A Creta si beve anche dell'ottimo vino biologico


Prendiamo la Matiz a noleggio e dopo aver trascorso una calda mattinata nel bellissimo sito archeologico di Cnosso ci dirigiamo verso l’interno della regione di Iraklio, precisamente verso Peza, un’area vitivinicola importantissima visto che il 70% della produzione di vino dell’isola di Creta proviene da questa luogo.
Da queste parti, oltre agli immancabili vitigni internazionali, si vinificano quattro varietà locali: Vilana per i bianchi, Kotsifali and Mandilari per rosati e rossi mentre il Liatiko è un’uva da cui vengono prodotti rossi sia secchi che dolci.
La nostra destinazione non è però la città di Peza, dove troviamo interessanti realtà cooperative, bensì Houdetsi, ammasso di case (non posso definirlo paesino) posto alle al termine di una ripida collina dove la nostra macchina, tra un tornante e l’altro, senza guardarail, fa fatica ad arrivare.
Arriviamo al Domaine Tamiolakis senza appuntamento nel primo pomeriggio di un caldissimo Agosto. Tutto è chiuso, c’è scritto che si stanno preparando alla vendemmia e non accettano visitatori. Depressione totale, tutta quella strada per nulla. Fortunatamente una ragazza, presa a compassione, si accorge di noi e ci fa entrare comunque nella sala degustazione per spiegarci brevemente l’azienda e, soprattutto, per farci bere del vino.

Panorama dell'azienda
Giovanissimo, in quanto fondata solo nel 2003, il Domaine Tamiolakis è un’azienda biologica a conduzione familiare che si estende per un’area di 13 ettari, di cui 5 vitati, all’interno della denominazione di origine Peza (una sorta di D.O.C.G. italiana) con l’obiettivo dichiarato di produrre vini di grande spessore qualitativo ma dal carattere decisamente cretese.
Per far ciò Tamiolakis ha piantato e vinificato sperimentalmente tutta una serie di vitigni autoctoni che, per la maggior parte, sono in via di estinzione: Vidiano, Dafni, Plyto, Thrapsathiri e Moscato di Spina. Rivolgendosi anche ai mercati esteri, e questo lo si deduce anche dal loro nome, il Domaine non ha rinunciato al fascino dei vitigni internazionali i quali, per una piccola percentuale, vanno a completare l’offerta enologica dell’azienda che, ad oggi, vanta sei tipologie di vino per circa 50.000 bottiglie.

Durante la breve visita abbiamo bevuto:

Tamiolakis Prophassi 2009 (Vilana, Thrapsathiri, Dafni, Moscato di Spina): è il vino bianco base dell’azienda. E per fortuna… Grande carattere fruttato/minerale e freschezza esplosiva. Non so come si è determinata l’alchimia tra queste uve per me sconosciute ma se il risultato finale è un vino così allora le pianto nel mio giardino.

Tamiolakis Prophassi

Tamiolakis Vidiano-Plyto 2009 (Vidiano 50%, Plyto 50%): è un vino fermentato in legno con le bucce a contatto del mosto. Il colore si fa più intenso, non trovo la mineralità del precedente vino ma, a differenza del Prophassi, la frutta ora è preponderante e ben definita in tutte le sue sfaccettature. Bocca più rotonda, c’è tanto equilibrio e poca vivacità. Un vino più pronto del precedente che seduce ma non incanta.

Tamiolakis Vidiano-Plyto

Tamiolakis Ekti Ekdosi 2006 (Kotsifali, Cabernet Sauvignon, Merlot): il colore rubino scarico tradisce l’annata non certo recente. I profumi sono complessi, non sparati, ci sento la viola, il cassis, la prugna non troppo secca, poi esce il cioccolato amaro, la spezia nera e una lieve nota tostata che tradisce un passaggio non troppo invasivo nel legno. In bocca questi quattro anni hanno arrotondato la struttura del vino che svela un tannino presente ma vellutato e una spalla acida di grande freschezza. L’Ekti Ekdosi è un vino che fa circa 13° e, in un caldo pomeriggio di estate, va giù che è una meraviglia.

Tamiolakis Ekti Ekdosi

Sunday Wine News: lo Champagne diventa verde...


La notizia è tratta dal sito del Corriere della Sera, una bella notizia visto che la filosofia naturale/biologica inizia anche dal packaging.

A dieci giorni della vendemmia dello champagne, le grandi case produttrici si preparano a un altro dei piccoli impercettibili cambiamenti che hanno fatto la grandezza del «vino del diavolo»: una bottiglia più leggera di 65 grammi, grazie a un vetro leggermente più sottile e a una forma (impossibile accorgersene a occhio nudo) appena più slanciata. All'inizio del Novecento il contenitore standard pesava 1,3 chili; un fardello degno della nobiltà del contenuto, ma poco pratico. Per via di aggiustamenti successivi (il penultimo nel 1973), la bottiglia si è alleggerita fino alla nuova soglia, fissata in 835 grammi.


«In questo modo riusciremo a trasportare più bottiglie consumando meno carburante. Un doppio vantaggio, per l'ambiente e per i nostri bilanci», dice Daniel Lorson, portavoce del Civc (Comitato interprofessionale del vino di Champagne), l'organismo che raggruppa coltivatori, produttori e distributori del vino. La fabbrica della Saint Gobain a Épernay è riuscita nella sfida di realizzare una bottiglia che rispondesse a molte necessità: fondo uguale all'attuale, per non costringere tutta la filiera a cambiare macchinari e dimensione delle casse; aspetto quasi identico, per non infastidire i consumatori e mantenere la sensazione di prestigio; vetro più sottile, per ridurre il peso; spalla leggermente allungata, per non offrire una goccia in più dei consueti 75 cl; capacità di sopportare comunque l'eccezionale pressione di 6 chilogrammi per centimetro quadrato (il prosecco e altri vini frizzanti di solito ne generano la metà).

Dopo la raccolta dei grappoli tra pochi giorni, l'imbottigliamento ad aprile e tre anni di fermentazione, la spedizione delle nuove bottiglie di champagne in tutto il mondo comporterà emissioni di carbonio inferiori del 25 per cento rispetto alle attuali 200 mila tonnellate l'anno. Secondo i calcoli del Civc, sarà come togliere dalle strade 4 mila piccole automobili. I primi a sperimentare le bottiglie più leggere sono stati, con grande discrezione, già a partire dal 2003, i marchi Pommery e Heidsieck; stavolta il cambiamento dovrebbe riguardare tutte le case produttrici. Il passaggio allo «champagne verde» è stato deciso in parte per rispondere all'offensiva ecologica della California, dove il Wine Institute ha messo a punto una lista di 230 tecniche per produrre vino a basso impatto ambientale.


Ma le considerazioni climatiche fanno parte della storia dello champagne: la sua stessa nascita si deve alla piccola era glaciale del Seicento, quando il raffreddamento della regione decretò la fine dei suoi magnifici vini rossi: l'uva non riusciva più a maturare abbastanza. Si passò ai vini bianchi, all'inizio pessimi, poi migliorati - e di molto - con l'invenzione del metodo champenoise, cioè l'aggiunta di zuccheri e lieviti per la fermentazione in bottiglia. Oggi la preoccupazione è in senso contrario. Il riscaldamento climatico fa maturare bene i grappoli, provocando l'entusiasmo di Benoît Gouez, il capo della cantina di Moët et Chandon: «Lo champagne non è mai stato così buono». Ma più a sud, a Vouvray, l'uva è così matura che si è costretti a cambiare metodo, perché aggiungere altro zucchero porta spesso all'esplosione della bottiglia. L'attenzione per il clima fa guadagnare in immagine, risparmiare in spese di trasporto, e forse allontana i rischi di una catastrofica fine delle bollicine.

Dopo la crisi finanziaria e la riduzione dei consumi che hanno portato alle due disastrose annate 2008 e 2009 (lo scorso Natale a Parigi si trovavano bottiglie di champagne sotto i 10 euro), oggi i produttori sono molto ottimisti. Nei primi cinque mesi dell'anno le vendite sono aumentate del 20 per cento. Rompendo con la tradizione, che prevede contatti solo poche ore prima della vendemmia, le maison si sono già accordate per raccogliere tanta uva da riempire 301 milioni di (più lievi) bottiglie.

A Creta si beve bene!


Creta è un’isola fantastica, unica, girandola in lungo e largo questa estate, soprattutto per le belle spiagge, mi è sembrato di rivivere in parte il film Jurassik Park, non tanto perché ho visto i dinosauri ma quanto per il paesaggio a tratti incontaminato che caratterizza soprattutto il sud dell’isola dove, tra strade sterrate e paesini abbandonati, l’uomo è ancora sottomesso alla Natura.


Paesaggi prevalentemente collinari e montuosi, tanto sole, una terra ricca e feconda, fanno di Creta un territorio che ben si può adattare alla viticoltura soprattutto se, come ho visto, i vignaioli seri utilizzano la coltivazione ad alberello basso.
Oltre a tanto vino commerciale adatto per il turista più bieco, sull’isola ho trovato qualche produttore degno di questo nome e il primo che vi propongono ha qualcosa di sacro, di mistico. Forse perché si tratta dei monaci del monastero di Agia Triada?

Agia Triada

La struttura, fondata nel XVII secolo, attualmente ospita una scuola di teologia ed una piccola comunità di monaci, la stessa che ogni anno, in maniera maniacale, coltivano un piccolissimo appezzamento di vigna dove possiamo trovare Remeiko (uva locale), merlot, cabernet sauvignon e trebbiano, viti vecchie che poggiano le loro radici in un terreno di un color ruggine davvero magnifico, la macchinetta fotografica non riesce a dare l’idea, credetemi.
All’interno del monastero ho acquistato una bottiglia da 0.500 del loro vino di punta, un cabernet sauvignon del 2008 che ti aspetti semplicemente vegetale e invece è tutt’altro.


I monaci ci sanno fare, che sia nostro Signore o nostra Natura a dar loro una mano non lo so ma parliamo di un gran bel vino, complesso, austero, aprire la bottiglia è come varcare la soglia della chiesa del monastero; tutto è in penombra e i tuoi sensi si lasciano guidare solo dall’odore dell’incenso, dalla fragranza dei fiori rossi che adornano l’altare, dal profumo di ebanisteria dei vecchi mobili. Solo dopo, col tempo, riconosco la frutta rossa e il “classico” tono vegetale.
In bocca è acido, minerale, il terreno rosso, ferroso, si fa sentire al palato e questo non fa che aumentare la complessità e la bevibilità del vino.
Se un giorno verrete a Creta passate ad Agia Triada, vi sembrerà tutto un altro mondo.

Lo Champagne è un cocktail, parola di Yahoo! Answers

 
Su internet ci sono tanti spazi, forum e quant’altro, dove gli utenti condividono le loro conoscenze e rispondono ai quesiti dei vari internauti.
La peggiore piazza per me è Yahoo Answers, una sorta di Cioè on line dove si danno risposte imbarazzanti a domande spesso senza senso.
 

All’interno di questo mondo virtuale c’è qualcuno che ha raggiunto vette impossibili da raggiungere. L’utente DarioY dovrebbe essere premiato per le risate che mi ha suscitato perché, pur leggendo come si fa lo champagne su Wikipedia  è riuscito a scrivere una delle peggiori vaccate della storia. Quanto scritto qua sotto si commenta da solo.


 
Certo che pure quello che gli risponde non è da meno.

Miss Muretto e le braccia rubate all'agricoltura

Alcune delle partecipanti a Miss Muretto


Secondo me queste tre fanciulle stanno all'agricoltura come Bossi sta a Dante Alighieri. Immagino che, dopo questi scatti, siano corse tutte dall'estetista a rifare il french alle unghie.
Eppure la notizia parla di un concorso, Miss Muretto, che ha permesso alle trenta candidate di passare un giorno a vendemmiare.
La giornata all'aria aperta di 'Naturalmente Miss' si è svolta tra i vigneti di uve della varietà Pigato e Pignoletto dell'azienda Sommariva di Albenga.
Oltre a partecipiate alla raccolta dei grappoli, le ragazze hanno guidato i trattori di una famosa marca che ha messo in campo per l'occasione vari mezzi destinati sia all'agricoltura hobbistica e a quella professionale.

La sola immagine, il solo pensiero di questa giornata bucolica mi fa venire il voltastomaco.

Ah, il sito da cui ho tratto la notizia, Agricoltura on web, apre la sua pagina pubblicizzando vari insetticidi ed erbicidi.

Più ritorno alla natura di questo non c'è....


Percorsi di vino sulla rivista europea dei blog


Sono contento di condividere con voi un piccolo traguardo di Percorsi di vino. Essendo ricompreso tra i mille blog più importanti di Italia, sesto nella classifica dei blog del vino, Wikio ha inserito il mio articolo sulle più brutte etichette del vino all'interno della rivista europea dei blog traducendolo in inglese, francese, tedesco e spagnolo. 


Dategli un'occhiata: http://e-blogs.wikio.it/il-top-5-delle-peggiori-etichette-di-vino e votatelo usando il solito bottoncino alla sinistra del titolo.

Castello di Monsanto Chianti Classico Riserva Il Poggio 1982


La coscienza di camminare sopra un tesoro ha accompagnato Fabrizio Bianchi fin dall’inizio della sua avventura, non si trattava però di miniere d’oro, ma di semplice terra….
Così è scritto sul loro sito internet e nulla di più vero può esistere.
Castello di Monsanto è un’altra perla toscana dove il sangiovese ruggisce dal 1962, la prima vendemmia dove il Vigneto Il Poggio, ripulito sasso dopo sasso, diventa il primo Cru del Chianti Classico.

Il Castello di Monsanto - Fonte Freevax.it
Parlavamo di terra prima. I 72 ettari di vigneto che compongono la tenuta sono caratterizzati da due tipi di terreno: suolo di origine cretacica composto da argille pietrificate e stratificate a filaretto (c.d. galestro toscano). Un’altra parte della proprietà, nel versante a sud della zona di Valdigallo, è caratterizzata da terreni di origine pliocenica composti da banchi sedimentati di sabbie marine, detti “tufi”, intercalati da leggere lische di argille composte.
A 350 metri s.l.m., su un terreno galestroso, si estende in tutta la sua bellezza Il Poggio, vigneto dal quale nasce l’omonimo vino, un Chianti Classico Riserva, prodotto solo nelle migliore annate, composto da Sangiovese al 90% e da un 10% di Colorino e Canaiolo.

Laura Bianchi mentre mostra il vigneto Il Poggio



Nel mio bicchiere ho la Riserva 1982, l’anno della vittoria ai mondiali di calcio in Spagna anche se in Toscana, almeno per il vino, non è stata una grandissima annata, non ci sono le urla di Tardelli nei Chianti di questo millesimo che, nonostante tutto, rimangono decisi e profondi come la galoppata di Bruno Conti sulla fascia destra del Bernabeu prima del 3-0 di Altobelli.
Torniamo al vino e ai suoi profumi, territoriali, viscerali, e dotati, ad un primo impatto, di una grande mineralità che si esprime su sensazioni di ferro e sangue molto austere, da uomini duri.
 
Cantina di maturazione

Col tempo il quadro olfattivo diventa più complesso: inizialmente si alleggerisce esprimendo delicate note vegetali di erba medica, fieno e camomilla, a cui fanno seguito echi di frutta matura e sensazioni empireumatiche che forniscono al vino una veste scura, solenne, giocata su aromi di china, catrame, frutta secca tostata e legni nobili. Sembra davvero di mettere il naso nelle segrete del Castello di Monsanto.
Al sorso il vino sembra subire una scissione perché si coglie nettamente una leggera rottura tra la componente fresca e sapida del sangiovese, vibrante e a sé, e una nota di cera e di agrume amaro dall’altra che fanno fatica ad integrarsi e ad accompagnarsi mano nella mano nel finale gustativo che rimane comunque di buona persistenza.
Visto che rimango nel dubbio che la bottiglia possa essere “sfigata”, non mi rimane che andare al Castello di Monsanto e comprarmene un’altra. Tutto questo per amor di verità…eccerto!

Vecchie bottigle

Per le foto, tranne la prima, la fonte è Weimax.com


Sunday wine news: è in vigore l'accordo sul commercio del vino fra Ue e Australia


Il 1° settembre 2010, è entrato in vigore un nuovo accordo che disciplina il commercio del vino fra l’Australia e l’Unione europea. Questo nuovo accordo, che sostituisce quello firmato nel 1994, protegge il regime di etichettatura del vino adottato nell’Ue, garantisce la piena protezione delle indicazioni geografiche dell’Ue, anche per i vini destinati all’esportazione in paesi terzi, e include un esplicito impegno da parte dell’Australia a proteggere le espressioni tradizionali dell’Ue. In aggiunta, entro un anno dall’entrata in vigore dell’accordo e dopo un periodo di transizione, l’Australia non utilizzerà più per i propri vini alcune importanti denominazioni dell’Ue, quali “Champagne” e “Porto”.


L’accordo offre garanzie importanti al settore vinicolo dell’Ue. Assicura la protezione delle indicazioni geografiche e delle espressioni tradizionali per i vini dell’Ue in Australia e in altri paesi”, ha dichiarato Dacian Ciolos, commissario responsabile dell’agricoltura e dello sviluppo rurale. “L’accordo offre vantaggi a entrambe le parti firmatarie e rappresenta un risultato equilibrato per i produttori di vino europei e australiani. Un traguardo essenziale è costituito dall’impegno in base al quale i produttori vinicoli australiani rinunceranno progressivamente a usare indicatori geografici fondamentali ed espressioni tradizionali utilizzati per i vini dell’Ue. Questo risultato è di vitale importanza per i produttori europei”.

L’accordo prevede la protezione immediata di altre indicazioni geografiche dell’Ue usate per i vini. Per alcune denominazioni è stato concordato un periodo di transizione. In particolare, a partire dal 1° settembre 2011, vale a dire un anno dopo l’entrata in vigore dell’accordo, i produttori australiani non potranno continuare a utilizzare certe importanti denominazioni tipiche dell’Ue quali “Champagne”, “Porto”, “Sherry” e altre indicazioni geografiche europee, fra cui alcune espressioni tradizionali quali “Amontillado”, “Claret” e “Auslese”.

Il nuovo accordo protegge il regime di etichettatura dei vini dell’Ue elencando le menzioni facoltative che possono essere utilizzate per i vini australiani (per es. indicazioni riguardanti le varietà di viti usate, i premi e le medaglie ottenuti o i concorsi vinti oppure un colore specifico, ecc.) e regolamentando l’indicazione delle varietà di viti sulle etichette dei vini.
Il nuovo accordo delinea inoltre le condizioni che i produttori vinicoli australiani devono rispettare per continuare a usare un certo numero di termini per vini di qualità, fra cui “vintage”, “cream” e “tawny” per descrivere i vini australiani esportati in Europa e venduti sul mercato nazionale.

L’accordo è stato firmato a Bruxelles il 1° dicembre 2008. Il 27 luglio 2010 le autorità australiane hanno informato l’Unione europea di avere completato le procedure di ratifica necessarie.
Nel 2009 le esportazioni di vino dall’Ue verso l’Australia hanno rappresentato 68 milioni di euro, mentre quelle dall’Australia verso l’Ue sono state pari a 643 milioni di euro.


Metti una sera a Castelvenere tra vignaioli e vini del Sud - 2° tempo


Non potevo finire il mio report da Castelvenere col precedete post perchè a fine Agosto, nel Sannio beneventano,si beve veramente bene. Segnalazione d'obbligo, pertanto, per le seguenti cantine.

Cantine Luigi Tecce – Paternopoli (Avellino): è uno dei nuovi volti dell’aglianico, anarchico ed imprevedibile, coltiva i suoi quattro ettari di vigneto in zona Taurasi come si faceva una volta, nella classica forma della raggiera avellinese, viti del 1930 dalle quali possono nascere due tipologie di vino: Poliphemo o Satyricon. Il primo se è figlio di annate ricche ed opulente, il secondo se nasce da annate che rendono il vino più bevibile nell’immediato. A Castelvenere  ho avuto la fortuna di assaggiare il Poliphemo 2006, un vero “coup de coeur” per dirlo alla francese, un Taurasi come pochi me ne ricordavo, potente ed avvolgente nello stesso tempo che, didatticamente, fa capire a tutti, principianti ed esperti, come deve essere un grande vino. Il miglior assaggio della giornata senza dubbio. 

Luigi Tecce in posa per noi
Nanni Copè – Vitulazio (CE): di Giovanni Ascione ne avevo parlato ampiamente durante il mio report sul Vinitaly. E’ stato un piacere incontrarlo di nuovo qua, soprattutto è stato una soddisfazione degustare di nuovo assieme il suo Sabbie sopra il bosco 2008 (Pallagrello Nero, Aglianico e Casavecchia) che, come sempre, incanta il mio palato per le sue evidenti note di fiori rossi macerati, frutti di bosco, cannella, chiodi di garofano e terra vulcanica. Se lo assaggerete anche una sola volta non lo dimenticherete. 

Ah, Giovanni Ascione è questo simpatico signore… 




Azienda Agricola Gennaro Papa – Falciano del Massico (Caserta): l’azienda, che affonda le sue radici nei primi anni del ‘900, è condotta da Gennaro Papa e da suo figlio Antonio. I vigneti, 4 ha in totale, sono ubicati nelle colline argillose del comune di Falciano del Massico. Su questi generosi terreni spicca una vigna di Primitivo con cui si produce il Campantuno - Falerno del Massico Doc, vino di origini antichissime, apprezzato dagli antichi romani, che ne garantivano l’origine e l’annata, e lodato da Plinio, Orazio e Cicerone.
Il Campantuono 2006 degustato a Castelvenere è il figlio della tradizione associata all’innovazione che ha portato l’azienda, a partire dal 1990, a ridurre le rese (ora siamo a circa un Kg per pianta) e ad usare la barrique per la maturazione del vino (almeno 13 mesi) che, lo scrivo prima che lo pensiate, non ha un tratto spiccatamente moderno nonostante sia ricco e potente.
Del Falerno del Massico di Antonio Papa mi ha affascinato la dolce eleganza del naso, un mosaico di frutta rossa matura, fiori, spezie, note balsamiche ed eteree, e l’opulento equilibrio gustativo, dove tutte le sensazioni, dure e morbide, sono ai massimi livelli senza però creare problemi alla bevibilità finale del primitivo che rimarrà per tanto, tantissimo tempo tra i vostri ricordi gustativi.

E questo è Antonio….

Il bottone di voto di Wikio


Guardate bene questo bottone!!


Da ora in poi sul mio blog, alla fine di ogni articolo, troverete questo pulsante che vi permetterà di votare gli argomenti più interessanti di Percorsi di Vino per portarli in evidenza su Wikio,  il sito più importante d'attualità dei blog.

Grazie

Metti una sera a Castelvenere tra vignaioli e vini del Sud - 1° tempo

E’ sempre bello tornare a Castelvenere, in questo paesino a pochi passi da Benevento si respira ancora un’aria rurale, d’altri tempi, dove ogni movimento, anche il più semplice, è fatto con lentezza, ponderato, perché l’orologio del contadino scorre lento, nulla si butta e nulla è lasciato al caso. 
Pochi banchetti al centro del paese hanno ospitatato i produttori facenti parte della locale Fiera del Vino a cui si sono aggiunti, per il secondo anno consecutivo, quelli selezionati da Pignataro & Co. appartenenti alla “squadra” dei “Grandi Vini da Piccole Vigne”, piccola fiera nella fiera dove si mostra in tutto il suo splendore tutta la biodiversità enologica del Sud Italia.
All’interno di questa festa antiparkeriana molti sono stati i vignaioli e i vini di frontiera da me apprezzati e selezionati, una sorta di Best of The Best che troverete dettagliato nelle righe seguenti, "interviste" comprese.....

‘A Vita – Cirò Marina (Crotone): Francesco de Franco l’ho conosciuto a Roma a Dicembre 2009 quando, in tour per l’Italia, stava facendo conoscere il suo gaglioppo in purezza, ‘A Vita, di cui ho tessuto lodi sperticate in questo articolo. A Castelvenere non ho potuto far altro che confermare quella emozione. Anzi, qualche mese di affinamento in più ha reso sicuramente ancora più complesso il vino. Durante la serata Francesco, accompagnato dalla sua Laura, mi ha fatto provare un nuovo vino, l'F37 P26, altro gaglioppo in purezza da vigne giovani la cui particella catastale è anche il nome del vino. Grande riuscita anche questa, si sente la gioventù della vite ma i profumi e la tensione del vino sono davvero esaltanti. Avanti così!


Azienda Agricola Bonavita – Faro Superiore (Messina): questa piccola azienda, incastonata in una lingua di terra chiusa tra il mar Tirreno e il mar Ionio, che si specchia nello Stretto di Messina, produce un Faro (Nerello Mascalese, Nerello Cappuccio e Nocera) di grande espressione territoriale. L’annata 2007, abbastanza calda da quelle parte, dà vita ad un vino molto verticale, frutta e spezie scure sono i principali descrittori di un vino che dovremmo aspettare più degli altri per placare il suo lieve eccesso di alcol. 
Il Faro Bonavita 2008, invece, è un piccolo gioiello già pronto, profuma di frutta di rovo, di fiori rossi, di minerale, di spezie esotiche. E’ un vino che mi fa pensare a terre lontane, la sua balsamica eleganza e setosità mi fanno tornare in mente il Marocco, le sue stoffe e i suoi arredi. Non mi sono fumato qualcosa di strano ma certi odori li riconduco alle mie esperienze di viaggio. So strano eh!!???



Azienda Agricola Ciro Picariello – Summonte (AV): qua c’è poco da dire, il Fiano “made in Summonte” prodotto da questo piccolo vignaiolo campano è uno dei più grandi vini bianchi d’Italia, senza se e senza ma. Il millesimo 2007 è ancora tanto giovane, lo dice lui stesso, ma a me e ai miei compagni di bevute è piaciuto un sacco questo Fiano dalle evidenti note minerali, c’è chi scrive fumè, che ha nella vena acida e nella persistenza finale il vero nirvana enologico. Alla faccia di chi beve solo l’ultima annata perché le altre sono “vecchie”!

I coniugi Picariello

L'attesa del buon vino


«Si dice che l'attesa sia lunga, noiosa. Ma è anche, in realtà, breve, poichè inghiotte quantità di tempo senza che vengano vissute le ore che passano e senza utilizzarle.»
 
Thomas Mann

Ci sono vini che nascono e passano in un istante, semplici e fugaci comparse in bicchieri distratti che nessuno si volterà a cercare. 
Ci sono vini che si attendono, impazienti facciamo finta di non guardare il calendario sulla nostra parete, le date significative hanno un cerchietto rosso fatto col pennarello rubato dalla scrivania del nostro produttore di riferimento.
A volte è simpatica la vita del wine blogger, i vignaioli ci considerano grandi esperti, grandi palati, altrimenti nessuno ci farebbe degustare in anteprima le loro creature ancora in affinamento. E’ un grande privilegio assaporare il vino che ancora smania in botte o in acciaio, è come un neonato i cui gesti devono essere attentamente valutati per capire in prospettiva che uomo sarà. Difficile, a volte, confessare al genitore che, secondo la propria opinione, quel bambino non diventerà mai Einstein. Bellissimo, invece, essere il padrino enologico di un presente e futuro capolavoro.
Tra qualche mese l’attesa finisce, strapperò il calendario, quei vini che mi avevano emozionato degustandoli “en primeur”, in cui spero e ho sperato, vedranno la luce del mercato, potranno essere apprezzati da tutti.
Basta preamboli, tiro fuori i nomi.
 
Coletti Conti – Hernicus 2009: sarebbe facile, facilissimo, parlare del Romanico 2008 che anche quest’anno ha tutte le carte in regola per diventare uno dei migliori rossi d’Italia. Nel 2009, però, questo grande cesanese non verrà prodotto, Antonello non lo ritiene all’altezza, per cui tutte le uve verranno convogliate per la produzione del suo “fratellino minore”, l’Hernicus, che rappresenterò all’uscita uno dei migliori vini col rapporto q/p in circolazione (stiamo sotto i 10 euro). Parliamo di un vino stupendo che che profuma Mediterraneo e di Oriente. Dovrebbe essere il vino quotidiano di tutti.


Monteraponi - Chianti Classico Riserva Baron Ugo 2006: Michele Braganti nella sua cantina probabilmente ha il Chianti Classico che chiude il cerchio, sicuramente il mio punto di riferimento tra i sangiovese di Radda in Chianti. Vino spettacolare, da vecchie vigne poste in altura, se lo versate nel bicchiere dopo un minuto la vostra stanza odorerà di fiori rossi, arancia amara e spezie. Raddese nell’anima con la sua vibrante acidità, è un Chianti che non smetteresti mai di bere. Commovente.
 
Podere San Lorenzo – Brunello di Montalcino 2006: insieme a “Le Ragnaie” (di cui parlerò approfonditamente a Settembre), San Lorenzo è una delle mie piccole aziende di riferimento del territorio ilcinese. Dagli assaggi in botte ho potuto notare che 2006, 2007 e 2008 sono tre buone/ottime annate a Montalcino. Luciano Ciolfi, da bravo interprete del sangiovese, ne ha approfittato sfoderando un Brunello annata davvero emozionante anche se il vero pezzo forte uscirà nel 2012 con una Riserva 2006 che, e qui mi sbilancio, rappresenterà un punto di riferimento per molti. L’attesa sta per finire.
 
Cascina I Carpini - Bruma d'Autunno 2007 Riserva Speciale "2012 La fine del Mondo": figlio di una selezione di grappoli provenienti dalla vendemmia di sole vigne vecchie, già dal nome si capisce che questo è un vino speciale. Dopo averlo sentito in vasca lo scorso anno, ho capito che questa era il mio barbera. Paolo Ghislandi ha fornito a questo vitigno complessità e profondità rilanciando quello che, prima del Bruma d’Autunno, era un “semplice” vino da tavola. Prenotatelo, non vi pentirete.

Paolo Ghislandi

Gianfranco Fino - ES 2010: ci vorranno ancora due anni per far uscire questo gioiello, le uve che stanno raccogliendo sono le migliori mai avute nella sua (breve) carriera di produttore di vino. Tanta polpa ed equilibrio già sono presenti nell'acino. E se lo dice lui che sarà fantastico, c'è da crederci no?

Pochi Grilli per la testa a La Palazzola


Vascigliano di Stroncone, in provincia di Terni, rappresenta il piccolo regno di Stefano Grilli, il deus ex machina de “La Palazzola”, un baluardo enologico che si inspira ad una ricerca continua di qualità, alla curiosità di sperimentare nuove tecniche ormai dimenticate, alla capacità di saper “raccontare” i suoi vini come qualcosa di animato, qualcosa che fa ricordare di se. 

L'azienda
Venticinque ettari vitati situati su una collina molto dolce con terreni ricchi d’argilla a tessitura compatta con esposizione a sud – sud ovest,  più di venti tipologie di vino diverse, anche questo è un merito di Grilli che definisce la situazione attuale "work in progress", ogni anno sapori nuovi, nuove sperimentazioni, nuovi vini e uve locali da valorizzare.
La Palazzola, così come specificato nel sito internet aziendale, ha un indirizzo prevalentemente rossista anche se, e qui arriviamo al cuore della degustazione effettuata, non disdegna di “creare” vini passiti e, soprattutto, grandissimi spumanti metodo classico.
La caratteristica più curiosa è quella di utilizzare un antico metodo chiamato “metodo ancestrale” consistente nel bloccare la fermentazione alcolica tramite uno scambiatore a freddo per far sì che la presa di spuma sia ottenuta dai zuccheri provenienti dall’uva di partenza.

La Cantina
Il Sangiovese Brut Rosè 2006 de “La Palazzola” rappresenta, insieme al loro Riesling Brut, il punto più alto della loro produzione spumantistica e si presenta nel bicchiere di color rame, brillante ed elegante col suo olfatto giocato su toni di confetto, violetta, ribes, melograno, petali di rosa e melone bianco.
Bocca fresca, sapida, molto pulita ed in armonia col il naso. Uno spumante da tutto pasto che qualcuno ha indicato come perfetto alleato per una carbonara da sballo. Costo allo scaffale circa 15 euro. In futuro spero di provare tutta la produzione di Stefano Grilli, penso mi aspettino molte sorprese…

Sangiovese Brut Rosè

Forbici mafiose a Poggio Velluto - l'intervista ai proprietari


Lascio spazio all'intervista ai titolari di Poggio Velluto.

I fatti e il dolore parlano da soli.




Intervista di Tv9 Telemaremma

Grandi vini da piccole vigne 2010. E io faccio il bis!!


Oggi tornerò con piacere a Castelvenere (BN) per la seconda edizione di Grandi Vini da Piccole Vigne, uno dei pochissimi, se non l'unico, festival del Sud dedicato alla biodiversità enologica.


Ecco le Piccole Vigne ospiti della Manifestazione di quest’anno:

Azienda Agricola Ciro Picariello – Capriglia Irpina (Avellino)
Cantina Contrada Salandra – Pozzuoli (Napoli)
Azienda Agricola La Sibilla –Bacoli (Napoli)
Cantina Bambinuto – Santa Paolina (Avellino)
Cantine Luigi Tecce – Paternopoli (Avellino)
Nanni Copè – Vitulazio (Caserta)
A Vita di Vigna De Franco – Cirò Marina (Krotone)
Azienda Agricola Bonavita – Faro Superiore (Messina)
Azienda Agricola Gennaro Papa – Falciano del Massico (Caserta)
Cantina dei Monaci – Santa Paolina (Avellino)
Cantina del Barone – Cesinali (Avellino)
Tenute del Fasanella – Sant’Angelo a Fasanella (Salerno).

Programma
Venerdì 27 Agosto
Ore 18,00
Palio della “Barbera Contadina”
Degusta con il gruppo Slow Wine Campania
Posti limitati – Prenotazione obbligatoria*

Ore 20,00
Apertura Banchi d’assaggio

Ore 23,30
Piccole Vigne Music Fest
DJ Set Salvatore Magnoni from Rutino
Il dj in vigna

Per info e prenotazioni Palio della Barbera Contadina: Pasquale Carlo 3297333423

Come sempre grazie a Luciano Pignataro e Mauro Erro per l'organizzazione. 

Seguite Percorsi di Vino per tutti gli aggiornamenti.  A presto!

Poggo Velluto e la mafia in vigna


Sono senza parole, ho letto la notizia sul blog di Davide Bonucci che a sua volta ha ripreso questa notizia sul Tirreno. In pratica l'azienda Poggio Velluto, sita a Seggiano, sul Monte Amiata, in provincia di Grosseto, non ha più un vigneto.

Poggio Velluto
Qualche bastardo con forbici laser ha distrutto ogni pianta, 2700 viti  sono state tagliate fin sotto l'innesto, sottto terra, alle radici.

vite recisa
Queste viti non cresceranno mai più e l'azienda, è facile comprendere, ha avuto un danno decine di migliaia di euro. Un’enormità per una piccola azienda che proprio quest’anno aspettava la gloria di imbottigliare, per la prima volta, il Montecucco doc e rientrare dell'investimento.
Secondo il Tirreno sarebbero stati tre, forse quattro attentatori che hanno impiegato due ore, tra venerdì e sabato, per recidere circa 2700 viti in un'azienda agricola di Seggiano usando delle forbici laser. È questa la ricostruzione dei carabinieri del nucleo investigativo al termine dei tre sopralluoghi effettuati negli ultimi giorni.

Ora gli investigatori scavano nel passato dei proprietari e nelle persone che ultimamente si erano fatte avanti per rilevare l'azienda. E intanto emergono due episodi inquietanti: il giorno dell'attentato i cani dell'azienda vicina sono stati uccisi, cani che che non avrebbero fatto la guardia soltanto alla loro azienda, ma che stavano in un pezzo di terra al confine con quella dove la vigna è stata completamente distrutta.
Cani quindi, che avrebbero potuto abbaiare, per avveritre e che avrebbero fatto scattare l'allarme se durante la notte qualcuno si fosse avvicinato a quegli appezzamenti di terreno
La proprietaria del fondo fortunatamente andrà avanti nel suo lavoro, non cederà all'intimidazioni di qualche mafioso interessato al suo fondo.

vite recisa
Insieme all'Enoclub Siena cercheremo di organizzare qualche iniziativa di sostegno, voi, se potete, comprare il loro vino o andate nel loro agriturismo. 

Il minimo è fornire loro sostegno morale!
 

I "cosi" del vino


Cosa è sto coso?


Dicono che serve a mantenere fresco il vino, dicono che i piccoli fori disposti sulla parte superiore creano un sistema di ventilazione e di protezione del vino contro agenti esterni, dicono che per realizzarli sono stati usati materiali preziosi come oro, platino e diamanti incastonati nella parte centrale. 
Dicono che Eckhart Cullman, che lo ha progettato, vuole indietro tra i 2.845 dollari e i 4.453 dollari per vendervi sto coso. 

Costano così care le padelle per fare le caldarroste?

Da Homo erectus a...Vino erectus


Franco Ariano, assicuratore di Cattolica, è una sorta di Eugène Dubois della viticoltura perché quello che andremo a descrivere, se confutato scientificamente, potrebbe essere una sorta di piccola “rivoluzione verde”.
Oggi parleremo del c.d. “metodo erectus” col quale quest’anno verrà prodotto il primo vino da “grappoli erectus”, cioè da grappoli che nascono e crescono dall’alto verso il basso, come Madre Natura vorrebbe.


Secondo Ariano, la pianta della vite, essendo un rampicante, striscerebbe a terra alla ricerca di un albero da colonizzare su cui crescere. Nel corso dell'evoluzione, per evitare che i grappoli marcissero a terra, l'uomo ha pensato di venirle in aiuto costruendole filari e pergolati. Un aiuto però incompleto, a detta di Ariano, perché nessuno ha mai pensato di aiutare anche i grappoli, oltre che il fusto della pianta e i germogli, a guadagnare la posizione verticale.
Come si può vedere nella fase della nascita, i grappoli di uva, nella maggioranza dei casi, nascono rivolti e tendenti al cielo ma, durante la maturazione, a causa dell’ aumentare del loro peso, questi grappoli calano verso il basso, curvano il rachide che li sostiene e nel punto di curvatura si creano degli ingrossamenti , che uniti alle depressioni vascolari interne , sempre in quel punto, ostacolano la fluida circolazione e lo scambio della linfa tra pianta e grappolo.


Per permettere un migliore scorrimento delle sostanze nutritive Ariano ha messo i grappoli all’insù, capovolgendo la tipica struttura a piramide rovesciata che si forma nella crescita, non grazie ad una magia ma attraverso semplici spirali di metallo e sistemi di ancoraggio telescopici.

Così come l’uomo scimmia si e’ evoluto in Homo erectus, da oggi potremo passare dal grappolo scimmia al grappolo “erectus”.

Il metodo, che a più di qualcuno ha fatto storcere il naso, sembra però il preludio ad un’operazione di marketing che porterà a vendere vino “erectus” a oltre 2000 euro a bottiglia.
Tutto il metodo di produzione, infatti, sembra essere curato nei minimi dettagli, anche troppo. La fermentazione, alcolica e malolattica, avviene con reale selezione manuale, uno ad uno, dei migliori acini, senza l’ inoculo di lieviti alloctoni. La vinificazione prevede l’uso di pregiatissime  anfore  in vetro farmaceutico ad uso alimentare, appositamente realizzate per il vino “erectus”, mentre per la maturazione e l’affinamento si è previsto l’utilizzo di in piccole anfore, interrate in grotta, realizzate in vetro farmaceutico ad uso alimentare. Totale assenza di prodotti chimici.


Le prime cento bottiglie, e qua arriviamo alla parte più frivola del progetto, verranno vendute all’interno di apposite casseforti appositamente create per il vino in modo tale che questi, in ogni occasione, sia dotato di giusta temperatura (attraverso l’uso di impasto che avvolge la bottiglia composto dai diversi terrori di origine), corretta umidità (attraverso l’uso i 2 sfiati laterali e ad un sistema idraulico interno a ciascuna cassaforte, alimentato ogni 2 anni circa dal proprietario, mediante la pompa in dotazione annotando sul lato della cassa, sia data che quantità di acqua aggiunta), assenza di luce e di rumori, assenza di vibrazioni ambientali (attraverso l’uso della tecnica del disaccoppiamento) e protezione (attraverso l’uso di una robusta serratura a doppia mappa con sei leve asimmetriche).


Finisce qua? No! Ogni cassaforte, dal peso di oltre 30 Kg, ha in dotazione alcuni strumenti, ideati appositamente, per poter gestire il progetto “erectus”: prima di tutto la pompa/siringa che permette l’alimentazione periodica del sistema idraulico regolatore di temperatura ed umidità, poi lo speciale cavatappi estrattore, notevolmente più lungo, ricavato da barre piene di ottone nichelato senza il quale sarebbe impossibile aprire la chiusura della bottiglia “erectus”ed, infine, il coltello/spazzola e il ditale in pelle di protezione del pollice utili alla rimozione della gomma/cera lacca a protezione della chiusura della bottiglia.


Basta vedere questo video per capire di cosa sto parlando.

Ah, e se dopo aver speso 2.500 euro il vino “erectus” fa schifo? Usate l’apposita cassaforte, semplice no?!?