- rivalutazione del vino base: fino a qualche anno fa questa tipologia di vino era messa in damigiana e aveva caratteristiche organolettiche di scarsa qualità. Oggi, invece, sempre più cantine producono ottimi vini dal rapporto q\p eccezionale. Non è più una vergona andare dal piccolo produttore e chiedere per il nostro uso quotidiano il vino base, soprattutto se ha la complessità e la qualità totale dei vini in guida;
- concetto di locale: i consumatori devono essere spinti ad andare a comprare i vini direttamente dal produttore dando vita, in tal modo, ad una vera e propria economia locale. Questa idea di fondo è ben collegata al concetto di territorialità del vino;
- prezzo delle bottiglie inferiore alle 10 euro franco cantina: rispetto alla guida passata si è alzato il limite massimo di due euro e questo per il solo motivo di permettere anche alla aziende che sostengono, a parità di fattori, più costi delle altre (vedi ad esempio quella che fanno viticoltura eroica) di entrare in guida con vini di grande personalità.
- giudizi finali: espressi in stelle, da uno a due, ed etichette, massimo punteggio attribuito al vino quotidiano. Le cantine segnalate, di cui si raccontano la storia e lo stile di produzione - spiegano Gariglio e Giavedoni - sono 1700: per ognuna di queste sono indicati fino a tre vini con un rapporto molto favorevole qualita'-prezzo. Tra queste 4 mila etichette, 300 si sono aggiudicate il nostro massimo riconoscimento.
- dati delle aziende: forniti direttamente dai produttori in modo tale che si possa instaurare un rapporto di fiducia con Slow Food e, soprattutto, con il consumatore finale che poi dovrà giudicare l'attendibilità o meno degli stessi.
Wine Show di Torino - Slow Food presenta la Guida al Vino Quotidiano 2010
Percorsi di Vino al Wine Show di Torino
La risposta è sì, dopo una serie di degustazioni dei prodotti distribuiti da Davide Canina, posso dire che ho trovato qualcosa di interessante e dallo strepitoso rapporto qualità prezzo.
Due nomi su tutti: Terre di Gratia, un'azienda situata nel cuore della Sicilia Occidentale, sulle rive del fiume Belice Destro, che ha presentato un Nero d'Avola Don Sasà 2006 che mi ha davvero stupito: vinificato solo in acciato è un vino lontano dalla mode, da tutti quei Nero d'Avola di pessima qualità che girano, o hanno girato, nei peggiori wine bar d'Italia. Naso di grande austerità, scuro, i profumi sono di cuoio, terra, spezie nere, prugna della California. Bocca molto espressiva dove ritornano alla grande le sensazioni olfattive. Un vino che mi ha colpito molto per la sua vena acida che garantisce una bellissima bevibilità. Costo? circa 5 euro...
Altro nome che voglio consigliare è l'azienda "Erede di Chiappone Armando", un’azienda a conduzione familiare di Nizza Monferrato che produce ogni anno circa 30.000 bottiglie di due selezioni di Barbera: la ‘RU’, che si può fregiare della prestigiosa sottozona NIZZA ed è affinata per 12 mesi in legno, e la ‘BRENTURA’, affinata circa un anno in vasche di acciaio. Il primo vino, un 2004, è davvero un grande barbera, di una beva fantastica grazie ad una spina acida di grande classe. C'è tutta l'essenza di un vino conviviale ma che al tempo stesso non rinuncia a qualità e finezza. Il Brentura, invece, lo commenterò domani visto che ha vinto anche la stella Slow Food.
Questo week end non perdiamo il Wine Show di Torino
Molte e di rilievo le degustazioni in programma con i Laboratori del Gusto di Slow Food: a cominciare da 1999, il Barolo del Millennio, dedicata all’ultima vendemmia del secolo; La terza via, un confronto-degustazione tra aziende che praticano la viticoltura sostenibile; I segreti del legno, condotta dal famoso consulente Joseph Nicastro, che verte sugli effetti dei diversi tipi di tonneaux; I vini del Patron, ovvero le etichette del cuore di due famosi chef, Maurilio Garola della Ciau del Tornavento di Treiso e Piero Alciati di Guido di Pollenzo.
Da non perdere la Grande Degustazione verticale dedicata a Franco Biondi Santi, un mito dell’enologia italiana: alla presenza di questo grande personaggio, un assaggio irripetibile delle migliori annate di Brunello di Montalcino degli ultimi 40 anni: 1968, 1970, 1983, 1998, 2001 Riserva. Proprio a Franco Biondi Santi sarà assegnato nella rassegna uno speciale "Premio alla Carriera”.
Altro momento esclusivo, la presentazione, in anteprima, della nuova Guida al Vino Quotidiano 2010, naturalmente firmata Slow Food, che seleziona e raccoglie tutte le migliori etichette al di sotto dei 10 euro. E ancora, per un viaggio tra le migliori ricette del Belpaese, ecco la Piazza dei Sapori, che comprende l’Osteria con le cucine regionali, il Bistrot e l’Enoteca del Vino Quotidiano, con oltre 250 etichette in assaggio.
Nel Wine Show anche due convegni, che affronteranno importanti tematiche del mondo dell’enologia: il primo sarà una riflessione sul futuro del vino, tra sovrapproduzione, prezzi e mercato; il secondo convegno si focalizzerà sul tema del bere consapevole, in particolare sul delicato rapporto bere-guida. A condurlo il giornalista e “gastronauta” Davide Paolini.
Ma Torino conferma anche un’anima professionale, con il Wine Forum – the Wine Show Business Area, lo spazio dedicato all’incontro tra domanda e offerta, momento imperdibile per le agende dei professionisti del settore, per appuntamenti con produttori (solo per citarne alcuni, dall’importante cooperativa trentina Cavit alla griffe siciliana Donnafugata, ai “dolci” Consorzio dell’Asti e del Brachetto, a tante cantine piemontesi), importatori, distributori, ristoratori e giornalisti. L’attenzione sarà sui mercati tradizionali quali Inghilterra, Spagna, Germania, USA e Canada, ma i riflettori saranno puntati sui nuovi mercati (Russia, Dubai e Sud Africa) e verso l’Asia (India, Singapore, Giappone, Corea del Sud).
Il Wine Show vedrà, in contemporanea, anche Dolc’è, il Salone dell'Arte Dolciaria, dalla pasticceria alla gelateria, dalla confetteria al caffè bar con stand, eventi, degustazioni e un particolare focus sugli abbinamenti vino-dolce. Da non perdere – a cura dell’Associazione Arte in Tavola – le lezioni sulla preparazione di sfiziosi cocktail, rigorosamente a base di vino.
L'Amarone Trabucchi 2003 ha sancito l'amore tra George Clooney ed Elisabetta Canalis....
Così dopo l'ufficialità della sfilata sul tappeto rosso del Lido di Venezia, che ha consacrato la più chiacchierata storia d'amore della scorsa estate, c'è stata anche l'intimità di una romantica cena sulla terrazza dell'Hotel Cipriani, sull'isola della Giudecca. È uno dei luoghi più esclusivi al mondo, frequentato dai vip che vogliono discrezione e intimità.
Il settimanale «Gente» ha avuto l'esclusiva del servizio e l'inviato Andrea Tomasi non ha perso l'occasione per una sbirciata: «I protagonisti della passione del momento, quella di cui tutti vogliono sapere tutto, hanno appena sfilato per la prima volta insieme sul tappeto rosso della Mostra del cinema e ora siedono a un tavolo rotondo, tovaglie bianche fino a terra e luci di candele. Sono soli, George ed Elisabetta, il mondo e i flash fuori, gli occhi negli occhi. Parlano fitto e lo fanno sottovoce. Impossibile sentire quello che dicono, impossibile non vedere quello che mangiano: insalata di sedano bianco e coda di astice come antipasto, poi pennette rucola e pomodoro, vitello agli agrumi e semifreddo al mango e cocco. Il tutto accompagnato da una bottiglia di Amarone Trabucchi 2003 e sorrisi di denti bianchi.
Tenuta La Giustiniana: verticale storica di Gavi 1998-2008
Montessora 2008: giovane e prorompente, si caratterizza per sensazioni di susina, pera abate, mela, biancospino e un delicato tocco minerale. In bocca entra morbido anche se cede quasi subito il passo ad un attacco acido corroborato da una sapidità che lascia la bocca leggermente salina. Finale ammandorlato.
Montessora 2007: al naso stavolta la fanno da padrone i toni floreali subito accompagnati da una frutta a polpa bianca e da una vena minerale che col passare del tempo assume toni agrumati. Bocca di grande morbidezza (c’è più alcol rispetto al 2008) che cede leggermente in acidità rispetto all’annata precedente. Sintomo di un invecchiamento già visibile? Vediamo se le annate successive avranno questo trend;
Il Nostro Gavi 2006: cambiamo tipologia ma non livello emozionale, qua la nota olfattiva principale è un fresco minerale che arriva ai toni della silice, della pietra focaia, sensazioni che cedono gradualmente il passo ad un fruttato ed ad un floreale bianco. Palato sapido, di grande spessore acido, bella struttura. Dei tre Gavi sembra decisamente il meno vecchio. Trend non confermato…
Montessora 2005: i colori si fanno più carichi, le sensazioni olfattive più mature ed esce un bellissimo soffio di macchia mediterranea. Al palato la mineralità si trasforma subito in sapidità, talmente importante che stavolta l’acidità le fa da stampella. Un Gavi di grande vivacità, struttura e che lascia il cavo orale con una gradevole scia di ginepro e mela golden;
Il Nostro Gavi 2004: ancora una volta questo vino spicca per mineralità da pietra focaia, per note ferrose e per un impatto fruttato maturo. Un vino che sembra provenire direttamente dal terreno. In bocca torna alla grande, tutto è incentrato sulle note acido-sapide, la morbidezza arriverà col tempo..
Montessora 2003: annata calda, difficile, anche se questo Gavi si difende con un naso maturo ma non cotto e una bocca di grande morbidezza che riesce a bilanciarsi soprattutto grazie alla sapidità del vino. Un Gavi ben fatto, si vede che hanno lavorato bene sia in vigneto che in cantina. Il Nostro Gavi 2002: altra annata difficile e altro vino che comunque è riuscito bene soprattutto grazie ad un complesso minerale, che ritorna, che sfuma in tutte le sue declinazioni. Non è particolarmente complesso anche se, bevendolo, è fresco e piacevole grazie alla sferzante spina acida. Sicuramente il vino più pronto e godibile;
Montessora 2001: la grande maturità del vino si estrinseca in un quadro olfattivo caratterizzato da aromi di mela golden matura, frutto della passione, albicocca matura, fiori gialli appassiti. Bocca di grande struttura, raffinata, il vino si espande in bocca e la sapida mineralità rappresenta la chiosa di un sorso fresco e integro. Bella la persistenza. Ancora un volta un vino che, nonostante il naso, sembra di grande giovinezza;
Montessora 2000 (da Magnum): la vera sorpresa della serata, sarà che il vino proveniva da una magnum ma, se lo avessimo bevuto alla cieca, avremmo detto che si trattava forse dell’ultima annata in commercio. Il colore è giallo paglierino non carico, il registro olfattivo è fresco, ci troviamo la pesca, la pera, i fiori di campo, un delicato minerale. La bocca è viva, sapida, elegante, di grande equilibrio tra morbidezza e acidità. Grande vino che ha stupito anche chi lo ha prodotto!
Montessora 1999: un vino la cui nota ossidativi/evolutiva è percepibile, il tema olfattivo è delineato dalla maturità della pesca e della mela, escono i fiori appassiti e la macchia mediterranea. Al palato l’attacco morbido è subito bilanciato dalla vena acida che, come è accaduto anche con gli altri vini, mette la freccia donando freschezza e grande beva. Bella persistenza finale.
Montessora 1998: il vino più maturo e, forse, dal quadro aromatico più suadente: cotognata, frutta tropicale matura, miele, caramella d’orzo, pesca sciroppata, spezie orientali e piacevole mineralità. In bocca c’è tutta l’eleganza del tempo che passa, abbiamo di fronte una signora di mezza età che è ancora affascinante nonostante i capelli grigi. La struttura non cede nulla, soprattutto la vena acida è ancora viva, fresca e propulsiva. Chiude con bei ricordi di frutta matura e bouquet di fiori gialli. Un ottimo Gavi che potrà andare avanti ancora per qualche anno.
Conservare lo Champagne? Ci pensa Porsche...
Proprio per questo motivo Veuve Clicquot ha creato, grazie alla collaborazione dei tecnici del Porsche Design Studio, Vertical Limit, una vera e propria cantina anche se in senso moderno, molto elegante e raffinata, in cui conservare le singole bottiglie di pregiato champagne nelle condizioni ottimali.
In questo caso il concetto di cantina, di solito un luogo buio ed angusto, dal quale tenere lontani gli ospiti, viene completamente ribaltato, visto che Vertical Limit rappresenta un elemento di arredo che invece va mostrato a tutti.
La struttura, costruita interamente in acciaio e alta 1,80 metri, può ospitare fino a 12 bottiglie disposte in senso orizzontale; il materiale utilizzato è acciaio assemblato a mano, mentre all’interno la temperatura costante sarà di 12 gradi centigradi come nelle blasonate cantine francesi.
Vertical Limit sarà prodotto in edizione limitata, soltanto 25 pezzi, e sarà acquistabile esclusivamente nei Porsche Design Store di New York e Los Angeles ad un prezzo di 70.000 dollari (una schiocchezzuola..).
Ma con tutti quei soldi non mi affitto a vita una sana e "vecchia" cantina di tufo??
Le sagre enogastronomiche hanno ancora senso? Il caso della sagra del vino di Marino..
- solo due su tre sono autentiche, le altre sono “false“ sagre e propongono prodotti o piatti che non sono del territorio;
- non c’è alcuna attenzione alle questioni ambientali o di igiene;
- si crea danno alla ristorazione per via di una concorrenza a volte “troppo” sleale. I menù, infatti, durante queste feste vengono proposti dalle Pro loco a prezzi popolari grazie alla minor presenza di costi e tasse;
- a volte gli incassi non sono destinati a fini umanitari ma vengono destinati ad “altro”;
Ma perché sta Percorsi di Vino si interessa delle sagre ora? Semplicemente perché non capisco il senso della Sagra del Vino di Marino. Sicuramente è una delle sagre italiane più antiche, sicuramente è territoriale e tutto quello che volete però, e qualcuno me lo spieghi, che vantaggio può dare, oggi, al mondo del vino, soprattutto laziale? Il nostro vino, quello della mia Regione, è poco considerato sia dalle guide sia dagli addetti ai lavori (sommelier, ristoratori, etc.), il vino dei Castelli Romani è in piena crisi, nel Lazio, secondo le ultime statistiche, c’è mediamente una resa per ettaro di oltre 120 quintali. La sagra del vino dovrebbe, pertanto, essere un’occasione per tutti i produttori di presentare i loro vini, di far vedere alla gente che, forse, si sta facendo qualcosa di buono, che qualcosa si sta muovendo, che ci sono giovani vignaioli che stanno percorrendo una strada diversa dai loro nonni. Le cose però stanno diversamente, nulla viene valorizzato, durante la festa il vino migliore che puoi bere, spesso gratis, è appena migliore di quello che compri presso il peggiore discount, per la rievocazione del corteo storico vengono invitati come star di eccezione Costantino Vitagliano e Sara Varone ed Eva Henger.
Di cosa stiamo parlando allora? Di rilanciare e valorizzare un territorio ed un vino?
Il corso sul sangiovese regala un'altra perla: Podere Il Palazzino - Grosso Sanese 2004
Con la vendemmia '81 nasce il Grosso Sanese, da una piccola grande vigna di circa due ettari attigua al fabbricato aziendale. Il terreno ha una bellissima esposizione a sud-sudest, il suolo è calcareo di medio impasto e composto principalmente di alberese e galestro; le viti vengono potate con il metodo a cordone speronato, con un numero massimo di sei gemme. La resa viene limitata a 50/60 ql. a ettaro per una produzione totale di circa 10.000 bottiglie all'anno. La fermentazione si svolge in tini di rovere tronco conici da 50 hi. II processo di fermentazione e macerazione si prolunga in genere per circa trenta giorni, successivamente il vino viene passato in barriques dove prosegue la fermentazione malolattica.
L'affinamento in barriques di rovere di Allier (di cui un 30% viene rinnovato ogni anno) ha una durata di quattordici/diciotto mesi, dopo di che si procede al taglio finale e all'imbottigliamento. Prima della commercializzazione il vino riposa per altri sei mesi in bottiglia.
Abbiamo parlato troppo, il Grosso Sanese 2004 è un vino che non ha bisogno troppo di parole, lo possiamo capire anche ad occhi chiusi, annusando il nostro calice questo Chianti sembra quasi “nebbioleggiare” con la sua profondità, la sua complessità e quell’austerità che un po’ spiazza quelli che cercano nel Sangiovese un vino “facile” e subito pronto. Il vini si apre col passare del tempo, non va di fretta il Grosso Sanese, cavalca il tempo avanzando comunque inesorabile come inesorabili e netti sono tutti i profumi che sprigiona, dal frutto nero selvatico al cuoio fino ad arrivare alla terra, alla roccia, quel calcare che dà vigoria e potenza al tutto.
Bocca splendida, qua c’è tutto, c’è struttura, potenza, eleganza, finezza, persistenza, tutto è amalgamato ed armonico. Credetemi, un grande Chianti Classico, 25 euro di grande edonismo. Peccato che la vigna, ormai vecchia, sia stata espiantata per essere poi, successivamente, reimpiantata: dovremo aspettare qualche anno per vedere di nuovo questo vino in commercio per cui, se lo volete, assaltate le vecchie annate.
Tutta la crisi del vino di Frascati!
- questi vignaioli perché invece di produrre 150/200 quintali per ettaro non si adeguano ad una viticoltura di qualità abbassando drasticamente le rese? Se fate un giro per i Castelli Romani trovate più tendoni che abitanti…
- si lamentano del caro bottiglia? Il male di Roma, a livello di qualità di vino, sono sempre state e, forse, saranno tutte le fraschette e le osterie turistiche del centro che comprano vino a pochissimi cent al litro per poi rivenderlo, targandolo “della casa”, a 10/12 euro il litro. Perché allora questi valenti agricoltori non cambiano rotta producendo e commercializzando un vino che non permetta a questi osti da quattro soldi di fare sto giochetto? Negli anni passati gli è andato bene questo connubio, tanto Roma se beve tutto dicevano. E ora? Ora che c’è la crisi vi lamentate di scelte sbagliate? Solo i lungimiranti ora stanno gongolando.
Un anno da wine blogger...
Ma di cosa parliamo? Senza che si offenda nessuno posso dire che, ad oggi, questo mondo (forum compresi), secondo la mia personale opinione e con le dovute eccezioni, ha queste caratteristiche:
- Molti wine blogger si conoscono, sono amici o pensano di esserlo. Questo genera due tipi di fenomeni: all’interno di molti blog i commenti spesso vengono fatti sempre dagli amici/colleghi wine writer, sono poche le persone veramente esterne che partecipano alla discussione dicendo la propria. Tutto ciò certamente non è disdicevole, anzi, però c’è il rischio di creare una sorta di circolo chiuso che spinge il semplice appassionato, il neofita, a non intervenire mai per paura di essere crocifisso stile Fantozzi. L’altro aspetto è che questo pugno di wine blogger, spesso influenti nell’ambiente, creano una sorta di casta, un piccolo ordine professionale con tutti i difetti che questo si porta dietro. Entrare nel giro è difficile, se non fai parte di una certa scuola di pensiero (e ce ne è più di una) rischi di venire respinto con forza in quanto personaggio potenzialmente pericoloso per il loro ego. La prova? Vedere come sono stato trattato a Maggio durante le nomination per il miglior blog di vino.
- Se entri nel giro giusto, se sei popolare, allora godi di grandi tutele e tutti ti linkano anche se scrivi delle vaccate tremende;
- I wine blog sono spesso autoreferenziali e, per questo, non universalmente comprensibili;
- I wine blogger pensano, forse sperano, di capire davvero di vino e guai a contraddirli, potrebbero sparare bordate di insulti incredibili e sbatterti in faccia il loro diploma di sommelier;
- Guai a stilare classifiche o a pubblicizzare qualche iniziativa personale, verresti subito bombardato di critiche, spesso non costruttive;
- Attenzione massima anche quando si recensisce un vino, i produttori a volte sono permalosi e pensano di fare il vino migliore del mondo. Diplomazia ed indipendenza devono sempre viaggiare a braccetto.
Il mondo che abbiamo fuori sta anche qua dentro, basta scegliere, selezionare, a volte tapparsi il naso, e alla fine vedrete che pure voi vorrete essere un wine blogger, c’è spazio per tutti qua ma non dite che ve l’ho detto io….
Fattoria del Cerro Vinsanto "Sangallo" 2003
Il Vinsanto, come da tradizione, è a base di Pulcinculo (Grechetto) e Trebbiano i cui grappoli sono stesi sui cannicci per avvizzire. In tale ambito, l’attività di appassimento avviene all’interno della Fattoria del Cerro che, per questo, ha destinato l'ampio sottotetto del "Podere Argiano" che, essendo ben aerato e giustamente umido, è il miglior ambiente per farle giungere sane fino a gennaio, o addirittura a febbraio, quando vengono pigiate. Il vino viene poi fatto maturare all’interno dei classici caratelli per minimo tre anni al fine di permettergli di sviluppare complessità ed armonia, caratteristiche tutte che ritroviamo nei grandi vini dolci.
Nel mio bicchiere è stato versato il millesimo 2003, di un suadente colore oro fulvo che al naso esprime un quadro olfattivo caratterizzato da frutta stramatura, uva sottospirito, vaniglia, cannella, leggero mentolato ed una punta di tabacco biondo. In bocca il calore e la dolcezza dell’annata calda vengono subito compensati da una bella vena acida che impedisce, fortunatamente, ogni stucchevolezza. Palato cremoso, ricco di ritorni di frutta stramatura e spezie dolci. Chiude sapido con una persistenza che certo non ci fa strappare i capelli.
Un Vinsanto buono anche se il confronto con altre tipologie potrebbe risultare abbastanza deleterio, sia per la complessità che per la persistenza complessiva del vino.
Da provare forse in annate migliori?
La Porta di Vertine 2006, un grande Chianti Classico Riserva
Il vino del Gallo Nero lo troviamo ormai dappertutto, dal discount sotto casa al supermercato delle stazioni di servizio, troppa robaccia in giro, difficile ormai trovare qualcosa di decente se non si è consigliati da persone col pelo sullo stomaco. Ecco, il corso sul Sangiovese vuole insegnare proprio questo, vuole accompagnarci per mano alla ricerca del vero Sangiovese, quello territoriale, quello emozionante e che berremmo a tavola in un solo sorso, magari accanto ad una bistecca fiorentina.
Uno di questi piccoli grandi capolavori enologici porta la firma della Porta di Vertine, azienda nata solo nel 2006 quando Dan ed Ellen Lugosch acquistano un vigneto a forma di anfiteatro nel borgo di Vertine, a Gaiole, nella zona del Chianti Classico con l’obiettivo di nell’esplorare le caratteristiche del Sangiovese, selezionando vigneti e scegliendo i terreni che meglio ne fanno risaltare complessità e la sua attitudine all’invecchiamento. La Porta di Vertine deve moltissimo a tre uomini: Giacomo Mastretta, responsabile ed enologo, l’agronomo Ruggero Mazzilli, sotto la cui guida i vigneti sono stati convertiti al metodo biologico e, soprattutto, Giulio Gambelli, consulente enologo, maestro assaggiatore e una leggenda nel mondo del Sangiovese.
I vigneti sorgono su terrazze abbandonate nelle quali, grazie alla composizione del terreno ricco di galestro ed alberese che, essendo piuttosto povero, riduce naturalmente la vigoria della pianta, limitando la rese in modo naturale.
La vinificazione dei vini è naturale, a La Porta di Vertine si opera nella convinzione che, intervenendo il meno possibile durante la vinificazione, le caratteristiche dei vigneti traspaiano più chiaramente. In cantina i lieviti naturali e la temperatura ambiente la fanno da padrone. Il fatto che la cantina non abbia alcuno strumento di controllo della temperatura non è considerato un impedimento, ma parte della filosofia di non intervento.
Il Chianti Classico Riserva è il vino di punta dell’azienda ed è il frutto della selezione dei migliori grappoli della vigna della Conca d’Oro e del Campino dei Visconti a Vertine.
Alla metà di Ottobre i grappoli sono stati raccolti manualmente in piccole cassette. Non c’è aggiunta di solforosa in questo stadio. L’uva viene semplicemente disparata e messa in piccole vasche di accaio e cemento senza essere pigiata. La fermentazione si svolge ad opera dei lieviti indigeni, senza alcun controllo diretto della temperatura: la freschissima temperatura naturale della cantina ne facilita uno svolgimenti molto lento e regolare, preservando così il profumo elegante del Sangiovese. La durata e la cadenza dei rimontaggi dipendono dalla qualità dell’uva senza seguire uno schema prefissato. Alla fine dalla fermentazione alcolica, si effettua un solo delestage, durante il quale il vino è resta separato dalle bucce per una notte. Questo insolito metodo consente una maggiore estrazione in quanto, in assenza del vino, la temperatura delle bucce può salire notevolmente.
Dopo la fermentazione, il vino è stato lasciato sulle bucce per altre due settimane prima del travaso in barrique e doppia barrique. Qui il vino svolge la fermentazione malolattica alla fine della quale si valuta l’eventuale aggiunta di solforosa. Non viene poi sottoposto a ulteriori manipolazioni ad eccezione delle regolari colmature che servono a reintegrare il vino che naturalmente evapora attraverso le doghe del legno.
Il vino non viene sottoposto ad alcun travaso per i primi otto – dieci mesi, al fine di mantenerlo in contatto con le fecce fini che lo proteggono e gli conferiscono più ricchezza e complessità. L’affinamento in legno ha avuto una durata complessiva di circa sedici mesi.
Dopo l’imbottigliamento il vino riposa per almeno sei mesi prima di essere commercializzato.
Eccola qua questa Riserva, nel mio bicchiere, ho di fronte l’annata 2006 che si presenta di una straordinaria freschezza, esplode al naso la viola mammola e una leggera terrosità, poi frutta a buccia matura, liquirizia e chiodo di garofano. Un olfatto, rispetto ad altri Chianti Classico meno elaborato, monumentale ma più diretto, espressivo.
Bocca di grande corrispondenza col naso, la grande materia del vino, soprattutto il tannino, è ottimamente equilibrato dalla grande acidità del vino (i dati analitici ci dicono che siamo sui 7 g\l). Ritorna la frutta e la florealità. Un Chianti di grandissima beva, fresco e di grande pulizia, in stile Gambelli. Per una volta tanto 23 euro spese bene. Grazie Armando per avermi fatto scoprire questo vino anche se, lo so, non sarà l’unico……
A me dei tre bicchieri o dei cinque grappoli 2010...
E che diamine, prima che uscissero le anticipazioni tutti a dire che le guide sono obsolete, che sono una cavolata, etc.
Ora, invece, ci sta gente che si sta scannando, giornalisti o blogger che cercano a tutti i costi lo scoop, gente che spara m***a sui direttori dandogli del venduti.
Un gioco al massacro.
Complimenti sicuramente a chi ha preso i premi però non facciamone una questione di vita o di morte e pensiamo sempre che c'è gente che lavora a queste guide con impegno e passione.
Poi se si hanno le prove di quello che si dice, degli impicci che ci sono, dei conflitti di interesse, allora mettiamole in campo, diciamo nome e cognomi altrimenti è tutto inutile.
I vini che acquisto e che bevo, fortunatamente, non li devo leggere su una guida, il mio palato magari non è il loro palato. Bisogna sempre bere, paragonare, valutare, alla fine vedrete che non ci sarà nessuno chi ci imporrà il gusto e il modo di bere.
Me so sfogato! :-)
Il segreto del successo dello Champagne?
Ah, caso strano vuole che il Dipartimento fosse di Reims, se lo stesso esperimento fosse stato fatto in Franciacorta chissà cosa veniva fuori......
Piccoli appunti sulla verticale di Sagrantino di Montefalco Scacciadiavoli
La cantina di vinificazione e di stoccaggio , ricostruita recentemente, è stata costruita alla metà del 1800 su progetto francese del principe Ugo Boncompagni. La famiglia Pambuffetti ne ha acquisito la proprietà nel 1954; le monumentali dimensioni, quattro piani di cui uno completamente interrato, hanno dato il nome “Cantinone” alla località.
Fatta questa opportuna premessa, e tornando quindi alla verticale, abbiamo iniziato questa interessante degustazione con l’ultima annata in commercio, la 2006: le promesse e le potenzialità ci sono tutte ma non capisco però come si faccia ad uscire con un vino così ancora (troppo) giovane e scomposto, caratterizzato da una ingombrante presenza di legno ed alcol e con un tannino ancora troppo aggressivo. Le potenzialità (cercando bene) sono rappresentate da una grandissima struttura e un ventaglio aromatico giocato su note mentolate e di frutta sotto spirito. Si farà col tempo.
Il 2005, che ricordo esser considerata grande come annata a Montefalco, è più equilibrato, aggraziato, al naso la frutta rossa in confettura lascia quasi subito il posto ad un delicato floreale. Quadro aromatico più dolce, quasi femminile. In bocca però ecco uscire un omone che tira fuori tannini aggressivi ed un’acidità da misurare, forse il legno è maggiormente integrato ma anche questo Sagrantino è rimandato a data da destinarsi. Poco armonico.
Il 2004 è figlio dell’annata non certo calda a Montefalco, le abbondanti piogge che ci sono state e questo lo si intuisce già all’olfattiva dove c’è freschezza, non c’è molta frutta ed esce il lato erbaceo e floreale del vino, ci sento un pout pourri di fiori, il timo, l’alloro e un tocco di melograno. Bevendo sembra di esser di fronte ad un altro vino rispetto ai precedenti, è tutto più “soft”, struttura, tannini e acidità sono meno irruenti, possenti, complice l’annata che rende tutto più bevibile anche se c’è da aspettarsi che questo Sagrantino non viva ancora per moltissimo tempo.
Il 1998 per Scacciadiavoli è stato un anno di transizione, il vino viene ancora affinato in botte grande, solo dopo arriveranno in cantina di barriques e tonneaux. La differenza stilistica con le altre annate si sente, non tanto al naso dove escono belle note terziarie di ruggine, cuoio, goudron, prugna secca, ma soprattutto in bocca dove il vino si mantiene austero e, forse, un po’ slegato nella sua struttura visto che le parti dure e morbide del vino non erano perfettamente fuse. Nonostante ciò, con tutti i suoi piccoli difetti, rimane un vino piacevole, di grande beva e persistenza che si caratterizza per ritorni di cacao, frutta nera matura e spezie. Il miglior vino della batteria sicuramente.
Sulle tracce di "Terre del Cesanese"
- la selezione delle migliori piante madri di Cesanese per la loro moltiplicazione, svolta in collaborazione con importanti istituzioni regionali ed universitarie;
- la riconversione/rivalutazione dei migliori vigneti del luogo, avvalendosi delle testimonianze tramandate dalla plurisecolare cultura vitivinicola.
In cantina il lavoro è svolto direttamente da Pierluca Proietti, presidente dell'azienda, coadiuvato dall'enologo Domenico Tagliente con la sua pluridecennale esperienza.
La maturazione del vino avviene al Piglio, nella cantina dell'antico castello De Antiochia, dove la roccia crea condizioni ottimali di umidità e temperatura che non richiedono inteventi di condizionamento artificiale.
Il vino che ho degustato qualche tempo fa durante una serata AIS è il Cesanese Colle Vignali 2006, vino figlio di un Cru (non è una parolaccia eh) sito nel territorio dei Vignali, storica zona di coltivazione della vite nel comune di Piglio e posto a circa 350 m.s.l.m..
In questa splendida zona il Cesanese è sapientemente piantato su un terreno rossastro composto da tufi terrosi color ruggine derivanti da sedimentazioni del periodo Cretaceo-Quaternario, le viti hanno una densità di impianto che varia da 3300 a 4800 ceppi/Ha e sono allevate a cordone speronato, con potatura a due gemme per sperone e diradamento dei grappoli.
Le uve ottenute vengono poi vinificate in acciaio (contenitori di 20 Q.li) con una macerazione della durata 21 giorni e il vino prodotto è successivamente affinato in botti grandi di rovere di Slavonia per 23 mesi subendo una decantazione naturale che permette di non filtrarlo.
Nel mio bicchiere il vino ha un intenso colore rubino, quasi violaceo, impatto olfattivo che rimanda subito alle note fruttate, alla ciliegia in tutte le sue declinazioni, nelle quali si insinuano sommessamente intriganti note di rosa, viola mammola e spezie (netta la nota di chiodo di garofano). In bocca questo Colle Vignali entra in punta di piedi, man mano però di apre, si espande in bocca, inesorabile e potente con le sue sensazioni di frutta sotto spirito e spezie dolci, graffia con i suoi tannini ancora scalcianti, giovani. Un Cesanese da tenere in cantina per alcuni anni ancora, l’affinamento non può che fargli bene, Coletti Conti è ancora lontano a mio modo di vedere, però la passione e la competenza di Pierluca Proietti lo faranno arrivare ben presto tra i primi produttori del Lazio, basta aspettarlo, come il suo Colle Vignali.
A Montefalco va in scena la verticale di Sagrantino Caprai 25 anni
L’annata 2003 è stata difficile, lo sappiamo, il caldo non ha dato tregua e solo chi ha lavorato bene in vigna ha tirato fuori prodotti bevibili. Questo 25 anni è sicuramente figlio dell’annata, rubino carico e col naso che, rispetto al 2005, è più speziato, ci trovo il pepe nero, il chiodo di garofano e il cardamomo, poi esce la frutta rossa, in confettura, tutto è più evoluto e pronto. Bocca potente ma meno fresca del precedente vino e con i tannini ruvidi, un po’ slegati dalla struttura. Difficile da bere se non accompagnato da un cibo che riequilibri il gusto. E poi Lui…sempre Lui…
Il 2001, di colore supremo, impenetrabile, all’olfatto si presenta etereo, variegato, con sensazioni di dolcezza di frutto veramente notevoli: ciliegia matura, boero al cioccolato, mirto, alloro e ginepro, lavanda, humus, sono tutte sensazioni che si fondono amabilmente tra loro e che danno ampiezza al vino. In bocca la sensazione di rotondità del fruttato va a braccetto ed equilibra la parte dura del vino che è sempre netta e ben definibile. Una rotondità amplificata anche dalla “dolcezza” vanigliata data da Lui…
Il 2000, anch’esso figlio di un’annata relativamente calda, si presenta con un colore rosso rubino con unghia granata, segno di una terziarizzazione che inizia a farsi sentire soprattutto al naso dove il naso, pur ricco, è meno esplicito, più austero con le note di fungo, humus, spezie scure, fiori secchi e frutta ormai quasi appassita. Alla gustativa il vino si apre con prudenza, equilibrato, fino ad un’apice di esplosione di frutto speziato che va avanti per minuti. Anche qui, nonostante tutto, Lui era presente, ci guardava da lontano….
L’annata 1998 è stata davvero grande a Montefalco e dopo dieci anni sicuramente si può esprimere un giudizio serio e quasi oggettivo. Il risultato è nel nostro bicchiere, un vino compatto, vivo, lucente, dai profumi (ancora) intensi e stratificati: pepe nero e bianco, chiodi di garofano, cannella, macis, liquirizia, amarasca, sandalo, grafite, humus, Lui, sono tutti riconoscimenti che non facciamo fatica a riconoscere all’olfattiva. L’assaggio ci conferma la grandezza dell’annata con un vino che, pur mascherando la sua potenza, si espande gradualmente, inesorabilmente, fornendo una lunghezza gustativa che dura minuti, tanti minuti, dopo predominano le note di goudron e spezie nere. Sicuramente il miglior vino della batteria, forse il Sagrantino comincia a diventare “potabile” dai dieci anni in poi?
E Lui? Come si fa a sconfiggere?