Liguria: i tre bicchieri 2017 del Gambero Rosso

La Liguria del vino è una delle terre più affascinanti del panorama enologico italiano. È la regione delle piccole aziende, delle vigne affacciate sul mare e strappate alla montagna, tenute su da muretti di pietre a secco, le “fasce”, alle quali si accede da sentieri percorribili solo a piedi. Qui si produce poco, stiamo parlando di percentuali che oscillano tra lo 0,4 e lo 0,5 per cento della produzione italiana. Fortunatamente i numeri non raccontano tutto.


Quest’anno sono sei i vini premiati, quasi tutti figli di una vendemmia, la 2015, complessa, calda e poco piovosa, che ha donato struttura e alcolicità - e crediamo anche serbevolezza - ai bianchi. Unica presenza rossa un Dolceacqua seduttivo ed elegante, il Bricco Arcagna ’14 di Terre Bianche.
Per il resto, dicevamo, grandi bianchi. Ecco allora da Levante tre Vermentino dei Colli di Luni, quelli di Lunae Bosoni, Lambruschi e La Baia del Sole, premiato per la prima volta. A Ponente due ottimi Pigato, Le Marige de La Ginestraia, altro debutto tra i Tre Bicchieri, e il seducente Bon in da Bon di BioVio, un’azienda di Albenga a gestione familiare. N
el complesso una bella fotografia di una regione che ha fatto della conservazione del proprio patrimonio enologico e del territorio un obiettivo principale. Dal pigato al vermentino, dal rossese all’ormeasco, dal bosco all’albarola, dalla bianchetta genovese alla lumassina, l’elenco è lungo, ma i vignaioli liguri sono ben determinati, e ne sentiremo parlare sempre di più nei prossimi anni. Le piccole aziende pian piano si ingrandiscono, ne nascono di nuove, e il modello ligure dell’azienda vinicola che fa anche ospitalità rurale e ristorazione, e vende gli straordinari prodotti del territorio accanto al vino sta dando nuova linfa a quest’economia, come accade in altre zone dove le vigne sono difficili da coltivare ma sono inserite in un paesaggio di suggestiva bellezza come la Valle d’Aosta, l’Etna o la Costiera Amalfitana.

Colli di Luni Vermentino Et. Nera 2015 Lunae Bosoni
Colli di Luni Vermentino Il Maggiore 2015 Ottaviano Lambruschi
Colli di Luni Vermentino Sarticola 2015 La Baia del Sole - Federici
Dolceacqua Bricco Arcagna 2014 Terre Bianche
Riviera Ligure di Ponente Pigato Bon in da Bon 2015 BioVio
Riviera Ligure di Ponente Pigato Le Marige 2015 La Ginestraia

Emilia Romagna: i tre bicchieri 2017 Gambero Rosso

La varietà del viaggio sulla via Emilia, che da 2200 anni collega Rimini a Piacenza attraversando tutti i territori regionali del vino, è straordinaria e per molti aspetti ancora poco conosciuta. Partendo da nord il primo territorio è quello dei Colli Piacentini, un sistema articolato di valli e terroir che potrebbe esprimere molto in termini di qualità e identità. Purtroppo la strada della territorialità non è ancora stata intrapresa e tutta l’area “galleggia” su vini corretti ma senza grande personalità.

Proseguendo si raggiunge il mondo del Lambrusco, un territorio in cui abbondano entusiasmo ed energie, soprattutto a Modena che ne è di fatto la capitale. Una realtà formata da artigiani, cooperative e grandi aziende private, in pratica tutta la filiera. È un gioco dei ruoli che sta alzando la qualità dei vini ma soprattutto costruendo una narrazione sempre più chiara e leggibile dall’esterno. Il processo è positivo e sta di fatto allargando la forbice tra chi sceglie di lavorare con vini di forte identità e qualità e chi produce vini omologati da dolcezza e morbidezza. Dal punto di vista qualitativo la tipologia più centrata è quella del Sorbara, anche sui Metodo Classico.
I Colli Bolognesi hanno raccolto la sfida della nuova denominazionePignoletto e stanno facendo squadra, creando i presupposti per esprimere finalmente un territorio che ha un potenziale incredibile di mineralità e freschezza.
L’ultima tappa del viaggio è la Romagna, 150 chilometri di valli e diversità, un patrimonio ben descritto dalle sottozone codificate nella denominazione Romagna Sangiovese in questi anni. La Romagna sta vivendo un momento di passaggio che ne sta ridisegnando i confini qualitativi. Le aziende storiche faticano a interpretare in modo moderno il Sangiovese, con vini territoriali e freschi, insistendo su un’idea di Riserva troppo ricca e alcolica, spesso appesantita da lunghi affinamenti in legno piccolo. Una lettura più centrata sembra averlo il Superiore che esprime freschezza, qualità e longevità.
Un’ultima riflessione riguarda l’albana, vitigno bianco dal grande potenziale e dall’originalissima identità. I romagnoli stanno cercando di esaltarne la ricchezza (con surmaturazioni e piccoli tagli di albana passito) invece che di sfruttarne l’acidità. È un’idea stilistica che trova un parziale consenso sul territorio, ma che impedisce a questi vini di conquistare ruolo, reputazione e mercati fuori regione, anche internazionali. I Tre Bicchieri a I Croppi ‘15 di Celli, uno dei pochi produttori che vinifica cercando freschezza e bevibilità, hanno quindi anche il significato di indicare una strada per questo vitigno.

Colli di Parma Rosso MDV 2014 Monte delle Vigne
Colli di Rimini Cabernet Sauvignon Montepirolo 2012 San Patrignano
Lambrusco di Modena Brut Rosé M. Cl. 2012 Cantina della Volta
Lambrusco di Sorbara del Fondatore 2015 Chiarli Tenute Agricole
Lambrusco di Sorbara Secco Rito 2015 Zucchi
Lambrusco di Sorbara V. del Cristo 2015 Cavicchioli
Reggiano Lambrusco Concerto 2015 Ermete Medici & Figli
Romagna Albana Passito Regina di Cuori Ris. 2012 Gallegati
Romagna Albana Secco I Croppi 2015 Celli
Romagna Sangiovese Modigliana I Probi di Papiano Ris. 2013 Villa Papiano
Romagna Sangiovese Modigliana Sup. V. 1922 Ris. 2013 Torre San Martino
Romagna Sangiovese Sup. Godenza 2014 Noelia Ricci
Romagna Sangiovese Sup. Limbecca 2014 Paolo Francesconi
Romagna Sangiovese Sup. V. del Generale Ris. 2013 Fattoria Nicolucci

Cantine Balgera - Valtellina Superiore "Valgella" 2001 è il Vino della settimana di Garantito IGP

Di Carlo Macchi



Il primo stupore viene dal fatto che questa è l'annata in commercio.

Avete capito bene: Balgera affina i vini almeno 10-12 anni prima di commercializzarli.

Il secondo stupore deriva dalla finezza, freschezza, complessità e bontà del vino.

Il terzo dal prezzo: nemmeno 15 euro in enoteca.

Standing ovation!



Le chiocciole Slow Wine 2017

Dopo aver pubblicato le tre grosse novità che investono la guida Slow Wine 2017 (ne abbiamo parlatoquiqui e qui) oggi è il grande giorno in cui riveliamo le nostre Chiocciole. Sono cresciute di 5 come numero totale. Di queste 4 sono slovene, quindi chi teme un’inflazione da questo punto di vista può mettersi il cuore in pace! Inutile negare che sia il riconoscimento a cui siamo più affezionati e anche per questo lo pubblichiamo per primo. Tutte queste cantine le potete trovare (il 99% dei vignaioli sarà presente in carne ed ossa) a Montecatini Terme (PT) il 15 ottobre prossimo, in quella che si annuncia come la degustazione più importante dell’anno, con oltre 500 aziende e 1.000 etichette! Cliccate qui per prenotare il vostro posto in prima fila (sbrigatevi che abbiamo venduto un gran numero di biglietti, il doppio dello scorso anno a questo punto).

Abruzzo e Molise
Cataldi Madonna
Cirelli
Emidio Pepe
Praesidium
Torre dei Beati
Valentini
Valle Reale

Alto Adige
Alois Lageder
Cantina Terlano
Kuenhof – Peter Pliger
Manincor
Nusserhof – Heinrich Mayr
Pranzegg – Martin Gojer
Unterortl – Castel Juval

Basilicata
Cantine del Notaio
Musto Carmelitano

Calabria
‘A Vita
Sergio Arcuri

Campania
Antonio Caggiano
Ciro Picariello
Colli di Lapio
Contrada Salandra
Contrade di Taurasi
Fontanavecchia
Luigi Tecce
Maffini
San Giovanni
Tenuta San Francesco

Emilia-Romagna       
Camillo Donati
Gradizzolo – Ognibene
Paolo Francesconi
Vigne dei Boschi
Villa Papiano
Villa Venti
Vittorio Graziano

Friuli Venezia Giulia
Borgo San Daniele
Damijan Podversic
Edi Keber
Gravner
I Clivi
La Castellada
Le Due Terre
Meroi
Miani
Ronco del Gnemiz
Ronco Severo
Simon di Brazzan
Skerk
Skerlj
Vignai da Duline
Zidarich

Slovenia
Burja
Guerila
Klinec
Marko Fon

Lazio
Casale della Ioria
Marco Carpineti
Sergio Mottura

Liguria
Cascina delle Terre Rosse
Maria Donata Bianchi
Santa Caterina
Walter De Battè

Lombardia
Agnes
Andrea Picchioni
Ar.Pe.Pe.
Barone Pizzini
Calatroni
Cavalleri
Dirupi
La Costa
Togni Rebaioli

Marche
Andrea Felici
Aurora
Bucci
Collestefano
Fattoria San Lorenzo
La Staffa
Le Caniette
Pievalta

Piemonte
Alessandria Fratelli
Anna Maria Abbona
Antichi Vigneti di Cantalupo
Brovia
Ca’ del Baio
Carussin
Cascina Ca’ Rossa
Cascina Corte
Cavallotto Fratelli
Conterno Fantino
Dacapo
Pira & Figli – Chiara Boschis
Elio Altare
Elio Grasso
Elvio Cogno
Fiorenzo Nada
G.D. Vajra
Giacomo Brezza & Figli
Giuseppe Rinaldi
Iuli
Le Piane
Luigi Spertino
Mossio Fratelli
Pecchenino
Piero Busso
Roagna – I Paglieri
San Fereolo
Serafino Rivella
Sottimano
Vigneti Massa

Puglia
Attanasio
d’Araprì
Giancarlo Ceci
Gianfranco Fino
Morella
Paolo Petrilli
Polvanera
Severino Garofano Vigneti e Cantine
Vallone

Sardegna
Giovanni Montisci
Giuseppe Sedilesu

Sicilia
Arianna Occhipinti
Barraco
Castellucci Miano
Cos
Ferrandes
Frank Cornelissen
Girolamo Russo
Graci
I Vigneri
Marco De Bartoli
Tenuta delle Terre Nere
Valdibella

Toscana
Antonio Camillo
Badia a Coltibuono
Baricci
Boscarelli
Caiarossa
Caparsa
Castello dei Rampolla
Corzano e Paterno
Fabbrica di San Martino
Fattoi
Fattoria di Bacchereto Terre a Mano
Fattoria Selvapiana
Fontodi
Frascole
I Luoghi
I Mandorli
Il Paradiso di Manfredi
Isole e Olena
Le Chiuse
Le Cinciole
Montenidoli
Monteraponi
Montevertine
Podere Concori
Poderi Sanguineto I e II
Riecine
Salustri
Stefano Amerighi
Tenuta di Valgiano
Val delle Corti

Trentino
Eugenio Rosi
Foradori
Francesco Poli
Maso Furli
Pojer & Sandri
Redondel
Vignaiolo Fanti

Umbria
Adanti
Antonelli San Marco
Barberani – Vallesanta
Fattoria Colleallodole
Palazzone
Paolo Bea
Tabarrini

Valle d’Aosta
La Vrille
Les Granges

Veneto
Bele Casel
Ca’ dei Zago
Casa Coste Piane
Corte Sant’Alda
Il Filò Delle Vigne
La Biancara
Le Fraghe
Leonildo Pieropan
Monte dall’Ora
Monte dei Ragni
Monte Santoccio – Nicola Ferrari
Prà
Silvano Follador
Sorelle Bronca
Vigneto Due Santi

Dopo la Brexit eccovi la Bittexit! - Garantito IGP

Di Carlo Macchi


Oggi non vi parlerò soltanto di un grande prodotto alimentare, ma di quello che può succedere quando, essendo più “realisti del re”, ti scontri con leggi (in questo caso comunitarie) che servono solo ad ostacolare le piccole produzioni di qualità.
La Brexit la conoscete tutti; Bittexit invece, praticamente sconosciuto ai più, è il termine coniato per “l’uscita da se stessi”, cioè la perdita del nome (ovvero l’impossibilità di usarlo) di un formaggio di altissima qualità che, essendo fatto in maniera tradizionale, con attenzioni particolari e metodi di lavorazione antichi, non può più chiamarsi con il suo nome, bitto.


Il Bitto in questione è il Bitto Storico, che oramai da quasi 20 anni viene prodotto in 12 alpeggi tra i 1500 e i 2000 metri sulle Alpi Orobie.
La forma di produzione scelta è volutamente iperartigianale e affonda nella storia di questo formaggio: ogni alpeggio del Bitto Storico ha circa 40 vacche e 70 capre orobiche. Dal loro latte appena munto a mano (di solito siamo sull’80-90% di latte vaccino e il rimanente di capra) nasce il bitto. 
Ho detto appena munto e sottolineo appena munto! Infatti il latte viene lavorato ancora caldo in loco, in particolari strutture fatte da muretti a secco e grandi quanto una normale stanza (circa 4x4) ma senza tetto. Si chiamano Calècce qui il latte viene trasformato in bitto nella mezz’ora successiva alla mungitura. Come caglio viene usato lo stomaco essiccato di vitello o di capretto. Ogni alpeggio, che funziona solo nel periodo estivo, da giugno a fine settembre, produce ogni giorno al massimo 5-6 forme di circa 12 chili. Queste vengono poi portate a stagionare nella casèra-cantina di Gerola Alta.
Quindi non siamo solo di fronte ad un formaggio a latte crudo, ma ad un pezzo di storia che si ripropone oggi con una qualità altissima, tanto che Slow Food ne ha fatto un presidio.


Ho visitato a Gerola Alta la “cattedrale” del bitto storico, ho ammirato le quasi 3000 forme firmate (di proprietari che le acquistano e poi le lasciano a maturare anche per dieci anni) poste a stagionare e posso dire che il profumo e la bontà dei bitto degustati di 2-3-5 anni mi accompagnerà per molto tempo.
Adesso dovete tornare all’inizio e cancellare ovunque la parola “Bitto”, perché da questo mese il formaggio si chiamerà solamente “Storico”. Perché? Facciamo un piccolo salto indietro nel tempo: nel 2009 i produttori delConsorzio Bitto Storico abbandonarono la DOP Bitto in disaccordo con i metodi di lavorazione del disciplinare, perdendo così il diritto ad utilizzare il termine Bitto.
Loro continuarono ad usarlo perché lo ritenevano giusto e si beccarono così anche una multa per usurpazione del marchio. Oggi, dopo varie vicissitudini legali, mantenendo il nome Bitto rischierebbero un’altra multa che non potrebbero permettersi e così hanno deciso di togliere il nome Bitto al Bitto Storico. Davide in questo caso soccombe a Golia, cioè gli storici, con solo 1200-1500 forme di bitto all’anno non possono competere con chi (leggi produttori della DOP) ne produce venti volte tanto.
Pazienza, vuol dire che invece di andare a Gerola Alta a mangiare Bitto Storico, ci andremo per gustare lo “storico”, in barba a regole che portano sempre più all’appiattimento della qualità.

CENTRO DEL (B…..) STORICO
Via Nazionale 31 – Gerola Alta (Sondrio)

Per info e prenotazioni alla Casèra
Telefono : +39 0342 690081
Cell. Albino Mazzolini 3338938168
Mail: info@formaggiobitto.com
Presidente Paolo Ciapparelli Cellulare: +39 334 3325366

Lazio: i tre bicchieri 2017 del Gambero Rosso

Dopo un paio d’anni in cui avevamo riscontrato un miglioramento e una crescita qualitativa generale della produzione della regione, quest’anno ci vediamo costretti a tornare a considerazioni meno positive. Questo a causa sicuramente di un paio di annate poco favorevoli che hanno coinvolto molti dei vini degustati, ma anche per quella che ci sembra una fragilità complessiva del comparto. Sono infatti in pochi ad accettare l’idea che l’unica strada percorribile dal Lazio vitivinicolo per tornare al livello che gli compete è quella della ricerca della qualità, anche a costo di ridurre drasticamente le rese in certe annate o addirittura di rinunciare a produrle.

Insomma, la sequenza di 2014 – con le abbondanti piogge e le grandinate che si sono abbattute in zone fondamentali per l’enologia della regione, come nelle terre del cesanese – e del caldissimo 2015 – partito sotto ottimi auspici ma che alla fine ha prodotto bianchi spesso pesanti, senza la freschezza e la giusta acidità in grado di dare lunghezza e piacevolezza – non ha certo aiutato i produttori del Lazio, ma ci sembra anche che la difficoltà di dare una continuità qualitativa alla produzione sia generale, a parte le solite poche eccezioni.
Una criticità che si è evidenziata soprattutto nella zona dei Castelli Romani e nella denominazione Frascati, ma che ha lasciato il segno anche in altre zone, come il Viterbese o la provincia di Latina, dove non possiamo non constatare come i vini bianchi del 2014, che pure da molti non erano stati considerati all’altezza degli anni precedenti, stiano dando più soddisfazioni degli omologhi del 2015. Non a caso sono solo tre i vini bianchi premiati con i Tre Bicchieri, e questo in una regione bianchista per il 70% della produzione complessiva.
E a proposito dei Tre Bicchieri, vanno segnalate due novità, una assoluta e una relativa. La prima riguarda l’Habemus ‘14 dell’azienda San Giovenale di Emanuele Pangrazi, un vino che ha letteralmente inventato un territorio e creato una nuova referenza sulla carta dei vini del Lazio. La seconda è un graditissimo ritorno, che era già stato realizzato con la versione in bianco: il Fiorano Rosso diAlessandrojacopo Boncompagni Ludovisi. La versione 2011 farà tornare in mente i vecchi Fiorano dello zio Alberico, a chi quei vini ha bevuto e amato.
Per quanto riguarda gli altri vini premiati, andiamo dai classici, come il Poggio della Costa di Sergio Mottura o il Montiano della Falesco, a quelli che lo stanno diventando, come il Frascati Superiore Epos Riserva di Poggio Le Volpi, il Cesanese del Piglio Superiore Hernicus diAntonello Coletti Conti, fino alla conferma della qualità dell’intuizione di Antonio Santarelli di Casale del Giglio di scegliere i terreni sabbiosi di Anzio per realizzare un Bellone in purezza come l’Antium.
Antium Bellone 2015 Casale del Giglio
Cesanese del Piglio Sup. Hernicus 2014 Coletti Conti
Fiorano Rosso 2011 Tenuta di Fiorano
Frascati Sup. Epos Ris. 2015 Poggio Le Volpi
Habemus 2014 San Giovenale
Montiano 2014 Falesco
Poggio della Costa 2015 Sergio Mottura

Marche: i tre bicchieri 2017 del Gambero Rosso

In questa edizione della Guida la regione tinge ancor più di bianco la propria lista delle eccellenze. Su 20 Tre Bicchieri ben 14 vanno al Verdicchio, declinato tra la sponda jesina e quella matelicese, e 3 all'Offida Pecorino. Ma i numeri, pur eloquenti, non riescono a spiegare la grande vivacità e l'innalzamento del livello qualitativo che si vive nei distretti citati. Il primo effetto è un continuo rinnovamento dei premiati: ogni azienda deve ogni anno dimostrare di meritare l'encomio e nessuno può pensare di vivere sugli allori.

In alto i calici dunque per chi come Bucci, Casalfarneto, Tenuta Spinelli, Velenosi, Tenuta di Tavignano, Sparapani-Frati Bianchi, Belisario e Collestefano riesce a confermarsi rispetto all'edizione 2016, vincendo il confronto con agguerriti colleghi. Tornano al Tre Bicchieri, chi dopo una sola edizione senza premio e chi dopo qualche anno, Pievalta, Poderi Mattioli, Marotti Campi, Montecappone, Bisci e La Monacesca. E c'è chi debutta, senza distinzione di dimensione: da una parte il taglio artigiano di alto profilo di Sabbionare, dall'altra Tenuta Cocci Grifoni, uno dei nomi più noti in regione, giunta finalmente all'agognato riconoscimento con un vino magnifico dedicato a Guido Cocci Grifoni, l'artefice del salvataggio del pecorino e suo primo diffusore sulla direttrice collinare posta tra Marche e Abruzzo.
Segna il passo il comparto rosso: se il nome del Conero torna a incidere il suo nome nel palmarès grazie al portentoso Campo San Giorgio '11 di Umani Ronchi, importanti distretti viticoli come Piceno e Maceratese perdono posizioni. Annate climaticamente difficili per il montepulciano, il sangiovese e per le uve a bacca nera in genere di certo non hanno giovato ma occorre non abbassare la guardia sotto il profilo della maturità fenolica, dell'appropriato uso del legno, diffidare dalle eccessive concentrazioni di frutto ed estratti.
Appaiono quindi come gemme di brillante modernità il vino di un navigato vigneron come Marco Casolanetti con il suo Kupra '13 e quello di un esordiente d'incredibile passione come Emanuele Dianetti che ha sorpreso tutti con il suo Offida Rosso Vignagiulia '13. Ma non ci si fermi solo ai premiati: tra le diverse aree delle Marche si annida tanto talento e con molta probabilità abbiamo sotto gli occhi qualche stella degli anni a venire. Aguzzate il naso e il palato. Mettetevi alla ricerca. Noi siamo certi che non rimarrete delusi.
Castelli di Jesi Verdicchio Cl. Crisio Ris. 2013 CasalFarneto
Castelli di Jesi Verdicchio Cl. Lauro Ris. 2013 Mattioli
Castelli di Jesi Verdicchio Cl. Salmariano Ris. 2013 Marotti Campi
Castelli di Jesi Verdicchio Cl. San Paolo Ris. 2013 Pievalta
Castelli di Jesi Verdicchio Cl. San Sisto Ris. 2014 Fazi Battaglia
Castelli di Jesi Verdicchio Cl. Utopia Ris. 2013 Montecappone
Castelli di Jesi Verdicchio Cl. Villa Bucci Ris. 2014 Bucci
Conero Campo San Giorgio Ris. 2011 Umani Ronchi
Offida Pecorino Artemisia 2015 Spinelli
Kupra 2013 Oasi degli Angeli
Offida Pecorino Guido Cocci Grifoni 2013 Cocci Grifoni
Offida Pecorino Rêve 2014 Velenosi
Offida Rosso Vignagiulia 2013 Dianetti
Verdicchio dei Castelli di Jesi Cl. Sup. Il Priore 2014 Sparapani - Frati Bianchi
Verdicchio dei Castelli di Jesi Cl. Sup. Misco 2015 Tavignano
Verdicchio dei Castelli di Jesi Cl. Sup. Sabbionare 2015 Sabbionare
Verdicchio di Matelica Collestefano 2015 Collestefano
Verdicchio di Matelica Mirum Ris. 2014 Monacesca
Verdicchio di Matelica Vign. B. 2015 Belisario
Verdicchio di Matelica Vign. Fogliano 2013 Bisci

Umbria: i tre bicchieri 2017 del Gambero Rosso

L’Umbria del vino vanta importanti radici storiche, ben precise e documentate, che ne attestano la rilevanza. Nonostante sia una piccola regione è facile rintracciare al suo interno aree distinte, diverse sottozone e territori enologicamente eterogenei, sul piano di suoli, clima e varietà coltivate.

Più di recente, il successo del vino umbro è passato in gran parte per i rossi, allineandosi a un trend nazionale e internazionale che sta rapidamente cambiando, facendo riemergere una terra molto vocata anche per i bianchi. Non a caso la sua area storicamente più famosa è Orvieto e non a caso proprio questa zona, negli ultimi anni, offre segnali incoraggianti e una ritrovata vitalità.
L’annata 2015, asciutta e solare, capace di assecondare il profilo mediterraneo dei vini, ha regalato una media molto alta e alimentato il trend. Una lettura approfondita della guida ne dà testimonianza, così come quella dei vertici.
In zona i Tre Bicchieri non si fermano all’eccellente Cervaro della Sala ‘14, giocato su un’estrema finezza di fondo, ma toccano grandissime versioni il Campo del Guardiano ’14 Palazzone e Orvieto Classico Superiore Il Bianco ‘15 Decugnano dei Barbi.
Poco distante, a Todi, i Grechetto dimostrano grande dinamismo. Molti i vini degni di nota anche se a primeggiare è il Superiore Fiorfiore ’14 della brillante cantina Roccafiore, capace di livelli mai toccati in precedenza e premiata per la Vitivinicoltura Sostenibile per l’impegno dimostrato fin dalla sua nascita. Mettiamoci che molti Trebbiano Spoletino hanno fatto bellissime figure e il quadro è completo.
E i vini rossi? Anche qui le novità non mancano, a cominciare dai deliziosi Ciliegiolo di Narni, varietà e vino caparbiamente riportati in auge dai produttori dalla zona. Le etichette da segnalare sono diverse ma la migliore, almeno secondo il nostro giudizio, è il Brecciaro ‘14 di Leonardo Bussoletti. Nel segno della finezza e dell’eleganza anche il Torgiano Rosso Riserva Rubesco Vigna Monticchio ‘11 dei Lungarotti, bottiglia mitica della regione, capace oggi come ieri di un fascino straordinario. Concludiamo, infine, con i rossi più strutturati. Un percorso che passa per forza di cose per una terra generosa e giustamente celebrata come Montefalco. Meno del solito i premiati, complice anche l’incidenza di un millesimo, il 2012, che ci pare aver dato vini più faticosi, tannici e monolitici di altri. Nonostante questo la spuntano tre Sagrantino: il deciso quanto brillante Collepiano di Marco Caprai, l’originale e saporito cru Campo alla Cerqua di Giampaolo Tabarrini e (novità) quello di un produttore dallo stile seducente e raffinato, Pardi, finalmente sul gradino più alto del nostro podio.
Brecciaro 2014 Bussoletti
Cervaro della Sala 2014 Castello della Sala
Montefalco Sagrantino 2012 Pardi
Montefalco Sagrantino Campo alla Cerqua 2012 Tabarrini
Montefalco Sagrantino Collepiano 2012 Arnaldo Caprai
Orvieto Cl. Sup. Campo del Guardiano 2014 Palazzone
Orvieto Cl. Sup. Il Bianco 2015 Decugnano dei Barbi
Orvieto Cl. Sup. Luigi e Giovanna 2013 Barberani
Todi Grechetto Sup. Fiorfiore 2014 Roccafiore
Torgiano Rosso Rubesco V. Monticchio Ris. 2011 Lungarotti

Soave Versus 2016: la Top Five di Percorsi di Vino

Soave Versus 2016 è stata decisamente una edizione da record, non solo per le 50 (!!) cantine presenti alla manifestazione ma anche, e soprattutto, per la qualità media delle centinaia interpretazioni del Soave declinato nelle tipologie Classico, Superiore e Recioto che hanno fatto letteralmente "impazzire" i tanti degustatori presenti visto che era impossibile assaggiarli tutti in poche ore.

Questa mia (mini)classifica, perciò, non può essere esaustiva ma rappresenta, dopo un centinaio di Soave degustati, una sorta di lista, assolutamente personale ed istintiva, dei cinque Soave che sono corso comprare in enoteca una volta uscito dal Palazzo della Gran Guardia di Verona. Pronti per i miei consigli per gli acquisti?

Corte Mainente - Tovo al Pigno 2015: Davide e Marco Mainente sono l'ultima generazione di questa interessante azienda famigliare, situata a due passi dal castello di Soave, che oggi può vantare circa 12 ettari di vigneto coltivati quasi esclusivamente a garganega. Il Tovo al Pigno rappresenta il loro Cru (1 ettaro circa) che nasce nella zona del Soave Classico appena sotto il vulcano Foscarino. Da questi terreni composti da basalto, da qui il nome Tovo, nasce questa garganega in purezza che è un inno alla sapidità e al carattere del territorio.



Fornaro - Capitello del Tenda 2014: Damiano lo avevo conosciuto allo scorso Soave Versus e da subito, forse complice la sua giovane età, mi era piaciuta la sua interpretazione del Soave che trova la sublimazione del Capitello del Tenda, vigneto di circa un ettaro, che in questa seconda annata di produzione si caratterizza per tanta freschezza associata ad una complessità che, visto il millesimo in questione, non ti aspetteresti. Credetemi, sto ragazzi va seguito!


Le Battistelle - Roccolo del Durlo 2014: questo Cru, uno dei più belli del Soave Classico e appartenente una volta alla nobile famiglia dei Durlo, si trova localizzato nella parte alta del monte Castellaro ("Roccolo" ovvero cima della montagna) e si caratterizza per l'estrema ripidità dei vecchi vigneti di garganega, piantati su roccia basaltica, la cui età spesso travalica il secolo. Il vino che ne deriva è di chiara matrice vulcanica anche se il corredo olfattivo viene impreziosito da soffi di pompelmo rosa, mughetto e resina. Palato scorrevole, salmastro e ricco di personalità.


Coffele - Alzari 2014: come ogni anno i vini presentati al banco da Chiara Coffele si distinguono per i loro tratti distintivi ben definiti e questo Alzari ne è un chiaro esempio visto che che cattura il palato senza eccessi nonostante un chiaro stampo modernista (il 40% delle uve compie un appassimento per circa 40 giorni a cui segue una maturazione del vino in botti di rovere francese da 15 hl per 10 mesi). L'ottima integrazione del legno, il fine bilanciamento e la persistenza sapida di questo vino fanno dell'Alzari un Soave Classico da prendere ad esempio per tutti quelli che vorrebbero interpretare il territorio in chiave trendy.



Gini - La Froscà 2014solo due grandi vignaioli come Sandro e Claudio Gini potevano tirar fuori un grande Soave Classico da una annata piovosa come la 2014 e da un Cru "freddo" come il Froscà. Questa garganega in purezza è un gioiello dalla mille sfaccettature fruttate e floreali il cui cuore, però, pulsa di animo nobile e territoriale che rimanda senza sconti al terreno tufaceo della collina dove sono piantate le vecchie vigne che oggi hanno mediamente 80 anni di età. La grana e la dirompente persistenza del vino, su note di pietra focaia, dovrebbe essere brevettata e posta come esempio di classe a tutti i corsi per sommelier di Italia.