldo che al naso esplode con un frutto rosso sanguigno e prorompente a cui seguono profonde sensazioni di erbe amare, china e ghisa. La bocca evoca un vino ancora giovane, scalpitante ed arcigno soprattutto nel tannino che martella incessante fino a centro bocca creando le basi per un finale austero ma un po' troppo asciugante.


Il terzo vino è rappresentato dal Ravenna Sangiovese IGT "Oudeis" 2013 di Vigne di San Lorenzo ovvero dell'azienda di Filippo Manetti che nel 1998 ha acquistato una piccola borgata di origine medievale chiamata Campiume, nel Comune di Brisighella, trasformando il suo sogno in una realtà che oggi vanta un'estensione di circa 10 ettari (albana, trebbiano, sangiovese, cabernet sauvignon, merlot, malbo gentile) dove tradizione e limitatissimo uso della tecnologia in vigna e in cantina, quest'ultima scavata interamente nella roccia, fanno rima con produzioni di nicchia dalla grande qualità. Non fa pertanto sconti questo sangiovese in purezza, atipicamente romagnolo, sia per il colore rubino scarico sia per la mancanza di sbuffi alcolici che spesso segnano i vini di questo territorio. Questo Oudeis, nonostante la sua gioventù, è deliziosamente equilibrato e inebriato da sensazioni aromatiche che vanno dalla rosa passita alle erbe campestri fino ad arrivare all'agrume.  Berlo è una meraviglia per il suo essere succoso, elegante e dotato di finale sapido ed inebriante. Bella scoperta!


Il penultimo vino della batteria era rappresentato dal Ravenna Sangiovese IGP "Testa del Leone" 2010 di Andrea Bragagni la cui azienda, situata nella frazione di Fognano, si estende per 25 ettari su un territorio collinare a circa 350 metri di altitudine con esposizione nord-est dove sono piantate varietà come albana, trebbiano, sangiovese, famoso e cabernet sauvignon su suoli di galestro ricchi di sabbie. Famoso per il suo Rigogolo (albana in purezza), Bragagni ogni tanto si "diverte" a tirar fuori questo "Testa del Leone" espressione chiara di un sangiovese nordico dove il calore e le rotondità della frutta rossa succosa sono messe da una parte e sostituite da fresche note di té al limone, pesca, mela rossa, agrume, tabacco. La bocca è nervosa, anticonformista, decisamente originale trovarsi davanti ad un sangiovese romagnolo così ossuto, salmastro ma, al tempo stesso, carico di sensazioni acide da vino del nord Europa. Difficile per chi lo approccia per la prima volta ma, credetemi, vale la pena scoprire che esiste anche un B Side del sangiovese di Brisighella.


L'ultimo vino della batteria era il Ravenna Rosso IGT "Poggio Tura" 2009 di Vigne dei Boschi ovvero l'azienda di Paolo Babini e Katia Alpi che dal 1989 portano avanti la loro idea di viticoltura che già in tempi non sospetti, ovvero dal 2002, viene condotta secondo i dettami dell'agricoltura biodinamica. Il Poggio Tura è sicuramente il vino più "famoso" di Paolo e Katia che, complice anche all'annata decisamente calda, lascia intravedere un carattere decisamente mediterraneo grazie ai suoi sentori di oliva, timo e ginepro a cui seguono i classici sentori terziari del sangiovese di romagna che in questo caso prendono la forma del cuoio, del cioccolato e della terra bagnata. Alla gustativa è avvolgente, scuro, misurato per equilibrio e graffiante nel finale decisamente austero e sapido. Dopo ben otto anni un vino ancora in piedi ed in piena evoluzione. Anche per questo, ma non solo per questo, il Poggio Tura e Paolo Babini sono un riferimento per i tanti amanti del sangiovese romagnolo. Avanti così!



Fattoria Lavacchio - Chianti DOCG "Puro" 2016 è il vino della settimana di Garantito IGP

Di Stefano Tesi


Sarà moda, sarà marketing, ma io questo giovane e generoso Chianti bio senza solfiti, bello succoso e violaceo, con quei sentori da potpourrì che mi piacciono tanto, in una fredda serata di zuppe, formaggi e salumi, me lo sono bevuto tutto. Subito e con gran piacere. Suggerisco di fare altrettanto.

www.fattorialavacchio.com

Castello del Trebbio, verticale “50 anni di Sangiovese” - Garantito IGP

Di Stefano Tesi

La storia del vino è fatta anche di avventure, circostanze, scommesse vinte e perdute, azzardi e colpi di fortuna, cicli, corsi e ricorsi. Più lunga è la storia, più è sinuoso il percorso.
E sebbene non sempre l’Italia possa vantare in materia le radici antichissime dei cugini, nemmeno da noi mancano aziende con alle spalle un vissuto di qualche generazione. Radici che nell’enologia moderna trovano nel mezzo secolo la loro unità di misura più attendibile: la vera boa, lo spartiacque tra una cantina solo importante e una cantina anche antica. Il tal senso il 2018 sarà la volta del Castello del Trebbio, la tenuta del Chianti Rufina “cuore” di un gruppo, DCasadei, che oggi si estende anche in Sardegna e in Maremma. Scadranno infatti nel 2018 i cinquant’anni da quando il conte milanese Giovanni Baj Macario e la contessa Eugenia Spiegel Baj rilevarono la malmessa proprietà chiantigiana, abbandonata da alcuni lustri.


Lo fecero, in realtà, per avere una casa in campagna ove passare al fresco le vacanze. Nessuno pensava di diventare vignaiolo. Ma era il 1968, un millesimo inquieto, anche per un’azienda mezzadrile come quella, che pareva vivere ai margini perfino dei rivolgimenti sociali dell’epoca: non a caso, allora, in gran parte della Toscana contadina l’esodo dalle campagne era già quasi concluso, mentre al Trebbio doveva ancora cominciare.
Fattostà che i due nuovi proprietari si insediano nel millenario castello, con 350 ettari di terra senza un vigne o quasi. E che mezzo secolo dopo una delle loro figlie, Anna Baj Macario, e il marito di lei, Stefano Casadei, sono ancora lì. Ma sono diventati produttori a tempo pieno, con 60 ettari di vigne, una filosofia “rurale” tutta loro e una figlia entrata dal 2013 a dar man forte e futuro.


Per celebrare la ricorrenza, Anna e Stefano hanno organizzato due belle verticali dei loro vini a base di Sangiovese: dieci campioni del Lastricato Chianti Rufina docg Riserva (cominciando con l’antenato Chianti Riserva del 1971 su su con i suoi discendenti) e quattro de Le Anfore Sangiovese Toscana Igt, prodotto esclusivamente in anfora.
A presentare e raccontare il tutto, l’emozionato patron e il giovane Andrea Galanti, migliore sommelier d’Italia 2015. Non sono andato a scegliere per forza le annate migliori”, ha detto Casadei presentando la verticale, “ma ciò che secondo me rappresentava meglio le tappe fondamentali del nostro lungo cammino”.

Ecco com’è andata.
 
1971 (Chianti Riserva)
Un vino fatto ancora con le tradizionali uve chiantigiane prodotte dai contadini: Sangiovese, Canaiolo, Trebbiamo, Ciliegiolo, Colorino. Annata calda (per l’epoca).
Colore granato scarico, aranciato. Naso cangiante con sequenze di terra bagnata, foglie umide e sottobosco, in bocca è integro e lungo, ben sostenuto dall’acidità, avvolgente e sorprendente.

1979 (Chianti Riserva)
E’ l’anno dell’addio degli ultimi contadini, con in vigneti rinnovati solo al 50%. Annata fredda con estate piovosa.
Alla vista rubino/granato ancora integro, naso con note di freschezza sorprendente, accenni di balsamicità e netto sentore di pomodori secchi. In bocca è compatto, non molto lungo ma godibile.


1983 (Chianti Colli Fiorentini Riserva)
L’anno del rinnovo dei vigneti è terminato, con una percentuale di uve bianche nettamente inferiore rispetto al passato. L’azienda è a conduzione diretta. Fu un’estate caldissima.
Rubino scuro e intenso, al naso è piuttosto evoluto con un netto senso di calore, marmellata e frutta sotto spirito, in bocca ha tannini spiccati, una nota amarognola e un finale brusco.

1989 (Chianti Colli Fiorentini Riserva)
E’ l’anno della scomparsa di Giovanni Baj Macario, millesimo difficile anche meteorologicamente con primavera siccitosa ed estate molto piovosa.
Colore rubino intenso un po’ granato, all’olfatto dà note nette di cuoio, liquirizia, frutta scura e tabacco, in bocca rivela tannino deciso e una certa acidità, potenza e uno strano finale salato.


1995 (Chianti Riserva).
Scompare la contessa Eugenia e gli eredi si dividono il patrimonio. Al Trebbio restano Anna, suo fratello Alberto e Stefano Casadei, che subentra nella gestione. Questo vino viene tenuto in casa “per prova” e mai messo in commercio.
Colore rubino opaco, naso molto fruttato e intenso, bella freschezza. Anche in bocca è pieno, potente, molto strutturato ma pienamente godibile.

1999 (Chianti Rufina Riserva)
E’ la prima vendemmia dal nuovo vigneto “Lastricato”, impiantato nel 1995. Vengono ripulite e asciate le vecchie botti. Si vendemmia piuttosto tardi, attorno al 20 ottobre.
Rubino scuro e intenso, naso pieno e gentile, fresco e agile, bocca potente e alcolica, bei tannini, pienamente maturo.

2004 (Lastricato Chianti Rufina Riserva)
In cantina vengono introdotte le tonneaux al fianco delle vecchie botti. Vendemmia molto umida.
Colore rubino intenso, naso sobrio ed elegante, frutto gentile, in bocca molto “moderno” e tipico del periodo, bella trama tannica con note di legno non fastidiose.


2007 (Lastricato Chianti Rufina Riserva)
Arrivano barrique e tonneaux nuovi nel nome delle nuove tendenze e dei gusti del pubblico. Annata mite con un luglio piovoso.
Bel rubino medio, al naso evidenti ma accettbili note di legno, bouquet fragrante, quasi croccante e speziato, in bocca è molto trendy, alcolico, importante.

2011 (Lastricato Chianti Rufina Riserva)
Marcia indietro: addio barrique e ritorno alle tonneaux e alle botti (sia asciate che nuove). Cominciano gli esperimenti con le uve lavorate in anfora.
Colore rubino profondo, naso fragrante e fruttato, con bella nota varietale. Anche in bocca è ricco, piacevole, con promettente profondità.

2013 (Lastricato Chianti Rufina Riserva)
Anno importante: nasce il protocollo di lavoro interno “biointegrale” e le anfore entrano ufficialmente nella produzione del Lastricato a fianco dell’acciaio e delle botti da 20 hl.
Rubino fitto, naso ricco, giovane e molto fruttato,  anche in bocca è ancora acerbo, con alcol marcato e buona profondità, da aspettare.
 
2011 Le Anfore Sangiovese Toscana Igt
Venticinque giorni di fermentazione e sei mesi di affinamento in anfora, vino prodotto in sole 1.500 bottiglie e mai messo in commercio.
Colore rubino pieno, naso vivo e frutto dolce con una nota ipermatura, in bocca è fresco, quasi mostoso, con spiccato sentore di melograno e marcata acidità.

2013 Le Anfore Sangiovese Toscana Igt
È l’anno in cui Elena Casadei, entra in azienda e comincia a lavorare sulle anfore con il progetto “Le Anfore di Elena Casadei”.
Rubino con accenni violacei, ha un naso pungente, varietale e nervoso mentre in bocca è acerbo, con una nota dolce di piccoli frutti rossi.

2015 Le Anfore sangiovese Toscana Igt
Affinato in anfora di 6 mesi, è il primo vino presentato ufficialmente al mercato e alla stampa come “Biointegrale”. Rubino/violaceo, naso ancora mostoso, ricco e acerbo con frutto in evidenza, note che mantiene anche in bocca.

2016 Le Anfore Sangiovese Toscana Igt
Trenta giorni di macerazione sulle bucce e sette mesi in anfora. Vino del tutto acerbo, difficile da giudicare.