Azienda Negretti a Santa Maria La Morra - Garantito IGP


Di Maria Grazia Melegari

Che bella esperienza il Langhe Tour dei Giovani Promettenti! Mi accolgono, in sostituzione del direttore di InternetGourmet, per le degustazioni di un considerevole numero di campioni di Barolo e Barbaresco, presso il Consorzio ad Alba e per una serie di visite in aziende del territorio. Per loro è una consuetudine, per me è una piacevole novità, scorrazzare tra i vigneti che si vestono delle calde e brillanti sfumature autunnali.
Arriviamo a Santa Maria, frazione - e MGA – del comune di La Morra, in vista all’azienda Negretti.
Ci accolgono Massimo ed Ezio, i giovani fratelli che rappresentano la quarta generazione della famiglia. Entrambi hanno frequentato la scuola enologica di Alba; successivamente, Massimo ha conseguito la laurea in enologia presso la facoltà di Agraria di Torino, mentre Ezio ha scelto la specializzazione in discipline economiche e gestionali.
«Nel 2003» raccontano «abbiamo costruito la nuova sede aziendale e iniziato a gestire direttamente la nostra realtà produttiva che ha una storia familiare di oltre un secolo».
I 7 ettari gestiti all’inizio del 900 – tutti accorpati nei comuni di La Morra e Roddi – oggi sono diventati circa 13, con una produzione complessiva di circa 40.000 bottiglie annue.
Non c’è dubbio, hanno le idee molto chiare, Massimo ed Ezio; lo si capisce anche dal rigore e dalla semplicità che animano gli spazi della cantina: ampi, funzionali, senza ridondanze ornamentali. Ci sono molte vasche d’acciaio in cui avviene la fermentazione per tutti i vini prodotti e legni di diverse capacità ed essenze. Anche la degustazione ha confermato uno stile produttivo dai contorni rigorosi, aperto alla sperimentazione e capace di mettere a frutto l’esperienza e la storia familiare, senza stravolgere la tradizione.

La degustazione:
Dadà Langhe Chardonnay 2015 e 2013
Grande pulizia olfattiva e una decisa precisione stilistica colpiscono già in questo vino bianco.
Il 2015 si apre su note fresche di fiori di tiglio e pesca; il sorso è ben strutturato e saporito. Il più evoluto 2013 ha note burrose e di pasticceria e una trama gustativa ampia, molto sapida. Molto ben calibrato il passaggio in legno.
Dolcetto d’Alba 2015
Davvero un gran bel vino, da bere anche d’estate, opportunamente rinfrescato. Il frutto varietale è intenso e nitido; c’è un’affascinante leggerezza nel sorso che termina in un bellissimo gioco tra polpa fruttata e sale. Vino piacevolmente didattico che sorprende.
Nebbiolo d’Alba 2013
Prodotto con uve scelte dai vigneti di Monforte, ha profumi intensi e fragranti, dove predomina il floreale, arricchito da una piacevole nota pepata. La beva è distesa e austera. 12 mesi di barriques di rovere francese danno spessore senza appesantire.

I Barolo
“Guardare alla modernità con intelligenza” potrebbe essere il motto dei fratelli Negretti, un concetto che la degustazione dei quattro Barolo prodotti ha trasmesso molto efficacemente. Le marne grigio-blu, dette di Sant’Agata, argille finissime miste a sabbia, sono caratteristiche del terroir di La Morra e Roddi. Sono dunque dei Barolo dai profumi fruttati, delicati, con tannini sottili e strutture non eccessive. Massimo ed Ezio, però, attraverso una ricerca personale, hanno scelto per ogni Barolo una gestione diversa dei legni, per grandezza e tipo di essenza, usando ogni anno solamente il 30% di contenitori nuovi. il loro stile è sempre rigoroso e molto pulito, ma ogni Barolo rivela un preciso carattere.
Barolo 2012
Prodotto con selezioni dai diversi vigneti di La Morra, ha un profilo deciso, con note scure, di grafite, quasi fumé. I tannini sono fitti, già piuttosto arrotondati; quasi pastoso al palato, è scorrevole e sapido. L’affinamento avviene prima in barrique di allier per 8 mesi, poi in botti di rovere da 20 hl per 18 mesi. Austero.
Barolo Rive 2012
Prima annata in commercio per questo Barolo che è prodotto con le uve dell’omonima menzione geografica del Comune di La Morra, dove i filari sono esposti a sud.
L’uso della criomacerazione e l’affinamento in rovere francese grande per 24 mesi esaltano il frutto rosso, maturo e intenso, e un notevole spessore gustativo, con l’alcol ancora un po’ in evidenza. I tannini offrono giovanile astringenza e sono sostenuti da una buona acidità che promette longevità. Esuberante ma con saggezza.
Barolo Mirau 2012
Le uve provengono da un vigneto sulla sommità del cru di Santa Maria. L’affinamento avviene in rovere svizzero da 20 hl per circa 24 mesi. Elegantissimo il profilo olfattivo: floreale, di piccoli frutti rossi maturi, erbe balsamiche, note lievi di cacao in polvere e pepe bianco. I tannini sono fitti, rilevati. Freschezza e persistenza allietano il palato. Mi permetto: è un Barolo che lascia una traccia nel mio cuore. Raffinato.

Barolo Bricco Ambrogio 2012
Le uve provengono dalle vigne la cui età va dai 45 ai 70 anni, poste nell’omonimo cru di Roddi. Si tratta del Barolo aziendale dalla maggiore struttura (nei terreni è più presente l’argilla e l’affinamento avviene in barriques di allier per 24 mesi). Il profilo olfattivo è molto variegato, con note di humus, liquerizia, erbe balsamiche, frutto rosso maturo quasi in composta. Il sorso è polposo, spesso, con tannini ben avvertibili ma già setosi, quasi dolci. Potente e aggraziato.
Barolo Mirau 2007
Il naso si apre lentamente su fiori secchi, note polverose e progressivamente mentolate, piacevolmente fresche. Grande eleganza anche nel sorso, sapido e balsamico, dai tannini soavi e avvolgenti. 
Barolo Bricco Ambrogio 2005
Molto variegato il profilo olfattivo: frutti rossi, cioccolato fondente, note terziarie appena accennate di tabacco, fungo. Il tannino è ancora vivace e contribuisce a una beva molto piacevole, direi leggiadra, che ben accompagnerei a una battuta di Fassona.


Villa Matilde - Mata Falanghina Brut Metodo Classico è il Vino della Settimana di Garantito IGP


Di Stefano Tesi

All'inizio lo stappi pieno, soprattutto, di curiosità.

Ma poi te lo godi fino all'ultima goccia, compiacendoti a ogni sorso della sua inconfondibile "falanghinità".


Vigne di cinquant'anni nell'Ager Falernus e sei anni sui lieviti fanno il resto. Ideale per brindare in allegria, ma con eleganza.



La ribollita di mia nonna Dina non somigliava a quella di Dina - Garantito IGP

La mia nonna paterna si chiamava Dina. Mentre la ribollita è, per i toscani, il massimo piatto della memoria.


Che c'entra? C'entra!

Giorni fa ero un giocoso giurato, nell'ambito della Biennale Gastronomica Fiorentina, al Palio della Ribollita allestito al Mercato di San Lorenzo: una ventina di agguerrite massaie (e massai), tutte rigorosamente dilettanti, in lizza per l'ambìto titolo.
Una grande varietà di interpretazioni del classico piatto povero. "Giusto", pensavo tra me e me. Nulla come la ribollita rammenta del resto, riflettevo, il mangiare di casa nelle sue mille sfumature, tutte legittime, e nelle sue mille varianti, sempre dipendenti dalla quantità degli ingredienti e dall'estro della cuoca, maestra per definizione nel fare di necessità virtù.
Ecco perchè dello stesso piatto si trovano così tante versioni, a volte poco ortodosse e perfino spurie o addirittura eretiche, ma quasi sempre ricadenti in un quella meravigliosa eterogeneità domestica capace di sfuggire a ogni gabbia.

Ed ecco anche il motivo della mia radicale contrarietà ad ogni tentativo di codificare la cucina, anzi ogni produzione tradizionale, che della propria elasticità si alimenta e grazie alla quale sopravvive, con buona pace dei surgelati.
Lo pensavo, lo pensavo, sinceramente.
Poi è comparsa al nostro cospetto lei: Dina. Di cognome: Betti. Anni: 88. Altezza: 1 metro e 50 coi tacchi. Minuta, appena imbarazzata, più che altro smarrita in quell'orgia di selfie, di dirette radiofoniche e di fugace notorietà mediatica.


Senza fronzoli nè orpelli ci ha messo davanti al naso la sua ribollita: sminuzzata e densa, minestrosa ma non molle, con cavolo in evidenza ed eppure amalgamato alla perfezione col pane grazie alla ricottura dettata da una mano non sapiente forse, ma semplicemente esperta.

Per me era la migliore, per altri no. Non ha vinto infatti.

Ma il mio vicino di tavolo e di giuria non ha saputo trattenersi e si è commosso quando Dina è salita sul palco per ritirare, quasi incredula, la"menzione speciale" che le abbiamo voluto attribuire. " Mi ha ricordato quella di mia nonna", ha detto lui asciugandosi una lacrima.
 A me quel piatto non ha ricordato la ribollita di mia nonna, che era una pessima cuoca, ma mia nonna e basta. Ha dato un senso alla coesione del vissuto di cui il cibo quotidiano è uno, se il non principale mastice.

E all'eroismo di certe massaie avvezze a quelle cose semplici che troppo spesso perdiamo di vista.


Prosecco Vs Report: la nota del Consorzio di Tutela della Denominazione Prosecco

Con riferimento ai contenuti del servizio sul Prosecco trasmesso ieri sera dalla trasmissione “Report”, l’Ulss 7 ritiene importante fornire un’informazione dettagliata sull’attività svolta nell’ultimo periodo nell’ambito dei controlli relativi al settore vitivinicolo.  

“Accanto ai controlli di routine sull’acqua potabile e sul vino imbottigliato, che hanno dato esito negativo, abbiamo attivato, per garantire la massime tutela della salute della popolazione, un Piano di campionamenti straordinari sia sul Prosecco DOCG sia sui pozzi degli acquedotti - spiega il Direttore Generale, Francesco Benazzi -. E’ stata portata a termine, inoltre, la seconda fase del biomonitoraggio della popolazione residente nelle aree ad alta intensità viticola. I risultati degli studi effettuati non evidenziano situazioni di allarme epidemiologico né particolari preoccupazioni sul fronte della sicurezza alimentare”.

VINO IMBOTTIGLIATO
In aggiunta ai controlli ordinari che ogni anno l’Ulss 7 effettua sul vino imbottigliato, risultati stabilmente favorevoli per quanto riguarda il rispetto dei limiti di legge, è stato attivato, quest’anno, un Piano straordinario di campionamento. Le analisi hanno interessato, nella prima fase, 50 bottiglie delle più importanti aziende locali di produzione del Prosecco DOCG, vendemmia 2015. Le analisi sono state eseguiti presso il laboratorio specializzato del Centro di Ricerca per la Viticoltura di Conegliano (CREA-Vit): sono stati studiati 17 principi attivi, presenti nei composti fitosanitari di maggiore interesse ambientale, utilizzati nella coltivazione della Glera. Tutti i campioni sono risultati conformi, con tracce micromillesimali (da 5 a 500 volte inferiori ai limiti) di alcuni (da 3 a 5) principi attivi antiperonosporici e antibotritici. Non è stata rilevata alcuna traccia di ditiocarbammati.

ACQUA POTABILE
In relazione all’acqua potabile l’Ulss 7, oltre al normale monitoraggio microbiologico e chimico, ha effettuato uno studio straordinario volto a identificare l’eventuale presenza, nei pozzi di captazione, di due tra i più comuni erbicidi, il glifosate-AMPA e il glufosinate d’ammonio. 
Il glufosinate d’ammonio è risultato assente in tutti i 12 pozzi controllati. Il glifosate-AMPA ha presentato una occasionale positività, poi rientrata, in un pozzo non utilizzato del Comune di Conegliano. 

BIOMONITORAGGIO DELLA POPOLAZIONE
Nel 2012/13 l’Ulss 7 aveva avviato uno studio pilota per individuare l’eventuale presenza di etilentiourea-ETU (il principale metabolita urinario dei ditiocarbammati, prodotti fungicidi di ampio utilizzo) nella popolazione residente in aree ad alta intensità viticola. Rispetto ai  407 soggetti esaminati, solo 21 (pari al 5% del campione) avevano evidenziato valori di ETU superiori a 5 microgrammi/litro (limite per la popolazione generale), correlabili sia alla deriva dei trattamenti dei vigneti circostanti sia all’utilizzo di antifungini nell’orto di casa. Su questi soggetti è proseguito, con una seconda fase, il biomonitoraggio che ha evidenziato, per 20 di loro, il rientro dei valori dell’ETU sotto i 5 microgrammi/litro.


“Le nostre attività di controllo, ordinarie e straordinarie, proseguiranno sia sul fronte della tutela delle risorse idriche sia nell’ambito dei controlli sanitari sul vino -  sottolinea Sandro Cinquetti, direttore del Dipartimento di Prevenzione dell’Ulss 7 -. D’intesa con i Comuni del territorio stiamo lavorando per intensificare la vigilanza “sul campo”.  




Vignaioli Naturali a Roma Edizione 2016

Tutti pronti per la nona edizione!

Il 19 e il 20 novembre 2016 si svolgerà Vignaioli Naturali a Roma, per la seconda volta in un anno, a riprova di quanto successo riscuota l’evento voluto e organizzato da Tiziana Gallo.


Ai banchi d’assaggio saranno presenti oltre cento produttori provenienti da tante regioni italiane oltre a diverse realtà estere come Francia, Spagna e Germania, pronti a raccontare le loro storie e a proporre direttamente i vini ai moltissimi appassionati e professionisti del settore, intenzionati a non mancare all’appuntamento enologico più importante della capitale.

In questa edizione decisamente ricchissime e invitanti anche le proposte alimentari con prodotti che rappresentano l’eccellenza della gastronomia italiana con ben 6 banchi d’assaggio e un angolo interamente dedicato alla cucina made in Japan, oltre all’immancabile birra artigianale.

È la stessa Tiziana Gallo a spiegarci il motivo della sua scelta: “Nove anni fa ho deciso di intraprendere questa avventura, passionalmente motivata a fare in modo che la degustazione che mi accingevo a organizzare rappresentasse un punto d’incontro per i produttori, per gli esperti e non, per i curiosi e per gli appassionati; diciamo un modo per contribuire, nel mio piccolo, alla diffusione e alla condivisione della magnifica e sempre stupefacente esperienza che gli eroici vignaioli naturali possono regalarci. Ognuno a suo modo, esprimendo i diversi terroir, ma tutti uniti nella volontà di sostenere il ciclo della natura e di farsi guidare tra i filari ed i preziosi frutti per trasformarli in vino prodotto secondo natura”.

Nell’esclusiva e centralissima location del The Westin Excelsior Rome, in Via Veneto 125, i Vignaioli Naturali a Roma danno l’appuntamento nei giorni di sabato 19 e domenica 20 novembre 2016 - dalle 12 alle 19, per questa imperdibile nona edizione dell’evento di Tiziana Gallo.

Per info:

Tiziana Gallo – 338/8549619
info@vininaturaliaroma.com


http://www.vininaturaliaroma.com/

Corte Mainente e quel progetto social chiamato Soave Classico Netrroir

Marco e Davide, rispettivamente agronomo e enologo di Corte Mainente, li ho conosciuti durante lo scorso Soave Versus e, come ho scritto, sono rimasto decisamente incuriosito dal loro Soave Classico "Tovo al Pigno" che ha meritato di essere incluso nella mia poco affidabile classifica dei cinque migliori vini bevuti durante la manifestazione veronese. 

Con grande rammarico per i fratelli Mainente, quell'assaggio mi ha spinto a chieder loro di passare in cantina il giorno dopo per provare, senza problemi di ressa, tutta la loro produzione e magari fare anche un giro per i vigneti.

Davide, nonostante la stanchezza da fiera si facesse sentire, mi aspetta all'entrata della sua azienda che si trova a pochi passi dal castello scaligero di Soave che, dall'alto, sembra vegliare su questa antica corte agricola iniziò la sua attività nel lontano nel 1939 quando Virgilio Mainente (nonno di Marco e Davide) decise di acquistare alcuni vigneti e i fabbricati che ospitano la cantina. 




Generazione dopo generazione il patrimonio vitivinicolo è cresciuto e così oggi l'azienda si estende su circa 12 ettari di vigneti di cui 10 nella zona DOC mentre altri 2 ettari sono localizzati nella zona del Soave Classico, più precisamente nelle zone Pigno e Monte Tenda. Non tutta garganega perchè Davide mi parla anche del possesso di due piccoli impianti di chardonnay (circa 1 ettaro) e trebbiano di Soave (2000 mq).


Dopo un breve giro all'interno dei vigneti di pianura adiacenti all'azienda, tra cui spicca una parcella sperimentale trattata con prodotti naturali a basso contenuto di rame, Davide ci porta in cantina dove troviamo serbatoi di acciaio e vasche di cemento e una piccola saletta dove sono contenute poche barrique usate sia per l'affinamento del loro Recioto di Soave (ottimo!) sia per per la produzione del loro Soave Classico di maggior struttura che, scopro, ha un nome davvero strano: Netrroir.







Davide, probabilmente intuendo lo stupore, mi chiarisce subito le idee: "Netrroir nasce dall'incontro tra il concetto di Terroir e la Rete (Net). Dietro questo vino c'è anche un progetto social con tanto di sito web dove tutti coloro che berranno questo vino, prodotto in quantità limitata, potranno raccontare le loro sensazioni dopo aver degustato, da soli o in compagnia, questo Soave Classico. Visto che anche te sei un blogger, ti va di fare una piccolissima verticale di Netrroir? La 2009, la prima annata, non ce l'ho disponibile ma possiamo prendere in considerazione, visto che ho quantità maggiori, le annate 2012, 2013 e 2014".

Affare fatto ma ho un'ultima curiosità da chiedere a Davide che ancora una volta, intuendo la mia domanda, mi anticipa e mentre stappa la 2014 mi spiega questo Soave Classico, le cui uve sono tra le migliori selezionate tra i vari vigneti aziendali, ha il suo punto di forza nella struttura che viene data sia da un passaggio un legno (circa metà della massa????) sia da un leggero ripasso del vino sulla garganega usata per produrre il Recioto di Soave.



Arriva nel bicchiere il Soave Classico Netrroir 2012 che all'olfattiva, fin da subito, fa capire di che è pasta è fatta questa garganega in purezza che sprigiona raffinati aromi di anice stellato, mela golden, pesca matura e un tocco di liquirizia in polvere. Sorso grasso ma equilibrato grazie ad un dispiegamento acido/sapido che tende a smussare l'ostentata ricchezza del vino.

Il Netrroir 2013 si esprime in maniera esplosiva grazie ad un contributo fruttato di tutto rispetto dove possiamo ritrovare la pesca matura, il melone bianco, l'arancia amara, la susina gialla e il mango. Giovane e scalpitante anche in bocca che si configura di grande prestanza, stabilmente in equilibrio grazie a massa cremosa, sprazzi sapidi e viva freschezza. Lunghissima la chiusura.



Il Netrroir 2014 nonostante l'annata non propriamente felice a Soave riesce a non deludere gli amanti di questo Soave Classico che ha un impianto olfattivo molto deciso e profondo grazie ad una ricca base aromatica dove emerge la frutta tropicale, la pesca gialla, le spezie gentili e il miele millefiori. All'assaggio è come sempre vispo e sostanzioso, giovane ed invitante grazie ad una scia sapida finale di grande aristocrazia.


Chateau Figeac - St. Emilion Premier cru classé 1988 è il Vino della settimana di Garantito IGP


Di Luciano Pignataro

Chiedersi come fossero i vini di Bordeaux è come domandarsi come fossero i rapporti umani prima di Facebook: veri, bevibili, freschi, equilibrati, con la voglia di conoscersi a fondo e rinnovare l’incontro.


Fratelli Serio&Battista Borgogno, il Barolo nel cuore dei Cannubi - Garantito Igp

Di Luciano Pignataro


Cannubi è il cuore delle Langhe, dunque dell’Italia del vino. Una denominazione in etichetta le cui origini risalgono al 1752 e che è orgogliosamente e spudoratamente esposta oggi a caratteri ancora più grandi di Barolo. Non è difficile capire perché quando si guida in questa collina che cuce due realtà geologiche diverse: Elveziano con arenarie di Diano D’Alba ed argilla con contenuto calcareo dei comuni di Monforte, Castiglione Falletto, Serralunga d’Alba e quelli della componente Tortoniana, Marne di Sant’Agata Fossile a La Morra e Verduno. Una collina ben esposta, con forti escursioni termiche, sempre ben ventilata. Una collina considerata la vera radice del Barolo divisa fra 5 delle 166 “Menzioni geografiche aggiuntive” previste dal disciplinare di produzione del Barolo DOCG approvato nel 2009: Cannubi, Cannubi San Lorenzo, Cannubi Valletta, Cannubi Boschis, Cannubi Muscatel.

Emanuela Bolla
I Giovani Igp sono usi scorazzare in lungo e in largo per queste strade ordinate e silenti mentre l’areale esplode nei suoi colori più belli della decadenza autunnale. Ancora a caccia di cantine cercando di fare a meno di navigatori, si sa, i Giovani Igp amano il futuro. Tra le foglie ai bordi delle strade non è difficile trovare qualche carta bollata perché gli interessi economici di questa zona sono così forti da finire spesso e volentieri in Tribunale, proprio come è successo di recente per una disputa sui confini della denominazione Cannubi.

Sul crinale della collina c’è l’azienda Fratelli Serio&Battista Borgogno, cinque generazioni al lavoro dal 1897, oggi condotta da Anna e Paola Borgogno, figlie di Serio, con Federica Boffa, quinta generazione, e da Marco Bolla e la figlia Emanuela. Proprio lei ci accoglie con il suo entusiasmo, un sorriso allegro, la consapevolezza di essere parte di una storia importante che proprio per questo richiede impegno e studio, soprattutto in questa fase di passaggio di mano del testimone che alla fine vedrà le due cugine al comando.

L’azienda in totale governa dieci ettari di cui poco meno di tre, precisamente 2,79, sono a ridosso della cantina e costituiscono il cuore della produzione: la Vigna Gourat così chiamata dal nonno, oggi Vigna Grossa, Vigna Battista sul versante Sud Vigna Nuova. Il segreto del Cannubi dei Fratelli Serio&Battista Borgogno è nella capacità di bilanciare le uve di queste tre vigne a seconda delle annate. Una sapienza che sta nelle mani di chi tocca le uve e di chi assaggia in cantina oltre che nelle analisi chimiche. La magia, appunto, del vino.

In cantina qualche vasca di acciaio, quelle in cemento che ricordano i tempi delle grandi quantità che servivano a sopravvivere quando la Langa era terra di emigranti, e le botti grandi di rovere di Slavonia da 25 e 50 ettolitri dove il vino evolve dopo la fermentazione realizzata di in tini di legno in cui si pratica il rimontaggio un paio di volte al giorno.

I NOSTRI ASSAGGI



Dolcetto 2015. Note fresche di ciliegia, beva piacevole e veloce al palato, un rosso da bere a secchi.

Langhe Rosso Seriulin. Una nuova etichetta che assembla dolcetto 2014 e il 10% di nebbiolo 2015. Come il caffè nel latte, questa piccola quantità di nebbiolo conferisce alla beva una struttura diversa, più compatta e probabilmente da attendere.

Nebbiolo 2014. Un rosso dissetante, più fresco del precedente, ma anche più ricco e complesso.


Barolo 2013. Ottenuto dalle uve di Novello, ha un naso un po’ debole ma pulito e preciso, al palato ha una discreta spinta, fine ed elegante al tempo stesso. Di buona prospettiva nei prossimi anni

Barolo Cannubi 2013. Ottenuto dalle uve di Vigna Grossa e Vigna Battista, perfetta la fusione tra il frutto e il legno. L’annata ha ancora bisogno di bottiglia (del resto esce a marzo sul piano commerciale), ma sicuramente regalerà belle soddisfazioni. Grande freschezza al palato.

Barolo Cannubi 2012. Si esprime ovviamente in maniera leggermente più matura, ma è anche più ampio ed equilibrato del precedente.

Barolo Cannubi Riserva 2011. In commercio dal prossimo anno, è un taglio delle tre vigne: ricco di polpa, al naso esprime buona frutta rossa, tabacco, leggermente speziato, menta. Al palato ha una beva imponente ma molto ben sostenuta dall’accidità. La chiusura è pulita e precisa. Bellissimo.

Barolo Cannubi Riserva 2015. Imbottigliato nel 2013, ha avuto una evoluzione pazzesca. Ancora giovanile e pimpante, ma anche molto ben equilibrata con il frutto e il legno perfettamente e armoniosamente fusi. Il palato, come tutti i vini precedenti, è segnato dalla sapidità, dalla freschezza in equilibrio con i tannini setosi e l’alcol. L’allungo finale invoglia alla beva.

CONCLUSIONI
Una bellissima azienda a conduzione familiare. In cui il rispetto per il terreno (no diserbanti chimici) si coniuga con una concezione del vino a torto definita tradizionale perché in realtà è moderna, se la modernità è la difesa della propria tipicità come elemento di valore nell’omologazione e nella banalizzazione dilagante. E, infine, il valore del tempo, l’unico modo per andare di fretta, di evitare di fare dinamismo sena movimento, è quello di aspettare: le persone, la terra, l’uva. Se stessi.


Barbaresco 2012 e 2013: i migliori dieci di Garantito Igp


Di Luciano Pignataro

Come di consueto abbiamo iniziato le nostre degustazioni nella sede di Albeisa con il Barbaresco. Nei bicchieri quasi tutti 2012 e otto 2013.
Da questo vino ci si aspetta finezza, eleganza, profumi precisi, tannini setosi e freschezza. Dobbiamo dire che questi ultimi due elementi non sono mancati, una caratteristica comune di quasi tutti i 69+8 campioni degustati. Ma nell’annata 2013 abbiamo notato molte incertezze, alcuni ancora affascinati dall’uso eccessivo di legno come scorciatoia olfattiva utile a stupire e non a confortare.
Ma non sono mancate le piacevoli sorprese, molte conferme. Al setaccio severo (il vino passa solo se ha la maggioranza dei presenti) è filtrata una lista niente male.
Si tratta di Barbaresco da attendere con pazienza ancora qualche anno, ma sicuramente capaci di dare grandi soddisfazioni a noi che siamo appassionati della denominazione.

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BARBARESCO 2013
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Massimo Rivetti, Barbaresco
Fontanafredda, Coste Rubin
Pertinace, Marcarini
Giuseppe Cortese, Rabaja
Poderi Colla, Barbaresco Roncaglie
Rizzi, Pajore
Michele Chiarlo, Barbaresco Asili
Fratelli Barale, Barbaresco Serraboella
Cascina delle Rose, Riosordo

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BARBARESCO 2012
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Negro Giuseppe, Gallina

Boccadigabbia: dal paradiso all'inferno e ritorno

Elvidio Alessandri, Elvio per gli amici, cuore e anima di Boccadigabbia, mi aspetta a Contrada Castelletta di Fontespina (Civitanova Marche) un sabato mattina dello scorso luglio. L'estate è calda, sono le dieci e già la temperatura si attesta sui 33° per cui, dopo aver dato uno sguardo alle vigne, decidiamo di non farci del male ulteriormente ed entriamo all'interno della cantina con annessa sala degustazione.


Mentre scrivo questo articolo ripercorro con Elvio, produttore dalla simpatia contagiosa, la storia della sua azienda agricola che già esisteva nel XIX secolo in quanto facente parte dei poderi dell'Amministrazione Bonaparte di Civitanova che al tempo erano divisi in 110 colonie organizzate in tre fattorie, autonomamente amministrate, situate in località Piane di Chienti, Asola-Poggio Imperiale e Fontespina. Ad ogni podere venne assegnato un nome, alcuni dei quali richiamavano antichi toponimi come ad esempio Boccadigabbia.


La gestione della tenuta andò avanti, con alterne vicende, fino alla Seconda Guerra Mondiale, poi le nuove leggi, i nuovi rapporti di lavoro e lo spopolamento delle campagne hanno portato all’inevitabile decadenza dell’Amministrazione Bonaparte con il conseguente smembramento del latifondo e la vendita progressiva dei singoli poderi uno dei quali, Boccadigabbia, venne acquistato nel 1956 dalla famiglia Alessandri direttamente da Sua Altezza Imperiale il Principe Luigi Napoleone Bonaparte. 

Gli anni successivi vedono l'azienda dedicata alla produzione di uva da tavola ma è solo negli anni '80, quando Elvio prende le redini della proprietà, che arriva la vera svolta per Boccadigabbia grazie a notevoli investimenti sia in vigna (reimpianto accanto alle uve autoctone di vitigni francesi un tempo coltivati dall'Amministrazione Bonaparte  come cabernet sauvignon, merlot e pinot nero) sia in cantina grazie all'aiuto di un vero enologo (Fenocchio) e alla sostituzione del vecchio torchio con una pressa orizzontale di ultima generazione.  


Arrivano poi gli anni '90, quelli del successo e della fama grazie a vini come l'Akronte, cabernet sauvignon in purezza, che tra il 1992 e il 1998 prende per sei volte i Tre Bicchieri del Gambero Rosso lanciando Boccadigabbia nel firmamento delle più celebrate aziende vitivinicole italiane la cui popolarità non fa certo fatica a travalicare anche i confini nazionali. Nel 1996, inoltre, si pone in essere un ulteriore sforzo finanziario acquisendo la Tenuta Villamagna Floriani, situata sulle colline di Montanello, nei pressi della città di Macerata, dove si coltivano, per una estensione di oltre 20 ettari, vitigni autoctoni quali montepulciano, sangiovese, maceratino e verdicchio.

Elvio Alessandri

Sembrerebbe una storia a lieto fine quella di Elvio Alessandri ma il destino è beffardo e così, grazie anche ad un mercato che cambia puntando decisamente sul Verdicchio a scapito di vini rossi strutturati e segnati dal legno, gli anni 2000 vedono Boccadigabbia lentamente ma inesorabilmente ridiscendere la scala della popolarità fino ad arrivare ad uno stato di crisi profonda il cui punto più basso è stato segnato dalla tragica scomparsa di un importante collaboratore aziendale e, successivamente, da profonde ed insanabili incomprensioni col consulente enologo. 

la cantina

Così, per un po', Boccadigabbia sparisce dai radar delle guide e dalla penne dei critici enogastronomici. Durante questo periodo, però, Elvio non sta con le mani in mano e, passo dopo passo, prepara il suo riscatto e ridisegna la seconda vita della sua azienda grazie all'inserimento a tempo pieno di suo figlio Lorenzo e all'aiuto di nuovi consulenti come Luca Severini (agronomo) ed Emiliano Falsini (enologo) che affiancherà Francesco Pennesi nella gestione della cantina. 
Con il peggio ormai alle spalle, la famiglia Alessandrini e tutto il suo staff oggi gestiscono circa 23 ettari di vigneti divisi tra i poderi di Civitanova (vitigni internazionali) e Macerata (vitigni locali) dai quali si producono, grazie a due cantine separate in base al territorio di appartenenza, circa 100.000 bottiglie divisi in 11 etichette diverse.

le  botti

Con Elvio, che nel frattempo mi confida di voler scrivere un libro chiamato "Memorie di un vignaiolo pentito", degustiamo i suoi vini più rappresentativi iniziando dal Garbì 2015, un Marche IGT Bianco a base di chardonnay (40%) sauvignon (40%) e verdicchio (20%) la cui prerogativa è l'assoluta piacevolezza beva che, sono certo, metterà d'accordo neofiti ed esperti i quali potranno altresì apprezzare la notevole scia sapida finale che rende questo vino assoluto compagno di tavole estive dove il pesce la fa da padrone.


Le Grane 2015 è una ribona in purezza il cui che Elvidio Alessandri fermenta una seconda volta (fare le grane) attraverso l’aggiunta di uva surmatura. Il vino si caratterizza per un una buona struttura a cui segue, come una sorta di timbro di fabbrica, una vena sapida di ottimo profilo. Piccola curiosità: l'uva ribona, chiamata localmente anche uva montecchiese, greco maceratese o uva stretta è considerata, da recenti studi del DNA, uno dei papà del "moderno" verdicchio. Inoltre, le uve utilizzate per questo vino sono coltivate nella antica contrada Montanello di Macerata, dove Pietro Paolo Floriani, uomo d´arme e architetto militare famoso per aver progettato la rocca Floriana di Malta, fece piantar vigne fin dal 1626. 


Il Rosèo 2015, da uve montepulciano e sangiovese, viene ottenuto tramite assemblaggio dei due mosti di vino e il taglio ottenuto viene fatto fermentare in tini di acciaio inox. Il risultato è un vino giovane e dinamico che col brodetto marchigiano, provato personalmente, trova la massima sublimazione.

Il Rosso Piceno 2013 (montepulciano 50%, sangiovese 50%) è un vino di impatto dotato di importante corredo fruttato e caratterizzato da sorso deciso nobilitato da tannini di nobile trama. Durevole persistenza su note boisé. Nota tecnica: il vino affina in barrique di rovere francese di secondo e terzo passaggio per 10-12 mesi. 


Il Saltapicchio 2012 è un sangiovese in purezza che assume la territorialità marchigiana e si esprime su note olfattive di marasca e tabacco a cui segue un attacco morbido e dai tannini vellutati. Finale piacevole e delicatamente speziato. Nota tecnica: il vino affina in barrique nuove o di secondo passaggio per un periodo di 14-16 mesi, quindi viene imbottigliato e conservato per almeno sei mesi in azienda prima di essere immesso al consumo. 


Il Pix, merlot in purezza degustato nell'annata 2012, assieme all'Akronte è un altro di quei vini che negli anni '90 sono stati uno zoccolo duro della mia cantina e che oggi, dopo vari anni di assenza dal mio palato, ritrovo con grande soddisfazione perchè, alla fine, nulla pare mutato in questo vino che resta sempre un ottimo esempio di come un vitigno internazionale come il merlot possa ben esprimersi in zona marchigiana regalando un vino affatto banale pur essendo, grazie alla sua notevole carica estrattiva, decisamente fuori moda. Se noi ,(presunti) comunicatori del vino, ci togliessimo certe puzzette sotto al naso non potremmo non scrivere che questo è un grande merlot italiano. Con grande pace dei francesi.... Nota tecnica:  dopo la macerazione sulle bucce in fermentazione, il vino viene al più presto messo in barrique nuove dove porta a compimento la malolattica e dove rimane per un periodo che va dai 12 ai 15 mesi.


L'Akronte 2012, 100% cabernet sauvignon, rappresenta senza dubbio il vino simbolo di Boccadigabbia e, sicuramente, è una delle più importanti scommesse vinte da Elvio che ha sempre creduto, contro tutto e tutti, nell'assoluta dignità storica dei vitigni francesi nel territorio maceratese. Se qualcuno pensa ad un cabernet didascalico caratterizzato dalle pirazine dovrà ricredersi perchè questo Akronte è tutt'altro che scontato dimostrando carattere, profondità e finezza gustativa grazie ad un corpo imponente a cui fa da contraltare una sapidità inappuntabile e una persistenza sbalorditiva. Lo diciamo o no che anche questo è un grande cabernet sauvignon italiano? Nota tecnica: dopo una lunga macerazione delle bucce in fermentazione, il vino viene maturato in “barriques” nuove di rovere francese a media tostatura per 18-20 mesi e quindi imbottigliato per essere conservato in azienda alcuni mesi prima dell’avvio alla vendita.