I vini delle isole: Bianco Pomice 2008 - Tenuta di Castellaro

Un progetto coordinato dal bravissimo Salvo Foti, un'isola, quella di Lipari, in pieno Mediterraneo e di una bellezza disarmante, vigne ad alberello allevate tradizionalmente con tutore di legno in castagno che, a nord-ovest, si affacciano sulla spettacolare veduta dell’isola di Salina, Alicudi e Filicudi mentre a sud/est guardano l'isola di Vulcano.

Foto dei vigneti appena piantati
Se, poi, tutto questo è ben gestito da un'azienda seria come la Tenuta di Castellaro che, proprio grazie a Foti, è stata inserita nei progetto de I Vigneri, allora nel nostro bicchiere non possiamo non avere vini di grande personalità come questo Bianco Pomice 2008 (Malvasia delle Lipari 60%, Carricante 30%, e altri vitigni autoctoni 10%) che sto degustando mentre scrivo.

Fortunatamente altri, prima di me, ne hanno decantato le lodi perchè trattasi, almeno in questa annata, di uno dei migliori bianchi italiani che abbia degustato.


Questo vino è figlio del suo territorio, ha sale e sole come genitori e calda mineralità tra le sue radici, profonde, che immagini cercare acqua e  nutrimento nel terreno alla stregua dei cercatori d'oro nel Klondike.
L'impatto olfattivo, intenso, è tipico dei terreni vulcanici come quelli dell'isola di Lipari per cui la prima sferzata aromatica di ricorda la selce e l'ossidiana, poi arriva il sole e il vento dell'isola e la sfera aromatica muta, diventa calda di frutta gialla, mandorla, fiori di campo. 
E il mare? Non può mancare perchè di sale ne troviamo tanto, sia come cornice olfattiva sia quando beviamo il vino a cui le durezze del suo essere salmastro e  minerale vengono subito bilanciate dalla nota fruttata e ammandorlata. 
Finale lungo, lunghissimo, come la scia della nave che, finita la bottiglia, mi porta via, momentaneamente, da Lipari.

ES 2010, ESsere numero uno

Non capisco perchè l'ES di Gianfranco Fino sia spesso al centro di diatribe tra sostenitori o contrari. Come tutti i vini può piacere o non piacere, questione di gusti soggettivi.
La realtà oggettiva comunque dice che per il secondo anno consecutivo l'ES 2010 sia il vino preferito dalle guide secondo la classifica di Milano Finanza che incrocia i vari voti ottenuti dal vino. 
Che sia il miglior vino in assoluto non so, non mi interessa, quello che conta invece è che dietro a quel vino ci siano due grandi persone come Gianfranco e Simona Fino. Due persone oneste con i piedi ben piantati per terra. La terra pugliese. Tutto il resto, vino incluso, è una prosecuzione del loro lavoro.


Per quanto riguarda gli altri posti in classifica troviamo al secondo posto il San Leonardo 2007  e al terzo posto, a pari merito, il Barolo Cannubi Boschis 2008 Sandrone,  l'Amarone della Valpolicella Classico 2005 di Bertani, il Sassicaia 2009 e il Torgiano Rosso Vigna Monticchio Riserva 2007 Lungarotti.

Scorrendo, poi, due obrobri: l'83 dato da Maroni al Barbaresco Asili 2009 di Giacosa e l'81 dato sempre dal noto critico al Brunello di Montalcino 2007 Poggio di Sotto. Ma come si fa????

Gianfranco Soldera ringrazia ma va avanti da solo. Pensavate cambiasse?

Gianfranco Soldera nel suo ultimo comunicato stampa ha ringraziato tutti per le manifestazioni di affetto ma ha gentilmente declinato qualunque tipo di aiuto da parte del Consorzio che aveva invitato i produttori di Montalcino a devolvere parte del loro vino a Soldera. Un calcio all'ipocrisia visto che i rapporti con molti di loro non erano e non sono idilliaci. Per cui, avanti da solo, condannando ogni tipo di speculazione sul suo vino.  

Di seguito il comunicato stampa integrale:

Desideriamo innanzitutto ringraziare tutti coloro che - direttamente e indirettamente - ci hanno espresso la loro solidarietà e vicinanza; chi ci ha spronato a continuare e chi si è offerto di aiutarci anche con il proprio lavoro. Una partecipazione straordinaria, da ogni parte del mondo, che ci ha lasciati stupiti, commossi ed orgogliosi. Ad ogni messaggio abbiamo prestato attenzione ed ognuno rimarrà parte della nostra storia. Vorremmo rispondere a tutti se riuscissimo. Un filo invisibile ma indistruttibile ci unisce ormai a chi condivide i nostri valori, a chi si è indignato per questo crudele sfregio al lavoro ed alla passione, a chi come noi vuole reagire andando avanti senza cedere ai propri principi. Oltre l’ambito del settore in cui operiamo, oltre i confini geografici. Questo territorio e i suoi frutti sono patrimonio unico di una comunità senza confini e ciò conferisce a tutti coloro che lo vivono e vi prestano il proprio lavoro la responsabilità di preservarlo e di valorizzarlo. In questa logica, la proposta sorta in seno al Consiglio del Consorzio del Brunello di Montalcino, riunitosi in seduta straordinaria il 7 dicembre, merita il nostro sentito ringraziamento. E’, peraltro, preferibile, a nostro parere, che i frutti raccolti da questa azione venissero destinati non a favore di Case Basse ma a sostenere attività di ricerca e sperimentazione che abbiano come oggetto il vitigno ed il vino Sangiovese nel territorio di Montalcino e la sua valorizzazione nel mondo, con il coinvolgimento delle Università di Siena e Firenze e l’apporto imprescindibile di giovani ricercatori.

Per quanto ci riguarda, intendiamo continuare la nostra attività basandoci sulle nostre forze oltre che sull’apprezzamento e sostegno del nostro distributore in Italia e di tutti i nostri importatori ed affezionati clienti. Desideriamo, infine, informare tutti che dal 3 dicembre, fino a data da stabilire, abbiamo sospeso la vendita dei nostri vini. Pur rispettando la libertà commerciale degli operatori del settore, pensiamo importante comunicare il nostro dissenso e la nostra estraneità a pratiche speculative sul prezzo dei nostri vini già sul mercato, pratiche che allontanando il consumatore finale dall’accessibilità al vino snaturano il senso del nastro lavoro: condividere con gli appassionati il piacere dì apprezzare un vino unico”.

Famiglia Soldera

Gulfi, il Nero d'Avola buono della Sicilia

Ve la ricordate la moda del Nero d'Avola? Io sì, molto bene, non c'era wine bar a Roma che non proponesse vini siciliani da questo vitigno. 
Prodotti scadenti, derivanti da uve di dubbia provenienza e qualità, molte le aziende che hanno cavalcato il momento e poche, purtroppo, quelle che hanno lasciato veramente il segno.
Per offrire il meglio di un vitigno e di un territorio bisogna lavorare sodo e crederci veramente, occorre andare oltre le tendenze e il gusto imposto dal marketing.
Perciò, se qualcuno mi domanda chi produce un grande Nero d'Avola, la risposta che dò è sempre la stessa: Gulfi!

Grappolo di Nero d'avola

Lo dico, questo, non tanto perchè si tratta di un'azienda biologica e naturale, non tanto perchè le sue vecchie vigne ad alberello sono un capolavoro di tradizione ed agronomia, dico Gulfi perchè, tra le pochissime in Sicilia, questa azienda ha saputo mantenere ben saldo il timone della memoria contadina e della qualità anche in tempi non sospetti evitando, lo sottolineo, di sputtanare un grande vitigno autoctono italiano.

Vigneti Gulfi

Gulfi, un progetto nato nel 1996 attraverso la collaborazione di Vito Catania con Salvo Foti, non ha soltanto custodito un patrimonio vitivinicolo mantenendo in equilibrio tutti il territorio circostante ma, soprattuto, ha eletto il Nero d'Avola come suo vitigno di elezione andando a creare sei grandi vini in purezza, quattro dei quali sono cru con produzione nelle vigne di Pachino (Nerobufaleffj, Neromaccarj, Nerobaronj, Nerosanloré), a cui si devono aggiungere il Nerojbleo e Rossojbleo, anch’essi Nero d’Avola in purezza prodotti nelle vigne di Chiaramonte Gulfi (RG).

Cru da Nero d'Avola, capito? Ma sono pazzi, visionari o cos'altro questi?

La mia irrefrenabile curiosità di capire, provare, valutare, è stata soddisfatta pochi giorni fa, quando a Roma sono riuscito ad organizzare una cena con nuove e vecchie annate di Nero d'Avola Gulfi. Di seguito, le mie note di degustazione.

Nerojbleo 2008 (100% nero d'avola): è il "base" aziendale, non un Cru, derivante da vigne di quattro ettari locate in zona Chiaramonte Gulfi. Ha una approccio didattico, è caldo, sa di ciliegia sotto spirito e tanta solare avvolgenza. Bocca tipica, con tannino appena accennato e tanta rotondità. 

Nerosanlorè 2007 (100% nero d'avola): vino derivante dalla Vigna San Lorenzo (2,5 ettari) che, fra i vari, rappresenta il Cru più vicino mare (circa 700 metri). Da terreni particolarmente ferrosi e minerali nasce un vino che respira mediterraneità. Rispetto al precedente ha un naso più complesso, ci sento il timo, il cappero, la salamoia, il salmastro. L'anima marina la si percepisce perfettamente in bocca dove il nero d'avola esplode in orizzontalità ed equilibrio. Finale ammondorlato e caldo.

Vigna San Lorenzo

Nerobaronj 2002 (100% nero d'avola): la Vigna Baroni si estende per circa 3 ettari nell'omonima contrada di Pachino e il suo colore bianco, quasi lunare, dipende dalla fortissima oncentrazione calcarea del terreno che nutre le vigne, non irrigate, di oltre 35 anni di età che offrono rese che non vanno oltre i 40 q/ha. Il vino, figlio di un'annata non troppo calda in Sicilia, è soprendente perchè da un  Nero d'Avola di oltre 10 anni non ti aspetti questa profondità e questa terziarizzazione che sa di eleganza e territorialità. Suggestivi sono i soffi aromatici di caffè, cuoio, humus che escono subito nel bicchiere ma, col tempo, il vino cambia e diventa balsamico, fruttato di gelso. Sorso dinamico, vivo, verticale. Piaciuto molto e, penso, sia un vino che possa andare avanti ancora per molto.

Vigna Baroni, bianchissima

Neromaccarj 2000 (100% nero d'avola): la Vigna Maccarj, situata sempre in zona Pachino, si estende per tre ettari su un terreno calcareo argilloso caratterizzato da stratificazioni molto sottili e compatte. Questo fa sì che il vino che ne esce sia, tra i vari Cru, quello più potente e ricco e questo Nero d'Avola che ho nel bicchiere, pur avendo circa 13 anni, lo conferma appieno. E' un vino scuro, duro, a tratti scontroso, ineceppibilmente siciliano nei profumi di ginepro, liquirizia, fico, grafite. Sorso graffiante con un tannino più energico rispetto agli altri. C'è tanta acidità a sorreggere una struttura ancora importante. Chiusura lunga, in evoluzione.

Vigna Maccarj

Durante la cena ho anche bevuto un ottimo Carricante in purezza ma, per quello, farò un post ad hoc visto che è un altro grande vino targato Gulfi.

Alla prossima!

Foto: Gulfi.it

Legge di mercato o infame speculazione? Il Brunello di Montalcino Case Basse di Soldera è sempre più introvabile e costoso

A pochi giorni dal vile atto criminale che ha distrutto la produzione del Brunello di Montalcino Case Basse di Gianfranco Soldera dal 2007 al 2012, al danno tremendo subito dal vignaiolo se ne aggiunge un altro, conseguente e subdolo, forse della stessa gravità per noi appassionati. 
Sto parlando della speculazione che stanno avendo i Brunello degli anni passati, bottiglie che, stranamente, sono state ritirate dai listini on line delle varie enoteche sparse per il mondo.
Vino che sparisce. Vino che ricompare, guardacaso, prezzato ad almeno il doppio, se va  bene, di qualche giorno fa.

Su Facebook ho chiamato MERDE queste persone ma sono stato ripreso da qualcuno che mi ha detto che quella era la legge della domanda e dell'offerta. E' il mercato, baby, è non ci puoi fare nulla.
Sarà vero, ma certi atteggiamenti, con tutti i distinguo del caso, mi ricordano quelli di chi dopo il terremoto dell'Aquila aveva riso perchè pensava già agli affari della ricostruzione.
Allora, come adesso, c'è una persona di 74 anni che ha perso il lavoro di anni e non ci sarà nessuna assicurazione che lo potrà risarcire.
Se la legge di mercato è corrette, ci mancherebbe, posso definire il tutto eticamente discutibile? Ecco, la foto seguente mostra il prezzo di una bottiglia che fino a due giorni prima costava 180 euro...



Se un pò capisco i commercianti, davvero mi sorprende l'atteggiamento dei tanti pseudo appassionati che, magari avendo una sola bottiglia a casa, girano i vari forum e siti di asta per piazzare la loro UNICA bottiglia a qualche "sprovveduto" in cerca di reliquie. Privarsi del Brunello Case Basse della propria cantina privata per guadagnare 100 euro è davvero segno di stupidità o, forse, della grande crisi che attanaglia il Paese. Chissà. Resta il fatto che sul forum Gambero Rosso un tizio pensava di vendere il millesimo 1998 a 600 euro. 600!!

La conseguenza di tutto questo quale sarà? Semplice, che il Brunello di Soldera, che già prima era raro e costoso, diventerà un vino virtuale, troppo costoso per tantissimi ed abbordabile ora per qualche ricco russo che al posto del Cristal o del Masseto deciderà di bere questo rosso toscano.

Case Basse come Lafite? Forse, ma a qualcuno primo o poi rimarrà col cerino in mano...


Il Nebbiolo del Nord Piemonte ha il volto del Carema

Il salotto di Wine Up di Monica Piscella, amica e giornalista piemontese, ci ha accolto con tutto il suo calore durante le fredde giornate del Salone del Gusto di Torino. 
In pieno centro storico, ospitati dalla mitica Sandra Salerno, nel corso della serata si è creato uno spazio conviviale dove parlare di enogastronomia in maniera libera e amichevole.
Proprio in quell'occasione ho conosciuto Maurizio Gily, direttore di MilleVigne, e grande esperto di viticoltura e vino piemontese.
In quel contesto, dove ogni invitato doveva condividere con gli altri un vino o un cibo del cuore, Maurizio ci ha regalato una piccola verticale di Nebbiolo di Carema, una minuscola DOC italiana che, tra mille difficoltà, ogni anno "sforna" sempre di vini di grande fascino.
La verticale era composta da tre annate di Carema Doc della Cantina dei Produttori Nebbiolo di Carema, un baluardo che da anni difende questo fazzoletto di territorio dall'incuria e dall'abbandono. Difficile coltivare la vite da queste parti, come in Liguria la montagna di Carema è costitutita da terrazzamenti dove si alternano muraglioni a secco, con con funzioni di sostegno, e fertile terra morenica trasportata dal fondovalle.

Le vigne a pergola

Maurizio Gily apre la prima bottiglia, un Carema Doc Classico 2008. L'annata è di quelle fredde, tradizionali, e regala il nebbiolo che voglio e che vorrei sempre nel mio bicchiere, un nebbiolo del nord, ichiuso come un pugno e dove l'unica percezione aromatica che può captare è la mineralità sassosa. Puro territorio nel calice. Col tempo cerca di aprirsi ed escono le note di violetta, rabarbaro, cola, se lo odori alla cieca pensi di esser di fronte ad un vino quasi chinato.
In bocca è austero, compatto ma di grande equilibrio. Ne berresti una secchiata ed è questo il bello di questo vino. Chiude persistente, minerale, con cenni di erbe amare. Questo Carema affina per almeno 3 anni di cui 2 in botti di legno grande.


Arriva il Carema Doc Riserva 2007, figlio di un'annata calda e..si sente. Quanto detto per il precedente vino stavolta è capovolto, in evidenza non ci sono durezze ma rotondità, quelle date dal frutto rosso maturo che emerge prepotente al naso che in certi frangenti cambia e diventa sottospirito. Note di sottobosco e tabacco fanno da contorno. In bocca è caldo, sgraziato, ruvido, sento un pò troppo l'alcol che non è amalgamato al 100% con la struttura. Maurizio sembra che questa Riserva sia più parente del nebbiolo del sud, zona Monforte, che del nord. Invecchiamento non inferiore a 4 anni di cui almeno 30 mesi in botti di legno grandi e un anno di affinamento in bottiglia. 


Il Carema Doc Classico 2003 è un vino diverso dagli altri, è come se facesse parte della vita precedente della Cantina Produttori visto che è stato vinificato ed affinato ancora con le vecchie botti e con tecniche che ora si sono aggiornate. Si sente che è un nebbiolo "diverso" per la sua rusticità sia al naso che in bocca dove il tannino è leggermente sgranato ma, nonostante tutto, è un vino che mi piace perchè è combattivo e fiero come le vigne da cui nasce. Ora che tutto è più moderno e adeguato, questo vino è un pezzo di storia da mantenere nei nostri cuori perchè da certi sbagli gli attuali 81 soci hanno costruito il futuro di un un grandi vino di territorio.


Ringrazio Maurizio Gily per questo regalo inatteso e per la sua competenza. Grazie anche a Monica Piscella per il graditissimo invito e a tutti quelli che hanno collaborato per rendere l'evento impeccabile. Al prossimo Salotto di Wine UP!


Atto criminale nella cantina di Gianfranco Soldera, distrutta tutta la produzione del Brunello di Montalcino Case Basse dal 2007 al 2012

La notizia è di quelle che lasciano senza parole. Il sito Wine News ha appena riportato la notizia che dei grandi bastardi (queste sono parole mie) sono entrati nella cantina di Gianfranco Soldera e, senza ritegno, hanno commesso un vile atto: aprire tutti i rubinetti delle botti dove era in affinamento il Brunello di Montalcino Case Basse dal 2007 al 2012. Oltre 600 ettolitri di vino...
Dalla cantina, secondo quanto afferma lo stesso sito, non è stato rubato nulla, nè bottiglie, nè materiali.
Questo è un atto criminale, una intimidazione che ricorda certe pratiche mafiose fino ad ora estranee alla piccola città toscana.

Un avvertimento anche per qualcun altro? 

Fonte: Soldera.it


I vini della Georgia tra mito e realtà

Sicuramente sono legati alla storia del mondo visto che la National Geographic Society ha diffuso la notizia del ritrovamento in una grotta in Armenia di quella che secondo gli archeologici sarebbe la più antica cantina del mondo. Non solo, i vini della Georgia sono legati anche alla religione cristiana visto che, Santa Nino, per convertire il re d'IBeria nel 327 d.C. usò una croce fatta con i tralci di vite, oggi simbolo della cristianità georgiana.


La Georgia del vino è sicuramente famosa nel mondo le "mitiche" anfore (kvevri o churi) usate dai contadini per la vinificazione e la conservazione del vino, pratica tramandata per secoli in quelle zone e ripresa in Italia per la prima volta da Gravner.


Ogni volta che bevo i vini georgiani mi pongo sempre la solita domanda: devo o meno slegare la degustazione dall'alone di mito che li caratterizza? Cioè, devo valutarli sulla base della loro tradizione, particolare vinificazione e menate varie oppure devo essere un valutatore cinico senza alcuna licenza poetica? 

Se dovessi indossare i panni del duro e puro allora posso dire con franchezza che i vini della Georgia, ad oggi ed in base a quello che ho bevuto, non mi hanno mai convinto e, aggiungo, sto mito del primo vino nato al mondo con tanto di falso folklore mi ha un pò stufato.

Gli ultimi due assaggi li ho fatti allo scorso Salone del Gusto di Torino quando mi sono trovato di fronte al banco del Presìdio Slow Food del Vino in Anfora. Dei tanti prodotti ne ho scelti due, un bianco e un rosso. Il primo è un vino della Regione del Kakheti, Georgia Orientale, si chiama Rkatsiteli "Grand Cru" Tsarapi 2010 (100% Rkatsiteli), un biodinamico che, dopo una leggera pigiatura, fermenta con raspi e bucce in anfora per 6 mesi per poi affinare altre sei mesi sempre in anfora.  Il risultato è il vino che vedete in foto più in basso, senza nulla togliere alla bontà di alcuni vini "naturali", questo georgiano mi è sembrato troppo estremo, sembra una sorta di liquore di frutta dove, forse causa caldo, l'alcol la faceva da padrone. Ai limiti della bevibilità e visto anche il prezzo, ben oltre le dieci euro, non lo comprerei mai.


Il rosso invece è prodotto da Nika Bakhia, un produttore presente al Salone che con la sua aria spaesata e anticonformista ti guardava come se stesse parlando con un alieno. Il suo Saperavi 2010 (100% saperavi) è un vino arcaico, difficile inquadrarlo se non nel fatto che il tannino dato anche dai raspi non è gradevole. Un rosso sgraziato che sa di carne e frutta selvaggia. Mi è piaciuto più del bianco ma come faccio a dargli più di 10 euro quanto in Italia con quei soldi ci prendo dei grandissimi Chianti?

Nika Bakhia Fonte: sustainweb.org
Troppo cattivo? No, non ce l'ho con questi vignaioli che con umiltà stanno portando avanti delle tradizioni ancestrali, solo che a volte qualcuno dovrebbe rendersi conto che il vino contadino e primordiale non deve essere buono solo in teoria ma anche in pratica. Soprattutto quando certi importatori te li fanno pagare profumatamente...

Street Food ad Istanbul

Questa volta parlo di gastronomia, da tempo volevo pubblicare e commentare alcune foto "immagazzinate" nella mia Kodak da quattro soldi. Oggi è di scena lo street food turco, in particolare di Istanbul!

Grazie ai miei amici di Scoprire Istanbul, a cui ho chiesto qualche consiglio, ho potuto testare, con tutti i sensi, quanto sia importante culturalmente per questa città il cibo di strada. 
Dove ti giri, dal centro fino alle periferie, è un proliferare di banchi e chioschi, più o meno spartani, dove mangiare rapidamente ed avidamente piccole bontà.

Oltre all'immancabile Kebap, a cui dedicherò magari un post a parte, ad Istanbul è immancabile prendere il balik ekmek, cioè il panino col pesce (sgombro o maccarello).
Il posto più turistico dove prendere questa prelibatezza è rappresentato da Eminönü, sotto il ponte di Galata. Per 5 LT (due euro circa) ci sono le famose barchette adornate che, di contunuo, sfornano panini per la folla di turisti in cerca di sapori tradizionali che ignorano, come mi dicono, che quello sgombro appena scottato sulla griglia con un filo di olio spesso non ha origini turche ma...scandinave. 


Ponte di Galata
Uno dei posti migliori per mangiare un vero balik ekmek è il quartiere di Besiktas dove, accanto al piccolo mercato del pesce (freschissimo), si trova una sorta di chiosco, il Balicka,  che a tutte le ore sforna panini col pesce, non solo sgombro, a dir poco fantastici. Pane fresco, ottima materia prima, un pò di insalata, un filo di limone (cipolle, no grazie) e il gioco è fatto. Prezzo? 4 LT, meno di due euro....




Se, poi, avete la fortuna di passare da quelle parti dopo le 21, noterete in un angolo della strada questo signore con tanto di barbecue "insalsicciato". La sua è una presenza fugace ma, quello che vende, il suo panino, è davvero strepitoso!! Non domandatemi di cosa sono fatti questi salami perchè, a volte, è meglio non sapere........






Peccato che a Roma non ci sia nulla paragonabile a tutto ciò. Lo street food capitolino è ancora relegato all'interno di spazi chiusi che nulla hanno a che fare con la vera anima del cibo di strada. O sbaglio?

La Slovenia in un sorso

Andreja Lajh anche quest'anno ha organizzato a Roma una interessante degustazione sui vini della Slovenia
All'interno della sala Ailanto del rooftop del Marriott Grand Hotel, sui tetti di via Veneto per intenderci, erano presenti nove produttori selezionati dalla stessa Andreja che, in questo modo, ha voluto creare per gli ospiti una sorta di introduzione al mondo dei vini sloveni, troppo spesso sottovalutati all'interno di un mercato italiano, parlo della massa di consumatori, dove ciò che non si conosce deve essere per forza di serie B.

Di seguito, per ogni produttore, il migliore assaggio con qualche eccezione:

Hisa Joannes Protner - Renski Rizling: qusto piccolo produttore sloveno ha portato a Roma tre annate del suo riesling. La 2011 era giovane, dura e chiusa come un cancello del 1800. Il 2009 già meglio con una nota fruttata appenna accennata mentre la 2007 mi è davvero piaciuta visto che tutti i classici profumi del grande riesling erano svolti e al palato il vino giocava su intensità, freschezza e persistenza. Prezzi al pubblico davvero ottimi.


Steyer Mark - Cuvee 2010: questo produttore che ha vigneti nella zona di Maribor mi ha conquistato con questo blend di uve bianche che creano una miscela vinosa di grande impatto dove le durezze sono ben bilanciate dall'aromaticità e dalla morbidezza del gewurztraminer. 


Pullus - Sauvignon 2011: questa grande cantina con oltre 40 vini in listino era rappresentata da un omone grande e grosso che ho ridefinito il Bonci della Slovenia. La linea presentata non era di grande fascino, sono vini abbastanza basilari e, tra un pinot grigio, una cuvee e un sauvignon, ho scelto quest'ultimo per essere abbastanza didattico e lineare. Niente di più.

Ecco, ve lo dicevo che era grosso!

Marjan Simčič - Ribolla Opoka 2008: da uno dei più bravi vignaioli sloveni nasce una ribolla davvero ottima, per nulla scontata con suo corredo aromatico minerale e agrumato. Bocca piena, progressiva, persistente. Ce ne fossero.

Marjan Simčič - Teodor Bianco Selekcija 2008: la prima eccezione alla scelta di un vino per produttore riguarda questo blend (ribolla 60%, sauvignonasse 20%, pinot grigio 20%) che per il produttore rappresenta uno dei vini più famosi. Buona struttura, eleganza e bilanciamento sono le caratteristiche di questo vino che non smetteresti mai di bere. Da tutti i giorni? Magari!

Marjan Simčič

Edi Simčič - Malvazija 2009: da un Simčič all'altro! Questa volta ci troviamo nel Collio Sloveno e questo importante produttore ci offre una bellissima malvasia che si contraddistingue per il suo carattere aromatico di erbe, tra lel quale spicca il timo, e la sua anima freddamente minerale. Bocca importante, acida, viva, persistente.


Miha Batič - Sauvignon 2009: questo giovane vignaiolo della Valle di Vipava è sicuramente quello che, tra i vari, mi ha colpito di più. Ottimo il suo sauvignon, per niente scontato e giocato su toni quasi francesi, ma quello che vorrei sottolineare stavolta è l'anima di questo ragazzo che per molto tempo, con entusiasmo, mi ha parlato di cicli naturali, biodiversità e tradizioni famigliari. 

Miha Batič - Zaria 2009: prendi un mucchio di uve sconosciute a molti umani (55% di Pinela, 20% di Zelen, 10% di Rebula, 8% di Vitovska, 4% di Klarnica, 2% di Chardonnay, 1% di Rumeni Muškat), mischia tutto, agita bene e fai uscire un grande vino. Solo un alchimista naturale come Miha ci poteva riuscire. 

Miha Batič
 

Rodica - Malvazija 2010: questa piccola cantina biologica come unico bianco aveva questa malvasia istriana dal corredo aromatico maturo di frutta gialla (nespola, pera, mela), fiori di acacia e camomilla. Bocca ricca, fresca, fruttata. Mancava forse lo slancio finale per essere un vino da ricordare.


Movia Lunar 2008: già il nome di questo vino, che fa riferimento alle fasi lunari che si seguono durante la vinificazione, la dice lunga sull'approccio di questo importante produttore sloveno. E' un "classico" bianco macerato sulle bucce (otto mesi) che a me piace molto per il suo essere leggiadro pur con i piedi di piombo. Mi ricorda la figura di un astronauta sulla Luna...appunto. Come dice lo stesso produttore è un vino dal carattere forte che avrà tanto tempo davanti a sè. A  me, però, piace ora!

Movia Veliko Rosso 2004: nasce da un blend di merlot, pinot nero e cabernet sauvignon e, seppure non sia il rosso della mia vita per qualche note "rustica" di troppo, devo dire che l'ho bevuto con grande piacevolezza alla fine del tour tra i banchi di assaggio. Tra un saluto e l'altro il vino si è smaterializzato dal bicchiere in un attimo. Tutto ciò vorrà dire qualcosa?

I vini di Cantina Vintinove

Disclaimer

I vino degustati sono campioni omaggio forniti dall'azienda

Tradizione e modernità. Due parole apparentemente contrapposte ma che ben identificano questa azienda veneta di proprietà di Francesco e Sandro Bravin che oltre ad impegnarsi a fondo nella salvaguardia e nella coltivazione dei terreni di famiglia, hanno capito più di altri le potenzialità del web. L'invio dei campioni dei loro vini a più wine blog ne è la testimonianza diretta.

Francesco e Sandro Bravin

29, un marchio ma anche un vocabolo che si può scomporre in VIN TINO VE, ad indicare il “VIN de TINO de VEnexia", un omaggio al dialetto territoriale ma, soprattutto, alla figura di Ernesto (Tino), padre degli attuali proprietari, cui spetta il merito di aver assemblato negli anni i terreni che oggi costituiscono il patrimonio della cantina.

Tre i vini inviati per la degustazione, uno chardonnay, un pinot grigio e l'Arcumbè, il rosso di punta dell'azienda.

Lo Chardonnay Doc 2011, vinificato in acciao, mi ha stupito positivamente in quanto non è il vitigno è stato trattato con sensibilità senza dare al prodotto finale lo stile tropical-bananoso che spesso ritrovo in altri vini. Fresco, sapido, franco, lo chardonnay Cantina 29 è un vino quotidiano di sicuro interesse, per circa 6 euro ci si può stare ampiamente.


Il pinot grigio Doc 2011, vinificato in acciaio, ha naso di frutta a polpa bianca, fiori e gesso. Sapido e nervoso ha un finale minerale e fruttato. Anche in questo caso un gradevole vino da tutti i giorni con un ottimo rapporto q/p.


L'Arcumbè 2010 (Merlot 60%, Carmenère 30%, Refosco dal Peduncolo Rosso 10%) è sicuramente il più interessante del lotto che mi è arrivato. Ha un naso abbastanza complesso ch richiama la frutta a bacca nera, liquirizia, china. In bocca, nonostante la morbidezza del merlot, è duro come piace a me, con un tannino graffiante e un'acidità sferzante. Manca ancora un pò di profondità e personalità ma, ancora una volta, per circa 6 euro è un buon compagno di merenda. Affinamento: sei mesi in botte grande.


Vintinove è una cantina da seguire, hanno ancora ampi margini di migliorante e se la passione non cederà col tempo ne sentiremo parlare ancora.